Connect with us

Approfondimenti

Malasanita…ri!

“Ferrari” di Casarano: una storia come tante altre che getta fango sui tanti medici e sanitari seri. Per colpa di opportunisti e mestieranti che non conoscono vergogna…

Pubblicato

il

di Antonio Memmi


Al termine “malasanità” ci siamo purtroppo abituati: liste d’attesa interminabili, apparecchiature che non funzionano, ma anche la cronica mancanza di mezzi, sino ad arrivare alla classica… pinza nella panza. Ma c’è anche un altro tipo di malasanità, che fa meno notizia, che è più strisciante ma non per questo meno nociva all’immagine di chi invece nel mestiere del medico ci crede e lo fa anche nei nostri ospedali così tanto diffamati. Il luogo è il reparto di Neurologia (ma non solo) dell’ospedale di Casarano, ma potrebbe essere qualunque altro reparto di qualunque altro ospedale perché tanto, quel che andremo a raccontare… accade ogni giorno.

Immaginate una giovane mamma, colta da improvvise vertigini che le fanno perdere l’equilibrio ed il senso dell’orientamento. Inutile perdere tempo, meglio andare in ospedale. Come tutti sanno, quando qualcuno ha bisogno di aiuto soprattutto perché si sente male, può anche essere il più rude degli scaricatori di porto ma, in quei momenti, è sicuramente preoccupato, ansioso e soprattutto indifeso; facile immaginare quindi lo stato emotivo della nostra protagonista che, quantomeno, è già stata costretta a lasciare a qualcun altro i propri figli piccoli. Come in ogni altro ospedale, biglietto da visita è il Pronto Soccorso. Infierire ancora una volta sullo stato di questo reparto dell’ospedale di Casarano, sarebbe come combattere con un ragazzino che ha le mani legate: mancanza di organico, barelle rotte, degenti in corridoio e medici che si lamentano del perché di pazienti ne arrivino così tanti. Gli interventi richiesti non sono pretestuosi e qualche finanziamento per risistemare le cose sarebbe sicuramente necessario ma qui il problema è un altro e per risolverlo non c’è bisogno di soldi. Eh sì, perché alla nostra giovane mamma, dopo esser stata appena “guardata” per stabilire che non fosse lì lì per morire, è stata invitata ad accomodarsi ed attendere. E mentre attendeva, per un tempo lunghissimo che a lei è ovviamente sembrato un’eternità, in quel porto di mare chiamato pronto soccorso ne ha viste di ogni; ciò che non ha proprio visto: qualcuno che le chiedesse almeno “come va”.

Da qui, come detto, in neurologia; cambia la location, ma non certo la sostanza delle cose. Dopo averla accolta e fatta accomodare a letto, la nostra protagonista assume lo status di “degente” anche se la potremmo definire ospite dell’ “hotel Ferrari”, visto che per giorni le viene semplicemente garantito vitto e alloggio ed un’occhiata (non a lei ma alla sua cartella clinica) una volta al giorno, per non più di 20 secondi, durante il giro visite. Le viene anche prescritta (vivaddio) una risonanza, giusto per capire il motivo per il quale lei si trovasse lì, ma da ciò ad effettuarla ce ne passa.

Passano i giorni, le vertigini no, i disagi non mancano e a tutto ciò, comprensibilmente bisogna aggiungere l’ansia e le preoccupazioni di trovarsi nel limbo dell’attesa di conoscere una sentenza che potrebbe chiudersi con un sorriso o con la conferma delle paure più inconfessabili. In tutto questo tempo, i contatti con il “mondo medico” rimangono i soliti 20 secondi al giorno in cui un qualche medico guarda distratto non lei ma la sua cartella che non poteva che essere identica al giorno precedente.

Arriva così il fatidico giorno della risonanza “urgente”. La nostra amica viene preparata e scesa giù in laboratorio  sin dalle 8 del mattino e lì fa una cosa “nuova”… aspetta! E lo fa per ben 4 ore, al termine delle quali, con la stessa delicatezza che utilizzerebbe un facchino nel movimentare un sacco di barbabietole, al quale non si spiega certo il motivo per il quale viene spostato, viene ricondotta in stanza senza fare l’esame.

A quel punto a chiunque sarebbe venuta una crisi di nervi ed a chiunque, insieme ad essa, sarebbe venuta anche la voglia di mandare tutti lì dove si può immaginare. Chissà però per quale impeto di umana comprensione, a ridosso dell’orario di fine turno, arriva l’ordine di effettuare comunque il fatidico esame e quindi, con la stessa grazia del facchino di prima, un’infastidita infermiera la conduce nuovamente giù in laboratorio, dove ad attenderla c’era un tecnico altrettanto infastidito probabilmente per esser stato costretto a rimandare di mezz’ora il pranzo.

La storia, fosse anche per sfinimento, mi sarebbe piaciuto chiuderla qui, se non fosse che dopo altri 3 giorni di ospitalità vitto e alloggio, senza diagnosi e terapie, e senza avere il referto di una risonanza già effettuata, la nostra amica (alla quale solo grazie a Dio son passate le vertigini) si decide di mandare lì dove immaginate, tutti gli attori protagonisti di questa drammatica commedia. Esistono (e ne conosco personalmente) medici e sanitari seri e professionalmente preparati che lavorano nell’ospedale di Casarano, che danno prova ogni giorno di avere anche quella vocazione ed attenzione al paziente che tutti gli operatori della sanità dovrebbero avere. Mi dispiace per questi uomini e queste donne che del loro lavoro hanno fatto una missione; mi dispiace perché, anche in questo articolo non si parla di loro ma invece dei loro “colleghi”, di quelli che se ne fregano, che occupano un posto dato loro da un politico, che si lamentano della sanità ma che poi sono i primi (e lo abbiamo visto) a fare in modo che essa vada a rotoli. A questi opportunisti, mestieranti della sanità l’augurio sentito da parte nostra che possano provare un sentimento finora a loro sconosciuto… la vergogna.


Approfondimenti

Certezze ed incertezze del presente

Lo spettro della guerra, malavita, femminicidi, violenza dilagante nel mondo adolescenziale e giovanile. E il Salento? Terra di anziani residenti o fugaci vacanzieri…

Pubblicato

il

🔴 Segui il canale il Gallo 🗞 Live News su WhatsApp: clicca qui

di Hervé Cavallera

di Hervé Cavallera

La Pasqua da poco trascorsa dovrebbe aver ricordato ai Cristiani che essa, per il tramite della passione, morte e resurrezione di Gesù, è l’invito al passaggio ad una vita migliore.

Le feste del Cristianesimo, infatti, possono essere considerate come una sollecitazione per un futuro che sia, per i singoli e per la collettività, più buono e sereno rispetto al passato.

Ma l’immagine del presente non è così.

In campo internazionale permangono almeno due conflitti e i rischi che i campi di battaglia si allarghino non sono da sottovalutare.

E non è un problema dappoco.

Poi, per quanto riguarda l’Italia (ma il fenomeno non è solo italiano) si può constatare un aumento della violenza.

E non ci si riferisce solo ai casi più eclatanti, ossia ai delitti legati al mondo della malavita e alla crisi delle relazioni sentimentali (basti ricordare i femminicidi).

Ci si riferisce particolarmente alla violenza diffusa nel mondo adolescenziale e giovanile con i tumulti nelle università volti ad impedire la libertà di parola a conferenzieri non graditi, alle dimostrazioni pacifiste che generano saccheggi e vandalismi di vario genere, alle conflittualità che serpeggiano in certe scuole in una contrapposizione tra docenti ed allievi, con la partecipazione talvolta dei genitori.

Si ha l’impressione di trovarci in un mondo in cui non si riesce più a controllare gli impulsi.

Così accade che le frustrazioni, che sicuramente la maggior parte di noi ha pure conosciuto nel corso della propria esistenza, non vengano superate rafforzando il carattere e abituando a saper affrontare le difficoltà, ma producano comportamenti aggressivi che si propagano con facilità.

Ciò significa che gli adulti, i genitori in particolar modo, devono ben essere attenti oggi più che mai alle dinamiche dell’età evolutiva dei giovani.

Per fortuna sembrerebbe un fenomeno che non riguarda in modo preoccupante il nostro Salento.

Non che manchino i fatti di cronaca nera, ma fenomeni di scontri di piazza da parte di minorenni sono assai pochi.

E qui allora emerge un’altra considerazione: quello dello spopolamento.

Le nascite sono da tempo in netto calo nella Penisola.

Secondo i dati dell’ISTAT in Italia nascono 6 bambini ogni mille abitanti.

Nel Salento al calo demografico si aggiunge poi il fatto che molti giovani compiono gli studi universitari in altre regioni d’Italia e non tornano più nel paese nativo.

Certo, vi sono anche coloro che tornano e con coraggio, come si è scritto su questo giornale, ma sono pochi.

Il Salento diventa la terra di anziani residenti o di fugaci vacanzieri.

E allora l’invito alla gioia che proviene dal suono delle campane pasquali si spegne in una triste rassegna.

Conflitti sempre più minacciosi tanto da spingere qualcuno a sostenere il ritorno alla leva obbligatoria, sviluppo della criminalità organizzata, violenze e tragedie domestiche, violenza giovanile, fragilità nell’affrontare le difficoltà connesse al quotidiano, spopolamento, stagnazione produttiva…

Occorre precisare che non si nega che esistano casi positivi, anzi di eccellenza nella imprenditoria, nei giovani, nella vita coniugale e così via, ma l’ombra del negativo è sempre più visibile e preoccupante.

LA COMUNICAZIONE DELL’EFFIMERO

Vi è poi la sensazione di una crescita dell’individua- lismo accentuato dai social, dalla facilità di esprimere pareri su tutto e su tutti.

Al tempo stesso la comunicazione digitale isola fisicamente l’utente pur avendo egli un contatto online con centinaia se non migliaia di persone.

È la comunicazione dell’effimero, mentre si continua a rimanere soli.

Come diceva l’antico filosofo, l’uomo è un animale sociale; ha bisogno di vivere concretamente, fisicamente col prossimo, non di limitarsi a parole diffuse con mezzi artificiali.

Ed è questo l’aspetto che è il lascito ideale delle recenti celebrazioni pasquali: quello di tornare ad essere una comunità.

Una comunità di persone che si incontrano e dialogano ed elaborano progetti che permettano una crescita economica e spirituale.

Tutto questo richiede buona volontà e competenza, richiede il mettere da parte l’attrazione per il proprio tornaconto, per il proprio particulare come diceva Guicciardini.

È un compito che devono tornare ad assumere quelle istituzioni ad esso preposte quali la famiglia e la scuola.

In un momento storico in cui i legami familiari diventano sempre più fluidi, bisogna che la scuola diventi davvero un centro di formazione di responsabilità oltre che di conoscenze e competenze.

Un futuro migliore è affidato da sempre ad una buona educazione e di ciò dobbiamo tornare a prendere consapevolezza.

Continua a Leggere

Approfondimenti

Il fallimento della democrazia

Astensionismo: nelle regionali del 2023 raggiunse il 60% in Lombardia e Lazio; nel 2014 in Emilia-Romagna votò solo il 37,7%. Nel 2020 l’affluenza alle regionali pugliesi è stata del 56,43%…

Pubblicato

il

di Hervé Cavallera

Il prof. Hervé Cavallera

Il 25 febbraio si è votato per la Regione in Sardegna.

I candidati alla Presidenza della Regione erano 4 e le liste presenti 25.

Ora, quello che particolarmente colpisce, a prescindere da vinti e vincitori e dalle stesse modalità di votazione (voto disgiunto, ad esempio), è l’affluenza degli elettori.

Poco al di sopra del 52%, quindi ancor meno dell’affluenza avuta nelle precedenti elezioni regionali.

Né si tratta di un fenomeno meramente sardo.

L’affluenza elettorale è effettivamente bassa e, come si suole dire, l’astensionismo è in assoluto il maggior partito in Italia (ma la situazione non è dissimile anche in altri Paesi europei).

Nelle regionali del 2023 l’astensionismo raggiunse il 60% in Lombardia e nel Lazio e nel 2014 in Emilia-Romagna per l’elezione del presidente della Regione votò solo il 37,7% degli elettori.

Nel 2020 l’affluenza alle regionali in Puglia è stata del 56,43%. Ciò non può lasciare indifferenti in quanto, se democrazia significa partecipazione, il “successo” dell’astensionismo significa fallimento della democrazia.

Esiste ormai nella realtà uno scollamento tra cittadini e politica.

È un dato inequivocabile che non può essere risolto con la diffusione del cosiddetto “civismo” ossia con la nascita di movimenti localistici.

Invero nel 1946 l’Assemblea Costituente introdusse il principio della obbligatorietà del voto che però all’art. 48 della Costituzione italiana risulta solo un dovere civico.

Nel 1957, col D. P. R. n.361, si rendeva obbligatorio il voto nelle elezioni politiche, dichiarando che occorreva fare un elenco degli astenuti.

Il tutto poi venne meno nel 1993 (D. L. 20 dicembre 1993, n . 534).

Il che è anche corretto poiché il concetto di liberta implica anche l’astensione. E tuttavia quando l’astensione raggiunge livelli elevatissimi sì da quasi superare il numero dei votanti, è chiaro che è in atto una crisi della sensibilità politica dei cittadini.

Si tratta di un processo che in Italia si può far risalire alla cosiddetta fine della prima Repubblica (1994) ossia con la fine dei partiti che esistevano nella Penisola dal 1946.

In realtà, il fenomeno rientra nel collo delle grandi ideologie e, di conseguenza, in una semplificazione della vita politica tra due schieramenti, etichettati come moderati o conservatori da una parte e progressisti dall’altra.

Non per nulla negli Stati Uniti d’America dove esistono praticamente solo due partiti, il repubblicano e il democratico, l’astensionismo tocca spesso punte del 70% a cui peraltro ci si è abituati.

Di qui un altro aspetto che va considerato: il ruolo decisivo del candidato alla presidenza.

Sostanzialmente si vota la persona più che le idee.

D’altronde tutti possiamo constatare che nei nostri Comuni sono pressoché inesistenti le tradizionali sezioni dei partiti, ove una volta i tesserati potevano discutere vari temi politici.

Di qui un ulteriore paradosso. Si ritiene che in una società democratica chi “comanda” o, per essere più corretti, chi ha la gestione della cosa pubblica sia la maggioranza.

Nei fatti, invece, proprio grazie all’astensionismo, la gestione del potere è comunque affidata ad una minoranza, mentre la maggioranza dei cittadini assiste con apatia, rassegnazione o altro, a quello che la minoranza decide.

Negli anni ’80 del secolo scorso il sottoscritto scrisse un libro sull’importanza dell’educazione politica, intesa non come educazione partitica, ma come educazione alla partecipazione responsabile alla vita pubblica.

Al presente, di fronte a fenomeni come l’astensionismo, la cancel culture, l’improvvisazione demagogica che talvolta si fa sentire per il tramite dei social, una riflessione articolata, ponderata e di largo respiro sulla necessità di una rifondazione della vita civile, in modo che non sia soggetta alle pulsioni del momento, sarebbe opportuna.

Naturalmente tutto riesce difficile ed è inutile evocare il ricordo della vecchia Educazione civica, anche se dal settembre del 2020 l’Educazione civica è considerata una disciplina trasversale che riguarda tutti i gradi scolastici.

In una società ove predomina il relativismo individualistico, mancano i grandi valori che danno davvero lo slancio vitale all’impegno civile che investa la collettività e tutto si risolve nel gioco degli interessi di piccoli gruppi o dei singoli.

Continua a Leggere

Approfondimenti

Galatina, il Liceo Vallone si mobilita “fa rumore” per le Donne

Sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Pubblicato

il

In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della donna, il Liceo A. Vallone, di Galatina, sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Previsto in mattinata, alle ore 11.45, un corteo che partirà dalla sede centrale del Liceo, in viale don Tonino Bello, e si muoverà verso Piazza San Pietro dove si terrà un flash mob di riflessione chiuso con la lettura di Knocking on Heaven’s door, profondo monologo in voce maschile tratto da Ferite a morte, di Serena Dandini. 

“L’ignominia continua da Giulia…1,2,3…12 vittime” è il messaggio che gli studenti e le studentesse del Liceo porteranno in corteo, ribadendo che “Nessun delitto ha una giustificazione”!

Tutti gli studenti e le studentesse del Liceo, accompagnati dal personale scolastico, attraverseranno le strade principali della città (viale don Tonino Bello – via Ugo Lisi – C.so porta Luce – Piazza San Pietro) con l’obiettivo di fare un silenzioso rumore sull’inefficacia di questa ricorrenza, dipanando un drappo rosso lungo 30 metri, simbolo del dolore e delle violenze che le donne ancora subiscono, visto il perdurante divario di genere.

“Non si ha nulla da celebrare se non vi è uguaglianza. Non si celebra la Donna se non La si rispetta” Queste le parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Angela Venneri, che ha fortemente promosso e sostenuto l’iniziativa, in un’ottica di sensibilizzazione e condivisione d’intenti.

Non un’occasione per festeggiare, dunque, ma solo per riflettere e tenere alta l’attenzione, con l’auspicio che l’educazione culturale possa riaffermare un ineludibile principio di civiltà.

Da qui l’augurio conclusivo dei nostri studenti e studentesse a tutte le donne con i dolcissimi versi della poesia di Alda Merini, Sorridi donna.

Continua a Leggere
Pubblicità

Più Letti

Copyright © 2019 Gieffeplus