Attualità
Trepuzzi: “Anna Tolardo, omicidio preterintenzionale”
“La penale responsabilità dell’indagata risulta pienamente riscontrata sulla base della valutazione degli indizi evidenziati”. Pesano le parole che il Giudice per le

“La penale responsabilità dell’indagata risulta pienamente riscontrata sulla base della valutazione degli indizi evidenziati”. Pesano le parole che il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Lecce, Annalisa De Benedictis, scrive nell’ordinanza con cui dispone la misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di Anna Maria Tolardo, 52enne impiegata di Trepuzzi, che dallo scorso luglio era indagata per la morte della zia Anna Tolardo, avvenuta nel dicembre 2010. Accolte in pieno le tesi del dott. Antonio Negro, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce e titolare delle indagini, e accolte le tesi degli investigatori della Compagnia Carabinieri di Campi Salentina: quella che apparve inizialmente come una morte accidentale è in realtà dovuta a mano umana. E, in particolare, a quella di una parente della defunta. Soluzioni diverse, stando al G.I.P., sarebbero “non ragionevoli, in contrasto con ogni verosimiglianza”. Alle 7 di stamani i militari del NORM – Aliquota Operativa di Campi hanno perciò bussato alla porta della Tolardo, dando luogo a tutta la procedura per l’esecuzione degli arresti. Per ricostruire tutta la storia si deve invece tornare a quel 20 dicembre scorso, data in cui Anna Tolardo, una donna di 87 anni residente a Trepuzzi, fu trovata morta nell’appartamento di Via Unità d’Italia in cui viveva da sola. La donna – invalida civile – veniva ogni giorno assistita da suoi parenti (cognata e nipoti in primis) che si recavano da lei per aiutarla nelle incombenze; ciò, anche, scontando il non facile carattere dell’anziana, con cui scoppiavano diverbi a quanto pare anche accesi. Stando alla tesi delle prime ore, proprio la nipote Anna Maria Tolardo l’aveva trovata riversa sul pavimento della sala da pranzo, intorno alle 11 di quella mattina. Il cadavere, prono, sarebbe stato in una pozza di sangue perso dall’anziana cadendo con il girello che usava per deambulare, e nel quale sarebbero rimaste incastrate le sue gambe. L’urto con alcune delle sue parti (per esempio i meccanismi delle ruote) e con maniglie dei mobili circostanti avrebbe inferto le ferite e provocato la conseguente emorragia letale. A nulla sarebbero serviti i primi tentativi di soccorso praticati dalla nipote; poi, nell’arco di circa un’ora e mezza, l’arrivo di altri parenti, la chiamata degli addetti alle Onoranze funebri e del medico curante della zia, di un altro medico chiamato dal primo a supporto e, infine, quella dei Carabinieri della Stazione di Trepuzzi. Nel mezzo, la pulizia degli ambienti dal sangue. Questa la tesi della parente, rimasta però fissata solo nelle sue parole, e in quelle di sua madre, giunta in quella casa poco dopo. Perché in realtà, soprattutto medici e militari hanno potuto vedere solo la Tolardo poggiata su un lettino, avvolta in un lenzuolo e ripulita. Così come ripulita appariva la stanza della caduta: niente pozza di sangue né tracce ematiche in giro, se non su alcune parti del girello. E qui sono cominciati i dubbi degli operatori. Il medico curante ha trovato strani lo spostamento del corpo e l’avvenuta completa pulizia del cadavere e degli ambienti; nonché; ancora, non era chiaro se l’anziana fosse stata trovata già morta. Ma, soprattutto, la posizione delle ferite (sul capo e sulle mani) non parevano collimare con la dinamica ipotizzata dalla nipote, con l’arredo circostante e con le caratteristiche del girello, che pure appariva insanguinato in alcuni punti. I dubbi sono stati condivisi dall’Autorità Giudiziaria procedente (il dott. Antonio Negro, che ha appunto assunto la direzione delle indagini) e dai Carabinieri del NORM della Compagnia di Campi Salentina.
“Curiose”, infatti, quelle circostanze e quel comportamento riferito dalla Tolardo agli investigatori. Significativa, una testimonianza acquisita dagli inquirenti e resa da una persona che ha affermato di aver sentito, alle 10.30 di quella mattina (ossia circa trenta minuti prima del “rinvenimento” descritto dai parenti), provenire dalla casa della Tolardo urla di quest’ultima e di un’altra donna. Più che indicativa la consulenza tecnica d’ufficio del dott. Roberto Vaglio, nominato dalla Procura della Repubblica: secondo lui, il numero, la sede e la diffusione delle lesioni mal si conciliavano con una semplice ipotesi traumatica accidentale, lasciando trapelare la possibilità che le ferite fossero state provocate da violenza altrui. E, infine, decisiva l’intercettazione ambientale disposta a inizio luglio dal P.M. titolare: sotto la lente di ingrandimento, proprio Anna Maria Tolardo, la madre e il fratello, ossia coloro che – come detto – frequentavano di solito l’abitazione della defunta. E qui la svolta. Ascoltata quale “persona informata dei fatti”, ai Carabinieri del NORM di Campi la nipote prova a riproporre la sua già nota descrizione dei fatti; via-via che si approfondiscono certi dettagli poco chiari, però, le contraddizioni aumentano, insieme ai silenzi e alle difficoltà nel chiarire aspetti anche elementari. Non collimano gli orari; “incuriosisce” la chiamata procrastinata di soccorsi sanitari o delle Forze dell’Ordine (si era pur sempre davanti a una morte traumatica); stupiscono certi vuoti di memoria sulla descrizione della scena trovata al suo arrivo a casa della zia; suscita corposi dubbi l’idea di ripulire il sangue trovato sul pavimento e sui mobili, attuata prima ancora che intervenissero altre persone sulla scena. Pressata dai militari, la donna manifesta sempre più incertezza, e infine ammette: cedendo a un impeto d’ira durante un violento diverbio, con un ombrellino portatile che aveva con sé aveva percosso la zia più volte alla testa. E che le dichiarazioni fossero credibili lo dimostra subito dopo, quando sempre la Tolardo, colloquiando con il proprio fratello, si lascia andare sull’esito della verbalizzazione dei militari: “Che gli ho detto… che gli ho dato martellate io con l’ombrello. Ormai ho detto tutto… tocca che glielo dico con l’avvocato”. Lei – che poi, in sede di interrogatorio, si è invece avvalsa della facoltà di non rispondere – non sa però di essere sotto intercettazione audio e video, e che parole e gesti (mima anche una percossa con la mano) stanno diventando una vera e propria confessione. Che ben presto le frutta l’iscrizione nel registro degli indagati in quanto responsabile di omicidio preterintenzionale pluriaggravato. In parole povere, la signora non avrebbe avuto la volontà di uccidere, ma avrebbe comunque provocato la morte della zia con una condotta che il codice penale sanziona con l’art. 584. Una condotta, peraltro, connotata da tre circostanze aggravanti: l’aver agito con crudeltà, l’aver usufruito di circostanze che hanno impedito alla vittima (invalida e, in quel momento, sola in casa) di difendersi e proprio la condizione oggettiva di invalidità dell’anziana. Il G.I.P. dott.ssa De Benedictis ha condiviso l’impianto accusatorio del Pubblico Ministero, ravvisando anche le esigenze cautelari nella necessità di impedire l’eventuale inquinamento delle indagini e la commissione di reati della stessa specie. La sua condizione di incensurata, invece, non ha reso necessarie misure cautelari più drastiche.
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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