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Cronaca

Annullata cartella di Equitalia da 35mila euro

La Commissione Tributaria Provinciale di Lecce ha messo in atto il principio che se un contribuente riceve un atto da Equitalia e ritiene che il debito non sia dovuto, può fare una semplice comunicazione al concessionario su carta libera (senza dover necessariamente avviare un’azione legale) e, se l’ente impositore non risponde entro 220 giorni, il debito si annulla di diritto

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Nei giorni scorsi la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce ha accolto un ricorso di una società difesa dall’avvocato Matteo Sances, annullando una cartella esattoriale di oltre 35mila euro a seguito della mancata risposta  di Equitalia a una semplice istanza (clicca-qui per leggere sentenza  della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce).


Con la Legge 228/2012”, spiega l’avv. Sances, “è stata introdotta una norma che prevede la possibilità per il contribuente, il quale si ritenga leso da un atto esattoriale, di presentare semplicemente un’istanza a Equitalia indicando i motivi di illegittimità della pretesa”.


Avv. Matteo Sances

Avv. Matteo Sances


La legge continua prevedendo che “il concessionario dopo aver ricevuto l’istanza deve inoltrarla all’ente impositore competente (in questo caso all’agenzia delle entrate di Lecce trattandosi di tributi), il quale ha 220 giorni per rigettare l’istanza e comunicarlo al contribuente; in caso di mancata risposta al contribuente la legge prevede che il debito si annulli di diritto (trattasi tecnicamente di annullamento del debito fiscale per silenzio/assenso dell’ufficio)”.

In questo caso i giudici hanno accertato che Equitalia una volta ricevuta l’istanza non ha provveduto a inoltrarla all’agenzia delle entrate di Lecce facendo così trascorrere i 220 giorni. Equitalia, poi, oltre a far trascorrere i termini agiva esecutivamente nei confronti della società con un pignoramento presso terzi. Accertati i fatti, dunque, i giudici hanno annullato la cartella esattoriale dichiarando che le pretese dell’Erario “sono annullate di diritto”.


L’importanza di questa sentenza (come anche di quella emessa nei confronti dell’altro contribuente di Lecce lo scorso anno a cui erano state annullate cartelle per oltre 200.000,00 euro)”, conclude l’avvocato leccese, “è che stabilisce il principio che se un contribuente riceve un atto da Equitalia e ritiene che il debito non sia dovuto, può fare una semplice comunicazione al concessionario su carta libera (senza dover necessariamente avviare un’azione legale) e, se l’ente impositore non risponde entro 220 giorni, il debito si annulla di diritto (legge n.228/2012, art. 1, comma da 537 a 540)”.


 


Cronaca

Tricase: ferisce la nonna e poi sferra calcio in faccia a carabiniere

Ventinovenne del posto arrestato in flagranza per per violenza e minaccia a pubblico ufficiale, resistenza e lesioni personali

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I Carabinieri della Sezione Radiomobile di Tricase hanno arrestato un uomo di 29 anni, del posto, per violenza e minaccia a pubblico ufficiale, resistenza e lesioni personali.

L’arrestato, nel corso della serata, aveva avuto un accesa discussione per futili motivi prima con la nonna usando violenza fisica e causandole addirittura una distorsione al braccio e poi con la madre oggetto di violenza verbale.

I militari dell’Arma che, allertati dalla madre, sono intervenuti mentre l’aggressore era ancora presso l’abitazione.

Vano il tentativo di calmarlo: in evidente stato di agitazione e non tollerando l’intervento dei Carabinieri, si è scagliato contro uno di loro colpendolo con un calcio al volto.

Sul posto a dar manforte ai colleghi anche i carabinieri della Stazione di Gagliano del Capo.

Il 29enne è stato bloccato e arrestato in flagranza di reato.

Come disposto dal P.M. di turno presso la Procura della Repubblica di Lecce, il fermato è stato condotto presso la Casa Circondariale Borgo San Nicola del capoluogo salentino.

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Cronaca

Tricase Porto: Villa Sauli, che succede?

Nonostante una sentenza esecutiva e inappellabile del Consiglio di Stato che a dicembre ne ha ordinato l’abbattimento l’ecomostro è ancora lì a fare ombra all’antico e prezioso porto. E i tempi potrebbero ancora allungarsi causa altro ricorso al Tar. Vi spieghiamo perché e quali potrebbero essere i possibili scenari

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Che succede a Tricase Porto?

Mentre in altri lidi, vedi Sant’Isidoro a Nardò, hanno già inviato le ruspe per abbattere gli ecomostri nel porto rifugio tricasino, autentico gioiello tanto amato ed osannato, continua a tiranneggiare la famigerata “Villa Sauli”.

Eppure su quello che nelle intenzioni dichiarate negli anni Sessanta doveva diventare un albergo diffuso, pende come una mannaia inesorabile la sentenza, esecutiva ed inappellabile, datata 14 dicembre 2023, con la quale il Consiglio di Stato ne ha ordinato l’abbattimento, ponendo definitivamente fine ad una vicenda giudiziaria avviata nel 2017 dall’allora sindaco Carlo Chiuri che intraprese una battaglia personale per la sicurezza ed il decoro del Porto di Tricase.

E quindi? Quindi abbiamo scoperto che i tempi potrebbero ancora allungarsi causa l’ennesimo ricorso.

Ma come, direte, la sentenza non era inappellabile?

Si lo era e tale rimane, ci mancherebbe altro!

Quello che è avvenuto è che, all’atto di procedere all’abbattimento, così come ordinato dal Consiglio di Stato, per un eccesso di correttezza e zelo, dal Comune son partiti gli avvisi agli eredi, proprietari del fabbricato.

Uno di questi, però, non sarebbe andato a buon fine per un mero errore formale, forse un “difetto di notifica”, che ha dato adito ad uno degli eredi di ricorrere nuovamente al Tar.

Difficile, anzi improbabile, secondo il parere di alcuni legali da noi interpellati, mettere mano alla sentenza di abbattimento emessa dal Consiglio di Stato, ma i tempi, come dicevamo, potrebbero allungarsi ed anche di anni.

Il ricorso (iscrizione a ruolo del 22/4/2024 n° 465/2024) è stato già comunicato al Comune di Tricase che, a quanto ci risulta, non si è costituito in giudizio.

I possibili scenari: in caso di richiesta di sospensiva i tempi sarebbero certamente più celeri; se, invece, si entrerà nel merito, lo si farà su input delle parti e, a quel punto, conoscendo le lungaggini di questo tipo di procedure, potrebbero volerci anche 4-5 anni.

Anni durante i quali dovremo continuare a spiegare a chi verrà trovarci, come mai quell’ecomostro domini ancora l’antico porto preso a modello in tutto il Mediterraneo per la sua bellezza e per le pratiche di sviluppo sostenibile di ecosistemi rurali e costieri.

Giuseppe Cerfeda

 

 

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Casarano

Him Co, 73 lavoratori salentini col fiato sospeso

Sono quelli dello stabilimento di Casarano. L’azienda, che produce suole anche per grandi marchi, è rimasta senza commesse. Nessun accordo su ammortizzatori sociali e incentivo all’esodo. I sindacati: “Proposte insufficienti e che penalizzano i lavoratori salentini”

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Tutto rinviato al Ministero del Lavoro.

Su incentivo all’esodo e ricorso al contratto di solidarietà, salta al momento l’accordo tra organizzazioni sindacali e Him Co Industry.

Fumata nera dunque dopo l’incontro di ieri, che si è tenuto nella sede principale di Fossò (Venezia) ed in collegamento con lo stabilimento di Casarano.

L’azienda calzaturiera produce suole per grandi marchi e che occupa complessivamente 277 persone,  73 dei quali nel Salento.

Nel periodo compreso tra maggio e luglio ha perso una grossa commessa: da qui la necessità di garantire la sopravvivenza della società, dal punto di vista aziendale, attraverso il ricorso all’incentivo all’esodo ed agli ammortizzatori sociali.

LA CRISI

L’azienda ha avviato la procedura di licenziamento collettivo già da qualche settimana, una procedura che mette a rischio complessivamente 63 posti di lavoro.

Effetto, secondo l’azienda, tanto del contesto economico internazionale quanto dell’affermarsi di nuovi modelli di business.

Nel primo caso è stata la guerra tra Russia e Ucraina a dare un brutto colpo al settore del lusso (segmento all’interno del quale opera l’azienda calzaturiera): 20mila paia di scarpe solo per la perdita di quei due mercati.

Al momento le previsioni, molto aleatorie, prevedono una ripresa del comparto nella seconda metà del 2025.

Le vendite da tre anni seguono un andamento negativo: 50 per cento dei volumi di produzione da 400mila paia di scarpe a 190mila paia nel giro di pochi anni.

Il mutamento del modello di business mette poi in crisi le aziende complete come Him Co (in grado di gestire integralmente il business calzature): oggi è sempre più richiesta una specializzazione industriale, visto che i marchi sempre di più vogliono gestire direttamente la distribuzione e controllare il mercato.

CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ

Azienda e sindacati hanno trovato un punto di incontro nella necessità di azzerare le espulsioni di personale, ricorrendo al contratto di solidarietà (per effetto del quale tutti i dipendenti rinunciano a quote di stipendio per evitare i licenziamenti collettivi).

L’accordo proposto dall’azienda prevedeva una perdita oraria mensile pari al 24% a tutti i lavoratori (full-time e part-time) per almeno un anno. Ci sarebbe stato poco o nulla da contestare se non fosse per un dettaglio: il peso maggiore del sacrificio richiesto ai dipendenti dello stabilimento di Casarano, rispetto a quelli di Fassò.

Una solidarietà differenziata” che mal si concilia con lo spirito del contratto collettivo aziendale proposto.

«Inoltre abbiamo chiesto di conoscere prima il piano industriale, per capire dove porterà questa crisi, dichiarata come strutturale e non congiunturale, alla fine del percorso», spiegano  Franco Giancane (Filctem Cgil Lecce), Sergio Calò (Femca Cisl Lecce) e Fabiana Signore (Uiltec Uil Lecce), «abbiamo rilevato, inoltre, che appare quanto mai strano che si rinnovino ai primi di aprile i contratti a tempo determinato (mentre allo stesso tempo si chiudono i contratti con scadenza a dicembre) e poche settimane dopo si arriva addirittura a parlare di esuberi ed ammortizzatori sociali».

La riunione si è perciò conclusa con il mancato accordo e con la richiesta d’incontro al Ministero.

INCENTIVO ALL’ESODO

Him Co ha già avviato la procedura di licenziamento collettivo.

La proposta di accesso all’incentivo all’esodo, inteso come non opposizione al licenziamento, è ritenuta dai sindacati «non soddisfacente e non performante»: appena 4 mensilità a chi accetterà il licenziamento entro il 31 luglio; solo 3 stipendi in caso di firma del licenziamento al 30 settembre; due mensilità a quei dipendenti che dovessero accettare il licenziamento entro novembre; una sola mensilità ai lavoratori che dovessero restare in azienda fino al 31 gennaio.

A chi dovesse maturare i requisiti di accesso alla pensione entro marzo 2026, è stato proposto un incentivo di tre mesi se manifesteranno la volontà di essere licenziati entro marzo 2025.

Tutti accordi tombali, ossia che faranno cessare qualsivoglia diritto o pretesa nel rapporto tra azienda e lavoratori all’atto della firma. L’ipotesi di accordo è stata dunque rigettata dai sindacati.

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