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Attualità

Otranto, il Sindaco: “Due gasdotti in 20 km? No grazie”

“Fallimento ed incapacità politica di chi ci governa a livello regionale e nazionale. Siamo abbandonati a noi stessi”

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Non si placa la polemica sul gasdotto Tap, ormai certo di approdare in Italia dalle coste pugliesi, ma ancora in attesa di conoscere la sua ubicazione definitiva. Di pochi giorni fa la notizia di un nuovo vertice convocato a Palazzo Chigi, una riunione istruttoria fissata per lunedì mattina cui prenderanno parte anche i sindaci dei comuni indicati come possibili siti alternativi a quello di San Foca.


tapTra questi, nella lista accanto a Brindisi, San Pietro Vernotico e Torchiarolo, compare quello di Otranto. Il sindaco idruntino Luciano Cariddi prende allora parola e decide di dire la sua dopo aver, come precisa, “sempre cercato di evitare di entrare nel merito della questione per un senso di rispetto istituzionale nei confronti degli amministratori di Melendugno, direttamente interessati all’iter autorizzativo del progetto di questa infrastruttura energetica”.


Chiamato in causa in prima persona, prima di prender parte all’incontro di lunedì, il sindaco ha deciso di scrivere alla Redazione, senza peli sulla lingua, il suo pensiero sulla questione Tap:


“Veniamo coinvolti per la prima volta, con la riunione convocata presso il Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il prossimo 2 marzo, sulla vicenda del gasdotto TAP, il cui approdo è previsto sulla costa di San Foca. Credo quindi sia giusto e doveroso rendere esplicito il nostro punto di vista sulla questione.

Occorre tenere presente che sulla costa di Otranto approda già l’elettrodotto Italia-Grecia, e che insiste la richiesta di approdo del progetto del gasdotto IGI Poseidon, il quale ha ottenuto, nel 2011, l’autorizzazione unica ministeriale per essere realizzato.

CariddiLa società nel frattempo ha acquisito la concessione delle aree demaniali marittime e, in questi giorni, ha formalizzato la relativa immissione in possesso. Un progetto, dunque, che ad oggi risulta essere attivo e cantierizzabile in qualsiasi momento lo decidesse l’azienda proponente.

E’ vero che tale gasdotto prevedeva originariamente, per il proprio approvvigionamento, il gas dell’Azerbaijan, successivamente accordato al gasdotto TAP, ma nel frattempo abbiamo notizia che IGI Poseidon stia tessendo rapporti commerciali per acquisirsi il gas proveniente da Israele e Cipro. Ciò porterebbe a pensare che questo progetto non sia perito e così ci troveremmo a vivere l’assurdo di dover ospitare sulla nostra costa, nello stesso luogo (se TAP dovesse approdare ad Otranto) o al più, ad una breve distanza di circa 20 km (se TAP dovesse approdare a San Foca), ben due gasdotti.

Da cittadino di questa terra e da rappresentante delle istituzioni credo che in tal caso si debba parlare di totale fallimento e di incapacità politica da parte dei nostri governanti. Mi riferisco nello specifico al Governo nazionale e a quello regionale pugliese, i quali, evidentemente, non hanno saputo gestire le politiche legate all’infrastrutturazione energetica.

Percepiamo un totale abbandono a noi stessi, chiamati, quali piccole municipalità, a dover valutare e decidere in solitudine e con una posizione molto debole su un tema di rilevanza strategica internazionale, dove si lascia fare voce grossa ai gruppi imprenditoriali privati, i quali fanno prevalere soprattutto le ragioni dei propri interessi economici.

Noi crediamo che ci si sarebbe dovuti adoperare a livello nazionale e regionale innanzitutto con una pianificazione preventiva che stabilisse quante e quali infrastrutture energetiche ospitare sul nostro territorio, e dove farle approdare con il minor impatto, anche perché da tempo sono conosciute le mire di diverse multinazionali sulla nostra costa. Negli uffici dell’Assessorato regionale per lo Sviluppo Economico è esposto, da diversi anni, un pannello indicativo di una serie di infrastrutture energetiche (elettrodotti, gasdotti, oleodotto) provenienti da est e che puntano tutte sul tratto di costa tra Otranto e Brindisi.

Nel merito delle proposte progettuali che ci riguardano, devo rilevare, tuttavia, un diverso atteggiamento tenuto dalle due società proponenti.

Nella procedura che ci ha coinvolti con l’approdo otrantino del gasdotto IGI Poseidon, siamo stati partecipi e attori attivi sin dall’inizio, d’altronde è impensabile che qualcuno arrivi su un territorio senza verificare preliminarmente una disponibilità di dialogo nella comunità locale.

Ciò ci ha permesso di incidere positivamente non poco sulle soluzioni finali di progetto, avendo valutato attentamente, coadiuvati anche da nostri consulenti esperti, tutti i possibili impatti che l’opera può produrre, da quello sulla salute dei cittadini all’impatto paesaggistico, dal pericolo di incidenti all’impatto psicologico, data anche la vocazione turistica di Otranto, e con senso di responsabilità abbiamo convenuto, insieme agli altri Enti chiamati a decidere, di poter approvare il progetto del gasdotto IGI Poseidon.

Sul percorso realizzato da TAP, invece, qualche dubbio sorge sia per la procedura politico-amministrativa seguita che per le soluzioni progettuali adottate. Da una comparazione tecnica di cui disponiamo, si evidenzia il notevole maggiore impatto del progetto TAP rispetto al progetto IGI Poseidon, e già questo ci lascia non poco perplessi dal momento che si tratta di due infrastrutture immaginate per portare da noi lo stesso gas, per cui non si spiegano tali sostanziali differenze nelle opere da realizzare per i due gasdotti.

Per ciò che concerne la gestione dei rapporti e il coinvolgimento del territorio, mi sembra di poter affermare che l’approccio non sia stato felicissimo da parte dei rappresentanti di TAP, improntato sin dall’inizio come a voler intraprendere un vero e proprio braccio di ferro con le autorità locali.

Spero a questo punto che si voglia provare finalmente ad essere tutti un po’ più razionali e seri, cercando di giungere ad una soluzione che garantisca, da un lato, l’infrastrutturazione energetica indispensabile per il Paese, vista anche la crisi dei rapporti internazionali in quei Paesi nostri maggiori fornitori di gas (Russia e Paesi del Nord Africa) e, dall’altro, la salvaguardia ambientale delle nostre coste.

In tal senso, ritengo che, soprattutto chi ha la responsabilità e il potere di incidere sulle decisioni, debba adoperarsi, quanto meno, per indurre le due società proponenti a dialogare tra loro e trovare la soluzione per realizzare un unico gasdotto, e che questo risponda il più possibile a soluzioni tecniche di impatto minimo.

In questo modo, forse, da rappresentanti politici dei diversi livelli istituzionali, riusciremmo a dimostrarci agli occhi delle nostre comunità finalmente più responsabili e consapevoli delle scelte assunte sui territori”.


Lorenzo Zito


Attualità

Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

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Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)

A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.

Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.

La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.

Le foto

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Approfondimenti

Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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