Attualità
Ultimo ciak da Diso
E’ scomparso Giuseppe Bertolucci, sceneggiatore e regista, figura importante del cinema italiano e internazionale.

di Rocco Boccadamo
È scomparso Giuseppe Bertolucci, sceneggiatore e regista, figura importante del cinema italiano e internazionale. Ciò annuncia un manifesto, listato, nella circostanza, di grigio scuro, fatto affiggere dalla civica amministrazione di un piccolo comune del Basso Salento.
E però, avanti che si affacciasse come sopra dalle locandine sui muri del paesello, la notizia dell’evento, grazie all’immediatezza a livello di tempo reale dei circuiti via internet, aveva ovviamente raggiunto i motori di ricerca e le agenzie di stampa. Cosicché, lo scrivente ha saputo attraverso una delle saltuarie capatine dentro le pareti di Google.
Ad ogni modo, la località di Diso, poco più di mille abitanti, capoluogo di un comune che, considerando anche la frazione di Marittima, supera appena le tremila anime, ameno e tranquillo paese a due passi da un mare d’incanto, meno che una punta di spillo nell’ambito dei confini geografici globali oggi vigenti, c’entra, eccome!
Difatti, qualche anno addietro, l’eminente uomo di cinema e di cultura l’aveva scelta come luogo dei suoi riposi, delle parentesi di distensione, senza pensieri e nello stesso tempo fra meditazioni e riflessioni, quale angolo tranquillo per rivivere un’esistenza piena, intensa e intrisa di successi.
Individuazione, tuttavia, nient’affatto casuale, anzi verosimilmente in linea con la grande semplicità dell’uomo, il suo attaccamento alla natura.
Non è dato sapere se la decisione di rifugiarsi, di tanto in tanto, da queste parti, sia stata antecedente o successiva rispetto ad un problema di salute, al problema; peraltro, ciò non ha molto rilievo, giacché, comunque, si può dire che Giuseppe abbia compiuto una scelta saggia e positiva. Lasciandosi dietro lunghi decenni trascorsi fra location mirabolanti, studi e set sommersi da luci e macchinari, sceneggiature geniali ed esilaranti, tutto tale insieme, ha stimolato, non nel cineasta ma nell’uomo, una sorta di contraltare, adatto e opportuno, ai fini di una nuova fase esistenziale: l’aria pulita, il profumo del mare, il canto dei galli sul far del mattino, la discrezione e la generosità della gente.
Aveva messo su casa ristrutturando una vecchia abitazione in un vicolo del centro storico, a pochi metri dalla chiesa matrice, appena accarezzata dall’eco del passaggio di rare automobili e di parimenti sporadici passi dei paesani.
Permanenza svolta all’insegna dell’assoluta riservatezza, persone del posto, solitamente presenti in giro, hanno riferito di non averlo incontrato neppure una volta.
E, guarda caso, Bertolucci non avrebbe potuto minimamente immaginare un’ambientazione migliore per il suo lavoro finale, un’opera in cui, eccezionalmente, ha ricoperto tutti i ruoli: primo attore, regista, sceneggiatore, tecnico del suolo e così via dicendo.
Ha chiuso gli occhi facendo, al solito, le prove, come misteriosamente lasciato intuire, a chi scrive, dal fortuito incontro, nella notte, con il lumicino verde di una lucciola, presa d’istinto in mano e quindi riadagiata su un filo d’erba, al che la minuscola lanterna si è spenta.
Non ha resistito, il ragazzo di ieri, a rendere un saluto all’eminente personaggio, in una saletta affrescata con sparse e diffuse venature d’azzurro dell’ex convento dei Cappuccini di Diso: fra boccioli di rose bianche, giaceva, in sahariana su camicia e pantaloni blu, dando l’impressione di essere assopito, con il volto all’apparenza vivo.

Da sin. Edoardo Winspeare, Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi a Diso per un ultimo saluto a Giuseppe Bertolucci (Foto Olycom)
Niente confusione, solamente passaggi di persone comuni (e altre un po’ meno ma transitate con grande discrezione) e qualche firma su un apposito registro. Anche sul piazzale antistante, intitolato al disino più prestigioso, Filippo Bottazzi, biologo di fama mondiale, assoluta tranquillità, appena un giornalista intento ad intervistare il giovane, meglio la giovane, sindaco del luogo; un piccolo trattore transita, intanto, lentamente, di rientro dall’attività nei campi.
Così se n’è andato Giuseppe Bertolucci, secondo un copione inedito e straordinario, da decano degli angeli del cinema, in un piccolo paradiso del Basso Salento.
Attualità
De Venuto rieletto presidente Assohotel Confesercenti
l’Assemblea provinciale di Assohotel Confesercenti Lecce che ha rieletto all’unanimità il già presidente…

Presso l’Hotel Hilton Garden Inn di Lecce, si è tenuta l’Assemblea provinciale di Assohotel Confesercenti Lecce che ha rieletto all’unanimità Presidente Giancarlo De Venuto.
Alla riunione hanno preso parte Benny Campobasso e Salvatore Sanghez, e il Presidente e il Direttore di Confesercenti Lecce, Antonio Magurano e Antonio Schipa. L’Assemblea ha nominato un direttivo di 9 componenti, che affiancherà il Presidente per il quadriennio 2025 – 2030, caratterizzato da una forte componente femminile ed un’ampia rappresentanza territoriale del
Salento: Pamela Pascuzzo, Hotel Leone di Messapia, Cavallino; Angelo Mongiò, Masseria Mongiò dell’Elefante, Otranto; Vito Ria, Fly Hotels Gallipoli; Maria Domenica De Donno, Palace & Palace Group, Gallipoli e Otranto; Anna Maria Lefons, 8 Più Hotel, Lecce; Maristella Chiriatti, Hotel Belvedere, Torre dell’Orso; Luigi Marti, Hotel Thalas, Torre dell’Orso e Hotel degli Haethey, Otranto; Emanuele Sanna, Grand Hotel Mediterraneo, Santa Cesarea Terme; Fabrizio Quarta, M&F Hotel Gallipoli, Borgo Sentinella, Torre dell’Orso, Hotel S. Giuseppe, Otranto.
Coordinatore di Assohotel Confesercenti Lecce è stato confermato Massimiliano Danese.
“Sono estremamente grato a tutti gli associati per avermi rieletto alla guida di Assohotel Confesercenti Lecce”, ha dichiarato Giancarlo De Venuto, “Questa conferma rappresenta per me un importante riconoscimento per il buon lavoro svolto in questi anni alla guida di Assohotel Lecce, che ha registrato l’adesione alla nostra associazione di oltre 50 strutture alberghiere. Voglio fin d’ora confermare il massimo impegno per portare avanti il lavoro svolto in questi anni, in particolare nella fruttuosa interlocuzione con la Regione Puglia nella costituzione delle DMO e nella redazione della nuova Legge Regionale sul Turismo.
Per il Presidente Confesercenti Puglia Benny Campobasso “La conferma del Presidente De Venuto e l’ingresso di nuovi consiglieri, permetterà ad Assohotel di proseguire con sempre maggiore impulso le iniziative volte alla promozione ed alla crescita delle aziende ricettive dell’intero territorio salentino”.
Attualità
Tricase e il riflesso condizionato del “Tanto sono tutti uguali”
Questa tendenza non riguarda solo il cittadino disilluso. Colpisce anche mondi che, per posizione o ruolo sociale, potrebbero giocare una parte importante nel dibattito pubblico….

Si scaldano i motori per la prossima campagna elettorale di Tricase. Sempre più spesso riceviamo e pubblichiamo interventi politici che fotografano la Tricase che è stata, secondo alcuni, e quella che dovrebbe essere secondo altri.
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A Tricase, come in tante realtà locali, si respira già aria di elezioni. I movimenti civici scaldano i motori, i partiti cominciano a posizionarsi, i nomi iniziano a circolare. Ma tra chi osserva da fuori, soprattutto tra i cittadini, c’è una frase che – in questa fase – si sente ripetere con una frequenza quasi automatica: “Tanto sono tutti uguali.”
È una frase breve, sbrigativa, definitiva. Pronunciata spesso con un tono che non ammette repliche. E che, al di là del contenuto, racconta molto di come oggi viene vissuta – o evitata – la partecipazione politica.
Perché quel “sono tutti uguali” è riferito a chi si candida. A chi si propone di amministrare. A chi decide di esporsi. E diventa, per molti, la motivazione più ricorrente per scegliere di non scegliere. Per astenersi. Per tirarsi fuori. Per guardare da lontano, e magari lamentarsi in un secondo momento.
Questa tendenza non riguarda solo il cittadino disilluso. Colpisce anche mondi che, per posizione o ruolo sociale, potrebbero giocare una parte importante nel dibattito pubblico.
Pensiamo, ad esempio, al mondo delle imprese locali, del commercio, delle associazioni di categoria. Realtà che conoscono bene l’impatto delle decisioni amministrative sul tessuto produttivo della città. Eppure, spesso, preferiscono restare ai margini, per non apparire “schierate”. È una forma di prudenza comprensibile, ma che – in certi casi – rischia di tradursi in silenzio. E il silenzio, quando si tratta del futuro di una comunità, può diventare complicità passiva.
Lo stesso vale per molte realtà educative o associative. Comunità che, nel nome di una par condicio interpretata in modo molto rigido, rinunciano a favorire veri momenti di confronto. Incontri con tutti i candidati messi in fila, con pochi minuti a testa, non aiutano la cittadinanza a orientarsi. Non aiutano a capire differenze, visioni, proposte. Sono operazioni spesso più formali che sostanziali.
Eppure, esistono alternative. Senza “schierarsi” per colore politico, si potrebbe aprire un dialogo anticipato, autentico, con chi intende candidarsi. Capire i programmi, confrontare le idee, porre domande prima che cominci la propaganda vera e propria. E, se da quel confronto dovesse emergere una visione vicina alle esigenze concrete di un settore o di una comunità, perché non sostenerla? Perché non pretendere un impegno reciproco, magari anche attraverso un rappresentante all’interno di una lista civica, a garanzia di coerenza?
Non si tratta di abbandonare la neutralità. Ma di non confonderla con l’inerzia.
Questa distanza, infatti, alimenta il sentimento di sfiducia generale. Rende tutti indistinti. E finisce per rafforzare proprio quel pregiudizio da cui siamo partiti: “Tanto sono tutti uguali.”
È una profezia che si autoavvera. Se nessuno si assume la responsabilità di entrare nel merito, di conoscere, di scegliere con criterio, sarà più facile che le decisioni vengano prese da pochi, nel silenzio di molti. E allora sì, sarà difficile trovare qualcuno che ci rappresenti davvero.
Chi sceglie l’astensione per protesta, chi rifiuta ogni confronto per timore di esporsi, chi organizza incontri simbolici solo a ridosso del voto… rischia di contribuire – anche involontariamente – a un clima di sfiducia che penalizza l’intera comunità.
In conclusione, continuare ad affidarsi a chi ha già dimostrato scarsa attenzione per il bene comune non offre alcuna prospettiva di cambiamento. Ma dare fiducia a proposte nuove – pur senza garanzie assolute – può almeno riaprire uno spazio di possibilità.
E in una fase storica in cui anche sperare è diventato raro, tornare a credere in una scelta consapevole potrebbe essere il primo passo per cambiare davvero.
Vincenzo Errico (futuro candidato sindaco)
Attualità
«Tiggiano non è il paradiso terrestre»
Riceviamo e pubblichiamo: «Che questa narrazione da racconto fantastico cessi di confondere e distrarre: Tiggiano potrà diventare il paese che oggi viene raccontato solo quando farà i conti con sé stesso»

Risalgono agli anni della scuola primaria i ricordi di lezioni durante le quali ci veniva spiegata la differenza tra un racconto fantastico e un testo informativo; ricordo anche lo sforzo che mi costava, da bambina, scrivere di un’esperienza, di una persona, di un fenomeno, evitando di ricorrere al mio immaginario, sempre ben fornito.
E ricordo che per rendermi chiara la struttura e le caratteristiche di un testo informativo, l’insegnante ricorreva all’esempio di un articolo di giornale: restare nel reale, non perdere di vista il vero, non alterare tratti, funzioni e accadimenti, fornire una descrizione autentica del contesto in questione.
L’esempio dell’articolo di giornale ha continuato, lungo gli anni a venire, a essere il campanello d’allarme quando, lavorando a un testo informativo, rischiavo di cedere alla tentazione di metterci qualcosa frutto della mia fantasia e della mia visione delle cose.
In questo modo ho imparato a scrivere e in questo modo ho imparato a leggere. Credo sia giustificato, quindi, il mio sconcerto davanti ad articoli di giornale che descrivono Tiggiano come se fosse il paradiso terrestre, un Eden in mezzo a realtà degradate e arretrate: Tiggiano è un paese come tutti gli altri, come tutti i paesi meridionali, del Salento, come tutti i contesti piccoli e composti da una popolazione conforme alle possibilità del territorio.
Leggo con turbamento articoli che raccontano Tiggiano con gli occhi delle persone ricche e famose come Helen Mirren.
Non credo di svelare chissà quale segreto escatologico e non mi stancherò mai di ribadire questo dato di fatto: con tutto il rispetto per Mirren, la persona ricca sta bene ovunque, non è il posto a fare la differenza; sono le possibilità; utilizzare la testimonianza di una persona celebre per raccattare voti durante la campagna elettorale, come è accaduto lo scorso anno, oltre che consistere in una caduta di stile, rappresenta anche il fulcro di una narrazione borghese che pone al centro l’amministrazione comunale, dimenticando che una comunità è composta da persone che scelgono di essere accoglienti, e lo sono da sempre.
A rendere davvero vivibile un paese, sono le possibilità che esso offre e Tiggiano, come diverse altre realtà salentine, in questo scarseggia: Tiggiano è vuota e immobile.
A muoversi, e con uno stile abbastanza sinuoso, sono le chiacchiere di chi da questo racconto alterato ci guadagna: è la fantasia di chissà che vede o vuole vedere, di chi negli anni ha scelto di negare l’evidenza che sta nelle difficoltà che tante persone incontrano nel vivere a Tiggiano.
Costruire una maschera sul reale volto di un paese, significa celare quelle che sono le sue mancanze e impedire che vengano colmate: significa non fare il bene di un posto né di chi lo vive, o lo vivrebbe se fosse possibile.
Le persone che risultano trasferite a Tiggiano, e di cui non è ancora stato accertato il numero poiché, nel periodo in cui questo articolo è stato scritto, è aumentato da un post su Facebook a un articolo di giornale, non compensano sicuramente il numero di tutte quelle che sono andate via non facendo più ritorno (ma continuando a risultare residenti a Tiggiano per diversi motivi: chi si è trasferito, chi ha vissuto l’esperienza dell’emigrazione, li conosce).
Dove sono le occasioni di aggregazione, di incontro, di pratica politica, a Tiggiano?
Dove sono le esperienze culturali, di scambio, di crescita?
Dove finisce l’attenzione nei confronti dei giovani così accesa durante la campagna elettorale?
Dove si nascondono tutti quei pregi e tutte quelle eccezionali caratteristiche attribuite a Tiggiano e che lo distinguono così tanto dagli altri luoghi vicini?
Sono classe ‘86 e, come tanti della mia generazione, sono andata via da questo paese intrappolato nel vecchio, affezionato a quel fare politica in maniera banale e senza alcun senso critico.
Palchi dai quali vengono pronunciate promesse nei confronti dei giovani, salvo poi scoraggiare ogni loro tentativo di fare esperienza, di contribuire alla crescita e al benessere della comunità.
Tiggiano non è l’Eden: qui succedono le stesse cose che accadono negli altri paesi; il resto è solo frutto di un’attitudine ben allenata al racconto fantastico.
Sono assente da Tiggiano da anni, non ho intenzione di tornarci né ci ho provato: queste mie parole non sono la conseguenza di mancate promesse o questioni simili.
Desidero solo che sia detta un po’ di verità, oltre a tutta la fantasiosa ricostruzione da social e da slogan di partito.
Desidero solo che Tiggiano non ceda a questa sceneggiata e sappia ritrovare vivacità e lucidità, impegnandosi realmente per il proprio sviluppo.
Che questa narrazione da racconto fantastico cessi di confondere e distrarre perché, se non esiste il problema, non occorre nemmeno adoperarsi per risolverlo.
Basta descrivere una situazione di irreale benessere, priva di quella creatività e di quell’impegno necessari per creare occasioni e opportunità, per favorirlo davvero quel benessere.
Fino ad allora, auspico che si faccia informazione in maniera autentica: il giornalismo è rispettabile solo se è onesto.
Tiggiano potrà diventare il paese che oggi viene raccontato solo quando farà i conti con sé stesso.
Questo è l’augurio da parte di una tiggianese che non ha imparato granché, oltre alla differenza tra realtà e finzione.
Deborah Biasco
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