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Ruffano: pandemonio eolico

Tolti i sigilli al parco eolico agli Occhiazzi. Rocco Toma: “Il Sindaco si dimetta”. Nicola Fiorito: “Il Parco eolico non centra, volevano colpire me”

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Dopo una lunga battaglia, durata quasi 7 anni, e non ancora finita, sono stati tolti i sigilli al parco eolico di Ruffano, di proprietà dell’Antonio Srl, società facente capo all’imprenditore locale Rocco Fulvio Toma. Dopo un lungo iter giudiziario e infinite battaglie politiche, la Cassazione ha annullato le condanne a Toma, Nicola Fiorito (allora Sindaco) e Claudio D’Ippolito (ex Segretario comunale).


OcchiazziIl progetto prevedeva (e prevede) la realizzazione di 11 pale eoliche alte circa 80 metri, da installare a 350 metri di distanza l’una dall’altra, in località Occhiazzi, alle porte di Ruffano.

“Oggi”, commenta l’imprenditore, “dopo una battaglia durata anni, rimane l’ultimo scoglio da superare: il contenzioso al Consiglio di Stato tra noi e la Regione Puglia”. Da poco, intanto è stata ritirata l’autorizzazione ad operare perché scaduti i termini. “Bravi!”, tuona Toma, “Tre anni per ultimare i lavori… Come potevamo procedere se il sequestro è durato sette anni privandoci della facoltà d’uso del cantiere?”. Prova ne è “la certificazione emessa dal Tribunale Penale di Lecce, che dichiara che il sequestro è durato dal 05/07/2009 al 19/01/2015, e sul cantiere non è stata concessa la facoltà d’uso per il prosieguo dei lavori”. Secondo Toma quello della scadenza dei termini sarebbe stato un “suggerimento Sel… vaggio di qualche politico da strapazzo di caratura nazionale”.

Toma insiste sulla “battaglia politica, perché gli amministratori locali mi hanno ostacolato in ogni modo lecito e non, anche producendo o facendo produrre ad altri atti falsi. Un accanimento perpetrato nei riguardi miei e della mia azienda e di conseguenza alla mia famiglia. Spero davvero che la Procura possa accertare quanto da me esposto affinché venga a galla la verità dei fatti. Malgrado più volte io abbia scritto alla Procura di Lecce, per essere ascoltato, e far luce su come la stessa Procura stava prendendo un abbaglio sull’intero iter penale lontano anni luce dalle accuse, prive di fondamento di Gaetani, testimone assolutamente inattendibile come già dichiarato in altri processi dai giudici del Tribunale di Lecce e dalla Suprema Corte di Cassazione di Roma”.

Da noi sollecitato, Toma spiega anche alcuni aspetti della vicenda “che è importante chiarire: era pronto un investimento di 30 milioni di Euro con una significativa ricaduta in termini economici e di posti di lavoro tra cantiere, gestione delle pale ed indotto. Al Comune di Ruffano sarebbero andati dai 3 ai 5 centomila euro l’anno di royalties: in questi sette anni avrebbe già incassato da un minimo di 2,1 milioni ad un massimo di 3,5 milioni di Euro a beneficio della comunità, per mense gratis alle scuole e servizi sociali. Invece, al momento di inizio lavori noi, come da convenzione, abbiamo versato 44mila euro, una tantum ed a fondo perduto. E, a quanto mi risulta, questi soldi invece di spenderli a beneficio della comunità o per le persone bisognose sono stati usati contro la stessa azienda pagando le parcelle dei legali”.

Toma, rivolgendosi a coloro che hanno sollevato la questione ambientale, spiega: “Da sette anni pago 2 polizze obbligatorie, per il ripristino dei luoghi”. Vale a dire? “Chi installa le pale eoliche ha l’obbligo, dopo 20 anni, di smontare gli impianti e riportare il tutto esattamente come era prima. In pratica, la polizza obbligatoria è una sorta di fidejussione che garantisce la Regione Puglia ed il Comune di Ruffano in caso di mancanze della società investitrice. Intanto sarebbero già passati sette anni, tra 13 avrei smontato tutto e, nel frattempo abbiamo perso tante occasioni di crescita sociale e di cultura d’impresa”.

Rocco Toma è deciso anche a rivolgersi alla Corte di Giustizia europea “perché sono stati violati molteplici diritti alla base della libera imprenditoria. Il Sindaco del mio paese (Carlo Russo, NdA)”, punta il dito l’imprenditore, “ha ribadito che i ruffanesi avrebbero potuto dormire sonni tranquilli perché il parco eolico non sarebbe mai arrivato a compimento. Esulta perchè uccide la libera impresa locale? Oltre al senso della misura ha perso anche quello del ridicolo? Il sonno dei ruffanesi è agitato per la sua cattiva e disastrosa amministrazione che ha caricato i cittadini di tasse come nessun altro Comune d’Italia. Piuttosto dovrebbe vergognarsi”, attacca Toma, “per aver bloccato un imprenditore locale con un progetto che avrebbe portato delle ricadute importanti per il paese, lustro alla nostra comunità e beneficio per tutti ”.

C’è anche chi dice che l’imprenditore ha “pagato” l’amicizia con l’ex sindaco Nicola Fiorito: “Orgoglioso di essere suo amico, avessimo politici del genere sia a livello locale che nazionale”, replica deciso, “assurdo che si riduca tutto ad una questione politica. Dopo tutto quello che è accaduto, come faccio a guardare in faccia i miei figli e continuare a dire loro dell’importanza di valori come lealtà, giustizia e lavoro?”.

Secondo Toma, però, la verità verrà a galla e “solo allora i sonni dei miei concittadini saranno tranquilli, quando quest’Amministrazione dovrà dimettersi in blocco, evitando ulteriori danni al paese”.


Fiorito: “Sono diventato la loro ossessione”


Nicola Fiorito

Nicola Fiorito


La sentenza della Cassazione ha ribaltato quella di primo e secondo grado. Niente più condanna, quindi, anche per l’ex sindaco Nicola Fiorito. “Quanto avvenuto”, dichiara Fiorito, “ha del clamoroso. La Cassazione con la sua sentenza ha ammonito i giudici di primo e secondo grado, sottolineando come non ci fossero i termini per una condanna: si sono basati solo su dichiarazioni di Pasquale Gaetani (facente parte dell’attuale maggioranza e “nemico storico” di Fiorito) non suffragate da prove concrete. Avrebbero dovuto far rifare il processo ma intanto è pervenuta la prescrizione”. La condanna nei precedenti gradi di giudizio faceva riferimento ad un assegno di 6mila euro intestato proprio a lei da Rocco Toma. “Ero il suo commercialista e, come avvenuto per gli altri clienti, una volta diventato Sindaco ho rinunciato all’incarico e incassato i sospesi, così come da regolare fattura. Questa era la prova che secondo i giudici di primo e secondo grado mi inchiodava…”. Secondo lei perché questa disparità tra primi gradi di giudizio e Cassazione? “Abbiamo assistito ad una strumentalizzazione di tipo politico corredata da accuse gravissime a miei danni: concussione, corruzione, ecc. Tutte accuse dalle quali sono stato assolto con formula piena nel febbraio del 2013 con la sentenza che ha rimarcato come tutto sia nato da un astio particolare del Gaetani nei miei confronti”.


Pasquale Gaetani ha tutta questa influenza sulla Magistratura? “Non lui direttamente, ma i suoi mentori politici. Nella fattispecie Alfredo Mantovano, allora sottosegretario agli Interni, che si prese la briga di sottoscrivere un’interrogazione con richiesta di risposta scritta al Ministero dell’Interno su un ricorso presentato dai Consiglieri di minoranza, tra cui Gaetani, per un concorso ad un posto di Vigile urbano. Vale la pena ricordare che a quel concorso, svoltosi molto tempo prima, aveva fatto domanda di partecipazione la moglie di un assessore che poi, per opportunità, non si presentò. Se un Sottosegretario all’Interno, nonostante i mille pensieri, si preoccupa di una cosa del genere…”. Lei continua, quindi, a pensare ad un complotto ai suoi danni. “Un complotto che ha avuto il suo culmine con la mia rimozione perchè ritenuto elemento pericoloso per il paese, per una presunta vicinanza ad una persona in odore di mafia”. E questo ci riporta ad una vecchia condanna. “Nei primi anni del nuovo secolo Ruffano non era ancora fornita di fogna dinamica: c’era una vecchia discarica fatta costruire dall’allora sindaco Rocco Stradiotti sul suolo di questo personaggio in odore di mafia a cui era affidata la gestione. La discarica in seguito fu chiusa ma, in un periodo di serrata dei depuratori, vivevamo una situazione di emergenza e, per evitare situazioni di pericolo, come massima autorità di igiene pubblica del paese, mi assunsi la responsabilità, insieme al sindaco di Supersano, Pino Stefanelli, di far riaprire in via del tutto eccezionale la discarica di cui sopra. Mi denunciarono, si è svolto il processo e pur riconoscendo l’urgenza, mi condannarono a cinque mesi al pari del sindaco Stefanelli, mentre la posizione di Stradiotti fu stralciata per prescrizione. Per questa vicenda mi hanno tacciato di avere rapporti mafiosi, dimenticando che qualche tempo prima avevo impedito allo stesso soggetto di partecipare ad una gara pubblica e per questo mi hanno bruciato per due volte la casa in campagna e più volte minacciato; per lo stesso motivo l’assessore Franco Margarito fu tenuto sotto scacco per una notte insieme alla famiglia sotto la minaccia di un mitra e gli furono bruciate due auto; così come, ad Antonio Cavallo, allora mio Assessore, bruciarono lo studio. Se quella era un’Amministrazione in combutta con la mafia…”. Lei comunque è stato rimosso addirittura con un decreto del Presidente della Repubblica. “Alle 9 del mattino del 28 maggio 2009, era un sabato, mi è arrivata a casa la comunicazione di Napolitano con la quale mi si diceva che costituivo un grave pericolo per il mantenimento dell’ordine pubblico a Ruffano. Questo perché avevo delle indagini in corso… Ora, però, che dopo sette anni sono stato assolto con formula piena, chi mi riabilita? Resta solo la mia convinzione che sia stata portata a compimento una strategia ben precisa per togliermi di mezzo”.

Scusi la provocazione: il Sindaco di Ruffano è così importante da richiedere una mobilitazione a certi livelli? “Forse semplicemente scomodo, perché non sono mai sottostato ai giochini politici sia che venissero dai miei avversari che dalla mia stessa parte. Oggi si parla di Patto del Nazareno: nessuno ricorda la mia Amministrazione che aveva al suo interno espressioni che andavano da Forza Italia a Rifondazione? Io cacciai dal mio ufficio il segretario provinciale di un partito che voleva impormi il nome di un Assessore…”. Torniamo alla vicenda del Parco eolico di Toma: secondo lei volevano farla pagare a Fiorito? “Certo. La loro ossessione sono io. Come se le pale eoliche fossero le mie… In quel periodo la mia Amministrazione approvò due progetti di eolico, prima quello della FRI-EL di Bolzano e poi quello di Toma. Avevo un progetto complessivo per Ruffano che prevedeva una disponibilità economica per il Comune di almeno 6-7centomila euro l’anno. Dopo aver installato impianti fotovoltaici su tutti i tetti degli edifici pubblici, era prevista, oltre ai parchi eolici, una “public company”, una sorta di azionariato popolare, per la produzione di energia attraverso la dissociazione molecolare dei rifiuti. Allora lo si faceva solo in Islanda (nella città di Húsavík), ora in Italia se ne vantano, giustamente, a Peccioli (Pisa) ed a Sondrio. È un impianto che consente di smaltire tutto il cosiddetto “tal quale”, vale a dire i rifiuti così come sono, attraverso un processo chimico che scompone la materia e produce energia, rilasciando solo vapore acqueo che, ovviamente, non ha alcun effetto collaterale. Per di più c’era anche il risparmio di quei soldi che oggi paghiamo per il conferimento in discarica… Io ci ero arrivato tanti anni fa ma non se ne fece nulla”. Come mai? “L’impianto costava all’epoca una cinquantina di milioni di euro ma avrebbe fruttato almeno 5 milioni l’anno con i benefici che si possono immaginare. Mi accusarono di fare tutto per interessi personali e scatenarono il pandemonio. Allora lasciai perdere…”. Riguardo al Parco eolico? “Nessuno disse alcunchè sulla FRI-EL, mentre l’impianto progettato da Toma era visto come fumo negli occhi. Sarebbe stato il primo imprenditore salentino a realizzare un Parco eolico in provincia di Lecce. Evidentemente preferiamo lasciare tutto in mano alle multinazionali…”. Qual era il motivo del contendere? “Gli oppositori ritenevano che le pale avrebbero avuto un impatto devastante per le Serre Salentine. Invece l’area in questione non interessa le Serre Salentine, né trattasi di zona di pregio ma solo di un terreno incolto che, tra l’altro, l’imprenditore, dopo vent’anni, avrebbe dovuto obbligatoriamente riportare allo stato dei luoghi. Però c’era Fiorito di mezzo e allora bisognava creare problemi… La richiesta di Toma fu accolta perché non c’erano vincoli particolari ma solo quelli generici di natura “B”. Il documento, sottoscritto da me e dal Segretario, fu inviato in Regione insieme al progetto e ai PUTT (Piano Urbanistico Territoriale Tematico). Puntuale arrivò la denuncia perché a loro dire avevo omesso di indicare il vincolo di tipo faunistico e per questo avremmo prodotto un falso… Come se non ci fossero state due Conferenze dei servizi della Regione con tanto di tecnici esperti a valutare ed approvare il tutto. La Regione, consultando i PUTT allegati fece notare che tre pale dovessero essere eliminate e, infatti, fu indetta una seconda conferenza dei servizi che approvò il progetto modificato. Nonostante tutti questi passaggi hanno mobilitato la Magistratura e bloccato i lavori per sette anni”. Con un’altra beffa: la Regione, quando Toma è tornato a bussare, ha risposto che erano scaduti i termini per eseguire i lavori e che quindi era necessario riprendere daccapo tutto l’iter. “Ecco perché si andrà al Consiglio di Stato. Toma è stato fermo perché la Magistratura ha bloccato tutto in attesa del processo e se avesse ignorato i sigilli avrebbe violato la legge”.

Giuseppe Cerfeda


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“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…

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di Luigi Zito

Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.

E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.

Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.

Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.

Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.

Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.

Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.

Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.

Ricordiamocene.

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L’ambasciatore Cristina: “Ho conosciuto Putin e il Dalai Lama, che esperienze”

«Il Salento, è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate a Tricase, per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere”…

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di Ercole Morciano

Cristina Funes-Noppen è ambasciatore onorario del Belgio (lei stessa preferisce l’appellativo di ambasciatore a quello di ambasciatrice essendo quest’ultimo usato per indicare la moglie dell’ambasciatore, NdR), e da un po’ di tempo vive buona parte dell’anno in Salento, a Tricase, dove ha comprato un’antica dimora, quasi attaccata alla chiesa matrice, adattandola ai suoi bisogni,

Figlia di ambasciatore ha seguito le orme paterne e dopo gli studi accademici a carattere diplomatico ha percorso la sua carriera come ambasciatore del Belgio in numerosi Paesi nei vari continenti tra cui Zambia, Kenya, India, Tailandia, Marocco, Austria e Argentina, senza dimenticare che in tutte le sue destinazioni, come ambasciatore residente, copriva anche larghe giurisdizioni riguardanti altri vari Paesi.

È stata anche coordinatore di tre direzioni al ministero degli affari esteri: Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite e Disarmo.

Ha ricoperto inoltre le funzioni di rappresentante permanente presso l’O.N.U e di commissario speciale per la cooperazione e lo sviluppo.

Dopo aver seguito le orme paterne in ambito professionale, l’ambasciatore segue ancora oggi le inclinazioni della madre, Maria Noppen De Matteis, pittrice e “star mondiale del surrealismo anche se poco conosciuta in Puglia” (bari.repubblica.it > cronaca 2022/12/19 news).

Nata nel 1921 nel castello baronale dei Sauli di Tiggiano, cui apparteneva la madre, dove le è stato allestito un museo permanente delle sue opere, Maria Noppen De Matteis, verso la fine degli anni ’50 e i primi ’60, d’estate villeggiava col marito e la figlia Cristina a Tricase-Porto, nella casa di Angelico Ferrarese, posta in una splendida posizione panoramica e vicina al villino di Gaetano Sauli, suo parente.

La giovanissima Cristina (Cri-Cri per le amiche e gli amici) era bionda, solare, molto bella, vivace, dal sorriso incantevole che “faceva girare la testa” ai giovanissimi rampolli delle famiglie-bene di Tricase-Porto in quel periodo caratterizzato dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere.

La vena artistica di Cristina Funes-Noppen ne fa un personaggio veramente eclettico e sorprendente perché, oltre a dipingere, ella scrive con successo, in francese, romanzi e saggi storico-letterari dai quali traspare la sua speciale cultura maturata a diretto contatto con i popoli delle nazioni dove ha esercitato il ruolo diplomatico.

Gli ultimi suoi due romanzi, editi nel 2023 e nel 2025, si intitolano “Ils étaient six” e l’altro “Équivoques”. Il primo, narra la vicenda dei criminali nazisti che alla fine della II guerra mondiale si nascosero in Argentina.

La trama si svolge a sud delle Ande, in piena cultura “quechua” e consente al lettore, in filigrana, di seguire l’evoluzione politica dell’Argentina negli anni 1945-1983.

L’ultimo, contiene quattro romanzi gialli che danno informazioni su diversi Paesi, Kenia, India, Thailandia e un dialogo spiritoso sulla morte.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

Perché il Salento e Tricase?

«Il Salento è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più – ma ci sono i miei cugini, è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere malgrado le mie molte peregrinazioni nel mondo, è infine la terra dove mi sento a casa. Nonostante la mia nazionalità belga sono rimasta profondamente salentina».

È soddisfatta della sua scelta? Ombre e luci?

«Se consideriamo il tipo di vita che si ha qui rispetto a quello di altri Paesi, occorre riconoscere che qui la qualità della vita è più umana. E poi, il patrimonio naturalistico, architettonico, storico, e culturale, nell’insieme, è di alta qualità e ampiamente godibile».

«HO CONOSCIUTO PUTIN»

Tra i diversi Capi di Stato o di governo da lei conosciuti, come racconta nel suo libro Chroniques impertinentes… ancora in carica tra gli altri vi è Vladimir Putin.

«Ho conosciuto Vladimir Putin nel 2001 quando è venuto in visita ufficiale in Belgio. Io ero all’epoca commissario speciale e pertanto fui invitata alla cena di gala. Non ci siamo parlati molto, però mi diede l’impressione che ci teneva ad avere buoni rapporti con l’Europa. Non mi sembrò nemmeno che terrorizzasse i suoi collaboratori.

Di fianco a me era seduto il suo consigliere per le questioni nucleari che aveva abusato della “divina bottiglia”, come dicono i francesi, e pertanto cantava in francese durante tutta la cena suscitando l’ilarità dei commensali, compreso Putin.

Cantando a squarciagola, non dava certo l’impressione di temere il suo presidente, il che non succede normalmente nelle cene ufficiali di gala e tanto meno di fronte a quello che è supposto essere un dittatore sanguinario.

Nella mia carriera ho incontrato vari dittatori e posso assicurare che davanti a loro nessuno dei collaboratori al seguito si sarebbe permesso di cantare».

GLI OSTAGGI

Due aneddoti, uno triste e l’altro lieto, nei suoi ricordi di ambasciatore.

«Il primo, andato a buon fine, riguarda due ostaggi di Medici senza Frontiere presi dall’armata di liberazione del Sud Sudan e liberati dopo una trattativa durata 20 giorni in cui i guerriglieri vollero trattare solo con me, al telefono, di notte.

Non ci chiesero nessun riscatto come invece per ripicca accadde dieci giorni dopo, con un altro ostaggio francese, la cui trattativa durò tre mesi e si chiuse con l’esborso di un’ingente somma di denaro. Questo mi fu precisato, ridendo, dal mio collega francese che pretese che era tutta colpa mia se la SPLA si era rifatta sul suo governo! L’aneddoto triste riguarda invece due belgi, un ragazzo che lavorava per le Nazioni Unite e sua moglie.

Erano spariti da 5 anni e i due miei predecessori non erano riusciti ad avere notizie certe.

I genitori speravano e le autorità pretendevano che fossero ancora vivi. È una storia romanzesca che si svolse in Thailandia e in Cambogia. Da quello che finalmente sono riuscita a scoprire seppi che erano stati uccisi dai Khmer Rossi, forse con la complicità dell’esercito thailandese e eventualmente con risvolti riguardanti il traffico di opere d’arte.

Testardamente impegnata, dopo molte peripezie, e dopo aver insistentemente discusso con i due re, Shianouk e Bhumipol, fui messa in contatto con il capo dell’esercito thailandese e con i Khmer Rossi che mi consegnarono le spoglie che io affidai alle famiglie, le quali ebbero almeno la consolazione di sapere cos’era successo ai loro figli e di potere seppellirne i corpi».

IL DALAI LAMA EMETTE UNA ENERGIA POSITIVA

La persona che più ha lasciato traccia nel suo animo durante la lunga carriera diplomatica?

«È stato di certo il Dalai Lama: una persona assolutamente fuori dal comune che emette un’energia positiva straordinaria e trasmette alle persone che incontra una carica di felicità. E ho il privilegio di avere ancora dei contatti sporadici con questo sant’ uomo, grazie al quale la cultura tibetana continua a sopravvivere malgrado l’occupazione della Cina che fa di tutto per eradicarla.

Perciò il Dalai Lama ha deciso che dopo la sua morte non si reincarnerà nel Tibet per evitare che i Cinesi arrestino la sua reincarnazione (che potrebbe essere anche una bambina) e la sostituiscano con una di loro scelta come fecero con il Panchen Lama (figura importante nel buddhismo tibetano).  Il Panchen Lama che si era reincarnato nel Tibet. fu arrestato quando aveva solo 6 anni nel 1995, rimpiazzato con un ragazzino che conveniva alle autorità cinesi e nessuno sa, da allora, dove si trovi il vero Panchen Lama».

Chroniques impertinentes

“…Un libro che si caratterizza per una libertà di spirito, un tono a volte mordace, esotico e cosmopolita. Un libro istruttivo, politicamente scorretto…ma così giusto! Un libro prezioso che deve essere letto da coloro che s’interessano alla diplomazia e agli affari di questo mondo”.

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Il mondo delle Associazioni nel Salento: pregi e difetti

L’unità civile si ritrova nell’incontro di tanti che sanno dialogare per poter davvero vivere meglio…

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di Hervé Cavallera

Che la lettura dei caratteri peculiari di un determinato periodo storico non sia sempre facile, almeno per i contemporanei, è certamente cosa risaputa, ma ciò è particolarmente vero in un momento storico come quello che stiamo vivendo, nel quale un elemento significativo è la contraddizione.

La pace è infatti proclamata come un bene da tutti auspicato e invece persistono le guerre, sì da paventare addirittura la possibilità di un conflitto mondiale. Al tempo stesso si predica l’inclusione, ma l’integrazione reale è difficile e non mancano quartieri ghetto.
E accade che nel mondo dei social media, in cui tutti siamo apparentemente connessi, le persone non riescono a colloquiare in reale presenza tra loro e moltissimi anziani, senza più alcuno accanto, devono ricorrere alle Case di Residenza Assistenziale.

Nell’età nella quale l’istruzione è notevolmente cresciuta per tutti, e quindi presupporrebbe un mondo più sereno, è invece in atto una irrazionale violenza crescente. E si potrebbe continuare.

ANIMALE SOCIALE

Eppure l’uomo, come aveva già detto il filosofo Aristotele, è essenzialmente un animale sociale ossia destinato per sua natura a vivere in comunità e ciò, al di là delle istituzioni in cui la compresenza è inevitabile (dalle scuole alla fabbriche, dagli uffici allo stesso Stato), è confermato dalla presenza e dalla diffusione dell’associazionismo, ossia dalla libera e responsabile partecipazione ad associazioni di varia natura (culturali, sportive, di volontariato, di promozione sociale e così via).

Private o pubbliche, con una lunga tradizione storica alle spalle o con fresca baldanza di buoni propositi, le associazioni non mancano.
Non risulta (o quanto meno non conosco) il numero complessivo delle associazioni in provincia di Lecce, ma indubbiamente, considerando la varietà delle tipologie e il numero dei Comuni della provincia, possono essere migliaia.

Basti considerare una città come Tricase per rendersi conto non solo della consistenza quantitativa della loro esistenza, ma altresì della loro incisività nel sociale. Non intendo in questa sede soffermarmi su alcune poiché non mi sembra corretto fare delle scelte che potrebbero sembrare discriminatorie o di parte.

È sufficiente dire che, mentre qualcuna è un po’ sonnacchiosa, altre sono particolarmente attive e che accanto ad associazioni di carattere prevalentemente ricreativo ve ne sono altre di natura culturale e altre ancora che hanno per fine principale l’operare per il miglioramento della qualità della vita della comunità o per venire incontro ai più bisognosi.

Vi sono poi associazioni meramente online, delle comunità virtuali o gruppi digitali che diffondono opinioni, informazioni e vanno acquistando capacità di indirizzare i loro componenti in più ambiti.

Si tratta di una realtà in espansione e che andrebbe esaminata a parte, soprattutto quando assume un carattere socio-politico.

MEGLIO FARE LE COSE INSIEME

Il punto essenziale che al momento è giusto sottolineare è dato comunque dai vantaggi che l’associazionismo offre. In primo luogo, ogni associazione aggrega, accomuna ed è pertanto una comunità con dei fini accettati da tutti i membri e quindi richiede delle norme, delle regole, delle competenze, dei propositi.

Implica in tal modo il saper vivere insieme, formando un tutt’uno con i componenti pur nei diversi compiti. Sotto tale profilo, la coesione sottintende l’amicizia nel rispetto delle diverse personalità. Inoltre, un’associazione si pone obiettivi che prescindono (o dovrebbero prescindere) dagli interessi personali.

Si pensi alle associazioni di servizio volte ad attività di beneficenza e di supporto sociale i cui esiti dovrebbero riguardare il bene pubblico e ciò vale altresì per quelle culturali e di volontariato. Fini di crescita sociale esistono del resto anche in quelle di natura politico-sociale, solo che in esse, come avviene anche per quelle che sono espressione di una tifoseria, vi è sempre una natura di scelta di parte e quindi di contrapposizione, sia pure nel leale riconoscimento della realtà di differenti orientamenti.

DIMMI CON CHI VAI E TI DIRO’ CHI SEI

Ci si trova per tutti questi motivi dinanzi ad una situazione complessa che non solo mostra come il soggetto non vive isolato, ma che caratterizza una comunità, le dà un senso.

«Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», recita un vecchio proverbio, facendo capire che il comportamento di ognuno è influenzato dall’ambiente che frequenta, ma al tempo stesso è anche vero che ognuno deve sforzarsi di far crescere l’ambiente o l’associazione di cui fa parte.

Si manifesta allora un altro elemento che deve essere costitutivo del permanere in una associazione: il farla positivamente sviluppare, accrescendo il numero dei soci attraverso la qualità e il valore di ciò che si realizza. Sotto tale profilo, le associazioni veramente meritevoli di rispetto hanno sempre un valore educativo, poiché sollecitano i componenti a dare il meglio di sé per l’interesse di tutti.

Il fine dell’azione non è personale, ma collettivo, dove per “collettivo” non si intende solo il gruppo di cui si fa parte, ma l’intera città a cui si appartiene e, attraverso la propria città, il territorio di appartenenza.

In questo modo lo sguardo, l’operare si amplia e dal proprio gruppo si estende a tutto il territorio a cui si appartiene.

La vitalità di un territorio dipende infatti dalla forza di partecipazione degli abitanti alla vita dello stesso: ognuno per la sua parte, per la sua professione, per il suo gruppo di appartenenza, per la sua competenza.

Associandoci, comunichiamo, ossia trasmettiamo idee, affetti, esperienze e collaboriamo.

Come del resto avviene nelle famiglie, il cui legame è soprattutto affettivo e parentale, oltreché giuridico. Per questo tutte le associazioni, che hanno per fine il bene pubblico, sono determinanti per lo sviluppo sociale e sono la ricchezza di un territorio.
Democrazia è partecipazione responsabile, perché comporta competenza e capacità di superare, stando insieme, i propri interessi particolari.

L’unità civile si ritrova nell’incontro di tanti che sanno dialogare per poter davvero vivere meglio.

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