Connect with us

Approfondimenti

I miei nonni paterni si chiamavano Cosimo Boccadamo e Consiglia Boccadamo…

Storia di una famiglia salentina entrambi nati nel rione “Ariacorte” di Marittima

Pubblicato

il

I miei nonni paterni si chiamavano, rispettivamente, Cosimo Boccadamo e Consiglia Boccadamo.


Erano nati, entrambi, nel rione “Ariacorte” di Marittima, secondo i registri di stato civile dell’epoca in via Acquaviva, a distanza di sette anni l’uno dall’altra, precisamente, lui nel 1879 e lei nel 1886, dalle coppie di coniugi Generoso Silvestro/Eva e Domenico/Cosima. Accanto a Cosimo, in famiglia, esisteva la sorella Salvatora, insieme con Consiglia, invece, il fratello Luigi.


Esatta parità, perciò, circa il numero di componenti dei due nuclei, fra i quali non è dato di sapere se intercorressero nodi di parentela: verosimilmente, no, almeno di genere stretto, mentre non sono da escludere rapporti di grado lontano, nell’ambito del centinaio abbondante di Boccadamo all’epoca viventi a Marittima.


Sicuramente, i miei ascendenti in discorso dovevano conoscersi sin da bambini. Generoso faceva di mestiere il contadino, Domenico, da parte sua, il pescatore, in tale attività coadiuvato, una volta divenuto grandicello, dal figlio Luigi e, anche, per determinate incombenze sulla terraferma, dalla figlia Consiglia. Analogamente, Cosimo fu condotto a seguire le orme paterne nei lavori in campagna, attività che perpetuò durante l’intera esistenza, ovviamente fino a quando si mantenne abile.


A parte gli anzidetti dettagli operativi/occupazionali, ebbero a porsi, Generoso e Domenico, alla stregua di vere e proprie pietre miliari e di preziosi indicatori. Nel senso, che gli appellativi impostigli all’atto del battesimo giungevano puntualmente a comparire e a risuonare non solo con diretto riferimento alle loro persone, ma pure, indirettamente, ai fini dell’identificazione e della chiamata in causa, da parte della comunità paesana, dei rispettivi discendenti.


In tal guisa, le definizioni di Cosimo e Tora ‘u (di) Generosu in seno al primo nucleo famigliare e di Consiglia e Luigi ‘u (di) Minicone (questo accrescitivo dialettale, giacche Domenico era un uomo molto alto, precisamente, un omone) in seno al secondo. Analogamente, le denominazioni aggiuntive, ‘u Generosu e ‘u Minicone seguitavano, e ancora adesso, diffusamente seguitano, vieppiù, ad accompagnare i nomi propri originali delle generazioni succedutesi nel tempo, figli, nipoti e pronipoti.


Lui ebbe un’altra fidanzata, ma non andò buon fine


Vigendo gli ultimi calendari del XIX secolo, Cosimo già giovanotto e Consiglia adolescente e giovinetta, la conoscenza e, poi, la frequentazione fra i due si accrebbero. Per la verità, lui ebbe per prima fidanzata (zita, in dialetto) un’altra ragazza dell’Ariacorte, Marta, ma detto legame non si consolidò definitivamente, proprio, forse, perché Cosimo provava maggior piacere e interesse nel concentrare gli sguardi sulla personcina di Consiglia, nonostante quest’ultima non si appalesasse affatto dolce di sale o accondiscendente o adesiva con facilità.


Dai suoi racconti o aneddoti, è tratta la scenetta del giovane Cosimo, intento, insieme con il padre, a zappare in un fondo agricolo limitrofo all’insenatura “Acquaviva”, denominato “Oscule” (bosco) e di Consiglia che, in quel mentre, saliva a piedi dalla rada, recando sul capo una cassetta di specialità ittiche appena pescate e sbarcate dal padre e dal fratello, per portarle a Marittima e venderle a qualche famiglia abbiente.


Spontanea l’iniziativa verbale di Cosimo: “Dai, Consiglia, lasciaci due/ tre pesci, così ce li arrostiamo sulla brace e potremo accompagnare le nostre friselle, a colazione”. E, però, spontanea e pure decisa fu la reazione, della ragazza, di non dare minimamente ascolto e di tirare dritto. Il nonno trovò occasione, nell’arco di decenni, di rispolverare ripetutamente questo episodio, non senza rinfacciarlo scherzosamente alla controparte protagonista.


Non più “zitu” di Marta, Cosimo si fidanzò “in casa” con Consiglia, la quale, tuttavia, data anche la fresca età, specialmente nei primi tempi del loro sodalizio sulla carta, non dimostrava di attribuire soverchia importanza e assiduità al nesso meramente sentimentale e di vicinanza e contatto con il partner, preferendo seguitare a frequentare le sue amiche del rione e attendendo, unitamente a loro, ai rituali giochi di quei periodi.


“Consiglia, ancora in giro sei? Perché non torni a casa e facciamo l’amore?” (Ovviamente nel significato e col correlato contenuto di fine 1800), la esortava la sera Cosimo, e lei a replicare: “Guarda, prima, devo finire questa partita a campana con le mie compagne”.


Giunse il giorno delle Nozze


Sia come sia, giunse il giorno delle nozze e, dalla casa della sposa, si mosse il tradizionale corteo, attraverso l’Ariacorte, per dirigersi verso la parrocchia. Se non che, sempre a quanto resomi in racconto, nell’atto di transitare davanti all’abitazione di Marta, la ex zita di nonno Cosimo, per rabbia e ripicca, pensò  di disotturare lo scarico di una grande vasca lapidea, in dialetto pila, presente nel proprio cortile e ricolma di acque sporche (sciotte), residuo di un grosso bucato, lasciando defluire il non trasparente  e non olezzante liquido, a modo di cascatella, sulla strada in quel momento percorsa dal corteo nuziale e dalla processione di parenti e invitati, con indosso eleganti abiti da festa.


Completamente diversi di carattere, sotto l’aspetto intellettivo, nelle tendenze e preferenze, Cosimo e Consiglia vissero lungamente e intensamente, in ogni senso, generando una numerosissima prole; in aggiunta ai sei figli sopravvissuti, Silvio, Eva, Maria, Vitale, Lucia e Rocco, considerato, del resto, che, un secolo fa, erano frequentissimi i casi di mortalità infantile, furono in realtà fautori, perlomeno, di altrettante nascite.


Donna forte, dotata di una spiccata memoria (teneva perfettamente a mente, ricordo io, le date di arrivo al mondo, matrimonio e morte di tutta la parentela e non solo), la nonna non intendeva essere da meno nel confronto col consorte, il quale, magari, si lamentava di rientrare a casa, la sera, esausto per la fatica nei campi, sicché, di sovente, lo attendeva a bella posta sull’uscio tenendo in braccio uno dei figlioletti, piangente: “Tieni, prendilo un po’ tu, ha passato in questo modo l’intero giorno, facendomi disperare”.


Al che, l’uomo, così nella sua narrazione a noi nipotini e anche ad altre persone, celiava che fosse lei a regalare ai pargoli qualche pizzicotto, ovviamente foriero di strilla e lacrime. A parte qualche piccola sceneggiata della specie, chi, sostanzialmente, comandava in casa, era la nonna Consiglia soprannominata ‘u Miniconenaturale riflesso, in seguito, fu quel nomignolo aggiuntivo famigliare e non l’altro inerente al nonno Cosimo, ossia dire ‘u Generoso, a cadere e perpetuarsi sia in capo ai loro figli, sia sui discendenti dei medesimi, sia, infine, in termini estesi, nell’ambito della comunità di Marittima.


Consiglia, dunque autorevole, forte e in gamba, fisico e portamento ben eretto sino all’età avanzata malgrado le sopra accennate innumerevoli gravidanze/maternità, stimata e rispettata dai parenti e dai compaesani, a partire dal fratello Luigi che, in segno di attaccamento e di omaggio, volle chiamare Consiglio il suo unico figlio maschio che, oltre a fare il contadino, il frantoiano, il nachiro, capo dei frantoiani, si sarebbe dedicato anche alla pesca, come il padre e il nonno Domenico.


Piccola rimembranza risalente alla mia remota fanciullezza, nel cortile della attigua abitazione di zio Luigi e di zia Amalia (sua moglie), salitasene al cielo, guarda caso, nel giorno dell’Ascensione del 1950, campeggiava un grosso manufatto/parallelepipedo in pietra viva, non molto largo ma alto e cavo all’interno, detto in dialetto “stompu”, utilizzato per versarvi cereali, sia grano che orzo, di propria produzione, e frantumarli mediante la mazza, lunga e robusto attrezzo in legno terminante in forma ovoidale, cereali che sarebbero stati successivamente cotti e consumati a tavola come minestra.


Mio padre Silvio fu il primo sposarsi


Ambedue i miei nonni paterni in discorso, essendo mio padre Silvio il loro primogenito e il primo, in ordine temporale, a sposarsi, avevano un intenso e più consolidato legame giusto con la mia diretta famiglia, volevano, in particolare, un bene dell’anima a mia madre Immacolata e noi ragazzini, spesso, ci trattenevamo, nel pomeriggio o alla sera, nella loro vicina abitazione, d’inverno scaldandoci, insieme con il nonno, all’interno del focalire (camino) e, talvolta, consumavamo la cena frugalissima, una minestra posta a tavola in un unico grande piatto, in compagnia, appunto, dei nonni e degli zii e zie.

Come pure, verso la prima la fine della Seconda Guerra Mondiale, erano questi ultimi, ancora giovani, che correvano a casa nostra, di notte, nell’avvisaglia del passaggio di aerei militari nemici, con potenziale rischio di bombardamenti, caricandosi in spalla noi piccoli nipoti e conducendoci al buio nel vicino appezzamento agricolo di Monticelli, per attendere che il pericolo fosse superato.


Pur trovandomi in così stretta vicinanza e frequentazione con loro, raramente mi è capitato di assistere a dissapori o litigi fra i nonni Cosimo e Consiglia, tranne che in un’isolata occasione. Correva il 1953, ci trovavamo nella stagione fredda, di lì a poco, la prima domenica di marzo, si sarebbe svolta, a Marittima, la rituale fiera/mercato della Madonna di Costantinopoli, una sera, nonno Cosimo con la pipa in bocca, io e un mio fratello, ce ne stavamo seduti, al solito, nel focalire e nonna Consiglia, lì vicino, era intenta a filare, col fuso, batuffoli di lana accanto alla figlia Lucia e al di lei fidanzato Peppino.


In un dato momento, l’anziana donna si mise a dire: “Fra poco, si terrà la fiera e quest’anno, in vista del matrimonio di Vitale (altro figlio), ci toccherà fare una serie di acquisti”. Passando poi a un lunghissimo elenco di oggetti, magari tutti necessari e utili.


Il nonno ascoltava e, forse, man mano, conteggiava approssimativamente il costo richiesto da tali compere, col rischio anche di dover indebitarsi; a nota non ancora completamente esaurita, fu un attimo, non potendone più, egli interruppe bruscamente la moglie con un solenne, autoritario e ultimativo invito, ad alta voce, a piantarla.


Risultato, la nonna proruppe in un pianto dirotto, in ciò imitata anche dalla zia Lucia. Riguardo ai matrimoni dei figli, qualche anno prima, esattamente nel 1948, era stato celebrato quello di zia Maria, andata sposa a zio Vittorio, marittimese trasferitosi per lavoro a Francavilla Fontana nel brindisino, dove, per ciò, la coppia era andata a mettere su casa.


La nonna Consiglia, senza nulla togliere all’intensità del suo trasporto materno verso gli altri discendenti, dimostrava ed aveva una certa predilezione per Maria e Vittorio; probabilmente, mi vien da pensare, perché era stata vicina alla figlia durante i lunghi anni di assenza del suo fidanzato per vicende di guerra e di prigionia e, in aggiunta, perché, da sposati, i due erano andati ad abitare lontano da Marittima.


Mio nonno andava a piedi fino a Brindisi


A conferma di ciò, la nonna, che mai si era prima allontanata dal paesello, a differenza del marito che di viaggi  ne aveva compiuti (in tradotta sino a Belluno, per partecipare alla Grande Guerra, a piedi, non possedendo una bicicletta e non potendosi permettere di pagare il biglietto del treno, sino a Brindisi, due volte l’anno, per lavorare negli stabilimenti vinicoli e nei frantoi, a Napoli, infine, nel 1935 o 1936 per accompagnare il figlio Silvio partente volontario per l’Africa Orientale), iniziò a far su e giù da Francavilla Fontana, anche trattenendosi  lì per brevi periodi, non solo in occasione della nascita di due nipoti ma pure in altri momenti dell’anno, immancabilmente intorno a metà settembre, nella ricorrenza della festa della Protettrice di quella cittadina, la Madonna Fontana.


Analogamente, la vigilia della già ricordata fiera della Madonna di Costantinopoli a Marittima, quando zio Vittorio, che collaborava con un commerciante all’ingrosso ma anche ambulante di tessuti, si accingeva a venire nel nostro paese per allestirvi la baracca di esposizione e vendita, la nonna si prodigava in mille preparativi per non far mancare, a lui al suo “principale” (datore di lavoro) una cena speciale.


Sempre in tema di sposalizi, a nonna Consiglia, toccò purtroppo di essere protagonista/vittima di un episodio, se non propriamente drammatico, certamente non lieto; la mattina del giorno stabilito per le nozze della figlia Lucia (1953), a mezzo di una scala di legno, l’anziana donna sì portò su una scansia (ripostiglio), ricavata alla sommità di una parete di casa, per prelevare un oggetto o qualcosa che serviva.


Sfortunatamente, la poveretta ebbe a scivolare, non ricordo se sul ripostiglio o sulla scala, precipitando rovinosamente sul pavimento, con notevoli ammaccamenti fisici, per fortuna, almeno, senza necessità di ricovero in ospedale.


Di primo acchito, si pensò di rimandare lo sposalizio, poi prevalsero le riflessioni sui preparativi già fatti e sulle relative spese e, quindi, fu egualmente festa, sebbene pervasa da un rigurgito di tristezza e da qualche lacrima specialmente nel sentire della sposa, zia Lucia, con la nonna, dolorante, costretta nel suo letto.


Consiglia sopravvisse all’incidente, si riprese bene e resto con i suoi cari, sino al raggiungimento, nel 1974, dell’apprezzabile età di ottantotto anni.


Nonno Cosimo campò fino a 102 anni


Traguardo, invero, non confrontabile con quello che ebbe l’avventura di raggiungere la sua metà, nonno Cosimo, il quale campò fino al 1982, ossia a dire oltre centodue primavere, accudito, nell’ultimo lungo periodo, dalle figlie e dalle nuore.


Notazione leggera, la sera delle esequie di nonna Consiglia, familiari e parenti stretti riuniti in casa nostra per consumare la cena, nella circostanza preparata, secondo l’usanza, da una famiglia del paese amica o legata da vincoli di parentela,bisunia” in dialetto, rammento che, in una pausa del pasto, una mia sorella pensò di chiedere all’avo: “Nonno, visto che tu hai molti anni più di lei, non ti dispiace che, per prima, sia mancata la nonna? Non avresti preferito che si rispettasse l’anzianità, compiendo tu, adesso, i tuoi giorni al posto suo?”.


Il vecchio uomo restò qualche istante in silenzio, per poi rispondere: “Nipote mia, sia sempre fatta la volontà di Dio, ma la vicenda d’oggi sta bene così com’è andata”.


Mi piace terminare questa semplice e, insieme, sentita rievocazione in ricordo dei miei ascendenti per via paterna, soffermandomi su due ultimi particolari relativi a nonna Consiglia. Ella era fortemente affezionata a un gatto, rimastole accanto per lunghissimi anni e che alla fine era divenuto enorme, guai a chi lo toccasse o non lo trattasse bene.


Inoltre, amava, anche in questo caso gelosamente, i fiori, il piccolo cortile di casa sua si presentava sempre arricchito da molte varietà semplici ma variopinte, dalle zinnie agli astri cinesi, ai garofani, alle rose e alle calle, queste ultime svettanti in un angolo di terriccio adiacente all’imboccatura di una cisterna per la raccolta d’acqua piovana, a lato di una parete muraria interamente ricoperta da un rampicante sempreverde e per lunghi periodi fiorito in una gradevole tonalità lilla.


Rocco Boccadamo


Approfondimenti

Certezze ed incertezze del presente

Lo spettro della guerra, malavita, femminicidi, violenza dilagante nel mondo adolescenziale e giovanile. E il Salento? Terra di anziani residenti o fugaci vacanzieri…

Pubblicato

il

🔴 Segui il canale il Gallo 🗞 Live News su WhatsApp: clicca qui

di Hervé Cavallera

di Hervé Cavallera

La Pasqua da poco trascorsa dovrebbe aver ricordato ai Cristiani che essa, per il tramite della passione, morte e resurrezione di Gesù, è l’invito al passaggio ad una vita migliore.

Le feste del Cristianesimo, infatti, possono essere considerate come una sollecitazione per un futuro che sia, per i singoli e per la collettività, più buono e sereno rispetto al passato.

Ma l’immagine del presente non è così.

In campo internazionale permangono almeno due conflitti e i rischi che i campi di battaglia si allarghino non sono da sottovalutare.

E non è un problema dappoco.

Poi, per quanto riguarda l’Italia (ma il fenomeno non è solo italiano) si può constatare un aumento della violenza.

E non ci si riferisce solo ai casi più eclatanti, ossia ai delitti legati al mondo della malavita e alla crisi delle relazioni sentimentali (basti ricordare i femminicidi).

Ci si riferisce particolarmente alla violenza diffusa nel mondo adolescenziale e giovanile con i tumulti nelle università volti ad impedire la libertà di parola a conferenzieri non graditi, alle dimostrazioni pacifiste che generano saccheggi e vandalismi di vario genere, alle conflittualità che serpeggiano in certe scuole in una contrapposizione tra docenti ed allievi, con la partecipazione talvolta dei genitori.

Si ha l’impressione di trovarci in un mondo in cui non si riesce più a controllare gli impulsi.

Così accade che le frustrazioni, che sicuramente la maggior parte di noi ha pure conosciuto nel corso della propria esistenza, non vengano superate rafforzando il carattere e abituando a saper affrontare le difficoltà, ma producano comportamenti aggressivi che si propagano con facilità.

Ciò significa che gli adulti, i genitori in particolar modo, devono ben essere attenti oggi più che mai alle dinamiche dell’età evolutiva dei giovani.

Per fortuna sembrerebbe un fenomeno che non riguarda in modo preoccupante il nostro Salento.

Non che manchino i fatti di cronaca nera, ma fenomeni di scontri di piazza da parte di minorenni sono assai pochi.

E qui allora emerge un’altra considerazione: quello dello spopolamento.

Le nascite sono da tempo in netto calo nella Penisola.

Secondo i dati dell’ISTAT in Italia nascono 6 bambini ogni mille abitanti.

Nel Salento al calo demografico si aggiunge poi il fatto che molti giovani compiono gli studi universitari in altre regioni d’Italia e non tornano più nel paese nativo.

Certo, vi sono anche coloro che tornano e con coraggio, come si è scritto su questo giornale, ma sono pochi.

Il Salento diventa la terra di anziani residenti o di fugaci vacanzieri.

E allora l’invito alla gioia che proviene dal suono delle campane pasquali si spegne in una triste rassegna.

Conflitti sempre più minacciosi tanto da spingere qualcuno a sostenere il ritorno alla leva obbligatoria, sviluppo della criminalità organizzata, violenze e tragedie domestiche, violenza giovanile, fragilità nell’affrontare le difficoltà connesse al quotidiano, spopolamento, stagnazione produttiva…

Occorre precisare che non si nega che esistano casi positivi, anzi di eccellenza nella imprenditoria, nei giovani, nella vita coniugale e così via, ma l’ombra del negativo è sempre più visibile e preoccupante.

LA COMUNICAZIONE DELL’EFFIMERO

Vi è poi la sensazione di una crescita dell’individua- lismo accentuato dai social, dalla facilità di esprimere pareri su tutto e su tutti.

Al tempo stesso la comunicazione digitale isola fisicamente l’utente pur avendo egli un contatto online con centinaia se non migliaia di persone.

È la comunicazione dell’effimero, mentre si continua a rimanere soli.

Come diceva l’antico filosofo, l’uomo è un animale sociale; ha bisogno di vivere concretamente, fisicamente col prossimo, non di limitarsi a parole diffuse con mezzi artificiali.

Ed è questo l’aspetto che è il lascito ideale delle recenti celebrazioni pasquali: quello di tornare ad essere una comunità.

Una comunità di persone che si incontrano e dialogano ed elaborano progetti che permettano una crescita economica e spirituale.

Tutto questo richiede buona volontà e competenza, richiede il mettere da parte l’attrazione per il proprio tornaconto, per il proprio particulare come diceva Guicciardini.

È un compito che devono tornare ad assumere quelle istituzioni ad esso preposte quali la famiglia e la scuola.

In un momento storico in cui i legami familiari diventano sempre più fluidi, bisogna che la scuola diventi davvero un centro di formazione di responsabilità oltre che di conoscenze e competenze.

Un futuro migliore è affidato da sempre ad una buona educazione e di ciò dobbiamo tornare a prendere consapevolezza.

Continua a Leggere

Approfondimenti

Il fallimento della democrazia

Astensionismo: nelle regionali del 2023 raggiunse il 60% in Lombardia e Lazio; nel 2014 in Emilia-Romagna votò solo il 37,7%. Nel 2020 l’affluenza alle regionali pugliesi è stata del 56,43%…

Pubblicato

il

di Hervé Cavallera

Il prof. Hervé Cavallera

Il 25 febbraio si è votato per la Regione in Sardegna.

I candidati alla Presidenza della Regione erano 4 e le liste presenti 25.

Ora, quello che particolarmente colpisce, a prescindere da vinti e vincitori e dalle stesse modalità di votazione (voto disgiunto, ad esempio), è l’affluenza degli elettori.

Poco al di sopra del 52%, quindi ancor meno dell’affluenza avuta nelle precedenti elezioni regionali.

Né si tratta di un fenomeno meramente sardo.

L’affluenza elettorale è effettivamente bassa e, come si suole dire, l’astensionismo è in assoluto il maggior partito in Italia (ma la situazione non è dissimile anche in altri Paesi europei).

Nelle regionali del 2023 l’astensionismo raggiunse il 60% in Lombardia e nel Lazio e nel 2014 in Emilia-Romagna per l’elezione del presidente della Regione votò solo il 37,7% degli elettori.

Nel 2020 l’affluenza alle regionali in Puglia è stata del 56,43%. Ciò non può lasciare indifferenti in quanto, se democrazia significa partecipazione, il “successo” dell’astensionismo significa fallimento della democrazia.

Esiste ormai nella realtà uno scollamento tra cittadini e politica.

È un dato inequivocabile che non può essere risolto con la diffusione del cosiddetto “civismo” ossia con la nascita di movimenti localistici.

Invero nel 1946 l’Assemblea Costituente introdusse il principio della obbligatorietà del voto che però all’art. 48 della Costituzione italiana risulta solo un dovere civico.

Nel 1957, col D. P. R. n.361, si rendeva obbligatorio il voto nelle elezioni politiche, dichiarando che occorreva fare un elenco degli astenuti.

Il tutto poi venne meno nel 1993 (D. L. 20 dicembre 1993, n . 534).

Il che è anche corretto poiché il concetto di liberta implica anche l’astensione. E tuttavia quando l’astensione raggiunge livelli elevatissimi sì da quasi superare il numero dei votanti, è chiaro che è in atto una crisi della sensibilità politica dei cittadini.

Si tratta di un processo che in Italia si può far risalire alla cosiddetta fine della prima Repubblica (1994) ossia con la fine dei partiti che esistevano nella Penisola dal 1946.

In realtà, il fenomeno rientra nel collo delle grandi ideologie e, di conseguenza, in una semplificazione della vita politica tra due schieramenti, etichettati come moderati o conservatori da una parte e progressisti dall’altra.

Non per nulla negli Stati Uniti d’America dove esistono praticamente solo due partiti, il repubblicano e il democratico, l’astensionismo tocca spesso punte del 70% a cui peraltro ci si è abituati.

Di qui un altro aspetto che va considerato: il ruolo decisivo del candidato alla presidenza.

Sostanzialmente si vota la persona più che le idee.

D’altronde tutti possiamo constatare che nei nostri Comuni sono pressoché inesistenti le tradizionali sezioni dei partiti, ove una volta i tesserati potevano discutere vari temi politici.

Di qui un ulteriore paradosso. Si ritiene che in una società democratica chi “comanda” o, per essere più corretti, chi ha la gestione della cosa pubblica sia la maggioranza.

Nei fatti, invece, proprio grazie all’astensionismo, la gestione del potere è comunque affidata ad una minoranza, mentre la maggioranza dei cittadini assiste con apatia, rassegnazione o altro, a quello che la minoranza decide.

Negli anni ’80 del secolo scorso il sottoscritto scrisse un libro sull’importanza dell’educazione politica, intesa non come educazione partitica, ma come educazione alla partecipazione responsabile alla vita pubblica.

Al presente, di fronte a fenomeni come l’astensionismo, la cancel culture, l’improvvisazione demagogica che talvolta si fa sentire per il tramite dei social, una riflessione articolata, ponderata e di largo respiro sulla necessità di una rifondazione della vita civile, in modo che non sia soggetta alle pulsioni del momento, sarebbe opportuna.

Naturalmente tutto riesce difficile ed è inutile evocare il ricordo della vecchia Educazione civica, anche se dal settembre del 2020 l’Educazione civica è considerata una disciplina trasversale che riguarda tutti i gradi scolastici.

In una società ove predomina il relativismo individualistico, mancano i grandi valori che danno davvero lo slancio vitale all’impegno civile che investa la collettività e tutto si risolve nel gioco degli interessi di piccoli gruppi o dei singoli.

Continua a Leggere

Approfondimenti

Galatina, il Liceo Vallone si mobilita “fa rumore” per le Donne

Sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Pubblicato

il

In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della donna, il Liceo A. Vallone, di Galatina, sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Previsto in mattinata, alle ore 11.45, un corteo che partirà dalla sede centrale del Liceo, in viale don Tonino Bello, e si muoverà verso Piazza San Pietro dove si terrà un flash mob di riflessione chiuso con la lettura di Knocking on Heaven’s door, profondo monologo in voce maschile tratto da Ferite a morte, di Serena Dandini. 

“L’ignominia continua da Giulia…1,2,3…12 vittime” è il messaggio che gli studenti e le studentesse del Liceo porteranno in corteo, ribadendo che “Nessun delitto ha una giustificazione”!

Tutti gli studenti e le studentesse del Liceo, accompagnati dal personale scolastico, attraverseranno le strade principali della città (viale don Tonino Bello – via Ugo Lisi – C.so porta Luce – Piazza San Pietro) con l’obiettivo di fare un silenzioso rumore sull’inefficacia di questa ricorrenza, dipanando un drappo rosso lungo 30 metri, simbolo del dolore e delle violenze che le donne ancora subiscono, visto il perdurante divario di genere.

“Non si ha nulla da celebrare se non vi è uguaglianza. Non si celebra la Donna se non La si rispetta” Queste le parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Angela Venneri, che ha fortemente promosso e sostenuto l’iniziativa, in un’ottica di sensibilizzazione e condivisione d’intenti.

Non un’occasione per festeggiare, dunque, ma solo per riflettere e tenere alta l’attenzione, con l’auspicio che l’educazione culturale possa riaffermare un ineludibile principio di civiltà.

Da qui l’augurio conclusivo dei nostri studenti e studentesse a tutte le donne con i dolcissimi versi della poesia di Alda Merini, Sorridi donna.

Continua a Leggere
Pubblicità

Più Letti

Copyright © 2019 Gieffeplus