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In fuga dagli orrori della guerra: il racconto di Svetlana, Mariia e Vladimir

Ospiti in redazione. Svetlana e Mariia, mamma e figlia, espressione assente, sguardo perso nel vuoto: «La vita umana più importante dei confini e delle risorse energetiche per cui si combatte». Vladimir, militare in pensione: «Di Putin posso solo parlarne male. Penso sia una persona malata». L’aneddoto sul nuovo Zar del Cremlino che, poco prima della caduta del Muro di Berlino…

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Un pomeriggio in redazione con chi si è appena lasciato alle spalle gli orrori di una guerra crudele quanto assurda.


I loro occhi, se non tutto, raccontano molto. L’espressione assente, con lo sguardo nel vuoto. Stranite da tutto quanto successo con una rapidità che le ha stordite.


Svetlana e Mariia, mamma e figlia, con l’aiuto di Marina (ucraina anche lei ma salentina di adozione, vive a Montesardo di Alessano ed è italiana a tutti gli effetti), che ci ha fatto da interprete, hanno raccontato la loro odissea.


Svetlana e Mariia


Fino all’altro ieri una vita normale, oseremmo dire felice: Svetlana, la mamma, 59 anni medico in un ambulatorio vicino Kiev; Mariia, 29enne avvocato ai primi passi di una promettente carriera. All’improvviso, però, tutto sembra svanito: prima l’angoscia delle sirene anti aereo, poi le esplosioni, infine la fuga. Non si sa verso dove, purché sia la salvezza.


Si temeva potesse accadere ma si sperava non si arrivasse a tanto. «Erano le 4 di mattina», racconta Mariia che la notte tra il 24 e il 25 febbraio era da sola nella sua casa in centro, «scrollata di dosso la paura, ho telefonato alla mamma e ci siamo dati appuntamento in metropolitana dove sapevamo ci si poteva mettere al riparo». Non hanno avuto il tempo neanche di preparare una borsa con il necessaire e, come tantissimi loro concittadini, si sono catapultate fuori di casa per cercare rifugio nei sotterranei della Metro. Fortunatamente si sono ritrovate indosso almeno il passaporto da cui, da qualche giorno, non si separavano più perché obbligatorio con il coprifuoco vigente: adesso quel passaporto è per Svetlana e Mariia l’unico legame con la loro vita passata.


Dopo qualche giorno, terrorizzate da quanto apprendevano, soprattutto mediante video e foto che circolavano sui social, «con dei parenti, ci siamo messe in viaggio in auto, dirigendoci verso sud ovest in quelle che ritenevamo zone più tranquille del Paese. Abbiamo percorso 450 chilometri ma ci abbiamo impiegato 15 ore tra lunghe code, soste in attesa di notizie sulla sicurezza del tragitto e tante deviazioni su strade secondarie, resesi necessarie per evitare pericoli. Ci siamo fermate per 5 giorni ad Irpin nella speranza che la diplomazia mettesse fine a quell’incubo. Invece…».


Invece mamma e figlia si sono dovute rimettere in viaggio con i loro parenti, non avendo neanche una destinazione precisa, «qualunque posto andava bene, purché non ci cadessero bombe in testa».


Attraversato il confine con la Moldavia, Mariia e Svetlana hanno raggiunto Praga dove i loro cugini avevano degli appoggi ed erano diretti. A quel punto Mariia si è ricordata di un conoscente italiano, milanese, con cui aveva legato durante il suo breve periodo di studi ad Ostia, vicino Roma. Dopo una telefonata, quel suo amico l’ha messa in contatto con altre persone fino a Francesca De Giovanni, volontaria di Alessano della Caritas diocesana di Ugento-Leuca, ed il gioco era fatto. Da Vienna una serie di treni, «sempre gratuiti, messi a disposizione per noi che fuggivamo dalla guerra», per giungere fino a de finibus terrae e trovare alloggio in un’abitazione messa a disposizione da un tricasino.


Svetlana e Mariia, ammettendo che prima d’ora non sapevano neanche dell’esistenza del Salento, si dicono «grate per come siamo state accolte, per la gentilezza con cui tutti ci trattano. Grate a chi ha speso il suo tempo e non ha lesinato energie per aiutarci».


A domanda specifica, madre e figlia hanno risposto all’unisono che, prima della guerra, si sentivano europee a tutti gli effetti e di non comprendere le distinzioni che oggi si fanno.


La speranza resta quella di «una soluzione diplomatica che metta fine a questa follia», perché «la vita umana resta più importante dei confini e delle risorse energetiche per cui si combatte».


Poi la loro domanda, che è quasi una preghiera: «Pensate che tutto questo orrore possa finire presto?».


Domanda alla quale, ovviamente, non siamo in grado di dare una risposta. Possiamo solo auspicare che un miracolo possa rinsavire chi ha mostrato al mondo il suo lato peggiore, figlio malato di un nazionalismo patologico e forse di un complesso di persecuzione che ha origini lontane, risalenti all’invasione dei mongoli quando, mentre l’Europa respirava l’aria nuova del Rinascimento, la Russia è rimasta sepolta da un nuovo medioevo; patologie che hanno portato Vladimir Putin a risvegliare incubi che pensavamo ormai sopiti nei libri di storia.


Vladimir, militare in pensione


Marina, ucraina di origine ma salentina di adozione


A Marina, oltre che a farci da interprete, abbiamo chiesto di accompagnare in redazione anche il suo papà, militare in pensione, anche lui in Salento, dove è giunto insieme alla mamma e alla nonna, qualche giorno dopo l’inizio dell’invasione russa.

Proprio Marina, non appena compreso quanto stava accadendo, si è messa in auto e, insieme a degli amici con cui si è ricongiunta ad Arezzo, ha viaggiato fino al confine con la Polonia per prendere e portare con sé fino in Salento, papà, mamma e la nonna 83enne.


«La nonna», racconta Marina, «viveva da sola a Kiev dall’altra parte del fiume che taglia in due la città. E non è stato facile farla ricongiungere al resto della famiglia. I ponti che attraversano il fiume sono chiusi al traffico perché possibili obiettivi dei missili e delle bombe dell’esercito del Cremlino. Possono transitare solo i mezzi di soccorso e i taxi. Per fortuna siamo riusciti a reperire un taxi e, pur pagando profumatamente la corsa, decisamente pericolosa, siamo riusciti a fare in modo che la nonna raggiungesse papà e mamma».


Poi il lungo viaggio in treno fino al confine polacco dove, finalmente, Marina ha potuto riabbracciare la sua famiglia: «Dimitri, mio fratello, però, è rimasto in Ucraina. Presta opera di volontariato e continua a dare una mano dove c’è bisogno. Ci sentiamo spesso e quello che ci racconta non è rassicurante. È stato a Bucha ed Irpin per portare giubbotti antiproiettile; ha visto con i suoi occhi gli orrori lasciati alle spalle dai russi così mostrato dalla tv. Ci ha confidato di non riuscire più a dormire, dopo quello che ha visto…».


Vladimir, il papà di Marina, ha 65 anni e, come detto, è un militare in pensione. Ha prestato servizio prima per la ex Unione sovietica e poi per l’Ucraina.


«La guerra vera e propria, però», precisa, «la conoscevo solo attraverso i racconti di mio padre e mai avrei pensato di doverci fare i conti personalmente anche se, grazie a Dio, sono già in congedo. Solo dopo quello che ho visto, comprendo fino in fondo ciò che da ragazzino mi raccontava il mio papà».


Vladimir, dall’inizio della guerra è nel Salento, ospite della figlia


Eppure Vladimir si sentiva preparato all’evenienza. Era venuto a conoscenza da suoi ex colleghi ed amici sparsi tra le diverse nazioni dell’ex Urss «che poteva accadere qualcosa ma non sapevano dirmi cosa e quando».


Cosi la notte del 24 febbraio, mentre dormiva nella sua casa di Kiev, è stato «svegliato dalle sirene e dalle esplosioni che provenivano dal centro, dove i russi cercavano di colpire obiettivi sensibili come il Ministero della Difesa e la stazione centrale. Mi sono affacciato ed ho rivissuto in prima persona i racconti di mio padre. Fortunatamente la contraerea ha funzionato a dovere, altrimenti avrebbero subito raso al suolo la Capitale».


Vladimir e gli altri componenti della sua famiglia hanno così ceduto alle preghiere di Marina, disposta a tutto pur di portarli con sé, al sicuro, nel Salento. Era impossibile prendere un treno: «Tutti pienissimi, non facevano salire altri passeggeri e spesso neanche si fermavano in stazione».


Così la soluzione l’ha trovata Marina, via internet, riuscendo a prenotare un’auto a noleggio. Anche in questo caso un lunghissimo viaggio («la distanza è relativamente breve ma il tempo impiegato è stato tanto») attraverso il Paese per raggiungere il confine con la Polonia, passando per Leopoli e Kam»janec’-Podil’s’kyj. Attraversata la frontiera il gruppo ha potuto riabbracciare Marina e mettersi in viaggio per giungere fino in Salento, dopo aver percorso circa 2.400 chilometri.


Vladimir è un fiume in piena e non si nega alle nostre domande anche se delicate.


Sulla resistenza ucraina: «Grazie alle informazioni dell’intelligence, anche quella dei Paesi occidentali, il nostro governo era a conoscenza del dispiegamento di truppe e carrarmati e soprattutto dei movimenti delle rampe pronte a lanciare i missili sull’Ucraina. Così ha potuto preparare la difesa e in particolare la contraerea che ha abbattuto diversi missili ed anche aerei russi».


Su Putin: «Posso solo parlarne male ma preferisco tacere per non utilizzare espressioni poco educate. Penso sia una persona malata».


Sul nuovo zar del Cremlino Vladimir ha anche un aneddoto risalente al 1987, in piena guerra fredda, due anni prima della caduta del Muro di Berlino: «In quei giorni», ricorda, «un aviatore e attivista tedesco, facendosi beffe delle difese aeree di Mosca era atterrato con un piccolo aereo da turismo nella Piazza Rossa. L’avvenimento aveva piuttosto innervosito i vertici militari e molte teste erano cadute. Un gruppo di alti ufficiali venne in visita in Germania Est, a nord di Berlino, al confine con l’Europa appartenente al Patto Atlantico, dove io prestavo servizio. Mentre generali e colonnelli ci passavano in rassegna, un Maggiore dell’esercito sovietico, un uomo basso dal volto imbronciato, guardava con fare sospetto in posti inusuali, come le cucine e gli armadietti, in cerca, come avremmo saputo dopo, di tunnel che conducevano fino alla Germania Ovest. Quel Maggiore era Vladimir Putin». Scuola KGB…


Giuseppe Cerfeda


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“Ho amato tutto”: una ballata teatrale racconta Donna Paola Menesini Brunelli

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Il Salento si appresta a vivere un evento straordinario, intriso di storia e  arte. Il 24 agosto alle 21.00, l’Abbazia del Mito di Tricase sarà il suggestivo scenario per la rappresentazione di “Ho Amato Tutto”, un’opera che racconta l’intensa vita di Donna Paola Menesini Brunelli, messa in scena dalla celebre attrice Paola Pitagora  e dalle note del sax di Peppe d’Argenzio e dalla chitarra elettrica di Emanuele Bultrini.

Una Storia di Amore e Dedizione



La ballata teatrale, la cui regia porta la firma di Evita Ciri, narra la storia di Donna Paola, discendente della nobile e potente famiglia Menesini Lemmi di Montegabbione, che abbandonò i suoi vasti possedimenti tra Umbria e Toscana per seguire il giovane marito Ferdinando in carriera all’IRI ( istituto per la ricostruzione industriale) a Roma negli anni ’60, periodo di grande fermento economico e sociale. Roma, all’epoca città vivace e ricca di opportunità, diventa il luogo dove Donna Paola, lasciandosi alle spalle la sua laurea a pieni voti in chimica farmaceutica e una carriera da ricercatrice, dedica la sua vita alla famiglia, incarnando valori di positività, concretezza, libertà e fiducia nel futuro.

Questa storia attraversa le vicende di una donna aristocratica profondamente umana che negli anni 60 dell’emancipazione femminile ha scelto invece la famiglia;  è pertanto un racconto senza tempo, un messaggio di  speranza, fiducia e investimento sul futuro senza alcun condizionamento.

L’Abbazia del Mito: Un Patrimonio Recuperato

Il contesto in cui si svolgerà l’evento, l’Abbazia del Mito, non è casuale. Questo sito di eccezionale valore storico è stato recuperato grazie all’impegno di Donna Paola e di suo figlio Alberto, che hanno dedicato cinque anni della loro vita per restituirlo al suo antico splendore, sottraendolo all’abbandono. Oggi, l’Abbazia del Mito è non solo un simbolo di rinascita, ma anche un esempio tangibile dell’amore per il territorio e per la cultura, valori che hanno ispirato la nascita della Fondazione Noi Siamo Paola, che si occupa appunto di tutela dei vecchi mestieri come il restauro pittorico, ligneo e scultoreo, l’arte del ricamo e del tessile nonché dei vecchi metodi di salvaguardia dell’agricoltura. La Fondazione Noi Siamo Paola produce infatti lo spettacolo.

Donna Paola

Patrocinio e Collaborazione

L’evento è patrocinato dal Comune di Tricase, che con il suo sostegno testimonia il profondo attaccamento all’Abbazia del Mito, un luogo che racchiude la storia del territorio e custodisce la memoria e le vestigia di un passato luminoso. 

Questa collaborazione con la Fondazione “Noi Siamo Paola” sta portando alla concretizzazione di progetti di alto valore culturale e sociale, che mirano a preservare e valorizzare il patrimonio locale. Le Amministrazioni stanno costruendo elementi di connessione sempre più forti per favorire la crescita del territorio, creando un tessuto di iniziative che unisce tradizione, cultura e innovazione.

Il Sindaco della Città di Tricase, Antonio De Donno, ha dichiarato: “Paola Menesini Brunelli è stata una donna in grado di trasformare quell’incanto che la nostra terra custodisce (e da cui lei era ammaliata) in qualcosa di grande. Il suo amore per il prossimo e per il Salento sono stati dei fari che brillano tutt’ora, nel suo ricordo. Ripercorrere ciò che è stata e le sue gesta, attraverso l’interpretazione ed il lavoro di professionisti di grandissimo calibro, è al contempo un debito nei suoi confronti ed una missione encomiabile, che la Città di Tricase non può che sposare con gioia ed orgoglio. Ancor più quando, come in questo caso, il ricavato di questa iniziativa viene devoluto a fini benefici”.

Un Appuntamento Imperdibile

“Ho Amato Tutto” è molto più di uno spettacolo teatrale; è un’occasione per riflettere sull’importanza delle radici, sulla forza dell’amore e della dedizione. Questo evento, che condensa storia e arte, rappresenta un momento imperdibile per il Salento e per tutti coloro che desiderano partecipare a un’esperienza culturale e umana di grande valore.

L’appuntamento è per il 24 agosto alle 21.00 all’Abbazia del Mito, dove il passato e il presente si uniranno in  un abbraccio di bellezza e amore universale e dove 20 anni fa’ Donna Paola Menesini Brunelli e Paola Pitagora si incontrarono per caso. 

Dal Mito è partita tutta la storia e al Mito Paola Pitagora festeggia in scena il suo compleanno.

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Le caratteristiche di un sito di casinò affidabile in Italia

Nel panorama del gioco online, non tutte le piattaforme offrono le stesse garanzie di sicurezza…

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Nel panorama del gioco online, non tutte le piattaforme offrono le stesse garanzie di sicurezza.

I casinò non autorizzati, privi di licenza riconosciuta, rappresentano una minaccia concreta per gli utenti. La mancanza di regolamentazione espone i giocatori a un ventaglio di rischi che vanno dalla totale assenza di protezione dei dati personali a transazioni non sicure, con la possibilità di prelievi bloccati o ritardati senza giustificazione. In questi contesti, anche i giochi stessi possono risultare manipolati, poiché non vi è alcun controllo indipendente sulla correttezza dei risultati.

Un operatore privo di licenza può scomparire improvvisamente, rendendo impossibile recuperare i fondi depositati. La mancanza di un’autorità di vigilanza comporta inoltre che le regole possano essere modificate unilateralmente, senza alcun preavviso, e che eventuali controversie siano di fatto irrisolvibili. Questo scenario espone i giocatori a un alto rischio di frode e a un contesto dove la trasparenza è pressoché assente.

Gli elementi fondamentali di un casinò sicuro

Un casinò affidabile si distingue per alcune caratteristiche imprescindibili che devono essere sempre presenti. La prima è la licenza ADM, rilasciata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, unico ente italiano autorizzato a regolamentare il gioco online. Questa certificazione assicura che l’operatore rispetti tutte le normative nazionali in materia di sicurezza, legalità e tutela dell’utente.

Altro elemento essenziale è la presenza di un sistema di crittografia SSL, che protegge le comunicazioni e impedisce a soggetti non autorizzati di accedere a dati sensibili come informazioni personali e coordinate bancarie. Fondamentale è anche l’utilizzo di un generatore di numeri casuali (RNG) certificato, che garantisce risultati di gioco equi e realmente imprevedibili. A completare il quadro, un casinò sicuro offre metodi di pagamento affidabili e tracciabili, consentendo depositi e prelievi tramite canali bancari ufficiali, carte riconosciute e portafogli elettronici di comprovata reputazione.

Supporto clienti e trasparenza nelle condizioni

La sicurezza di un casinò online non si misura solo dalle tecnologie adottate, ma anche dalla qualità dei servizi offerti ai giocatori. Un supporto clienti efficiente, disponibile attraverso più canali e con tempi di risposta rapidi, è un indicatore di serietà. Quando l’assistenza è presente e competente, il giocatore può affrontare eventuali problemi o dubbi con la certezza di ricevere risposte puntuali.

Ugualmente importante è la trasparenza nelle condizioni di utilizzo. I termini contrattuali, le politiche sui bonus e i requisiti di prelievo devono essere spiegati in modo chiaro e facilmente accessibile, senza clausole nascoste o ambigue. Un casinò che comunica in maniera aperta e diretta dimostra di avere un approccio orientato alla tutela del giocatore, riducendo il rischio di spiacevoli sorprese durante l’esperienza di gioco.

L’importanza di scegliere piattaforme autorizzate

Molti giocatori italiani sottovalutano i rischi legati all’uso di piattaforme non autorizzate per il gioco online. Solo i siti di casinò online sicuri, ovvero quelli con licenza ADM, garantiscono realmente la protezione nelle transazioni, l’integrità dei giochi e la sicurezza dei prelievi. Affidabile.org, portale specializzato nella comparazione dei casinò, aiuta gli utenti a comprendere il valore del gioco legale e fornisce consigli pratici per scegliere in modo consapevole tra le piattaforme autorizzate in Italia.

Gioco responsabile

La scelta di un casinò sicuro è il primo passo per vivere un’esperienza di gioco positiva ma, allo stesso tempo, il più importante dato che il comparto online è sempre attivo e non ha le restrizioni previste per il gioco fisico. Quindi un portale lecito garantisce una alta qualità anche dal punto di vista della prevenzione e protezione degli utenti. È fondamentale mantenere un approccio responsabile, stabilendo limiti di spesa e di tempo, e considerare il gioco esclusivamente come una forma di intrattenimento. Risorse ufficiali come il portale ‘Gioca Responsabile’ e il numero verde nazionale forniscono supporto e assistenza a chi ritiene di avere un rapporto problematico con il gioco. La consapevolezza e la prevenzione sono le migliori alleate per garantire un divertimento sicuro e sostenibile.

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Lucugnano: l’amicizia vince sempre, nonostante tutto

I compagni dell’anno di nascita 1982, di Lucugnano di Tricase, far radici e motivazioni in comune….

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RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO

Ma quali sono le motivazioni che spingono un gruppo eterogeneo di persone a ritrovarsi dopo tanto tempo?

Forse sarebbe meglio conservare i ricordi della giovinezza così come sono, incastonati nel passato ideale.

E poi perché sottoporsi allo stress di venire giudicati, soppesati per l’aspetto, per la riuscita professionale e personale, quando sarebbe così facile lasciare le cose come stanno.

Ma qualcosa che resta, al di là delle chiacchiere e dei ricordi tra vecchi compagni di scuola, c’è.

È l’emozione di guardarsi indietro e, con un senso di vertigine, scoprire quanta strada abbiamo fatto e la direzione che abbiamo preso.

È la certezza di venire proprio da lì, di avere delle radici e delle motivazioni in comune con quelli che, a prima vista, sono solo un gruppo di signore e signori adulti.

E invece sono proprio loro: i tuoi compagni di scuola. I nostri 43 anni sempre insieme…”

I RAGAZZI DEL 1982 DI LUCUGNANO

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