Cronaca
Furti a Tricase, due arresti
Vincenzo Russo 29 anni e Giovanni Longo, 40, sono ritenuti responsabili di una serie di furti ai danni di abitazioni private, attività commerciali ed anche di una chiesa

I carabinieri dell’Aliquota Operativa della Compagnia di Tricase, supportati dai colleghi della locale Stazione, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di misura cautelare emessa dal Tribunale di Lecce a carico di Vincenzo Russo 29 anni e Giovanni Longo, 40, ritenuti responsabili di una serie di furti ai danni di abitazioni private, attività commerciali e altri luoghi della zona.
I due, entrambi già noti alle Forze dell’Ordine, ora si trovano ai domiciliari con il braccialetto elettronico.
Fra gli episodi che sono stati scoperti grazie alle indagini dell’Arma, c’è un furto presso la stazione di servizio “Q8”, avvenuto a novembre dell’anno scorso, quando i ladri avevano danneggiato una gettoniera dell’autolavaggio per impossessarsi di circa 30 euro in contanti.
Dopo qualche giorno, nel mirino dei ladri era finito il supermercato “Coop” di Via Pertini, dove per entrare avevano forzato una vetrina, impossessandosi di circa mille euro presenti nei registratori di cassa, poi avevano anche danneggiato una gettoniera presente dentro una cabina per le fototessere, ricavandone uno scarso bottino.
Il 31 dicembre 2024, sempre a Tricase, era stata un’abitazione a ricevere la sgradita “visita” dei ladri, che dopo aver forzato una persiana erano entrati in casa, dove avevano portato via alcuni gioielli di famiglia.
Anche il giorno di Natale uno dei due ladri era tornato nello stesso supermercato dov’era entrato un mese prima, impossessandosi di circa 350 euro.
A seguire, a metà gennaio di quest’anno c’era stata il furto di un oggetto d’oro votivo e di un trapano elettrico rubato dalla sagrestia della chiesa di “Sant’Antonio”.
Praticamente i ladri “seriali” che al termine delle indagini sono stati identificati grazie ad una meticolosa indagine dei militari dell’Arma, non disdegnavano nulla e rubavano qualsiasi cosa gli si presentasse davanti, quindi in certi casi ricavano dai furti magri guadagni ma lasciavano dietro di loro una scia di danni, spesso anche ingenti, come nel caso del furto ai danni di un’agenzia di viaggi, dove sono stati rubati soltanto 5 euro, ma la riparazione della vetrina è costata molto di più.
I due sono stati identificati dopo che i carabinieri hanno analizzato per ore tutti i filmati degli impianti di presenti nelle zone dove c’era stato il passaggio dei ladri, poi hanno proseguito con i riconoscimenti fotografici che non sono stati affatto facili perché il più delle volte i due hanno agito con il volto coperto.
L’analisi dei filmati da parte dei militari dell’Arma è stata molto approfondita, al punto che sono riusciti addirittura a notare un tatuaggio presente sulla mano di uno dei due indagati, identico a quello raffigurato in alcune fotografie pubblicate sul suo profilo social, pertanto è stato un riscontro fondamentale per stabilire il suo coinvolgimento nel furto sotto esame.
Dopo aver messo insieme tutti gli indizi acquisiti, i Carabinieri della Compagnia di Tricase hanno riepilogato sia i furti che i due avrebbero commesso insieme, sia quelli dove è plausibile che abbiano agito singolarmente, dopo di che hanno depositato in Procura una dettagliata informativa di reato.
Il GIP, accogliendo la proposta del Pubblico Ministero, ha firmato un’ordinanza di custodia cautelare a carico di entrambi, affidando ai Carabinieri che hanno portato e termine le indagini di arrestarli e di accompagnarli ai domiciliari con il braccialetto elettronico.
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Cronaca
Abusa del nipote di 10 anni nei giardinetti, arrestato zio
L’uomo di 58 anni fermato dalla polizia dopo la testimonianza di una donna che per caso ha assistito alla violenza

La Polizia di Stato ha tratto in arresto, in esecuzione di ordinanza del GIP di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, un uomo di 58 anni, residente a Nardò, ritenuto responsabile di violenza sessuale, pluriaggravato dall’essere stato commesso in danno del nipote, minore di appena 10 anni.
L’attività investigativa degli agenti del Commissariato di Nardò è iniziata venerdì scorso, quando presso l’Ufficio di Pubblica Sicurezza si è presentata una donna, che ha raccontato una storia orribile: era stata testimone di una violenza sessuale ai danni di un minore.
Il tragico evento si era verificato domenica 12 ottobre, intorno alle ore 17, all’interno dei giardinetti di un quartiere popolare di Nardò, nelle vicinanze di un albero.
La donna non sapeva fornire le generalità del violentatore ma forniva diversi elementi utili per gli agenti della Polizia di Stato: il colore dell’autovettura ed un danno presente nella parte posteriore dell’auto che l’uomo era solito parcheggiare nelle vicinanze del luogo dove era avvenuta la violenza sessuale.
La testimone, con grande difficoltà, è riuscita a raccontare agli agenti tutta la scena a cui ha assistito: l’uomo dapprima ha alzato la maglietta del minore, palpeggiando il sedere, per poi praticarsi auto erotismo, continuando a toccare il minore.
Spaventata di quanto stesse accadendo, la donna ha urlato contro l’uomo inducendolo a fermarsi; così, dopo essersi ricomposto, l’uomo ha fatto cenno al minore ed entrambi si allontanavano.
Alla luce dei gravi fatti raccontati e dei gravi indizi di colpevolezza raccolti, al fine di scongiurare il pericolo di commissione di analoghi reati, considerata l’assoluta gravità della condotta, che denota una personalità incapace di tenere a freno i propri istinti, anche per strada, sulla base degli elementi raccolti dalla Polizia di Stato, il PM presso il Tribunale di Lecce ha chiesto al GIP l’applicazione della misura cautelare in carcere.
Dopo aver effettuato una perquisizione dell’abitazione e dell’autovettura in uso all’uomo, gli agenti del Commissariato di Nardò lo hanno condotto presso la Casa circondariale di Lecce.
*foto in alto di repertorio
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Cronaca
Blitz antimafia dei carabinieri
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate, a vario titolo, per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso

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Questa mattina, tra Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola e Seclì nonché presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti operante nella parte ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori “Puglia”, dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento “Puglia”.
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati.
Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto comincia nel giugno del 2020, con l’arresto in flagranza, per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane cl. 1999. I successivi approfondimenti investigativi avviati dai militari dell’Arma consentivano di individuare l’esistenza di due filoni paralleli, in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della parte ionica del Salento, suddivise tra i centri di Nardò – comprensiva delle due marine Santa Caterina e Santa Maria al Bagno e Gallipoli – comprendenndo anche Galatone e Sannicola.
Quello che sembrava un’attività di P.G. apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui “rispettivi territori”, capaci di piazzare ingenti quantitativi di stupefacente. In particolare, l’organizzazione operante sull’area di Nardò è caratterizzata da struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso, anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalle cessioni di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
L’OPERAZIONE DEI CARABINIERI
A riguardo, alcuni episodi hanno destato l’attenzione degli inquirenti.
Un caso eclatante è stato quando dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima veniva avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria autovettura.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola, puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere condotta in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione dell’automobile, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un’altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima è stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola reiteratamente con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo, con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra, causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo primario è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Infatti, alcune avevano ruoli centrali, quali referenti dediti tanto al rifornimento dei pusher quanto allo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una delle sodali. Spesso, utilizzavano autovetture di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
LA PERQUISIZIONE
Un’altra donna, vicina al capo, gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, quali l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile captazione (WhatsApp e Telegram).
Infatti, nell’azione delle due strutture, determinante è stato l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per “ordinare” le dosi. In alcuni casi, gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del “prodotto” ceduto, ricontattavano i “clienti” per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con i più disparati appellativi richiamanti cibi o bevande come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”, veniva prelevata da nascondigli sicuri, “predisposta” in piccole dosi e smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio.
Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti, sulla parte ionica del Salento, fino all’intervento risolutivo di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata.
IL CAPITANO ALESSANDRO MONTI: «IMPORTANTE IL RUOLO DELLE DONNE»
Arrestati e condotti in carcere: Antonio Duma (a cui erano dedicati nomignoli del tipo “Papà”, “Lo zio”, “Lu grande”) di 64 anni, Marco Alemanno di 30 anni, Antonio Franco Secondo Calignano di 43 anni, Felice Inno (“Happy”) di 30 anni, Luca Elio My, di 41 anni, Massimo Cosimo Schirinzi di 50 anni e Alberto Simone di 27 anni, tutti di Nardò.
Dietro le sbarre anche: Antimo Marzano, 41 anni, di Galatone; Andrea Mele, 36 anni, di Sannicola; Gabriel Ionut Tanasa, 31 anni, di origini romene e residente a Sannicola.
Finiti, invece, ai domiciliari: Ilaria De Razza, 48 anni, di Nardò; Graziana Garacci, 38 anni, di Galatone; Xhulja Hasaj, 34 anni, origini albanesi e residente a Nardò; Emanuele Lemanno, 35 anni, e il fratello Francesco, di 25 anni, di Gallipoli; Federico Marra, 27 anni, di Galatone; Mattia Marzano, 34 anni, di Galatone; Giuseppe Mele, 65 anni, di Sannicola; Alina Stamate, 35 anni, di origini romene e residente a Nardò.
Indagati a piede libero sono: Piero Albanese di 64 anni, Gabriele Bizzarro di 31 anni, Antonio Cavallo di 58 anni, Alessandro Deserio (“Lu Burzu”) di 26 anni, Federica Antonella Duma di 30 anni, Vito Antonio Grillo di 23 anni, Stefano Martina di 25 anni, Ambra Annita Nocera di 30 anni, Alfredo Oceano di 55 anni, Gregorio Orlando di 26 anni, Fabrizio Pano di 27 anni, Jacopo Perrone di 31 anni, Sabrina Polo di 62 anni, Francesco Presta (“Pipistrello”) di 26 anni, Chiara Sportelli di 40 anni, Salvatore Trotta (“Totò”) di 57 anni, tutti di Nardò; Giuseppe Gaballo (“Beppe di Mare”), 43 anni, residente a Santa Maria al Bagno (Nardò); Ivan De Giorgi, 41 anni, di Galatone; Stefano Elia, 50 anni, di Lecce; Davide Abbate, 37 anni, di Sannicola; Cinzia Hasaj, 28 anni, di Galatone; Simone Littoria, 25 anni, di Galatone; Cosimo Marra, 37 ani, di Galatone; Federico Marra, 27 anni, di Galatone; Dario Potenza, 26 anni, di Galatone; Chiara Resta, 27 anni, di Galatone; Valerio Santoro, 35 anni, di Noha (Galatina); Luigi Settimo (“Scarafella”), 46 anni, di Galatina; Italo Tricarico, 25 anni, di Alezio; Marco Vonghia, 57 anni, di Galatone; Susanna Vonghia, 59 anni, di Galatone.
Cronaca
Ambulanze sporche e personale non autorizzato: chiesta revoca autorizzazione
Il mezzo oggetto della verifica era in pessime condizioni igieniche e denotava mancanza di manutenzione, pulizia e sanificazione periodica. Autista soccorritore e ausiliario non hanno poturo esibire i titoli autorizzativi. L’ambulanza controllata presso il nosocomio di Tricase effettuava il servizio di trasporto di dializzati presso i centri di emodialisi nel distretto di Gagliano del Capo

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L’Asl chiede di fermare le Ambulanze per la dialisi perché non rispondono ai requisiti igienici richiesti e il personale non è autorizzato.
Il Dipartimento Prevenzione Sisp Sud dell’azienta sanitaria leccese che in carico la “Disciplina per l’autorizzazione e la vigilanza per il trasporto di infermi e feriti”, ha dato seguito alla relazione di servizio a firma dei Tecnici della Prevenzione del S.I.S.P. Area Sud-Maglie.
Tutto è iniziato con un esposto al Dipartimento di Prevenzione presentato nel giugno scorso e con il quale veniva segnalato, da parte della ditta incaricata, il trasporto infermi e feriti (dializzati) con mezzi non idonei e da personale non qualificato.
Così qualche giorno dopo la segnalazione, personale ispettivo del Servizio Igiene e Sanità Pubblica – Area Sud Maglie del Dipartimento di Prevenzione, si è recato presso il Centro Emodialisi dell’ospedale di Tricase e ha sottoposto a controllo i mezzi di trasporto infermi in arrivo presso il nosocomio.
Era il 3 luglio e, intorno alle 7,20, sopraggiungeva un’ambulanza che trasportava un paziente dializzato.
Dalle verifiche effettuate sul posto, risultava che il mezzo, condotto da un uomo che dichiarava di avere anche la qualifica di ausiliario, e di proprietà di un’associazione di volontari convenzionato con l’Asl.
Sul mezzo era presente un altro uomo nella sua dichiarata qualità di autista soccorritore.
I due, però, non erano in grado di esibire la specifica autorizzazione né di produrre i titoli relativi alla qualifica di autista soccorritore.
Tali titoli non sono stati prodotti neanche successivamente.
Entrambi, quindi, risultavano sprovvisti di documentazione attestante l’idoneità per l’espletamento di tali mansioni.
Peraltro, il già menzionato personale «non risultava conforme ai dettami stabiliti dall’art.3, comma 3, della L.R.15.12.1993, n.27 e s.m.i.».
Il mezzo oggetto della verifica, poi, era in pessime condizioni igieniche e denotava mancanza di manutenzione, pulizia e sanificazione periodica.
Inoltre, dalla carta di circolazione è risultato come la revisione periodica del mezzo risultasse scaduta a marzo 2025, più di 3 mesi prima del controllo.
Dalle successive verifiche, effettuate presso di Distretto Socio Sanitario di Gagliano del Capo è stato evidenziato come al momento dell’accertamento l’ambulanza effettuasse il servizio di trasporto di dializzati presso i centri di emodialisi per conto di una società cooperativa sociale omonima alla ditta proprietaria del mezzo.
Quindi il Dipartimento prevenzione Sisp Sud dell’Asl, preso atto che “l’associazione volontari titolare di autorizzazione per il trasporto di infermi e feriti Tipo “B” concedeva l’uso della propria ambulanza autorizzata, peraltro in pessime condizioni igienico-sanitarie e con revisione periodica scaduta in marzo 2025, a altro soggetto giuridico sprovvisto della prescritta autorizzazione».
Per questo ha poposto la revoca dell’autorizzazione al trasporto infermi e feriti con ambulanza Tipo “B” all’associazione titolare.
Associazione che, dalla richiesta di revoca (1° ottobre), ha tempo 60 giorni per ricorrere al Tribunale Amministrativo di Lecce o, in alternativa, 120 giorni per proporre un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
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