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Attualità

La Croce Rossa compie 150 anni

“Si celebrano quest’anno, 2018, i 150 anni della fondazione della Croce Rossa ed i 100 anni della fine della Grande Guerra 1915-18,avvenimenti molto vicini perché la CRI è nata in una guerra, la seconda guerra di indipendenza, una delle più cruente della storia dell’uomo”

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Si è svolta, nella suggestiva cornice del chiostro comunale del Palazzo dei Domenicani di Casarano, la cerimonia di celebrazione in occasione della ricorrenza della Giornata Internazionale della Croce Rossa. Organizzata dal Comitato di cittadino della Croce Rossa, l’appuntamento ha rivestito particolare significato anche perché coincidenza ha voluto che, in questo particolare anno, ricadano le ricorrenze dei 155 anni dalla fondazione stessa della Croce Rossa Internazionale ed i 100 anni dalla fine del 1° conflitto mondiale. Presenti alla cerimonia, oltre al Sindaco Gianni Stefàno ed alle autorità civili e militari del territorio, anche la Presidentessa Regionale della CRI, Ilaria Decimo che, nel suo intervento ha ricordato la missione ed i compiti di questo importantissimo organismo internazionale ma si è anche complimentata per come, sul territorio di Casarano, sia ben radicato ed attivo uno fra i più longevi Comitati Locali che, con i propri volontari, assicura assistenza in tutte le ore di tutti i giorni dell’anno collaborando attivamente con il servizio 118  ma anche facendo azioni di prevenzione di presidio di pronto soccorso. Particolarmente interessante e ricco di spunti il discorso del Presidente del Comitato di Casarano, Giacinto Pettinati (discorso integralmente pubblicato in allegato) che ha ricordato i fatti salienti della storia della Croce Rossa e Mezza Luna Rossa Internazionale. La cerimonia si è poi conclusa con il corteo per le strade cittadine e la deposizione, sulle note del silenzio presso il monumento dei caduti, di una corona di alloro.


Si riporta il discorso integrale tenuto dal presidente Giaginto Pettinati:


“Si celebrano quest’anno,2018, i 150 anni della fondazione della Croce Rossa ed i 100 anni della fine della Grande Guerra 1915-18,avvenimenti molto vicini perché la CRI è nata in una guerra,la seconda guerra di indipendenza,nella battaglia di Solferino e San Martino il 21 giugno 1859,una delle più cruente della storia dell’uomo,più della battaglia di Waterloo,con 30.000 morti,dei quali 16000 italiani e francesi e 14000 austriaci.E’ importante sapere che fino a quel momento nelle battaglie di tutti i secoli precedenti,da Maratona nel 490 a.C. ,da Canne e Zama al tempo dei Romani,da Hattin  con le crociate,dalle battaglie della guerra dei cent’anni fra inglesi e francesi e della guerra dei trent’anni fra protestanti e cattolici,alle battaglie napoleoniche di Austerliz e Waterloo i feriti  non erano mai soccorsi da alcuno.Venivano lasciati morire sul campo senza pietà e spiravano  dopo poche ore dissanguatio dopo pochi giorni di sete e di inedia o dopo qualche settimana per infezione ,gangrena e setticemia.Napoleone Bonaparte faceva fucilare i soldati che aiutavano i commilitoni feriti perché ,così facendo, si sarebbero allontanati dalla linea di fuoco.Nel 1848 ,Ferdinando Palasciano ,generale medico del regno borbonico di Napoli, durante la rivoluzione di Messina,soccorse  anche i feriti nemici  e fu condannato a morte per alto tradimento,pena poi commutata in un anno di carcere dal re.Palasciano disse “ il mio dovere di medico viene prima del mio dovere di ufficiale”.Fu in realtà l’antesign


ano della Croce Rossa.  A Solferino era presente uno svizzero,Henry Dunant,un uomo d’affari che doveva incontrare Napoleone III  per vicende bancarie,il quale assistette,suo malgrado, alla carneficina di quel combattimento e ne fu impressionato terribilmente.Corse a chiedere aiuto nel paese per soccorrere i disgraziati soldati feriti.Chiamo’ a raccolta medici ,cittadini ,casalinghe,contadine del luogo, che accorsero in massa  a soccorrere i soldati feriti.Le donne di Solferino,San martino,Castiglione delle Stiviere, furono viste strapparsi l’orlo delle gonne per farne bende sulle ferite,le chiese,le strade, le case di quei paesi diventarono corsie di ospedale.Henry Dunant,colpito da quello spettacolo tragico e pietoso,scrisse poi un libro,”Ricordo di Solferino”,che fu letto avidamente in tutta l’Europa.Poi raccolse qltri quattro amici svizzeri,il Comitato dei Cinque,che stilarono un protocollo per soccorrere i feriti in battaglia,inviato a tutti i governi dell’epoca,i quali accettarono di buon grado l’idea.Furono quindi stilati norme e regolamenti nei vari Stati,raccolti nella Convenzione di Ginevra,secondo la quale tutti gli eserciti si impegnarono a rispettare l’insegna della Croce Rossa per soccorrere i soldati feriti.Il primo apparire delle insegne della  Croce Rossa si ebbe  durante la  guerra franco-prussiana, nella battaglia di Sedan nel 1870.Per la fondazione della Croce Rossa,che non è un simbolo religioso, ma solo il contrario della bandiera svizzera,Henry Dunant fu insignito del premio Nobel per la Pace nel 1901 e morì povero,come,forse, si conviene ad un uomo già tanto ricco di generosità.Il primo apparire della Croce Rossa Italiana  fu nella querra di Libia 1911-15 per soccorrere i soldati italiani nel deserto e per trasferirli in Italia con le navi ospedali.Ma fu nella prima guerra mondiale 15-18 che la CRI raggiunse l’apice della sua opera umanitaria,una guerra sanguinosa ove sui vari fronti de


l Carso,del Pasubio,del Piave ci furono 647.000 morti,due milioni di feriti,600.000 prigionieri,una strage immane.La CRI partecipò con 10.000 infermiere volontarie ,le crocerossine;40 di esse morirono sul posto di lavoro ,altrettante furono prese prigioniere dagli austriaci durante la ritirata di Caporetto perché non avevano voluto abbandonare i soldati italiani ferit


i..La loro Comandante,Elena d’Aosta,moglie del generale Emanuele Filiberto di Savoia,cugino del re,scrisse una accorata lettera al comandante nemico,generale von Below,chiedendogli di rispettare la convenzione di Ginevra e di liberare le crocerossine,cosa che fu fatta in brevissimo tempo.Le crocerossine erano tutte volontarie e compivano la loro missione senza alcun compenso,nelle tende degli  ospedali da campo,dietro la linea del fronte,dove i medici prestavano il primo soccorso ai feriti,amputando gambe,braccia ,suturando ferite,fermando emorraggie,in ambienti scomodi e freddi.Ricordo il gesto della contessa Maria Visconti di Modrone che in una di quelle tende fra le urla ed il gemito dei feriti,con la sua divisa di infermiera sporca di sangue ,pose lo sguardo su un’altra infermiera che le sembrava un volto conosciuto.Era la sua lavandaia,si corsero incontro,si abbracciarono piangendo e si chiamarono sorella.Non c’era più la contessa ,non c’era piu l’umile lavandaia ,c’erano due italiane che aiutavano altri italiani.Le crocerossine ,infatti, si chiamarono sorelle e sorella è l’appellativo con cui  attualmente ci si rivolge loro.Ricordo in particolare una crocerossina,Maria Boni-Brighenti,moglie di un maggiore di fanteria ,che non volle abbandonare i soldati feriti che accudiva, circondati dal nemico e morì con loro.Le fu concessa la medaglia d’oro al valor militare ,l’unica alta decorazione conferita ad una donna nel 1915.In un ospedale della Croce Rossa ,a Bergamo,prestava servizio  con tanta passione un ser



gente di sanità,Angelo Roncalli ,che diventerà papa oltre 40 anni dopo col nome di Giovanni XXIII,il papa buono.In un ospedale della Croce Rossa Italiana fu ricoverato, un giorno, un caporal maggiore dei bersaglieri,che si chiamava Benito Mussolini,il futuro capo del fascismo.Fra gli autisti delle ambulanze della CRI ,che trasportavano negli ospedali della CRI, i soldati feriti dal fronte,fra le strade scoscese dei monti, si distinse un soldato coraggioso che si chiamava Palmiro Togliatti,il futuro capo dei comunisti italiani.La Croce Rossa e l’amor di patria fecero incontrare un papa e due acerrimi nemici,che avevano in comune l’italianità.La Croce Rossa ,oltre le crocerossine ,aveva altre donne volontarie al proprio servizio,le donne dell’Associazione delle Donne Italiane della Croce Rossa,una associazione istituita nel 1889 dalla regina Margherita di Savoia.Queste donne ,chiamate poi Comitato femminile della CRI, avevano il compito di procurare fondi,denaro,donazioni per i bisogni della CRI e durante la guerra s’impegnarono ad aiutare i profughi,le vedove ,gli orfani di guerra ,lasciati nell’indigenza ,ad accudire i soldati che tornavano dal fronte,nelle stazioni ferroviarie,nei luoghi speciali di raccolta,a lenire le sofferenze morali di cittadini disperati.Furono chiamate le patronesse e si impegnarono anche nel fabbricare divise , lenzuola,biancheria ,bende per gli ospedali ,di cui c’era tanto bisogno.La duchessa Cia Giusti del Giardino,la proprietaria di Villa Giusti,dove fu firmato l’armistizio fra italia ed Austria,aveva trasformato le sue case in fabbriche ove si confezionavano quei tessuti,indispensabili agli ospedali da campo.Massimo D’Azeglio disse dopo l’unità d’Italia ”abbiamo fatto l’Italia,adesso bisogna fare gli Italiani”.Ebbene la prima guerra mondiale 15-18 fece gli italiani,con i fanti contadini che da tutte le zone della Nazione accorsero sui fronti di guerra,,,,il monte Grappa,l’isonzo,il Piave.Cittadini italiani che parlavano tanti dialetti e non si comprendevano fra loro,gli ufficiali facevano da traduttori.Si sono trovati italiani di ogni regione,fianco a fianco,uniti nella guerra,che molti non avevano voluto.La Brigata Aosta ,fatta da valdostani e piemontesi ,n un certo periodo  fu costituita in maggioranza da siciliani delle Madonie e da calabresi dell’Apromonte,perché moltissimi valdostani erano morti in battaglia.I napoletani,i pugliesi,i marchigiani vivevano sinsieme ai milanesi ed ai bergamaschi nelle stesse trincee,nel fango,nella neve ,fra i topi ed i pidocchi.I Sardi erano considerati stranieri perché parlavano una lingua incomprensibile e soprattutto perché i contadini del Sud non li avevano mai sentito nominare.Invece la Brigata Sassari,fatta tutta di cittadini sardi,si coprì di gloria durante la ritirata di Caporetto,quando quei soldati nella retroguardia furono gli ultimi ad attraversare il Piave,permettendo agli altri soldati italiani di mettersi in salvo ordinatamente.Poichè nel caos della ritirata  gli ultimi soldati italiani erano frammisti ai tedeschi che avanzavano,i soldati sardi per distiguere il nemico,nel buio della notte, non intimavano il “chi va là” ma lo dicevano in sardo “se sese italianu fuidda sardu”,se sei italiano parla sardo e se non rispondevano in sardo  sparavano ad ogni ombra.Gli italiani si unirono anche nel cibo.I fanti meridionali non conoscevano il riso e la polenta ed i soldati settentrionali non conoscevano le frise con il pomodoro e l’olio di oliva e se le scambiavano..Curioso fu la scoperta delle tavole di  cioccolata,che era distribuita in gran copia nelle trincee perchè era calorica e pratica da mangiare  ma  molti  soldati del sud non la conoscevano,per cui le mandavano alle loro famiglie lontane,che non l’avevano mai gustata.Più curioso ancora l’attuale detto “non rompete le scatole”,che proviene da un ordine secco che gli ufficiali impartivano prima dell’attacco.I proiettili dei fucili erano contenuti in durissime scatole di cartone che i soldati conservavano nel tascapane.L’ordine perentorio “Rompete le scatole “ era dato nelle trincee , prima dell’assalto affinchè i soldati tenessero pronte le munizioni ed aveva il triste significato   di andare all’assalto contro i reticolati e le mitragliatrici nemiche,un orrendo presagio di morte imminente.Ecco perché la frase di oggi “non rompete le scatole” è una frase che invita alla quiete,alla serenità   e quindi vuol dire  “lasciami in pace”.Nelle trincee,fredde e fangose si aggirava un cappellano che dava conforto ai soldati,diceva messa,dava la comunione prima della battaglia,scriveva le lettere per i soldati analfabeti,consolava i feriti.Si chiamava Giovanni Forgione ed era stato renitente alla leva militare.Quasi novanta anni dopo diventò santo col nome d Padre Pio.Amare la patria ed aiutare i propri connazionali non era peccato.Sulle montagne del Carso ai confini della Slovenia ,lungo il corso dell’Isonzo si distinse per coraggio un sottotenente di fanteria tanto da ricevere la medaglia d’argento al valor militare e si chiamava Sandro Pertini,il nostro Presidente della Repubblica degli anni 80,che accorse fra i primi negli ospedali della CRI durante il terremoto della Lucania durante il  disastroso  terremoto del 1980.In quella grande guerra parteciparono anche poeti soldati,anche premi Nobel per la poesia,come Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti,che riuscivano a trovare ispirazione anche tra le rocce nude del Carso.Ungaretti,dopo una notte trascorsa in trincea fra il rombo dei cannoni,la pioggia ,il freddo,i lamenti,in un momento di tregua si assopisce e poi si sveglia con un cielo azzurro e un silenzio di pace,in un tripudio di sole abbagliante e scrive il famoso “ m’illumino d’immenso”. Felice Martini ,durante un assalto all’arma bianca,superato i reticolati nemici, si getta in una trincea e si trova di fronte un giovane soldato austriaco,rannicchiato dietro il suo fucile ,con gli occhi sbarrati per il terrore;sta per infilzarlo ma si ferma.Scrisse una commovente poesia “ perché non ti uccisi”:”non per tema non t’uccisi ma per non morire in,te,mio gemello ,apparso in gemina trincea”. D’Annunzio poi fece della guerra la sua diva ispiratrice. Sironi ,uno dei maggiori pittori del novecento rappresentava le figure umane con grandi piedi e grandi mani ,come Modigliani rappresentava le donne dai lunghi colli,perché non riusciva a dimenticare i piedi e le mani congelate dei suoi fanti.Anche famosi scrittori e poeti stranieri parteciparono alla grande guerra sul fronte italiano con la Croce Rossa,gli americani Johnn Dos Passos ed Ernest Hemingwai,che scrisse “Addio alle armi”,Kipling,il famoso autore di “Capitani coraggiosi,”il libro della Jungla” e “ Kim”,che tutti i ragazzi hanno letto.Gli alpini,i bersaglieri,gli arditi furono soldati di grande valore,ma si distinsero anche i carabinieri,che,come polizia militare, proteggevano nelle retrovie gli ospedali,i ricoverati,prendevano in consegna i nemici feriti,mettevano ordine tra i soldati fuggitivi e sbandati durante la ritirata di Caporetto. Parteciparono con grande coraggio  anche agli assalti in prima linea,come nella battaglia del Podgora ,sul Carso,quando un reggimento di 1600 uomini ebbe l’ordine insano di attaccare alla baionetta la cima della montagna munita di cemento e mitragliatrici austriache.Obbedirono e  morirono quasi tutti ,fedeli al loro motto “usi obbedir tacendo e tacendo morir”.Come non ricordare i marinai italiani che dopo la disfatta di Caporetto furono inviati  sul Piave,ultima difesa, trasferiti dalle navi per combattere sulla terraferma al fianco di alpini e dei  fanti ,perché c’era bisogno di ogni soldato utile per fermare il nemico.Degna di ogni ammirazione fu l’abnegazione  dei ragazzi del ‘99,appena diciottenni,che da tutta Italia furono inviati al fronte di guerra perché ormai la Nazione si era dissanguata per la perdita di morti ,feriti e prigionieri.Si coprirono di gloria nella battaglia di Zenson e di Fogarè ,due paesini sul Piave,dove alcuni reggimenti boemi erano riusciti a sfondare ed avanzare .Se fossero riusciti a proseguire avrebbero invaso la pianura italiana e sarebbero giunti a Venezia  ,Milano Ferrara e noi ora parleremmo tedesco.Due reggimenti di ragazzi del 99,insieme ai bersaglieri,riuscirono a fermare il nemico combattendo anche alla baionetta.Erano scesi dai treni ,che li aveva trasportati al fronte, tre giorni prima,con i fucili più alti di loro e le divise nuove.Quei treni provenivano in gran parte da Bari,Napoli e Palermo.Quando le crocerossine videro arrivare quei ragazzi feriti, pulendo i loro giovani  visi sporchi di terra e di sangue mormorarono in dialetto veneto “ma son putejj”,ma sono bambini”.A Redipuglia fu costruito un grande monumento ai caduti,ove sono sepolti 100.000 soldati,la metà di loro non hanno un nome,perché irriconoscibili per le ferite.A Roma fu costruito l’Altare della Patria  ,un monumento al milite ignoto.Una mamma ,che aveva perso il figlio in guerra senza averne mai più rivistone il corpo,Maria Bergamas,fu individuata per scegliere una  fra undici bare da trasportare a Roma come puro simbolo,per ricordo perenne.Quella bara fu trasportata da Trieste a Roma su un treno speciale,che si fermò in 122 paesi e città a raccogliere fiori ,ricordi e preghiere di centinaia di migliaia italiani che si inginocchiavano al suo passaggio,in un silenzio di luttuosa riverenza.Rammento ai giovani che passano per Roma,anche da turisti , di rivolgere un pensiero a quell’ ignoto soldato.Papa Francesco ,due anni fa è stato al Sacrario di Redipuglia a rendere omaggio ai soldati caduti ed al nonno che era morto combattendo su quelle montagne.Rivolgo un appello ai ragazzi presenti ,affinchè ricordino sempre l’opera dei nonni dei loro nonni che, con il loro sacrificio, ci consentono ora di vivere in una nazione libera,indipendente e democratica.Indro Montanelli,grande scrittore e giornalista ha detto”Il popolo che non ricorda il proprio passato non potrà mai avere un futuro”.


Attualità

“Ho amato tutto”: una ballata teatrale racconta Donna Paola Menesini Brunelli

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Il Salento si appresta a vivere un evento straordinario, intriso di storia e  arte. Il 24 agosto alle 21.00, l’Abbazia del Mito di Tricase sarà il suggestivo scenario per la rappresentazione di “Ho Amato Tutto”, un’opera che racconta l’intensa vita di Donna Paola Menesini Brunelli, messa in scena dalla celebre attrice Paola Pitagora  e dalle note del sax di Peppe d’Argenzio e dalla chitarra elettrica di Emanuele Bultrini.

Una Storia di Amore e Dedizione



La ballata teatrale, la cui regia porta la firma di Evita Ciri, narra la storia di Donna Paola, discendente della nobile e potente famiglia Menesini Lemmi di Montegabbione, che abbandonò i suoi vasti possedimenti tra Umbria e Toscana per seguire il giovane marito Ferdinando in carriera all’IRI ( istituto per la ricostruzione industriale) a Roma negli anni ’60, periodo di grande fermento economico e sociale. Roma, all’epoca città vivace e ricca di opportunità, diventa il luogo dove Donna Paola, lasciandosi alle spalle la sua laurea a pieni voti in chimica farmaceutica e una carriera da ricercatrice, dedica la sua vita alla famiglia, incarnando valori di positività, concretezza, libertà e fiducia nel futuro.

Questa storia attraversa le vicende di una donna aristocratica profondamente umana che negli anni 60 dell’emancipazione femminile ha scelto invece la famiglia;  è pertanto un racconto senza tempo, un messaggio di  speranza, fiducia e investimento sul futuro senza alcun condizionamento.

L’Abbazia del Mito: Un Patrimonio Recuperato

Il contesto in cui si svolgerà l’evento, l’Abbazia del Mito, non è casuale. Questo sito di eccezionale valore storico è stato recuperato grazie all’impegno di Donna Paola e di suo figlio Alberto, che hanno dedicato cinque anni della loro vita per restituirlo al suo antico splendore, sottraendolo all’abbandono. Oggi, l’Abbazia del Mito è non solo un simbolo di rinascita, ma anche un esempio tangibile dell’amore per il territorio e per la cultura, valori che hanno ispirato la nascita della Fondazione Noi Siamo Paola, che si occupa appunto di tutela dei vecchi mestieri come il restauro pittorico, ligneo e scultoreo, l’arte del ricamo e del tessile nonché dei vecchi metodi di salvaguardia dell’agricoltura. La Fondazione Noi Siamo Paola produce infatti lo spettacolo.

Donna Paola

Patrocinio e Collaborazione

L’evento è patrocinato dal Comune di Tricase, che con il suo sostegno testimonia il profondo attaccamento all’Abbazia del Mito, un luogo che racchiude la storia del territorio e custodisce la memoria e le vestigia di un passato luminoso. 

Questa collaborazione con la Fondazione “Noi Siamo Paola” sta portando alla concretizzazione di progetti di alto valore culturale e sociale, che mirano a preservare e valorizzare il patrimonio locale. Le Amministrazioni stanno costruendo elementi di connessione sempre più forti per favorire la crescita del territorio, creando un tessuto di iniziative che unisce tradizione, cultura e innovazione.

Il Sindaco della Città di Tricase, Antonio De Donno, ha dichiarato: “Paola Menesini Brunelli è stata una donna in grado di trasformare quell’incanto che la nostra terra custodisce (e da cui lei era ammaliata) in qualcosa di grande. Il suo amore per il prossimo e per il Salento sono stati dei fari che brillano tutt’ora, nel suo ricordo. Ripercorrere ciò che è stata e le sue gesta, attraverso l’interpretazione ed il lavoro di professionisti di grandissimo calibro, è al contempo un debito nei suoi confronti ed una missione encomiabile, che la Città di Tricase non può che sposare con gioia ed orgoglio. Ancor più quando, come in questo caso, il ricavato di questa iniziativa viene devoluto a fini benefici”.

Un Appuntamento Imperdibile

“Ho Amato Tutto” è molto più di uno spettacolo teatrale; è un’occasione per riflettere sull’importanza delle radici, sulla forza dell’amore e della dedizione. Questo evento, che condensa storia e arte, rappresenta un momento imperdibile per il Salento e per tutti coloro che desiderano partecipare a un’esperienza culturale e umana di grande valore.

L’appuntamento è per il 24 agosto alle 21.00 all’Abbazia del Mito, dove il passato e il presente si uniranno in  un abbraccio di bellezza e amore universale e dove 20 anni fa’ Donna Paola Menesini Brunelli e Paola Pitagora si incontrarono per caso. 

Dal Mito è partita tutta la storia e al Mito Paola Pitagora festeggia in scena il suo compleanno.

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Le caratteristiche di un sito di casinò affidabile in Italia

Nel panorama del gioco online, non tutte le piattaforme offrono le stesse garanzie di sicurezza…

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Nel panorama del gioco online, non tutte le piattaforme offrono le stesse garanzie di sicurezza.

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Un operatore privo di licenza può scomparire improvvisamente, rendendo impossibile recuperare i fondi depositati. La mancanza di un’autorità di vigilanza comporta inoltre che le regole possano essere modificate unilateralmente, senza alcun preavviso, e che eventuali controversie siano di fatto irrisolvibili. Questo scenario espone i giocatori a un alto rischio di frode e a un contesto dove la trasparenza è pressoché assente.

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Altro elemento essenziale è la presenza di un sistema di crittografia SSL, che protegge le comunicazioni e impedisce a soggetti non autorizzati di accedere a dati sensibili come informazioni personali e coordinate bancarie. Fondamentale è anche l’utilizzo di un generatore di numeri casuali (RNG) certificato, che garantisce risultati di gioco equi e realmente imprevedibili. A completare il quadro, un casinò sicuro offre metodi di pagamento affidabili e tracciabili, consentendo depositi e prelievi tramite canali bancari ufficiali, carte riconosciute e portafogli elettronici di comprovata reputazione.

Supporto clienti e trasparenza nelle condizioni

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L’importanza di scegliere piattaforme autorizzate

Molti giocatori italiani sottovalutano i rischi legati all’uso di piattaforme non autorizzate per il gioco online. Solo i siti di casinò online sicuri, ovvero quelli con licenza ADM, garantiscono realmente la protezione nelle transazioni, l’integrità dei giochi e la sicurezza dei prelievi. Affidabile.org, portale specializzato nella comparazione dei casinò, aiuta gli utenti a comprendere il valore del gioco legale e fornisce consigli pratici per scegliere in modo consapevole tra le piattaforme autorizzate in Italia.

Gioco responsabile

La scelta di un casinò sicuro è il primo passo per vivere un’esperienza di gioco positiva ma, allo stesso tempo, il più importante dato che il comparto online è sempre attivo e non ha le restrizioni previste per il gioco fisico. Quindi un portale lecito garantisce una alta qualità anche dal punto di vista della prevenzione e protezione degli utenti. È fondamentale mantenere un approccio responsabile, stabilendo limiti di spesa e di tempo, e considerare il gioco esclusivamente come una forma di intrattenimento. Risorse ufficiali come il portale ‘Gioca Responsabile’ e il numero verde nazionale forniscono supporto e assistenza a chi ritiene di avere un rapporto problematico con il gioco. La consapevolezza e la prevenzione sono le migliori alleate per garantire un divertimento sicuro e sostenibile.

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Lucugnano: l’amicizia vince sempre, nonostante tutto

I compagni dell’anno di nascita 1982, di Lucugnano di Tricase, far radici e motivazioni in comune….

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RICEVIAMO & PUBBLICHIAMO

Ma quali sono le motivazioni che spingono un gruppo eterogeneo di persone a ritrovarsi dopo tanto tempo?

Forse sarebbe meglio conservare i ricordi della giovinezza così come sono, incastonati nel passato ideale.

E poi perché sottoporsi allo stress di venire giudicati, soppesati per l’aspetto, per la riuscita professionale e personale, quando sarebbe così facile lasciare le cose come stanno.

Ma qualcosa che resta, al di là delle chiacchiere e dei ricordi tra vecchi compagni di scuola, c’è.

È l’emozione di guardarsi indietro e, con un senso di vertigine, scoprire quanta strada abbiamo fatto e la direzione che abbiamo preso.

È la certezza di venire proprio da lì, di avere delle radici e delle motivazioni in comune con quelli che, a prima vista, sono solo un gruppo di signore e signori adulti.

E invece sono proprio loro: i tuoi compagni di scuola. I nostri 43 anni sempre insieme…”

I RAGAZZI DEL 1982 DI LUCUGNANO

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