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Attualità

I settori dell’economia più sottovalutati che trainano il Paese

Cinque settori trainanti dell’economia italiana che nei prossimi anni incrementeranno la loro influenza sulla produzione nazionale e sui quali potrebbe convenire investire

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L’economia italiana, come testimoniano l’incremento della ricerca di professionisti di alcuni settori, continua a cambiare e, nei prossimi anni, continuerà a mutare in maniera ancora più dinamica. Non ci riferiamo naturalmente ai soli aspetti quantitativi, che auspichiamo in miglioramento, quanto soprattutto alla composizione economica del PIL nazionale.


Proprio partendo da tale spunto nelle prossime righe abbiamo cercato di individuare 5 settori trainanti dell’economia italiana che nei prossimi anni incrementeranno la loro influenza sulla produzione nazionale e sui quali, pertanto, potrebbe convenire investire. Scopriamoli insieme.


Intrattenimento


Cominciamo dal settore dell’intrattenimento. Durante la recente epoca pandemica la maggior parte degli italiani ha toccato con mano quanto sia importante cercare di trovare un po’ di svago, anche tra le mura domestiche, grazie ai dispositivi digitali.


Fortunatamente, oggi giorno scegliere tra i migliori casinò la piattaforma che fa per sé, utilizzare le console, guardare film in streaming e compiere ogni altra attività di entertainment a distanza, è facile e sicuro. Il risultato è che sempre più persone si sono avvicinate a questo settore alimentando un business che nel 2020 per la prima volta ha superato i 50 miliardi di euro per quanto concerne la sola spesa dei giochi a distanza, e che nel 2021 ha ulteriormente consolidato la propria crescita.


Se a quanto sopra aggiungiamo il boom dello streaming online, o ancora la spesa per i giochi su console e altre piattaforme, ne deriva un contributo decisivo per l’economia.


E-commerce


Non rientra certo tra i settori più sottovalutati ma… lo era fino a non troppi anni fa, quando l’e-commerce italiano mostrava ampi segni di ritardo rispetto alle best practice internazionali.


Poi, l’avvento della pandemia ha cambiato un po’ tutto. E oggi ci ritroviamo a utilizzare i servizi di acquisto online per qualsiasi tipo di merce, dagli alimentari alla tecnologia, dagli arredi per la casa all’abbigliamento. Insomma, non c’è settore merceologico che non sia stato fortemente impattato dai modelli di business favoriti dal commercio elettronico.


Stando agli ultimi dati aggiornati al 2021, gli acquisti online nel nostro Paese valgono circa 40 miliardi di euro, in aumento del 21% rispetto a un 20202 che, già di per sé, si era caratterizzato per dinamiche particolarmente positive. Anche se i dati del 2022 saranno disponibile solamente nei prossimi anni, tutto lascia intendere che il controvalore potrebbe essere compreso tra i 48 e i 50 miliardi di euro.


Mobilità elettrica


Tra i settori più interessanti dell’economia italiana vi è anche quello della mobilità elettrica. Il futuro delle due e delle quattro ruote sembra infatti essere sempre più in grado di virare verso le mobilità sostenibili, con la conseguenza di aver attirato e imprese e consumatori in maniera crescente verso questo business.


I numeri delle più autorevoli ricerche in questo ambito parlano d’altronde molto chiaro: i veicoli elettrici subiranno un’impennata già entro il 2025, e un’accelerazione ancora più marcata tra il 2025 e il 2030, con un range tra i 4 e gli 8 milioni di mezzi circolanti elettrici, pari ad almeno il 20% del totale.


Molto dipenderà naturalmente dalle iniziative che vorranno poste in essere. Secondo un recente studio condotto dall’Osservatorio Smart Mobility, ad esempio, è possibile stimare tre diversi scenari:


  • nel primo, caratterizzato da uno sviluppo inerziale rispetto all’attuale tendenza, senza pertanto ulteriori provvedimenti che diano maggiore slancio al mercato, nel 2030 non si supererebbero i 4 milioni di veicoli elettrici circolanti mentre aumenterebbero del 32% le auto ad alimentazione alternativa, come il metano e il GPL

  • nel secondo, contraddistinto da uno sviluppo sostenuto, in linea con i target PNIEC e gli obiettivi di vendita dei produttori, i mezzi elettrici sarebbero 6 milioni, per oltre il 16% del parco circolante e il 55% delle nuove immatricolazioni

  • nel terzo, contraddistinto da uno scenario di decarbonizzazione a livello comunitario e da un supporto legislativo molto deciso per la diffusione della mobilità sostenibile, i mezzi elettrici sarebbero più di 2 milioni già nel 2025, salendo a oltre 8 milioni nel 2030, con le nuove immatricolazioni che raggiungerebbero il 75% del totale grazie ai full electric.


Consegne a domicilio


A proposito di settori che hanno subito una impennata durante le fasi del lockdown, non possiamo non citare quello delle consegne a domicilio e – in esse – soprattutto del food delivery.


Anche con la fine delle chiusure delle attività legate alla pandemia mondiale, comunque, il settore sta continuando a crescere e lo stesso dovrebbe avvenire nei prossimi anni, considerato che le abitudini di consumo degli italiani sono comunque cambiate in maniera consolidata.


Si stima che nel corso del 2022 il valore del mercato della consegna del cibo a domicilio in Italia possa superare i 2 miliardi di euro.


Assistenza alla persona


Il quinto settore che è destinato a diventare tra i più rilevanti per la crescita economica italiana è quello legato alla predisposizione e all’erogazione dei servizi di assistenza alla persona.


I dati Istat, d’altronde, parlano chiaro: nei prossimi anni l’Italia dovrà fare i conti con il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e saranno sempre più necessarie quelle professionalità che erogheranno servizi qualificati per gli anziani, dall’assistenza alle cure domiciliari.


La crescita di tale business sarà peraltro parallela al correlato settore della sanità digitale che, nel nostro Paese, è già cresciuto di un terzo in un solo anno.


Attualità

Dal Salento spicca il volo “Il sogno di Flip”

Un albo illustrato per parlare ai bambini di inclusività e fiducia in sé, toccando il tema del bullismo

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“Il sogno di Flip” è l’albo illustrato, con testi e disegni di Alessia Urso, illustratrice e grafica di Marittima, pubblicato da Curcio Editore.

Ambientata al Polo Nord, la storia racconta di Flip, un piccolo elfo con una disabilità che sogna di lavorare nella fabbrica di Babbo Natale.
Dopo un episodio di bullismo, grazie alla creatività e all’incontro con un’amica speciale, Flip trova la forza di non arrendersi e costruisce un braccio artificiale che diventa simbolo di riscatto e fiducia in sé. Un racconto dolce e luminoso che parla ai bambini di coraggio, amicizia e inclusione. Disponibile su Amazon

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Attualità

Presentato il calendario della Polizia locale contro la violenza di genere

Ogni mese, attraverso gli scatti di Giacomo Fracella, racconta un valore, un gesto, un simbolo di rispetto e di tutela…

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Lo speciale calendario della Polizia Locale di Nardò per il 2026 è dedicato al tema del contrasto alla violenza di genere.

Ogni mese, attraverso gli scatti di Giacomo Fracella, racconta un valore, un gesto, un simbolo di rispetto e di tutela. Ci sono, tra le altre cose, un paio di scarpette rosse sul suolo di piazza Salandra, una foto di gruppo delle agenti del Comando di via Crispi, la panchina rossa.

Dietro queste immagini c’è il lavoro quotidiano della Polizia Locale, che con dedizione e sensibilità opera per garantire sicurezza e dignità ai cittadini e ovviamente anche a tutte le donne.

Questa mattina il comandante Cosimo Tarantino ha presentato il calendario nella sede di via Crispi, consegnando una copia al consigliere delegato alla Polizia Locale Gabriele Mangione e all’assessora con delega alle Pari Opportunità Sara D’Ostuni. Presenti anche la consigliera Daniela Bove e la vice comandante Simona Bonsegna.

“Questo calendario – ha detto il comandante Cosimo Tarantino – è un messaggio di coraggio e speranza. Pensiamo che ognuno di noi debba fare la propria parte nel contrasto alla violenza di genere, la Polizia Locale ha ritenuto quest’anno di utilizzare il calendario come importante veicolo divulgativo per sensibilizzare tutti. È importante non abbassare mai la guardia”.

“Questo è un tema che interessa singoli, famiglie e istituzioni – ha aggiunto il consigliere delegato alla Polizia Locale Gabriele Mangione – e ognuno deve affrontarlo nei limiti del proprio ruolo e delle proprie possibilità. Questo calendario è uno strumento istituzionale, ma stavolta anche un segno tangibile di vicinanza nei confronti dei cittadini e di tutte le donne”.

“Ringrazio il Corpo di Polizia Locale – ha detto ancora l’assessora alle Pari Opportunità Sara D’Ostuni – per questa iniziativa di estrema sensibilità e responsabilità. Avere a casa questo calendario ci ricorda ogni giorno che il contrasto alla violenza di genere non può e non deve essere una battaglia episodica, ma costante e generalizzata”.

Dalla prima edizione del calendario della Polizia Locale di Nardò sono passati ormai 24 anni, dedicata all’epoca alla sicurezza stradale e arricchita dai disegni sul tema degli studenti delle scuole primarie. Questa edizione, invece, arriva nell’anno (il 2026) che celebra i 160 anni della Polizia Locale italiana.

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Approfondimenti

Marina, 36 anni, per Sant’Egidio a Bangui, Centroafrica: “Vicina agli ultimi della terra”

“A 17/18 anni si vuole cambiare il mondo e pensi sia possibile! Ci sono periodi in cui mi abbatto e non sopporto il peso della missione, in cui riesco a vedere solo i problemi, i ritardi, le frustrazioni, che raramente mancano durante una giornata di lavoro, ma poi…

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L’INTERVISTA ESCLUSIVA

di Luigi Zito

A quale scintilla primitiva si affida l’animo umano quando la fiamma d’amore si accende, si sviluppa, si infiamma e riluce sino a risplendere luminosamente?
E qual è la moneta che ripaga la gratificazione che plasma il nostro cuore, che lo trasforma da cima a fondo, e che lo muove a donarsi agli altri?

Non credo sia solo una mia curiosità, è un affanno che accompagna la vita, che frequentemente ci pone davanti a simili dilemmi. È un tarlo capire cosa muove il sole e le stelle: cosa spinge una giovane donna a lasciare la zona comfort della sua vita per aprirsi al mondo, donarsi e aiutare chi è in difficoltà ed ha più bisogno?
Ancor più se, per farsi piccola per diventare grande, ha scelto di farlo a migliaia e migliaia di chilometri da casa.

È il caso di Marina Ciardo, 36 anni, di Tricase, che da anni vive a Bangui, Repubblica Centroafricana ed è Capo Progetto per l’Associazione Sant’Egidio.

Marina, di buon grado, ha amabilmente risposto a mie precise sollecitazioni.

«VOLEVO CAMBIARE IL MONDO»

«“Cosa vuoi fare dopo la scuola?”. Questa era la fatidica domanda che parenti, amici e insegnati mi ripetevano verso la fine del quinto anno delle superiori. Forse il lavoro che svolgo oggi è proprio la risposta a quella domanda che allora mi trovava impreparata. Non ci avevo mai pensato prima, ma su una cosa ero certa: volevo viaggiare, conoscere nuove culture e usanze diverse dalla mia, cercare di capire quello che, probabilmente, mi è ancora inspiegabile, divertirmi e, soprattutto, provare a cambiare il mondo! Si perché a 17/18 anni si vuole cambiare il mondo e pensi sia possibile! Così, sfogliando una guida delle facoltà universitarie, ho scoperto il corso di laurea in Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale a Parma.

E allora mi sono detta: “Ma si, dai! proviamoci”, d’altronde potrebbe unire due strade: quella dell’economia, già intrapresa alle superiori (e che tanti dei miei affetti mi spingevano a proseguire, perché così trovi subito lavoro), e quella della cooperazione internazionale, un mondo inesplorato ma affascinante».

«LA MIA AFRICA»

Come sei arrivata in Africa, a Bangui?

«Non faccio altro che ripetermi, se oggi sono qui, in Africa, é anche grazie al mio professore di Storia ed economia dei Paesi in via di sviluppo, che ci ha sempre spronato a fare un’esperienza nel campo della cooperazione, precisando anche che il lavoro del cooperante non è per tutti: o lo ami o lo subisci. Concludendo poi con un’amara postilla: “Molti dei miei studenti sono giunti alla laurea magistrale ma, di fatto, non hanno mai intrapreso quella strada”.

Incoraggiata e sostenuta dalla mia famiglia, durante l’estate del secondo anno universitario ho deciso di fare una esperienza diretta, sono entrata in contatto con l’Ong Coope – Cooperazione Paesi Emergenti -, e ho vissuto un mese straordinario in un piccolo villaggio a sud della Tanzania, Msindo.

Allora, ho realizzato chiaramente: «Questo è ciò che voglio fare! Conoscere una realtà così diversa dalla mia, vedere la gioia delle persone che, nonostante la consapevolezza delle difficoltà giornaliere, continuano a lottare, sorridendo, con impegno, voglia di farcela, aggrappati alla vita come mai avevo visto fare prima. Dando una mano, facendo piccole cose, ho vissuto momenti e emozioni che stravolgono. Questo mi ha fatto sentire utile. A volte è bastato anche solo aver aggiustato una staccionata in una scuola».

Finita quell’esperienza, cosa è successo?

«Sono rientrata in Italia e ho assaporato per la prima volta il mal d’Africa di cui fino a quel momento avevo solo sentito parlare. Così ho continuato il percorso universitario prima a Parma e poi a Torino. Una volta specializzata in Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale, ho assolto il servizio civile in Madagascar, poi il primo lavoro con la Ong Emergency (in repubblica Centroafricana e nel Kurdistan iracheno), successivamente con il Cuamm (Medici con l’Africa) nel Sud Sudan e, infine, da quasi 6 anni, nuovamente nella repubblica Centroafricana con la Comunità di Sant’Egidio».

Come opera la comunità di Sant’Egidio?

«Principalmente in due settori: il primo riguarda la salute, attraverso il programma Dream: cura le malattie croniche come l’epilessia, il diabete, l’ipertensione, l’HIV, l’asma e malattie renali leggere; il secondo è rappresentato dal programma Pace e Riconciliazione che, in modo costante e discreto promuove la pace.

È ben noto il ruolo di mediatore della Comunità di Sant’Egidio tra le parti in conflitto in RCA. La firma dell’Accordo Politico per la Pace, il 19 giugno 2017 a Roma, tra il governo centrafricano e 13 gruppi politico-militari è stato un momento cruciale nella storia del Paese. Questo accordo ha avviato, di fatto, il processo di dialogo e disarmo, che ha avuto un secondo e altrettanto importante momento con la firma degli Accordi di Khartoum nel febbraio 2019».

Qual è il tasso di povertà dove ti trovi? Di cosa c’è più bisogno? La situazione politico-economica, carestie? Guerre?

«Situata nel cuore dell’Africa, la Repubblica Centroafricana (RCA) è, dopo la Somalia e il Sud Sudan, è il paese più povero al mondo.
Nella classifica dell’Indice di Sviluppo Umano è 191° su 193 paesi presi in esame; il 60%, dei circa sei milioni di abitanti, vive con meno di un dollaro al giorno.
Si registra, purtroppo, uno tra i più alti tassi di mortalità materno-infantile e la popolazione ha in media un’aspettativa di vita piuttosto bassa (intorno ai 54 anni). Nonostante la posizione strategica e le risorse naturali presenti sul territorio, il Paese affronta da decenni una profonda instabilità politica che ha minato lo sviluppo economico e sociale.

Sono innumerevoli i colpi di Stato, le rivolte e i conflitti armati. Negli ultimi anni il Governo centrale ha avuto un controllo limitato sul territorio, soprattutto nelle regioni settentrionali e orientali, dove sono presenti gruppi ribelli e milizie locali. Non mancano le interferenze straniere che si manifestano con la presenza di milizie mercenarie, protagoniste talvolta discontri armati e violazioni dei diritti umani.

È un Paese che vive principalmente grazie ad agricoltura, estrazione di diamanti e oro e industria del legname. La crescita economica è ostacolata da mancanza di infrastrutture, insicurezza e instabilità politica. Questi elementi, combinati con una povertà estrema e la carenza di servizi essenziali, hanno generato una grave crisi umanitaria. Le donne e i bambini i più vulnerabili, esposti come sono a violenze, malnutrizione e mancanza di istruzione. Sono cresciuta molto con ogni organizzazione, sia a livello personale che professionale, ma la lunga permanenza a Bangui, mi ha permesso di contribuire alla formazione dei giovani locali, che desiderano migliorare la situazione del loro Paese».

IMPOTENZA E DOLORE

«Il confronto con quanto è fuori dal tuo controllo ti fa sentire inadeguata»

Ci racconti un aneddoto, un avvenimento, che ti ha toccata particolarmente?

«Sono stati anni impegnativi, difficili, che hanno permesso la nascita di amicizie profonde, anche con pazienti per me speciali, che oggi non ci sono più. Il senso di impotenza e il dolore per la loro perdita ti svuota, ti consuma, ti fa credere di non poter andare avanti. Il confronto con quanto è fuori dal tuo controllo ti fa sentire inadeguata. Forse è proprio questa la sfida ma credo che tutto questo mi stia forgiando. Essere testimone, lottare, nel bene e nel male, provoca una forza mista a rabbia che spinge ogni giorno a dare il meglio, anche se a volte non è abbastanza.

A Bangui sono arrivata nel gennaio del 2020, con la prospettiva di starci un anno o poco più, invece, a quasi 6 anni dal mio arrivo, mi ritrovo qui a scrivere questa mia storia e, forse, tracciare anche un bilancio.

Quando parlo con i nuovi colleghi (qui c’è un turnover molto intenso, la permanenza media è da 6 mesi a un paio d’anni), inevitabile che chiedano: “Da quanto tempo sei qui?”. E alla mia risposta, “Quasi 6 anni”, mi incalzano: “Perché?!”.
Non so spiegarlo in poche parole: conservo un “album di emozioni” e da brava amministratrice ho difficoltà a tradurlo in parole. Il fantastico team dell’associazione é un ingrediente fondamentale per questa ricetta di resistenza/resilienza».

TRA MALATTIE E COPRIFUOCO

Covid e altre malattie, come le affrontate?

«Nel 2020 abbiamo trascorso il periodo del covid e il mio primo periodo con questa nuova realtà lavorativa. Non abbiamo sofferto come in Italia, le restrizioni erano blande, c’era solo la paura di essere contagiati e stare male, e allora sì che sarebbe stato un problema, vista l’assenza di ospedali specializzati.
Il 2021 c’è stato un tentativo di colpo di Stato, Bangui era stata dichiarata “Ville mort” (città morta), una città “ibernata” per un paio di settimane e sotto coprifuoco (se ti trovavano per strada non chiedevano un documento o ti facevano una multa, rischiavi di essere ammazzata), che lasciava pochissimo spazio per lo svago, gli amici, per lamentarsi del caldo, delle zanzare, della mancanza d’acqua e degli sbalzi di elettricità che rischiavano di bruciare quello che lasciavi innescato alla presa della corrente».

Ci descrivi una tua giornata tipo?

«Ci si sveglia prendendo il caffè (rigorosamente Quarta!), cercando di mettere in ordine le priorità della giornata, con la consapevolezza che, nel momento in cui metterai piede in ufficio, verrai assalita da mille imprevisti: problemi con le banche, con le macchine, lentezze inesorabili dei Ministeri e cose che si rompono: qui molte cose si rompono con una velocità incredibile.

Seguo principalmente due progetti: il Programma Dream (gestiamo una clinica e un padiglione di ospedale e curiamo circa 3mila pazienti cronici e una media di 100 nuove donne incinte al mese che accompagniamo nel percorso prenatale. Tutti i servizi sanitari sono a pagamento, mentre il nostro programma prevede gratuità e presa in carico in modo olistico del paziente).

E poi abbiamo avviato, da 3 anni, delle campagne di vaccinazione porta a porta per i bambini da 0 a 2 anni.
Per il progetto “mediazione di pace”, mi limito a seguire l’ufficio per evitare problemi di carattere amministrativo e logistico».

“Basta! Mollo tutto e torno in Italia!”, l’hai mai pensato?

«Mi succede spesso, anche più volte nello stesso giorno.
Ci sono periodi in cui mi abbatto e non sopporto il peso della missione, in cui riesco a vedere e sottolineare solo i problemi, i ritardi, le frustrazioni, che raramente mancano durante una giornata di lavoro.
Mi hanno molto aiutato e sostenuto le amicizie qui a Bangui.

Avere delle persone che in un quadro nero intravedono un punto bianco e riescono a fartelo vedere e apprezzare, non è scontato.
È questa la forza che mi è stata trasmessa giorno per giorno, che mi aiuta a inquadrare l’amore per questa professione, mi fa andare avanti e ammirare questo quadro caravaggesco: sebbene prevalgano le ombre, la presenza di luce, minima ma potente (carica di quanto si è realizzato), è dominante».

COSA FARAI DA GRANDE?

Hai già deciso cosa farai in futuro?

«Bisogna sempre tenere alto il morale delle truppa: nel mentre si accavallano le emozioni, il leitmotiv mi ritorna in mente, mentre mi ritrovo a scrivere questa storia, a pochi giorni dalla mia partenza, al momento definitiva, da Bangui.
Questa è la parte relativa al lavoro, ma non c’è solo questo.

A Bangui è presente anche un gruppo locale della Comunità di Sant’Egidio, giovani centroafricani che, malgrado le difficoltà, cercano di vivere lo spirito evangelico della Comunità del Santo.

Lo fanno nella gratuità e nell’amicizia, prestano servizio ai poveri, ai bambini di strada, alla scuola di pace e alla cura degli anziani soli e senza sostegno. Mi emoziona vedere che esistono dei giovani che sperano e lavorano per un futuro diverso per il loro Paese.

Dopo quasi 10 anni di lavoro non so ancora dare una risposta alla domanda che Gabriella mi pone “ogni 2 per 3”: Cosa vuoi fare da grande?! So che voglio continuare, e mi impegnerò al 100% per fare in modo di soddisfare almeno in parte quel desiderio di “cambiare le cose” in meglio. Aiutare, vedere la gente sorridere, scoprire la bellezza delle diversità, affinchè quello che ha spinto una giovane salentina ad affrontare questo mestiere, si avveri.

Ecco la mia risposta: «Non so cosa farò da grande, ma il mio lavoro mi piace e continuerò a farlo».

COME AIUTARE

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«Con una donazione a:

COMUNITÀ DI S. EGIDIO ACAP – ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCI – IBAN: IT36Q0200805074000060045279

Causale: Programma Dream Centrafrica»

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