Attualità
Olivicoltori in marcia sui trattori
È ormai noto che alla nostra agricoltura (a parole) ci pensano tutti ma ogni tanto qualcuno compie anche qualche azione

Passeggiando per le stradine di Otranto, così come quelle di Lecce o di qualunque altro luogo turistico salentino, ci si imbatte in negozi che vendono magliette e souvenir vari che riportano ironiche frasi dialettali e modi di dire. Tra queste magliette ce n’è anche una che, rifacendosi alla segnaletica stradale, indica un ipotetico confine fra la fine della Puglia e l’arrivo nel Salento. A prima vista sembra la classica battuta dal sapore campanilistico ma, tempo fa, Paolo Pagliaro (editore e patròn del Gruppo Telerama), si spinse anche oltre, fondando il movimento Regione Salento che tendeva a sancire in maniera concreta questa divisione. Purtroppo però il contesto storico non era dei migliori, sotto la spinta dell’abolizione delle istituzioni territoriali (all’epoca si blaterava di dover ridurre le province e qualcuno diceva pure alcune regioni, salvo poi non cambiar nulla salvo il sistema di voto dei rappresentanti), non contribuì a dare un serio fondamento al progetto e poi, diciamocela tutta… in pochi ci credevano per davvero. Ciò che invece negli anni successivi, con l’avvento di Re Emiliano I, principe di tutte le Puglie, è via via accaduto, ci fa capire che, una qualche forma di indipendentismo da Bari non è consigliabile ma forse addirittura indispensabile. Esempi ce ne sarebbero davvero tanti ma oggi ci soffermiamo ad ammirare lo scempio che, una visione prettamente baricentrica, sta facendo nel settore dell’agricoltura. La xylella è forse una delle poche cose di cui Re Emiliano non sia imputabile ma di sicuro l’inerzia e la superficialità con la quale è stato affrontato il problema, hanno lui e la sua combriccola come responsabili. Prova ne è il fatto che l’Unione europea ha sanzionato la Puglia proprio per le sue inadempienze in tale materia. Questo però non comporta solo dover tirare fuori dei soldi per pagare la multa (che già di per sé sarebbe una cosa grave) ma impedisce di fatto di poter usufruire dei soldi che sarebbero utili per impiantare nuovi alberi (ma anche di piantarli a spese proprie!) e quindi la responsabilità è doppia. E che dire poi di quei 32 milioni di euro (mica spiccioli per il carrello della spesa) destinati all’olivicoltura salentina (misura 4.1 del PSR Puglia 2014-2020) di cui non si vede neanche all’orizzonte la data in cui verranno messi a disposizione degli agricoltori?
È ormai noto che alla nostra agricoltura (a parole) ci pensano tutti ma ogni tanto qualcuno compie anche qualche azione. Era infatti il lontano 2004, a fare il ministro del settore c’era Alemanno ed in quel periodo fu firmato un Decreto Legislativo (il 102/2004) in cui, tra le altre cose, vennero messi a disposizione circa altri 12 milioni di euro. Ebbene, le richieste dovevano essere presentate entro il termine massimo del settembre 2015 ma, grazie alla solerzia ed al fantasmagorico ed efficientissimo portale della Regione Puglia, molti agricoltori non riescono ancora a completarne la compilazione. Stesso genere di problemi, legati all’inefficienza del portale regionale, si hanno anche in merito ai bandi regionali del cosiddetto “pacchetto giovani” (misure 6.1 e 4.1.A del 25/07/2016) in cui non si riesce a compilare nemmeno l’elaborato tecnico informatico.
Esasperati quindi da una situazione che, come detto, è difficile già di suo senza il carico dell’indolenza dei nostri politicanti “baresi”, il Comitato Olivicoltori Salentini, un movimento di operatori olivicoli nato spontaneamente e completamente apolitico, a bordo dei propri trattori agricoli, consegna ai sindaci di ben oltre 45 comuni salentini, in maniera contestuale, un documento congiunto in cui vengono elencate proprio le inefficienze amministrative regionali che abbiamo visto. In tale documento inoltre si chiedono, senza mezzi termini, le dimissioni dell’Assessore regionale Leonardo Di Gioia, definendolo inadeguato a ricoprire un ruolo così strategico per la Puglia sia per il modo in cui sta affrontando il problema xylella, sia quello legato alla siccità (evidenziando inoltre il fatto che, dal rapporto SVIMEZ, la crescita della Puglia è nettamente inferiore alle altre regioni).
“Oltre alle dimissioni dell’Assessore Di Gioia Chiadimao che l’amministrazione regionale si adoperi con urgenza per permettere almeno agli olivicoltori di impiantare, anche a spese proprie, nuove piante resistenti al batterio”, si legge nel documento consegnato ai Sindaci dai rappresentanti del Movimento, “si chiede la dichiarazione permanente dello stato di calamità naturale ed i conseguenti sgravi fiscali e previdenziali e la moratoria dei mutui bancari per tutti i soggetti della filiera”. Allo scopo di dare particolare enfasi all’iniziativa, colonne di mezzi agricoli percorrono quindi le arterie principali del Salento. È l’unico modo che rimane per far percepire la propria disperazione ma soprattutto la propria rabbia per un’insensibilità politica che appare ormai manifesta. In tutto questo Re Emiliano I di tutte le Puglie non è rimasto insensibile e proprio in questa settimana appena passata ha stanziato “ben” 100mila euro per venire incontro alle esigenze del settore… quasi un’elemosina. Ma si sa, un re ha sempre il piacere altezzoso di compiacersi del proprio potere e di sottolineare il confronto fra la propria importanza e quella del mendicante.
Antonio Memmi
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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