Attualità
Ospedale Tricase: un lunedì di un giorno da cani
Assurdo: eppure dovrebbe essere chiaro a tutti in quali casi e condizioni ci si rivolge al pronto soccorso, “l’uomo smartphone” che inneggia alla tecnologia…

Parlare di Sanità allo sbando è pura follia? Non direi, almeno stando a quanto ho appurato di persona stamane in ospedale. Siamo a Tricase, pronto soccorso, ore 9, ma potrebbe essere Lecce, Gallipoli, Casarano, Scorrano o fate voi: il colpo d’occhio è terrificante. Decine e decine di persone costrette ad attendere fuori dalla sala d’attesa causa Covid (immagino), cercano udienza, fresco e riparo dai 37 gradi che nostro Signore ha deciso di irraggiare di buon mattino per riscaldare il clima e le coscienze.
Quattro ambulanze e 5 macchine in coda, medici e infermieri, come concierge di un 5 stelle, faticano a tenere l’onda d’urto della gente, pazienti che incalzano, pressano, istigano, chiedono di essere visitati, ascoltati, ricevuti, anche per un semplice scambio di opinioni; malati frastornati dal caldo e dall’ansia stesi su una barella, leggono nel soffio del vento una sicura divinazione e scambiano il personale medico e non per il Santo di turno (o una cartomante, una fattucchiera) che li salverà da morte sicura, li farà stare bene o quantomeno allontanerà da loro quella punizione divina dello star male.
“Seccare” in attesa di ricevere soccorso è disumano, ma è ancora più crudele non ricevere aiuto quando si soffre e l’unico motore che gira a pieno regime, e registra ogni cosa, si sa è il cervello, ci siamo passati tutti, e senza risposte immediate e concrete è capace di tutto.
Una volta dentro cerchiamo di capire come mai tanta gente, che sembra in salute, condivide con noi quella via crucis. Le risposte sono sconvolgenti: chi ha dovuto saltare una visita oncologica, chi è arrivato per un’emicrania, chi avverte una lieve pressione al petto, chi necessita di sfogare l’umore con qualcuno, chi non ascoltato dal proprio medico curante ha pensato bene di farsi un giro in ospedale.
Assurdo: eppure dovrebbe essere chiaro a tutti in quali casi e condizioni ci si rivolge al pronto soccorso, “l’uomo smartphone” che inneggia alla tecnologia e ne fa uso ed abuso non riesce a digitare un semplice www ed aprire una semplice “Home” di qualsiasi servizio sanitario ed attenersi alle indicazioni?
Voi, facebookiani di lungo corso, leoni da tastiera senza criniera, attenti alle critiche e pronti a rimarcare e correggere ogni virgola che come bava vi cade dalla bocca, non riuscite a leggere i più banali consigli di chi si appresta in un pronto soccorso, afferrare che se siete lì senza motivo usurpate il posto a qualcuno che ha più bisogno di voi? Lo faccio io per voi, questo è quanto recita la pagina di un qualsiasi servizio sanitario nazionale: “Deve rivolgersi al Pronto Soccorso: una persona che si trova in condizioni cliniche di possibile immediato pericolo di vita, chi se non sottoposta a terapie mediche specifiche in breve tempo, potrebbe incorrere in elevati rischi per la propria salute; persone con danno traumatico o con sintomi acuti che interferiscono con le normali attività. Non ci si deve rivolgere al Pronto Soccorso: per evitare liste di attesa nel caso di visite specialistiche non urgenti; ottenere la compilazione di ricette; ottenere controlli clinici non motivati da situazioni urgenti; evitare di interpellare il proprio Medico curante; ottenere prestazioni che potrebbero essere erogate presso servizi territoriali (Medico di Famiglia, Poliambulatori, Guardia Medica); per comodità, per abitudine, per evitare il pagamento di ticket”.
Questo, sia chiaro, non per gettare la croce solo su qualcuno, ma perché se tutti rispettano i propri ruoli, assolvono il proprio dovere (anche di paziente), aiutano medici ed infermieri a far funzionare meglio la macchina, sostengono i sanitari, sotto stress, a non commettere errori, ad auscultare con pazienza i pazienti, a regolare la loro attività senza pressione, spesso vero detrimento e causa di marchiani sbagli.
Non ultima registro la voce di alcuni medici e infermieri che, meno accaldati per via dell’aria condizionata, ma paonazzi e fuori dalle grazie di Dio, operano nel pronto soccorso e che, forse, aspettavano la goccia (io) per fare traboccare il vaso delle lagnanze, per lamentare la scarsità di personale, i turni massacranti, gli orari da stalking da lavoro, l’ansia crescente come una sonata di Rossini e l’affluenza, già sopra i limiti ed insostenibile, aumentata causa chiusure di altri pronto soccorso, le frotte di turisti arrivati in Salento, tutto questo ha fatto lievitare gli interventi quotidiani, già colmi, di un ulteriore 20%! E non se ne può più!
Nonostante tutto la mattinata è filata liscia, panta rei, direbbe il filosofo; nel complesso nell’arco della mattinata la sfilata delle ambulanze è continuata, come rider in un pit-stop arrivavano “consegnavano” e ripartivano, tutti sono stati regolarmente assistiti, ognuno, almeno fino all’una, si è prodigato perché filasse tutto liscio, unica nota stonata il forno del clima che continuava a “cuocere” a tutte le ore e che, forse, ha contribuito si a riscaldare gli animi, ma anche a sfornare una denuncia che, diversamente, non sarebbe mai nata.
Luigi Zito
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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