Attualità
Scuola: “Perché non facciamo così?”
Mobilità dei docenti da sud a nord: Gabellone, Manca e D’Antini consegnano alla deputazione salentina e ai sindacati le proposte di modifica alla riforma sulla scuola

Un incontro promosso dal presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone con la consigliera provinciale delegata alla Cultura Simona Manca e con la consigliera di parità Filomena D’Antini Solero, per illustrare alla deputazione salentina e alle organizzazioni sindacali alcune proposte “sostanziali” di modifica della legge 107 del 2016 (la cosiddetta legge sulla “Buona Scuola”).
L’iniziativa scaturisce dall’emergenza sociale venutasi a creare nel Salento, come in altre province del Sud d’Italia, in seguito alla mobilità nazionale obbligatoria, che sta portando centinaia di docenti della provincia di Lecce, per la maggior parte donne e madri, a partire per il Nord, lasciando le famiglie, per non perdere il posto di lavoro (in base alla provincia di nascita, sommando i 1441 trasferimenti coatti della secondaria di II grado ai 711 della secondaria di I grado ed ai 1099 della primaria, ben 3.251 docenti pugliesi non hanno avuto la possibilità di restare in regione e, per la sola provincia di Lecce, sono interessate oltre 800 persone).
Hanno accolto l’invito i deputati Roberto Marti e Rocco Palese e il senatore Francesco Bruni, che hanno partecipato all’incontro insieme ai rappresentanti sindacali di categoria Maria Rosaria Valentino (Snals), Gianna Guido (Cisl), Francesca Franza (Cgil), Maria Rosaria Ferilli (Gilda), Giovanni Caretto, Salvatore Florio e Arturo Gaetani (Cisl). Erano presenti, inoltre, il consigliere provinciale Roberto Martella, il consigliere regionale Saverio Congedo ed una folta delegazione di docenti del Coordinamento GAE di Lecce.
Il presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone ha esordito chiarendo: “Queste proposte rappresentano una base di discussione che i parlamentari presenti potranno fare propria. Non sono una soluzione immediata all’emergenza attuale che riguarda i trasferimenti dei docenti nel Nord. Sono misure di ordine generale che vogliamo portare all’attenzione nazionale perché se è vero che la scuola è fondamentale e centrale allora va modificata la legge”.
La consigliera alle Pari Opportunità della Provincia di Lecce Filomena D’Antini Solero ha sottolineato: “Le nostre proposte puntano a tutelare tutti i docenti senza distinzioni, siano essi uomini o donne, anche se è vero che proprio quest’ultime stanno pagando il prezzo più alto”.
La consigliera provinciale con delega alla Cultura Simona Manca ha evidenziato: “Anche se la Provincia non ha una competenza specifica, ci siamo sentiti di fare una proposta organica complessiva che viene incontro alle esigenze di tutti i docenti, di ruolo e precari. La scuola è un settore che la politica deve affrontare con la massima serietà, in maniera organica e con una visione a lungo raggio. Essa deve essere l’ultima spesa sulla quale l’Italia deve fare economia. La politica sulla scuola deve prevedere investimenti e non risparmi. C’è una situazione di allarme sociale che riguarda i docenti in mobilità e quelli del GAE. L’obiettivo è aumentare i posti in organico. A settembre la legge di stabilità e a dicembre la legge finanziaria sono i due passaggi su cui si può intervenire perché le nostre proposte hanno bisogno di risorse e chiediamo ai parlamentari che se ne facciano carico”.
Unanime e positiva è stata la risposta dei tre parlamentari salentini Marti, Bruni e Palese, che hanno “sposato” in pieno le proposte, e hanno assicurato la propria disponibilità a farsene portavoce nelle sedi parlamentari opportune. D’accordo sul contenuto anche i sindacati di categoria, che faranno pervenire nelle prossime ore alla presidenza della Provincia di Lecce eventuali ulteriori proposte tecniche integrative.
Il documento firmato dal presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone, dalla consigliera provinciale Simona Manca e dalla consigliera di Parità Filomena D’Antini Solero, contiene quattro proposte concrete per modificare la legge 107 del 2016 e cambiare in meglio la scuola.
Quattro proposte “strutturali”, che naturalmente non possono essere realizzate in pochi giorni, perché “la soluzione del problema non può e non deve essere una soluzione “tampone” o provvisoria, ma deve essere una soluzione definitiva, di sistema”.
I quattro punti illustrati nel documento congiunto, infatti, possono essere realizzati già dal prossimo anno scolastico se, con la legge finanziaria di dicembre, si decide di investire e di puntare finalmente sulla scuola.
PIU’ TEMPO PIENO
L’offerta formativa dovrebbe essere attraverso un’attivazione consistente del tempo pieno o prolungato nelle scuole. Ciò servirebbe a garantire uno strumento importantissimo per le famiglie e per gli alunni, e al contempo eviterebbe l’esodo di massa dei docenti della scuola primaria che per il 91% sono donne e in moltissimi casi madri con enormi carichi familiari e porterebbe a nuove assunzioni.
SOSTEGNO: I POSTI IN DEROGA TRANSITINO NELL’ORGANICO DELL’AUTONOMIA
I posti in deroga devono transitare nell’organico di diritto, e quindi nell’organico dell’autonomia. Su di essi i migliaia di docenti emigrati dalla Puglia potranno fare ritorno e saranno possibili anche nuove assunzioni.
STOP ALLE CLASSI POLLAIO
Riduzione del numero degli alunni per classe: classi formate con massimo 20 alunni
PROCEDURE DI MOBILITA’ ANNUALI
La legge n. 107/2015 ha previsto l’organico dell’autonomia triennale e l’incarico triennale dei docenti assegnati ai diversi ambiti territoriali. Una logica conseguenza di questo sistema è che anche la mobilità interprovinciale non potrà che essere triennale. Considerato che l’esodo dei docenti del Sud verso le scuole del Nord, è un’emergenza sociale di proporzioni incalcolabili, queste norme devono essere modificate e, a partire dall’a.s. 2016/2017, la mobilità deve essere annuale. L’aumento del numero dei posti che si otterrà grazie alla realizzazione dei tre punti precedenti, farà si che una parte di questi posti, possano costituire la piattaforma organica per i trasferimenti interprovinciali, e quindi per il rientro al Sud ed in Puglia. L’altra parte sarà destinata alle assunzioni in ruolo.
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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