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Attualità

Quando il gallo cantava la mattina

Può sembrare un paradosso, ma è come se l’esordio, il debutto di ciascun nuovo mattino avesse perduto l’applauso d’incoraggiamento più schietto e sincero

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di Rocco Boccadamo


Talvolta, accadeva nel guado fra le residue ombre del buio e gli affioranti barlumi, dai contorni viepiù nitidi e indorati, dell’aurora, nell’immaginifica veste di giovinetta tenera e mite; talvolta ancora, nell’incedere, con movimento lento e lieve, di gruppi di nubi chiare e leggere, in spettacolare passeggio sull’appena dischiusosi tappeto azzurro, oppure all’atto dell’emersione dei primi, sottili raggi dell’immenso astro, dall’orizzonte dell’altra, liquida, distesa.


Parimenti, in circostanze di tempo cupo e intristito, punto sempre fermo, anelito, testimonianza, grido o, se così si vuol dire, suono o semplicemente voce, ecco l’inconfondibile e ineguagliabile chicchirichì.


Lungo il tracciato dei mitici e, agli albori, considerati portentosi binari delle linee ferroviarie Sud Est, nella sezione incedente fra la mediana e il termine del Salento, si ergeva la stazione di Sanarica, strutturalmente simile alle altre umili casupole di fermata, salita e discesa, e però dotata, aggiuntivamente, di un accessorio speciale: un pozzo d’acqua sorgiva, sormontato da una pala fatta ruotare dal vento e, dopodiché, azionante una pompa d’aspirazione e attrezzato, infine, con una sorta di grande rubinetto, anch’esso girevole e orientabile.


A Sanarica, con il prolungamento della sosta per alcuni minuti, si rifornivano della materia prima dell’acqua le grandi caldaie a vapore delle locomotive, acqua poi riscaldata e fatta arrivare ad ebollizione e pressione grazie e corpose palate di carbon fossile lanciate e rovesciate con forza, dall’aiuto macchinista, nel “forno” delle stesse macchine.


Tra sbuffi incalzanti, ondate di nero fumo a spargersi copiose sulla superficie del gigante a vapore e parimenti a ricoprire la divisa, il berretto, quando non anche il volto dell’operatore, così lo stantuffo prendeva abbrivio possente e ritmato, i cerchi del convoglio rinnovavano il movimento scorrendo sulla strada ferrata, con lentezza ma con sicurezza, colmando chilometri: un mondo, le cose, la gente, andavano avanti, verso avventure, destinazioni, obiettivi, mete, o, semplicemente, faccende quotidiane.


All’alba gli uomini…


Nell’arco della stagione bella, piena e calda, fra un raccolto e l’altro, alle luci dell’alba, padri e figli contadini sortivano fuori dagli usci, incedendo silenziosi per non turbare il sonno continuante a beneficio delle donne di casa, in direzione dei poderi, in piano o alle marine, fra piccole distese uniformi o fazzoletti frammisti di terra rossa e roccia.


Il loro obiettivo, o missione, era un lavoro faticoso e, insieme, di pazienza, appellato, dagli addetti, roncare, consistente nello strappo, lo sradicamento, mediante la forza di mani dure, gomiti e braccia, di cespugli d’erbacce classificate inutili, senza frutti, con primato del fieno spontaneo e selvatico.


Risultato, la ripulitura d’ogni quadrato di terreno idoneo per la coltivazione, che diveniva perfettamente lindo, alla stregua degli angoli delle povere ma dignitose dimore domestiche. Via, ad armeggiare così, quegli uomini, man mano maggiormente sudati e accaldati, sino a metà mattino, al sopraggiungere di dardi solari non tollerabili.


Intanto le donne…


Calzini, calzettoni e calze, sferruzzati in lana o cotone dalle donne fra le pareti di casa durante le lunghe serate invernali, a furia d’essere usati quando ne ricorreva il bisogno e non se ne poteva fare a meno, arrivavano a logorarsi e a denotare qualche buco, cedimenti nei fili e nelle maglie qua e là, particolarmente in corrispondenza delle punte dei piedi e dei calcagni.


Pazienza, poco male, alla sorte naturale di tali indumenti, sovvenivano, automaticamente e senza problemi, interventi di rammendo, una riparazione e rimessa a punto accurata, calzini e calze seguitavano a svolgere il loro ruolo per stagioni e anni, nessuno si accorgeva, faceva caso ai rammendi.


Lu Cofinu, il bucato collettivo


In famiglia, il grande bucato collettivo aveva la denominazione precisa di “cofinu”, richiamando il grosso contenitore di terra cotta in cui erano stivati la biancheria e i capi da lavare, il tutto ricoperto, alla sommità, da una spessa coltre di cenere, ricavata e raccolta, con scrupolosità, dalla combustione dei ciocchi di legna nel focolare di cottura dei cibi o di riscaldamento alla buona della casa, oppure dalla bruciatura di foglie, frasche, rami ed erbe del giardino e della vicina campagna, altrimenti non utilizzabili.


Su tale strato di sostanza grigia, si versavano panciuti boccali di acqua, già resa bollente a parte in una grossa caldaia posizionata con un treppiedi su un vigoroso fuoco di legna, con conseguente e immediatamente successiva permeazione della biancheria stivata all’interno del “cofinu”.


Una lunga serie di versamenti, particolarmente benefici e profittevoli, altro che l’azione dei moderni saponi e detersivi, se è vero che, al termine del processo, dal “cofinu”, la padrona di casa tirava fuori, estraeva compiaciuta, capi, grandi e piccoli, bianchissimi, splendenti, da fare una bellissima figura sui fili cui erano appesi per l’asciugatura al cospetto dei raggi del sole.


La vita e la morte scandivano il tempo

Nella suggestione mentale e intima, sul piano del credo popolare, religioso o profano, il percorso esistenziale ineludibile di ciascuno, senza ombra di distinzione per ceto, censo o età, era un tempo poggiato e inframmezzato su scansioni naturali, comuni, nette, conosciute, accettate, condivise: fra esse, al primo posto, le nascite, i matrimoni e, presto o tardi, il commiato dalla vita terrena.


Orbene, quanta differenza e distanza tra siffatto richiamato sentire di ieri e i pensieri, le mode e le usanze in voga nell’attualità!


È addirittura intervenuta la novità, o il vezzo, d’installare, sul tetto dei carri funebri, croci distintive non più diritte e pienamente visibili, bensì stilizzate, sottili, piegate, si notano a malapena.


Questo, forse in omaggio, o per cedimento, a taluni riti, innaturali, soprattutto al canto ammaliatore delle sirene della réclame, mirante unicamente alla creazione, intorno all’utenza, di un’atmosfera magica, d’incanto, incoraggiante, tutta sorrisi, miele ed entusiasmo, giammai da guastare e turbare con immagini, valutate deprimenti, del genere fine vita?


Nelle campagne


Nelle campagne, facevano, sovente, capolino tribù di formiche, animaletti forti, robusti e bruni, del colore dell’humus del terreno. Attive in modo speciale, indaffaratissime, apparivano nelle fasi dei raccolti, impegnate a raccattare avanzi di semi e di minuscoli frutti, che trasportavano con tenacia e fatica nei loro rifugi, a implementazione della dispensa per la stagione invernale.


Non era un’opera solo da favola quella delle formiche, ma un autentico esercizio di laboriosità, affatto dissimile, salvo le proporzioni quantitative, rispetto alle fatiche e attività degli uomini, anche loro, in fondo, preoccupati di far provviste per la famiglia, nella prospettiva di stagioni e mesi privi di frutti e risorse.


Il ricordo di Rita


Parallelamente, appena distanziata di una primavera, cresceva, in uno con lo scrivente, Rita, ragazza dal bel volto, piccola ma tanto carina, soprattutto di carattere e di modi dolcissimi.


Mi piace e mi emoziona ricordarla dopo un sessantennio e passa, lasciar scorrere lungo le mie pupille un po’ stanche, le sue luminose, protese al sorriso.


Non fa niente che Rita se ne sia andata da un pezzo. Forse, io lo spero, ogni tanto capiterà anche a lei di riannodare sprazzi di memoria che mi vedano coinvolto.


I galli di una volta non ci sono più…


Adesso, di galli di una volta non ne esistono punto, di tutt’altro genere sono i pollai rimasti.


Per ritornare al titolo delle presenti note, soprattutto non s’ode più il canto del gallo: può sembrare un paradosso, ma è come se l’esordio, il debutto di ciascun nuovo mattino avesse perduto l’applauso d’incoraggiamento più schietto e sincero.


A parer mio, francamente, v’è da porsi l’augurio di un…ritorno: il chicchirichì al risveglio, al sollevarsi delle palpebre, può configurarsi come viatico d’ottimismo per affrontare gli alti e bassi del presente, fra le pallide luci che ancora resistono e le diffuse cupe ombre, difficoltà, brutture e rischi che abbiamo intorno.


Alcuni anni addietro, nell’intervista a un giornalista del principale quotidiano nazionale, un insigne uomo politico ed economista, alla domanda di cosa bisogna fare, in sostanza, per cercare di vincere l’attuale situazione critica del Paese, ha risposto, voce invero solitaria: “Dobbiamo lavorare di più, tutti”.


Senza farne base per un miracolo o un toccasana, ho personalmente apprezzato l’anzidetta opinione; in quelle cinque parole, ho riascoltato il canto del gallo che manca, a me, ma, alla fin fine, v’è da credere, forse non soltanto a me.


Attualità

Casarano, l’Associazione Placemaking boccia i lavori in centro

Placemaking una preparazione professionale ce l’ha e, in maniera documentata, interviene nel dibattito di questi lavori (che, ricordiamolo, sono finanziati con fondi PNRR per circa 3,5 milioni di Euro).

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di Antonio Memmi

Quando iniziarono lavori di Piazza San Domenico e giardini William Ingrosso a Casarano, il mondo era diverso: Trump non era stato ancora rieletto, non era ancora cominciato il conflitto israelo-palestinese e chat GBT era riservata a pochi eletti. 

Si sa: i lavori pubblici non finiscono, entrano nella leggenda.

In un modo o nell’altro però, fra imprecazioni dei cittadini ed esercizi commerciali chiusi (anche) per l’impossibilità di raggiungerli, pare che almeno i primi abbiano trovato una conclusione. Tutti quindi contenti? Assolutamente NO!

I commenti sui social si rincorrono fra coloro che ne parlano male (tanti) e coloro che vedono qualcosa di positivo (pochi) ma, come sempre accade sui social, la maggior parte dei commentatori non ha alcuna preparazione tecnico artistica per parlare ed il tutto rimane confinato nel gradimentopersonale.

L’Associazione Placemaking invece una preparazione professionale ce l’ha e, in maniera documentata, interviene nel dibattito di questi lavori (che, ricordiamolo, sono finanziati con fondi PNRR per circa 3,5 milioni di Euro).

Nel documento, firmato dalla presidente arch. Loredana Manco, l’Associazione solleva una critica tecnica e civica, non politica, al metodo progettuale adottato e agli esiti degliinterventi. 

Il nodo centrale è l’assenza di una reale coprogettazione con i cittadini: le piazze, secondo l’associazione, non sono semplici superfici da pavimentare, ma luoghi sociali, storici e simbolici che richiedono ascolto e partecipazione autentica.

Viene ricordato come le normative nazionali ed europee, comprese quelle legate al PNRR, promuovano processi partecipativi strutturati e trasparenti, non consultazioni di facciata ed evidenzia inoltre che i fondi PNRR non sono “regali”, ma debito pubblico che graverà sulle future generazioni, rendendo ancora più necessaria una visione strategica di lungo periodo.

Secondo Placemaking Casarano, i due interventi si sono invece limitati a una riqualificazione estetica, senza creare nuove funzioni, opportunità sociali o sviluppo economico, e particolarmente critiche sono le valutazioni su Piazza Umberto I, dove la fontana viene definita un elemento puramente scenografico, e su Piazza San Domenico, giudicata invece priva di una logica urbana, mancando allineamenti, assi civici e gerarchie spaziali.

Un altro punto centrale è poi l’assenza quasi totale di verde, ritenuto un grave errore in termini di sostenibilità climatica e qualità dello spazio pubblico così come viene criticata anche la demolizione del bar storico, sostituito poi da un edificio anonimo, considerato uno strappo all’identità del luogo.

L’Associazione infine contesta le modifiche alla viabilità e la discrepanza tra il progetto realizzato e quello presentato, sottolineando come la piazza rischi di perdere il suo significato simbolico; il tutto porta quindi verso una conclusione che è una bocciatura netta: le critiche, aggiunge, non sono un attacco politico, ma un atto di cittadinanza attiva.

E così, dopo anni in cui si attende l’inaugurazione più come una liberazione, si comprende come non sempre ciò che dura a lungo lascia il segno… qualche volta lascia solo domande.

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Attualità

I carabinieri portano la magia del Natale in reparto

L’iniziativa ha coinvolto in particolare i piccoli pazienti dei reparti di Oncologia, Chirurgia, Reumatologia, Immunologia e Pediatria Generale…

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Un gesto che scalda i cuori in pieno periodo natalizio: i Carabinieri di Lecce hanno portato la magia delle feste nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale “Vito Fazzi”, donando giocattoli e materiale didattico ai bambini ricoverati. 

L’iniziativa ha coinvolto in particolare i piccoli pazienti dei reparti di Oncologia, Chirurgia, Reumatologia, Immunologia e Pediatria Generale, dove opera con dedizione Suor Alessandra Notaro.

Grazie alla preziosa collaborazione della dott.ssa Roberta Tornese e della direzione sanitaria, l’evento è stato accolto con grande entusiasmo da grandi e piccini. 

Presenti i responsabili dei reparti – tra cui la dott.ssa Assunta Tornesello, la dott.ssa Lucia Russo e la dott.ssa Adele Civino, oltre ad una folta rappresentanza di operatori sanitari.

I militari, in veste di Babbo Natale, hanno testimoniato l’attenzione costante dell’Arma verso i più piccoli, augurando a ciascun bambino di vincere la propria battaglia contro la malattia. Questo impegno va oltre le attività istituzionali di tutela e sicurezza, rafforzando il legame con il territorio attraverso gesti di prossimità verso le fasce più fragili.

Dal Comando dei Carabinieri si sottolinea come la sinergia tra Arma e personale sanitario trasformi l’ospedale in un luogo di speranza e solidarietà autentica, dimostrando il valore della vicinanza umana nelle azioni quotidiane.

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Aradeo

Serie di misure della Polizia: tra fogli di via, truffa nei confronti di anziani e rissa

Sono state allertate le forze di Polizia e sul posto sono arrivati gli agenti del Commissariato di Galatina e i Carabinieri di Aradeo che hanno riscontrato evidenti segni della colluttazione, mentre il ferito veniva trasportato d’urgenza presso il pronto soccorso…

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Le attività di controllo del territorio della Polizia di Stato nella trascorsa settimana hanno dato luogo all’emissione di diverse misure di prevenzione 

I report dei controlli dell’ultima settimana della Polizia vedono l’emissione di diverse misure di prevenzione tra le quali: due ammonimenti del Questore, uno nei confronti di un 38enne e l’altro di un 34enne, entrambi per atti persecutori nei confronti delle rispettive ex-compagne;

Tre fogli di via obbligatori: uno per truffa aggravata e continuata in concorso in danno di anziani nei confronti di un 42 enne di Napoli che vieta di fare ritorno nel comune di Aradeo per tre anni; 

un altro di 3 anni nei confronti di un 44enne originario di Napoli per truffa aggravata in concorso che fingendosi un appartenente all’Arma dei Carabinieri, tentava insieme a un complice, una truffa in danno di anziani a Cursi; 

il terzo foglio di via vieta l’ingresso ad Uggiano la Chiesa per due anni ad un 23enne di Scorrano che, alla guida di un’auto sprovvisto di patente, non si fermava all’alt dei Carabinieri innescando una fuga che creava pericolo tra gli abitanti del predetto paese. 

Due Daspo: uno di tre anni nei confronti di un 47enne di Bagnolo del Salento e uno di due anni per un 17enne di Carovigno (Br) a seguito dei fatti occorsi durante l’incontro di calcio “Polis Bagnolo Vs Città di Carovigno” il 16 novembre u.s. disputatosi presso lo stadio comunale di Otranto, dove alcuni tifosi delle opposte tifoserie hanno dato luogo ad un pericoloso lancio di oggetti in cui una bottiglia in vetro si è infranta in direzione delle forze dell’ordine.

Inoltre è stato notificata un Dacur  per i fatti occorsi in un bar di Aradeo il 15 novembre u.s. quando nel locale si è verificata una violenta rissa tra alcuni avventori, scaturita da futili motivi riconducibili all’abuso di sostanze alcoliche. 

Durante l’alterco, uno dei soggetti coinvolti ha estratto un coltello colpendo al fianco sinistro un altro avventore, provocando una ferita con abbondante perdita di sangue.

Sono state allertate le forze di Polizia e sul posto sono arrivati gli agenti del Commissariato di Galatina e i Carabinieri di Aradeo che hanno riscontrato evidenti segni della colluttazione, mentre il ferito veniva trasportato d’urgenza presso il pronto soccorso.

Tutti i soggetti coinvolti risultano gravati da precedenti di polizia, incluso l’autore dell’accoltellamento, un 49enne del posto, deferito in stato di libertà per lesioni personali e porto illegale d’arma.

L’episodio, avvenuto in orario preserale in un locale aperto al pubblico, ha generato particolare allarme sociale, determinando una concreta minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblica, per tali motivi l’autore dell’aggressione è stato colpito dalla misura di prevenzione del Dacur, che vieta al responsabile la frequentazione dell’esercizio commerciale teatro dei fatti, nonché di altri bar e locali pubblici situati nel centro abitato di Aradeo.

La Divisione Anticrimine della Questura di Lecce ha avviato una specifica istruttoria finalizzata all’adozione di ulteriori misure di prevenzione nei confronti di altri soggetti coinvolti nella rissa. 

Parallelamente, la Squadra Amministrativa della Questura ha avviato il procedimento per la sospensione, per dieci giorni, della licenza a carico del titolare del locale.

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