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Cronaca

Indagato Stefanazzi, capo gabinetto di Emiliano

Perquisita l’abitazione del funzionario originario di Tricase. Truffa e abuso d’ufficio le ipotesi di reato. Lui si difende su facebook: “Accusa infondata”

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La Guardia di Finanza ha eseguito delle perquisizioni nei confronti di Claudio Michele Stefanazzi, capo di gabinetto del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.


Oltre al funzionario, originario di Tricase, perquisizioni anche nei confronti della moglie Milena Rizzo e dell’imprenditore Vito Ladisa.


L’inchiesta della Guardia di Finanza, coordinata dal pm Savina Toscani, è relativa ad un corso di formazione finanziato dalla Regione Puglia, eseguito dalla società Ladisa Srl e gestito dalla società dove lavorava la moglie di Stefanazzi.


I reati ipotizzati sono truffa aggravata e abuso d’ufficio. I finanzieri hanno acquisito documentazione nella sede della società Ladisa e nella sede di una società di formazione.


I fatti contestati risalgono agli anni 2016-2018.


Stefanazzi e Ladisa sono indagati, sempre dalla procura di Bari, anche per presunti illeciti legati al finanziamento della campagna elettorale per le primarie del Pd del 2017.


Lo stesso Stefanazzi ha già pubblicato un post su facebook per dire la sua sul decreto di perquisizione per truffa e abuso d’ufficio di cui è stato destinatario: “Gli atti pubblici depositati presso la Regione“, scrive il funzionario salentino, “attestano il regolare ed effettivo svolgimento delle attività di formazione connesse al Piano“.


Secondo Stefanazzi, “contestare la effettività della attività formativa effettuata significherebbe coinvolgere nell’eventuale reato una miriade di pubblici funzionari. Falsificare queste carte appare effettivamente piuttosto difficile“.


Claudio Stefanazzi con il Governatore Emiliano


Il Capo Gabinetto definisce anche “infondata” l’ipotesi della magistratura bareseche lo ritiene amministratore di fattodella società di formazione per la quale lavorava la moglie, la Dinamo srl di Lecce.


L’accusa“, si legge ancora nel posto di Claudio Stefanazzi, “riguarda la gestione, da parte della società di cui mia moglie era dipendente fino ad un anno fa, di un PFA, Piano Formativo Aziendale. Il Piano Formativo Aziendale è uno strumento di finanziamento di iniziative di formazione della Regione Puglia a beneficio di tutte le aziende per la riqualificazione delle competenze dei propri lavoratori” e “tutti coloro che richiedono un PFA e che rispettano i requisiti, vengono finanziati“.

Raffaele Fitto: “Doppia morale a secondo della convenienza”


Sulla vicenda interviene anche Raffaele Fitto che attacca direttamente Emiliano: “Il presidente poteva risparmiarsi l’attenta analisi della vicenda che sta riguardando il suo Capo di Gabinetto. Noi siamo sempre garantisti e confidiamo nel lavoro della Magistratura. Lo siamo stati anche nei confronti dei suoi ex assessori defenestrati dalla Giunta senza che lui avesse fatto la stessa analisi che invece ha riservato oggi a Stefanazzi e qualche giorno fa all’assessore al Welfare, Ruggeri. Sarà un caso che nelle inchieste che hanno investito sia Stefanazzi, sia Ruggeri sia lui stesso indagato e quindi prima di chiedere le loro dimissioni avrebbe dovuto dare le sue“.


Secondo Fitto “questo garantismo di Emiliano a doppio binario dovrebbe far riflettere tutti: la doppia morale a seconda della convenienza è spesso un brutto vizio del centrosinistra”.


I 5 Stelle: “Emiliano e Stefanazzi di dimettano”


Sulla vicenda anche una nota dei consiglieri del M5S Puglia: Emiliano rispetti il lavoro della magistratura“, scrivono, “non spetta a lui assolvere qualcuno prima della chiusura delle indagini e poi cercare di correggere il tiro concedendo alla magistratura il diritto d’indagare. Piuttosto ci saremmo aspettati che chiedesse le dimissioni del capo di Gabinetto Stefanazzi, come fatto in passato per i suoi assessori, anche se non indagati. Ma neanche questo può più fare, dal momento che essendo lui stesso coinvolto in tre inchieste, dovrebbe essere il primo a staccarsi dalla poltrona. Lui e Stefanazzi devono dimettersi“.


Secondo i consiglieri pentastellati è “chiaro che gli stia sfuggendo la situazione di mano: il consigliere Cera ai domiciliari con l’accusa di induzione indebita a dare o promettere utilità, l’assessore Ruggeri indagato per corruzione nell’inchiesta sulla nomina del commissario dell’ASP di Chieuti e l’ex assessore Caracciolo, su cui ieri abbiamo letto la notizia della chiusura delle indagini con le accuse di corruzione e turbativa d’asta. Decisamente troppo per chi fa della legalità la sua bandiera“.


Poi l’invito: “È necessario che Emiliano venga in Consiglio a riferire su quanto sta succedendo, senza dare vita alle scenate a cui ci ha abituati. In ogni caso, a prescindere da quanto leggiamo sui giornali a proposito dell’indagine, emerge chiaramente un problema nella gestione della Formazione in Puglia. Una situazione che più volte abbiamo sollevato, ma su cui si è preferito far finta di niente. Da anni chiediamo di attivare il monitoraggio per verificare la qualità e l’efficienza degli interventi formativi erogati dagli enti di formazione accreditati. Questo sia per garantire la corretta partecipazione ai bandi regionali che il miglior servizio ai cittadini. Abbiamo chiesto più volte anche l’introduzione della figura del valutatore indipendente a cui spetterebbero i compiti di verificare la qualità delle politiche della formazione e di elaborare una relazione annuale da presentare in Consiglio, in modo da poter valutare e superare eventuali criticità. Gli enti di formazione hanno un ruolo fondamentale, per questo chiediamo la garanzia che i servizi erogati vengano monitorati e valutati in base alla loro efficacia. Ovviamente niente è stato fatto: come per le nomine si aspettano le inchieste prima di provare a cambiare le cose“. 


In conclusione i consiglieri del M5S Puglia si chiedono: “Emiliano con tutti questi componenti della propria maggioranza indagati e sottoposti a misure cautelari, riesce a dormire serenamente o qualche senso di colpa, per le scelte fatte, glielo impedisce?



Cronaca

Incendio sul litorale di Salve: ecco il CanadAir

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Un vasto incendio è divampato questa mattina tra Torre Pali e Pescoluse, nella zona costiera di Salve, nel basso Salento.

Le fiamme hanno interessato l’area di macchia mediterranea, minacciando diverse villette estive e la strada provinciale, invasa dal fumo e chiusa al traffico.

Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, per garantire lo svolgimento delle operazioni di spegnimento e impedire che le fiamme raggiungessero anche le spiagge di Pescoluse.

Fumo trasportato verso il mare: bagnanti allontanati

Il vento ha portato il fumo direttamente verso la costa, invadendo un tratto di spiaggia. Le nuvole nere hanno reso l’aria irrespirabile, costringendo molti dei bagnanti presenti a interrompere il bagno e lasciare la spiaggia.

Necessario un CanadAir

Non si registrano feriti o vittime.

Tuttavia, le fiamme hanno continuato ad espandersi e per riuscire a circoscriverle si è reso necessario l’intervento di un CanadAir, entrato in azione attorno alle 16.

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Cronaca

Maglie: defunti in ostaggio dei vivi

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di Lorenzo Zito

La coscienza popolare insegna che la morte non guarda in faccia a nessuno.

Eppure, a Maglie il trapasso non è sempre una livella, come recitava il grande Totò.

C’è un fenomeno in città che serpeggia sottotraccia e che riguarda la gestione del cimitero comunale, per alcuni migliorabile.

Capita, di tanto in tanto (ma nemmeno così troppo), che i loculi disponibili per le tumulazioni si esauriscano, a danno dei defunti che si ritrovano a dover attendere un posto dove poter riposare in eterno.

I nostri son piccoli centri: ne deriva che, fortunatamente, l’effetto non è quello di alcune grandi città del nostro Mezzogiorno, dove interi depositi si ritrovano a fungere da sale d’attesa per la sepoltura.

Tuttavia, anche a Maglie qualcosa di anomalo perdura, come da noi verificato, dopo che, in questi mesi, più d’una voce si era approssimata a riguardo all’orecchio della nostra redazione.

TRA POLITICA E CONFRATERNITE

L’attuale contesto è figlio di più contingenze.

Una di queste sembra essere una scelta politica intrapresa qualche amministrazione fa.

Circa 15 anni or sono, furono realizzati nuovi loculi e fu pubblicato un bando per la loro cessione ai cittadini attraverso un’azienda privata.

L’appalto fu vinto da una ditta che aveva mandato di cederli in serie (da 3, 6 o 9) a famiglie che volevano riservarsi uno spazio all’interno del cimitero cittadino.

Alcuni anni dopo la vendita in serie fu sciolta, procedendo (sotto l’amministrazione guidata da Antonio Fitto) alla vendita di ciascun loculo singolarmente.

Fu così che tutti i nuovi spazi furono ceduti a privati, lasciando chiaramente quella porzione di cittadinanza che non aveva voluto o non aveva potuto provvedere all’acquisto, sprovvista di una propria nicchia.

«TALVOLTA È CAPITATO»

Eccoci quindi arrivare ai giorni nostri, il cui contesto, per esser al meglio interpretato, necessita anche di una seconda prospettiva.

Quella inerente al ruolo delle confraternite cittadine.

A Maglie esistono quattro confraternite.

La Confraternita della Maria SS. Addolorata; la Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia; la Madonna delle Grazie e quella dei SS. Medici, che peraltro è tra le più grandi di Puglia (oltre 4mila confratelli).

Come accade quasi in ogni Comune, ciascuna confraternita possiede una cappella e dei loculi dedicati ai propri defunti all’interno del cimitero comunale.

Incontrando e dialogando con alcuni rappresentanti di queste, abbiamo avuto conferma di quanto si dice in paese: «talvolta è capitato» che arrivasse qualche chiamata per richiederci la disponibilità di loculi da far utilizzare a persone estranee alle confraternite. Così come talvolta capita che alcuni di questi loculi siano stati assegnati a dei non iscritti (magari negli spazi meno ambiti, come le ultime file della cappella, ci spiega qualcuno), per venire incontro alle richieste che si susseguono. La stessa cronaca lo racconta: la giovane magliese tragicamente scomparsa a Napoli lo scorso dicembre, in seguito all’incendio che ha colpito il B&B dove alloggiava, è stata tumulata tra i defunti della Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia, pur non essendone consorella.

Ecco allora che, leggendo tra le righe, qualcuno si spinge finalmente oltre e trova il coraggio di darci la sua lettura: da un lato, le confraternite vengono utilizzate come stampella per sopperire alla carenza di loculi pubblici; dall’altro, le stesse sono diventate l’approdo prediletto di chi, non volendo finire nella lotteria delle sepolture e non essendo disposto ad acquistare un loculo tutto per sé, si iscrive alla confraternita per pensare alla morte con meno patemi.

«Non prendiamoci in giro», commenta un esponente di una delle quattro confraternite, che preferisce restare anonimo, «in tanti oggi si uniscono alle confraternite non certo per fede, ma proprio per avere la certezza (in cambio di un obolo contenuto) di una sepoltura degna, all’interno di un contesto decoroso, come quello delle nostre cappelle, piuttosto che negli spazi pubblici, lasciati al degrado».

Controtendenza nella controtendenza, oltre al picco di devozione registrato a mo’ di indulto, si segnala anche un altro fenomeno: in un periodo storico in cui le famiglie tendono a perpetrare la sepoltura dei propri cari (anche ben oltre i 30 anni), sempre di più sarebbero a Maglie i confratelli che, per ottenere uno spazio all’interno delle cappelle, procedono alla dissepoltura di famigliari mancati da lungo tempo per far spazio ai propri cari defunti recentemente.

Da un lato quindi i loculi privati, già ceduti ai cittadini che si sono potuti permettere un posto da cui osservarsi nell’aldilà. Dall’altro le confraternite, che dispongono di una riserva di loculi, a volte croce ed altre delizia. A ciò si aggiunga un’altra informazione che, tra i denti, sfugge alle chiacchierate intercorse in questi giorni, sempre con alcune delle suddette confraternite: non di rado, vengono effettuate delle sepolture temporanee, nell’attesa di traslare la salma in loculi idonei non appena se ne presenti la possibilità.

«UN BISOGNO, NON UN’EMERGENZA»

Ma quando si presenta questa possibilità?

Lo dice, implicitamente, il sindaco facente funzioni, Antonio Fitto – già primo cittadino della città tra il 1997 e il 2000 – oggi subentrato in qualità di consigliere comunale più anziano, a seguito della sospensione del sindaco uscente Ernesto Toma, attualmente agli arresti domiciliari per presunti reati contro la pubblica amministrazione, come emerso da recenti inchieste giudiziarie.

«Non parlerei di emergenza», ci spiega Fitto, «al più di qualche estemporanea criticità. L’ultima volta in cui ricordo che una salma abbia dovuto attendere per la tumulazione risale al 2023».

«La nostra amministrazione», continua, «ha già previsto risorse da destinare alla costruzione di nuovi loculi. Attività non ancora partita solo per via di un avvicendamento negli uffici comunali, che ha rallentato l’iter. L’intenzione», ammette infine, «è quella di non dover più inseguire le estumulazioni».

L’AGO DELLA BILANCIA

Sono quindi le estumulazioni il vero ago della bilancia.

L’unico elemento in grado di garantire nuovi posti ai nuovi defunti.

L’idea del Comune per venir meno a questa dinamica, tuttavia, sembra quella di replicare le misure di qualche anno fa: «Realizzeremo dei nuovi loculi a schiera, che saranno messi in vendita. In questo modo, il Comune potrà rientrare delle somme investite».

Emerge insomma un dato evidente: i loculi disponibili sono terminati, e oggi si “insegue” l’estumulazione per fare spazio. E se è vero che presto si procederà alla realizzazione di nuovi loculi, è altrettanto vero che questi verranno messi in vendita.

Ciò significa che, una volta acquistati da cittadini ancora in vita – desiderosi di garantirsi uno spazio per il futuro – il ritorno alla situazione attuale è più che un rischio.

Sul tema ha preso parola anche il gruppo consigliare all’opposizione, Maje Noscia, affermando che «la gestione del cimitero va completamente ripensata, anche adottando un nuovo Piano Regolatore Cimiteriale. Le attuali criticità sono figlie anche della scelta compiuta dall’amministrazione nel 2010, all’epoca guidata da Antonio Fitto, che ha ritenuto affidare in concessione ad un’impresa privata i lavori inerenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione del cimitero (la cui cattiva esecuzione dei lavori è sotto gli occhi di tutti), in cambio del diritto del privato a realizzare e vendere 21 edicole funerarie, oltre che circa 700 singoli loculi».

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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