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Attualità

Roberto Caputo, cento anni dall’uccisione per mano fascista

La storia del “personaggio scomodo” giustiziato a Tricase nel 1923

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roberto caputo

a cura di Salvatore Coppola


L’uccisione di Roberto Caputo si inquadra nel contesto storico della contrapposizione tra i Fasci e le non molte sezioni di ex combattenti del Salento, che nei primi mesi del 1923, si dimostrarono contrarie alla loro forzata incorporazione all’interno delle sezioni fasciste (nonostante che, in campo nazionale, i rapporti tra i dirigenti dell’Associazione Nazionale Combattenti e quelli del Partito Nazionale Fascista fossero molto stretti).


Il contesto storico


A differenza di quanto era avvenuto in grossi centri a forte concentrazione contadina (Nardò, Taviano, Ugento), dove, fin dai primi mesi del 1921, le squadre fasciste erano state create dagli agrari per stroncare le lotte dei braccianti per la concessione delle terre incolte, a Tricase il Fascio fu costituito solo dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922. La città non aveva vissuto le “turbolenze” del biennio rosso, non si erano registrate grandi manifestazioni di lotta né si era sviluppato il movimento di occupazione delle terre in quanto la maggioranza dei lavoratori agricoli erano piccoli e medi proprietari, in gran parte dediti alla coltivazione del tabacco; la tabacchicoltura, inoltre, favoriva l’occupazione della manodopera femminile negli opifici privati, oltre che nei magazzini del Consorzio. Altre opportunità di occupazione erano poi assicurate dalla presenza sul territorio dell’officina e del deposito delle Ferrovie Salentine, di uffici pubblici, attività commerciali ed artigianali. In tale contesto politico e sociale, dopo la marcia su Roma fu costituita, nei primi giorni di novembre 1922, la sezione fascista, di cui fu nominato segretario politico Vittorio Facchini. Poco dopo, però, a seguito di contrasti interni, fu eletto segretario il dr. Rodolfo Caputo, cugino del vicepresidente della Sezione Circondariale Combattenti Roberto Caputo, il quale fu accusato dai membri del precedente Direttorio di essere stato l’artefice del cambio al vertice del Fascio. L’operazione politica, però, fu di brevissima durata. Il commissario di zona del Partito Nazionale Fascista avvocato Oronzo Portaccio, infatti, convocò gli iscritti per procedere a nuove elezioni che portarono alla rielezione di Vittorio Facchini a segretario politico e alla nomina di un nuovo Direttorio (Giuseppe Cafiero, Giuseppe Cavalieri, Oreste Contegiacomo, Luigi Provenzano e Vincenzo Pesapane). La sezione contava meno di duecento iscritti, mentre quella degli ex combattenti ne contava settecento, la maggior parte dei quali non erano iscritti al Fascio. Costituita nel 1919, la Sezione Circondariale Combattenti, guidata da Oreste Contegiacomo (presidente) e Roberto Caputo (vicepresidente), oltre a esercitare le funzioni proprie di assistenza socioeconomica a favore dei soci, si impegnava per favorirne il collocamento al lavoro attraverso la costituzione di cooperative di consumo, di produzione e lavoro. Grazie all’impegno di Roberto Caputo, che godeva della stima dei dirigenti della Federazione Provinciale, la stessa fungeva da sezione guida per quelle del Circondario (si tenevano a Tricase, infatti, i convegni periodici e i congressi zonali a cui partecipavano dirigenti locali e provinciali). Roberto Caputo (impiegato presso le Ferrovie Salentine) era sinceramente convinto della necessità di preservarne l’autonomia. I dirigenti del Fascio cominciarono a muovere nei suoi confronti generiche accuse di “bolscevismo”, non solo o non tanto perché aveva nel passato manifestato simpatie per le idee socialiste, ma soprattutto perché, in occasione dello sciopero nazionale contro il fascismo del 31 luglio 1922, aveva sollecitato i ferrovieri a parteciparvi.  Agli inizi del 1923 non esisteva in Tricase, di fatto, alcuna forma di opposizione al fascismo da parte delle organizzazioni politiche tradizionali (partiti e Leghe sindacali); solo la Sezione Circondariale Combattenti si schierava in molte occasioni apertamente e con coraggio contro le iniziative politiche del Fascio, che la accusava, per questo, di minare «la gloriosa ascensione del fascismo» a Tricase.


Personaggio scomodo


Essendo stata bocciata dalla maggioranza degli ex combattenti la proposta di fusione o di stretta collaborazione con il Fascio, il presidente Oreste Contegiacomo (che faceva parte del Direttorio fascista) rassegnò le dimissioni motivandole col fatto che, essendo egli un «ex combattente vero», non poteva continuare a presiedere una sezione della quale facevano parte soci che, nei mesi precedenti, avevano manifestato «idee alquanto sovversive e giudizi non rispondenti a verità». A parere del segretario politico del Fascio (che informò i vertici zonali del partito) egli si riferiva a Caputo, accusato di svolgere propaganda antifascista, come si era visto in occasione della celebrazione del XXIV Maggio, quando egli ed altri dirigenti della sezione avevamo tentato di dare alla cerimonia «un significato antifascista». Nel corso di una riunione congiunta dei vertici della Federazione Provinciale Combattenti (guidata da Leonardo Mandragora) e della Federazione provinciale del PNF tenuta a Lecce il 30 maggio 1923, gli avvocati Guido Franco da Gallipoli e Oronzo Portaccio da Taviano (rispettivamente segretario provinciale e commissario zonale del PNF) decisero di costituire una commissione paritetica che avrebbe esaminato lo stato dei rapporti tra combattenti e fascisti allo scopo di favorire la formazione di un «fronte unico» per una leale e fraterna collaborazione tra le due organizzazioni. A partire dal mese di luglio, con sempre maggiore insistenza, il segretario del Fascio chiese ai dirigenti provinciali e zonali del partito di utilizzare la propria autorità politica per convincere gli organi provinciali della Federazione Combattenti a rimuovere Caputo dalla carica di presidente; questi venne, in effetti, rimosso e sostituito, ufficialmente, con l’avvocato Francesco Piccolo, ma continuò a godere della stima dei dirigenti provinciali i quali non potevano né volevano impedirgli di partecipare all’attività della sezione, come chiedeva il Fascio. La grande stima e il grande affetto che nutrivano per lui gli iscritti resero pressoché inefficace la decisione di sospenderlo dalla carica di presidente, per cui, di fatto, Caputo continuò a svolgerne le funzioni, alimentando il rancore dei suoi avversari politici. Nelle lettere che, tra luglio e settembre 1923, il segretario politico del Fascio indirizzò al dirigente zonale e provinciale del PNF Oronzo Portaccio, ritorna, perentorio, il ciceroniano quousque tandem? Fino a quando i vertici provinciali del PNF sarebbero rimasti inerti di fronte alla pervicacia antifascista di Caputo? Fino a quando sarebbe stato tollerato che Caputo continuasse a ostacolare la piena affermazione del fascismo a Tricase? Fino a quando gruppi «non omologati al fascismo» avrebbero continuato a pretendere di preservare la propria autonomia politica? Si rendeva necessario – a parere dei dirigenti del Fascio – un deciso intervento per costringere alle dimissioni il Caputo, «un individuo che tiene un paese in subbuglio, un Fascio da dieci mesi in agitazione, un individuo che fa vergogna all’Associazione ex combattenti». Quali le “gravi” colpe del Caputo? «Tutti i nostri avversari fanno capo al Caputo, siano essi disertori o imboscati, ex combattenti o non, bianchi o rossi, poco importa ricevono da lui protezione perché nostri nemici», queste le accuse mosse nei suoi confronti. E, ancora: «continuando così, dinanzi all’opinione pubblica locale, scemerà anche il valore morale del Fascio, poiché fanno capire ad arte che noi non si reagisce perché più deboli e vili, e spesso debbo lottare perché i fascisti non manganellino coloro che insozzano con la loro iscrizione l’Associazione ex combattenti […] è col cuore sanguinante che in qualità di fascista ed ex combattente vero vedo il disaccordo fra la nostra Sezione e quella degli ex combattenti, cosa che nell’interesse nostro e loro dovrebbe cessare. E’ mio parere che la Federazione Provinciale ex Combattenti voglia prendersi giuoco di noi tutti. Difatti quale canzonatura è quella della sospensione del Caputo, se questi non ha per un giorno cessato dallo sbrigare tutte le pratiche inerenti alla Sezione, ed è costantemente assieme all’avv. Piccoli a confabulare in modo così misterioso che pare congiurino?!?». Appare verosimile che la volontà politica di raggiungere al più presto l’obiettivo della completa fascistizzazione del paese portasse qualche dirigente ad usare nei confronti di chi veniva percepito come un tenace avversario politico espressioni e frasi del tipo «sembra assurdo che non si riesca a togliere di mezzo un individuo», che poi l’esaltazione passionale di qualche militante avrebbe potuto interpretare in un senso diverso e con esiti drammatici; si rendevano conto di ciò i dirigenti del Fascio? Di fronte a quanto sarebbe di lì a poco accaduto, porsi questa domanda non appare inutile per una corretta indagine storica. Se non si tiene conto di come il fascismo avesse, con la sua cultura dell’odio e della violenza, sconvolto gli animi di quanti vi avevano aderito, non si riuscirà a comprendere fino in fondo il senso degli avvenimenti che, pur circoscritti ad una piccola realtà come Tricase, possono essere utili per la comprensione della stessa storia nazionale. L’obiettivo dei dirigenti del Fascio era quello di mettere Caputo nella condizione di non poterne ostacolare i progetti, nessuno di loro probabilmente si rese conto che il tono violento delle loro pretese e la volontà, anch’essa violenta, di non consentirgli alcuna attività politica, avrebbero potuto creare le condizioni perché si giungesse ad esiti drammatici.


L’assassinio


Sulla base dei documenti giudiziari, è possibile sostenere che nessuno dei dirigenti fascisti avrebbe voluto che i forti contrasti politici esistenti portassero all’eliminazione fisica di Roberto Caputo da parte di Emanuele Adago (tra i fondatori del Fascio), il quale, nell’esaltazione parossistica di un presunto compito di «pacificazione» che il fascismo in quanto «Idea e Programma» gli assegnava, non esitò, la sera di quella tragica domenica 23 settembre, ad uccidere colui che veniva percepito come «l’Ostacolo sulla strada del trionfo e dell’affermazione della nuova Italia, sulla strada della conquista degli animi e delle coscienze dei Tricasini». Dalle indagini condotte dalla polizia giudiziaria, dalle testimonianze, dai memoriali indirizzati da Adago al Giudice Istruttore e al Presidente della Corte di Cassazione, emerge il movente politico dell’omicidio. Lo stesso Adago, dopo qualche timido tentativo di dimostrare che a spingerlo al delitto era stata una «provocazione» messa in atto da Roberto Caputo (provocazione esclusa, però, da tutte le testimonianze), in seguito sostenne sempre la tesi dell’insanabile contrasto politico come movente dell’omicidio. Nel Caffè del Tempio, alla presenza di numerosi avventori, Adago esplose un primo colpo che raggiunse Caputo alla spalla costringendolo a piegarsi su se stesso e, prima che gli esterrefatti presenti, «paralizzati dal terribile avvenimento», potessero fare qualcosa per bloccarlo, Adago, a bruciapelo, esplose due colpi che raggiunsero al torace Caputo, che stramazzò al suolo, invano soccorso da un gruppo di amici che non poterono fare altro che constatarne la morte. Caputo lasciava la vedova Erminia Turco e due bambini piccoli, Bonaventura e Aida; anche il suo assassino era padre di tre figli.


I giornali locali

Sotto il titolo L’efferato delitto di Tricase il giornale La Provincia di Lecce del 30 settembre riportò la notizia dando un ampio risalto alla descrizione dei fatti, alla reazione della folla e al funerale che si era svolto il martedì successivo con una grande partecipazione di popolo. Nell’articolo si legge, inoltre, che il giorno successivo all’uccisione di Caputo («di sentimenti pacifici e patriottici era amato da tutto il paese che ammirava in lui il giovane laborioso, gioviale e disinteressato») una folla numerosa si era recata nella sede del Fascio, si era fatta consegnare la chiave e il gagliardetto, aveva preso i ritratti e le bandiere che vi si trovavano e aveva depositato il tutto nella Sezione Circondariale Combattenti, mentre i negozi e gli stabilimenti erano rimasti chiusi in segno di lutto.


Il funerale


Al funerale avevano partecipato una massa imponente di popolo e le delegazioni dell’Associazione Provinciale Combattenti, dell’Associazione provinciale e locale dei Ferrovieri, oltre alle autorità comunali. Sul giornale locale (Il Tallone d’Italia) la notizia dell’uccisione di Caputo (ricondotta ad un episodio di cronaca nera) venne presentata come l’esito drammatico di un diverbio e di una rissa «tra l’operaio tappezziere delle ferrovie salentine Roberto Caputo da Tricase e il meccanico Adago Emanuele nativo di Ginosa e residente a Tricase da più di trent’anni». Non seguiva alcun commento, tranne una breve considerazione finale («ci asteniamo dal raccogliere le diverse versioni del fatto che corrono nella bocca del pubblico per rispetto alle autorità inquirenti»).


Processo e (lieve) condanna


L’avvocato Antonio Dell’Abate, difensore di Adago, sostenne la tesi del «delitto politico avente fine nazionale»; tutte le circostanze al vaglio degli inquirenti, d’altronde, sembravano convergere in tale direzione.  La sentenza, emessa il 13 maggio 1925, configurò il delitto come omicidio volontario; concessi i benefici della «provocazione lieve» (che comportava la riduzione di un terzo della pena prevista nel minimo di anni 18), e delle «attenuanti generiche» (che comportava la riduzione di un ulteriore sesto della pena inflitta), la Corte d’Assise condannò Emanuele Adago ad anni dieci di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ad anni due di vigilanza speciale, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile (la vedova Erminia Turco, costituitasi anche in nome e per conto dei figli, rappresentata dall’avvocato Michele De Pietro). Poiché il delitto era stato determinato da «movente politico» gli venne concesso il beneficio del condono di anni tre. La Corte di Cassazione, con sentenza del 3/2/1926, confermò la decisione della Corte d’Assise di Lecce; con successiva ordinanza del 17/5/1926 la Cassazione concesse all’imputato l’ulteriore beneficio di quattro anni di condono ai sensi di un nuovo decreto di amnistia emanato dal governo. Di lì a poco, dopo avere scontato meno di tre anni di reclusione, Adago venne rimesso in libertà.


La Sezione Circondariale Combattenti, dopo i tragici avvenimenti che l’avevano colpita, mantenne, sia pure a fatica, la propria autonomia fino al 15 dicembre del 1925, quando fu obbligata a trasformarsi in una appendice del Fascio. Il presidente Mario Ingletti, in tale circostanza, fece inserire nel verbale di passaggio di consegna dai vecchi ai nuovi dirigenti imposti dal Fascio la seguente dichiarazione: «i Combattenti di Tricase, consci dell’attuale stato di cose in cui è conculcato ogni diritto, sono soppresse tutte le libertà, anche le più elementari ad ogni vivere civile, si astengono di elevare protesta per la violenza commessa ai danni della loro libera organizzazione, ma dichiarano di  serbare nell’avvenire vivo ricordo dell’arbitrio consumato a loro danno. Dichiarano inoltre che essi riconosceranno sempre quali capi della loro organizzazione i compagni liberamente eletti e considereranno soltanto degli intrusi gli altri comunque imposti».


 


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«Il Governo non oscuri Granaio Italia»

Secondo il vice presidente presidente regionale e vice presidente nazionale CIA, Gennaro Sicolo, la cancellazione dal D.L. Agricoltura sarebbe una decisione che andrebbe contro gli interessi di cerealicoltori e consumatori: «Siamo sorpresi e sconcertati per l’ennesimo rinvio»

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«Siamo sorpresi e sconcertati per l’ennesimo rinvio di Granaio Italia che rappresenta la vera urgenza per la salvaguardia della sovranità alimentare»: Gennaro Sicolo, presidente regionale e vice presidente nazionale CIA, esprime con chiarezza la sua preoccupazione su una possibile proroga a scapito delle imprese della filiera cerealicola e dei consumatori.

«C’è ancora qualche oscura organizzazione agricola o industriale o politica che rema contro? E vorrebbe procrastinare l’avvio del Registro Telematico per il grano e l’attivazione di Granaio Italia?», si chiede Sicolo che aggiunge: «Sarebbe sbagliato e gravissimo oscurarlo nel D.L. Agricoltura, perché tutto questo andrebbe contro gli interessi e le battaglie portate avanti dagli agricoltori. Proprio quando l’attivazione di Granaio Italia, sembrava finalmente vicina, non vorremmo che qualcuno voglia far slittare tale importante provvedimento. Chi punta su una proroga deve essere consapevole che sta agendo contro i cerealicoltori e i consumatori. Basta rinvii o ripensamenti rispetto a quanto già concordato nei tempi e nelle sedi opportune».

Gennaro Sicolo

Secondo il vice presidente nazionale della Confederazione degli Agricoltori, «si rischia di cancellare in un solo colpo l’ottimo lavoro di raccordo e di mediazione compiuto a livello istituzionale e all’impegno continuo e determinato proprio di CIA Agricoltori Italiani. Nessuno remi contro l’attivazione di Granaio Italia, perché è una misura fondamentale per tracciare con precisione tutto il grano prodotto sul suolo nazionale e anche quello che arriva dall’estero, analizzando e stabilendo l’identità, la provenienza e la salubrità del frumento immesso sul mercato»

Migliaia di agricoltori, nelle scorse settimane, sono scesi in piazza in Italia e in tutta Europa. Gli agricoltori italiani hanno chiesto l’immediata attivazione di Granaio Italia.

«Non vanno tradite», conclude Gennaro Sicolo, «l’attesa e le aspettative di quegli agricoltori che si sono mobilitati, promuovendo una petizione popolare condivisa da tanti firmatari e che hanno visto l’adesione delle amministrazioni comunali e di rappresentanti istituzionali ad ogni livello»

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Maglie per ricordare la morte di Moro pubblica i manifesti con la faccia di Gifuni

Maglie è stata tappezzata di manifesti per ricordare la morte di uno dei suoi più illustri rappresentanti, solo che, immaginiamo, qualcuno investito dell’incarico, in preda ad una compulsiva caccia sui motori di ricerca…

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Vorrebbe ancora Aldo Moro, (trucidato dalle Br, era il 9 maggio 1978 quando venne trovato, a Roma, 55 giorni dopo il sequestro avvenuto in via Fani, sempre nella capitale, e del quale ricorre il 46esimo anniversario), essere nato a Maglie?

Dopo l’imbarazzante errore del comune, di chi ha scelto la foto, dell’assessore alla cultura, di chi, sono certo, non lo sapremo mai, dello scivolone che ha fatto correre ai ripari anche il sindaco Toma: “Chiedo scusa: aver sbagliato la foto dell’illustre cittadino di Maglie, Aldo Moro, nel manifesto del Comune per ricordare il 46° anniversario del suo assassinio è un errore gravissimo!“,  a poco credo possano servire queste scuse, se non a ratificare che è stata fatta una emerita magra figura di m….

Maglie è stata tappezzata di manifesti per ricordare la morte di uno dei suoi più illustri rappresentanti, solo che, immaginiamo, qualcuno investito dell’incarico, in preda ad una compulsiva caccia sui motori di ricerca, deve essersi imbattuto nella fresca foto dell’attore che interpretava Moro, Fabrizo Gifuni che è sicuramente più postata sul web, e lo stesso deve aver creduto di aver facilmente trovato Moro, senza sapere che era solo la locandina del film di due anni fa, di Marco Bellocchio, “Esterno Notte”.

Certo il faccione di Fabrizio Gifuni, attore che ha interpretato Moro nel film, devo ammettere che ha una certa somiglianza con l’originale, e sono certo che solo questo ha indotto il poveretto/e/i nell’errore, facendo fare una figura barbina al Sindaco Toma, a Maglie ed ai magliesi.

Nonostante tutto, lo stesso primo cittadino si è premurato a srotolare una serie di scuse sui social: “I responsabili dell’errore non sono da ricercare all’interno dell’Amministrazione cittadina, perché vista l’importanza della ricorrenza avremmo dovuto, comunque, scegliere noi direttamente la foto di Aldo Moro da utilizzare.. averlo fatto ci spinge a un gesto di responsabilità che è quello di chiedere scusa alla famiglia dello statista e a tutti i cittadini“.

Possiamo e vogliamo credere ad Ernesto Toma, zelante sindaco della città di Maglie, ma cospargersi il capo di cenere per coprire quanto accaduto a posteriori, nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso,  (che sicuramente travalicherà i confini salentini), non indicare di chi è la colpa, credo serva a poco, se non a sollevare l’atavica saggezza salentina e un proverbio che spesso usava ripetere mio nonno, classe 1989, a mezza bocca: “Dopo ca ‘mprenene e monache mintene u purtune de Fierru!”

Luigi Zito

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Molto sugo, la “Pupazza” street art tricasina espone a Milano

Il protagonista è il sugo di pomodoro, soggetto presente non solo nelle opere pittoriche e negli oggetti di arredo e design, ma anche nell’intrattenimento e nell’allestimento. Bottiglie di sugo con etichetta “Molto Sugo” e finte pozzanghere di salsa di pomodoro sul pavimento sono solo alcune delle invenzioni de la Pupazza, artista eclettica, visionaria, decisamente vulcanica…

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MOLTO SUGO, la Pupazza espone a Milano dall’11 maggio al 2 giugno

La street artist la Pupazza approda a Milano dove, dall’11 maggio al 2 giugno 2024, presso lo Spazio Culturale SC3 Milano, andrà in scena la mostra-evento MOLTO SUGO, curata da Daniela Del Moro, con inaugurazione sabato 11 maggio, a partire dalle ore 19.

L’esposizione sarà aperta al pubblico dal lunedì alla domenica, dalle 11.30 alle 19.30, ad ingresso libero.

In mostra i lavori della pittrice realizzati ad acrilico e bomboletta su tavola e carta, gli oggetti di design e arredo personalizzati, l’inedito shop con oggettistica e abbigliamento, tutto brandizzato la Pupazza.

Il protagonista è il sugo di pomodoro, soggetto presente non solo nelle opere pittoriche e negli oggetti di arredo e design, ma anche nell’intrattenimento e nell’allestimento. Bottiglie di sugo con etichetta “Molto Sugo” e finte pozzanghere di salsa di pomodoro sul pavimento sono solo alcune delle invenzioni de la Pupazza, artista eclettica, visionaria, decisamente vulcanica. Le sue mostre sono note per essere coinvolgenti, riflesso di un’anima giocosa, che ama divertirsi e divertire il pubblico: infatti, il visitatore sarà coinvolto in prima persona nelle installazioni studiate ad hoc per l’evento.

La giovane artista, nata a Tricase (LE), che usa rappresentarsi graficamente con un occhio stilizzato, si è fatta conoscere a Milano grazie agli interventi artistici che hanno decorato molte cabine elettriche, i cui soggetti allegri e spiazzanti hanno strappato un sorriso ai passanti di tutte le lingue. Perché la sua arte è universale, parla a tutti, vuole essere di tutti. “La mia arte è Pop, anzi Pup!” sintetizza con ironia.

E l’ironia è centrale nel mondo de la Pupazza, basta leggere i titoli delle opere: Asciutta pastaOlive incazzate nereProsciutto innamorato cotto. E ancora, il frigo dipinto dall’artista diventa Io me ne frigo e il letto con su dipinto un angelo diventa l’Angio-letto.

Se le motivazioni per partecipare non fossero ancora sufficienti, l’artista – nota anche per aver dipinto il palco in occasione dell’edizione 2016 della Notte della Taranta – ha in serbo un’ulteriore sorpresa riservata principalmente al pubblico dei giovanissimi, che ne esalterà ulteriormente la fantasia.

Tra le tante novità è il caso di menzionare la presenza di uno shop: piatti in ceramica, poster e t-shirt griffati la Pupazza. I proventi delle vendite dei sughi Vizzino e della pasta Benedetto Cavalieri saranno devoluti alla Fondazione Mons. De Grisantis seguita da Don Lucio Ciardo. Inoltre, l’11 maggio è in uscita il libro “Molto Sugo”, edito da Sensoinverso Edizioni, la prima raccolta di poesie dell’artista, stravaganti come sanno esserlo i suoi quadri e murales.

L’evento si realizza grazie alla generosa partecipazione di alcuni storici sponsor tra cui SANTERO 958, brand di vino spumante per il quale la street artist ha firmato la linea la Pupazza SANTERO 958, che inaugurerà la mostra sabato 11 maggio con un party sulle note frizzanti di deejay Morgana.

La Pupazza garantisce sempre una scorpacciata di fantasia.

 

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