Approfondimenti
Và dove ti porta il cuore
Tricase: i dottori dell’Ospedale Panico, Dr. Palmisano e Dr. Accogli rispondono alle domande relative alla recente scoperta scientifica
“Una mela la giorno toglie il medico di torno”, vecchio adagio dal sapore fatato della nonna, sembra possa essere sostituto con il nuovo motto: “Un passo (i) al giorno toglie il medico di torno”. È proprio così: svolgere una moderata attività fisica quotidiana aiuta a prevenire pericolose aritmie cardiache come la fibrillazione atriale.
È questa l’importante scoperta scientifica emersa da una ricerca coordinata dal dottor Pietro Palmisano, cardiologo aritmologo dell’ospedale “Cardinale Panico” di Tricase, e diretta dal primario, dottor Michele Accogli, recentemente pubblicata sul Journal of American Heart Association, un’importante rivista medica a livello mondiale. Lo studio, durato oltre 2 anni, ha coinvolto 770 pazienti affetti da gravi patologie cardiache e portatori di defibrillatore cardiaco.
Una tale scoperta, che accompagna sani principi a pazienti sani, ha solleticato la nostra curiosità e, armati di notes e paperino, ci siamo recati presso il nosocomio dove, fra un paziente, uno squillo ed una chiamata urgente, abbiamo avuto modo di chiacchierare con Accogli e Palmisano, ai quali abbiamo chiesto:
Fate periodicamente pubblicazioni su riviste scientifiche?
Dott. Accogli: vorrei fare una premessa chiarificatrice: questi eventi sono il frutto di un lavoro seminato negli anni; infatti, non è un caso se oggi si è arrivati a pubblicare su cotanta rivista scientifica. E non vale solo per il nostro reparto, ma per l’ospedale in senso globale, è un cambio storico che è avvenuto soprattutto nell’ultimo decennio. La lungimiranza della Direzione, che ha sempre spinto verso un alto livello di prestazioni in tema di efficienza e qualità, ha di fatto registrato l’elevazione del profilo professionale.
Come si arriva alla pubblicazione in questo tipo di riviste così importanti?
Dott. Accogli: E’ il risultato finale di un’attività che si svolge quotidianamente, l’ impegno profuso deve essere suffragato da oggettivi riscontri scientifici che accompagnano l’attività assistenziale alla ricerca clinica.
Che cosa comporta, al di là del prestigio, ottenere questo tipo di pubblicazioni?
Dott. Accogli: il lavoro pubblicato è parte di un insieme di pubblicazioni già effettuate negli anni precedenti su altre riviste internazionali. Infatti, recente motivo di soddisfazione per la nostra equipe è la pubblicazione sul Journal of Cardiovascular Medicine delle ultime linee guida nazionali sulla corretta programmazione dei pacemaker, alla cui stesura il dott. Palmisano, primo autore di uno dei due documenti che compongono le linee guida, ha dato un contributo decisivo.
Questo risultato non è la margherita che nasce da sola nel deserto, ma si inserisce in un contesto di attività scientifica di cui il dott. Palmisano ne è il primo coordinatore. Il reparto di cardiologia di Tricase si pone a livello regionale come il primo centro in termini di produzione scientifica a livello nazionale e internazionale, anche e forse più della stessa cardiologia universitaria di Bari.
In che cosa consiste questo tipo di ricerca? Come si è svolta?
Dott. Palmisano: la ricerca è uno studio multicentrico ed il frutto di una rete di collaborazioni che abbiamo creato con altri centri, prevalentemente del nord. Abbiamo unito le forze ma l’idea nasce qui, in questo ospedale, è questo il centro di gravità ed io sono l’ideatore ed il coordinatore dello studio. Nello specifico, abbiamo arruolato dei pazienti gravemente cardiopatici a cui abbiamo impiantato un defibrillatore (questa è pratica clinica quotidiana). Il paziente può essere monitorato in due diversi modi: controllato direttamente in ospedale, oppure (e questo è il punto di forza dello studio), tramite monitoraggio remoto, ossia seguendo i pazienti direttamente da casa tramite i dati che riceviamo sul sito internet. La macchina registra se vi sono delle aritmie e tutto ciò che riguarda il ritmo cardiaco. L’aritmia è molto frequente in questi pazienti, peggiora la prognosi e li espone al rischio di ictus.
Come funziona il meccanismo?
I sensori si attivano quando c’è una camminata a passo sostenuto, quindi una vita sedentaria, letto-divano, non fa attivare il sensore. Abbiamo valutato il livello medio su tutta la casistica, che era di tre ore e mezzo e diviso i pazienti in due gruppi: chi faceva meno di tre ore e mezzo e chi di più. Si è evinto che i più pigri avevano un rischio quintuplicato di incorrere in aritmie. L’attività fisica è un fattore indipendente dagli altri, cioè: se abbiamo un paziente di 60 anni e uno di 80 anni con diverse caratteristiche, il livello di attività fisica ha prevenuto la fibrillazione atriale.
Lo studio ha condotto anche ad altri risultati?
Dott. Palmisano: Sì. Si è constatato che i pazienti sedentari erano quelli che morivano di più, erano quelli a cui più spesso urgeva il ricovero per scompenso cardiaco. L’elemento di novità è che il movimento ha proprio un effetto protettivo nei confronti di queste aritmie.

Il reparto di cardiologia
Il primario di cardiologia, dott. Michele Accogli: “Il reparto è costituito da 14 medici cardiologi, me compreso. L’orgoglio del mio reparto è l’età decisamente giovanile rispetto alla media dei reparti di cardiologia italiani (che si aggira intorno ai 55 anni).
Questo si inserisce nella strategia e nell’ottica di guardare in prospettiva, per cui ci sono un’attenta selezione dei colleghi che si rendono disponibili a venire a lavorare in questo reparto ed un’attenzione alla qualificazione professionale ed al dato anagrafico; oltre al fatto di dover sposare la “mission” di questo ospedale, fattore fondamentale.
In aggiunta, oltre a tutta l’attività di aritmologia il reparto si occupa di un lavoro di tipo interventistico sulle malattie coronariche che è l’emodinamica.
Cosa vuol dire in termini pratici il vostro
ingresso nella rete per l’infarto miocardico? “Consente a chi malauguratamente dovesse avere un infarto per strada, di arrivare nel nostro ospedale ed essere curato immediatamente grazie ai dati già in archivio.
La rete territoriale per l’infarto dell’area Salento, infatti, poggia sostanzialmente sulla emodinamica del “Fazzi” al nord della provincia e su quella del “Panico” di Tricase per quanto riguarda il sud Salento.
L’attività di tutto il reparto è arricchita anche con un’attività di tipo interventistico e clinico”.
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La morte meditata delle Kessler ed il tema del suicidio assistito. Ma è davvero peccato?
IL suicidio continua, per il Codice, ad essere ritenuto un peccato in quanto la vita è proprietà di Dio, fermo restando che ogni decisione ultima è quella del Padre celeste che può pertanto anche concedere la salvezza eterna a chi si è tolto la vita…
Occorre altresì aggiungere che le varie religioni hanno sul tema posizioni differenti.
IL NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO
Per quel che ci riguarda come cristiani e cattolici, ricordo che una volta il Codice di diritto canonico vietava che i suicidi fossero sepolti in terra consacrata. Tale divieto non compare con il nuovo Codice di diritto canonico entrato in vigore nel 1983.
Comunque, il suicidio continua, per il Codice, ad essere ritenuto un peccato in quanto la vita è proprietà di Dio, fermo restando che ogni decisione ultima è quella del Padre celeste che può pertanto anche concedere la salvezza eterna a chi si è tolto la vita.
LA LEGGE IN ITALIA
Sotto tale profilo, non si può che rilevare come la questione venga affrontata in tanti modi e in Italia, nel 2019, la Corte costituzionale ha consentito la possibilità del suicidio assistito sempre in determinate condizioni. Il Parlamento non è si è tuttora espresso, ma due regioni, la Sardegna e la Toscana, lo hanno già approvato.
DAL PUNTO DI VISTA ETICO
Il problema è quindi estremamente complesso e dibattuto.
Una scelta per così dire razionale, giudicata l’opzione migliore piuttosto che una vita in solitudine. Il che rientra nella logica, peraltro consentita dalle norme legali in vigore in Germania, di poter disporre della propria esistenza, del proprio corpo. In altri termini, si dispone liberamente del personale destino senza però nuocere ad alcuno.
SI PUO’ DISPORRE DELLA PROPRIA VITA?
In tale prospettiva si ritiene che tutto si chiuda nell’intimità del privato e tuttavia non è affatto così: la notizia dell’evento ha avuto una risonanza internazionale e comunque se al posto di due celebri ballerine si fosse trattato di due oscuri cittadini la notizia avrebbe avuto comunque eco nella comunità di appartenenza.
Vivere comporta l’acquisizione della consapevolezza di tutto ciò e di conseguenza la inevitabile accettazione, altrimenti si cadrebbe da subito nella disperazione, con tutto quello che essa può provocare.
Ma non basta: il soggetto non è mai solo: è socius. Infatti, vive in una comunità come cittadino, come membro di una famiglia, come lavoratore.
Il che significa che egli ha delle responsabilità nei confronti dei consanguinei, dei colleghi, dei concittadini. Un intreccio di doveri e di affetti che hanno consentito e consentono lo sviluppo sociale e la vita in comune. Ci possono essere persone a cui arride il successo e altre invece no, comunque tutti contribuiamo allo sviluppo di una società divenendo in tal modo esempio per le nuove generazioni.
Insomma, il problema della crescita è connesso a “sapersi farsi carico” di sé stessi e, di rimando, dei propri cari e di coloro che ci circondano o che sono in vario modo in relazione con noi.
Proprio oggi constatiamo come dilaghi quotidianamente la violenza e si teme della personale sicurezza.
Ciò è umanamente comprensibile – giova ripeterlo – ma da un punto di vista etico non serve a chi lo compie in quanto esclude la possibilità di vedere la gioia accanto alla sofferenza, la comprensione e l’affetto di chi è vicino, il sapere che non si è vissuti invano.
Per di più rischia di far apparire la vita come semplicemente una distesa di piaceri, là dove invece l’esistenza è fatta di impegni, di doveri, di tutto ciò che fa crescere e accomuna.
Per tutte queste ragioni sottrarsi alla vita per sfuggire alla sofferenza significa non comprendere che l’essere umano vive anche nel ricordo e nell’affetto della gente per quello che ha fatto di buono e che la fuga, comunque concepita, ci impedisce di cogliere la luce del bene compiuto che ci accompagna nel corso degli anni.
Approfondimenti
Vittoria annunciata e confermata per Decaro. Affluenza al ribasso: e ora?
Credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema: come mai tanta gente non va più a votare. E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?
di Luigi Zito
Si sono da poco chiuse le urne per le elezioni Regionali in Puglia, l’affluenza in picchiata, come tutte le stime lasciavamo intendere, si è attestata al 41,85%, cinque anni fa al voto partecipò il 56,4 per cento degli elettori.
In Puglia si è registrata la più bassa affluenza di sempre, anche meno delle stesse Regioni dove ieri e oggi si è votato: Campania e Veneto.
La provincia dove si è votato di più è stata Lecce, con una affluenza del 44%; Taranto con 40,60%, Bari 41,31%, Brindisi 41,94%, BAT 41,22, la peggiore Foggia con poco più del 38%.
Le proiezioni non lasciano spazio a “ribaltoni” di sorta.
Antonio Decaro è dato al 70% non raggiungerebbe il 30% Lobuono che ha già ammesso la sconfitta.
Secondo l’instant poll YouTrendper Sky TG24, nel campo progressista guidato da Antonio Decaro Partito Democratico si attesterebbe tra il 25% e il 29%, seguito dalla lista «Decaro Presidente» stimata tra 11,5% e 15,5%.
Le altre liste della coalizione oscillano tutte tra il 6% e l’8% per «Per la Puglia» e Movimento 5 Stelle, tra il 4% e il 6% per Verdi-Sinistra e tra l’1% e il 3% per i Popolari.
Sul fronte del centrodestra, Luigi Lobuono registra Fratelli d’Italia tra il 18% e il 22%, Forza Italia tra l’8% e l’11% e la Lega tra il 3,5% e il 5,5%.
Le liste minori della coalizione – Noi Moderati, Civici e Sud al Centro – sono tutte comprese tra 0% e 2%.
Ora che la frittata è stata fatta, sarebbe opportuno che qualcuno dei nostri politici ci spiegasse come mai meno di un pugliese su due non si è sentito ispirato nell’andare a votare.
Quali sono i veri motivi: disaffezione alla vita pubblica; poca pubblicità; istituzioni lontane dai cittadini; politici ibernati nelle torri d’avorio; consiglieri regionali poco attenti al territorio ed ai veri problemi dei pugliesi, sanità alla stremo (nella puntata di ieri di Report, la Puglia è ultima nella classifica nazionale per i tempi di attesa delle prenotazioni mediche)?
Ora credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema, la nostra non è una di quelle Regioni democraticamente avanzate (come la Svizzera ad esempio), dove ogni 3 x2 ogni quesito viene posto al popolo che, incalzato da tanta sollecitazione, non va più a votare.
E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?
Sembra, ormai, che l’unico compagno che mai ci abbandona e ci delude nella nostra vita sia il disprezzato cellulare che monitora ogni respiro della nostra giornata: non sarebbe meglio (forse) iniziare a pensare ad un sistema di voto elettronico, in cui ogni votazione, registrazione e conteggio dei voti avviene tramite strumenti digitali?
I vantaggi sarebbero tanti: la velocità del conteggio, la comodità di votare ovunque, si risieda in città o meno, all’estero o in qualsiasi altra parte del mondo; una maggiore possibilità e facilità di far votare persone con disabilità; il risparmio di carta e varie.
Certo le criticità viaggiano alla stessa velocità del web: il rischio di attacchi hacker; la poca affidabilità di molti aggeggi elettronici; garantire la Privacy per tutti (sappiamo bene cosa succede con le fastidiose telefonate dei call che tutti riceviamo sul telefono), e poi la sicurezza.
Ogni innovazione ha pregi e difetti, leggi i Paesi dove hanno già sperimentato il voting, come l’Estonia, il Brasile o l’India che hanno fatto di necessità virtù utilizzando questa novità tecnologica.
Se non iniziamo a pensarci da subito si rischia che, alle prossime elezioni (qualsiasi esse siano), oltre alla penuria di votanti ci ritroveremo anche con Candidati consiglieri e Presidenti eletti che non rappresentano (di fatto) la maggioranza delle volontà dei pugliesi e, se tanto mi dà tanto, tanto vale affidarci alla Dea bendata e sceglierli dal mazzo con una estrazione, risparmieremmo tempo e salute.
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Pompeo Maritati, “Quando i numeri si innamorano (e io ci casco)”
Oggi che sono in pensione, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo, ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”…
L’idea di questo libro nasce in un luogo che, a prima vista, sembrerebbe il meno romantico del mondo: una sala corsi di una grande banca italiana, illuminata da neon impietosi, con pile di dispense, calcolatrici scientifiche e tazzine di caffè che avevano visto giorni migliori.
Era verso la fine degli anni 90, e io, in giacca e cravatta, stavo tenendo un corso di matematica finanziaria a un gruppo di operatori bancari. L’argomento del giorno? Il calcolo delle rate di mutuo con il sistema cosiddetto “alla francese”.
Un nome che evoca baguette, bistrot e chanson d’amour, ma che in realtà nasconde una formula che farebbe piangere anche un ingegnere.
Eravamo immersi in coefficienti, tassi d’interesse, progressioni geometriche e quel misterioso “ammortamento” che, più che un piano di rimborso, sembrava una lenta agonia numerica. E proprio mentre stavo spiegando la logica dietro la distribuzione degli interessi nel tempo, uno degli uditori – un tipo sveglio, con l’aria di chi aveva già capito tutto, ma voleva vedere se anche io lo avevo capito se ne uscì con una frase che mi colpì come una freccia di Cupido: “È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Silenzio. Sorrisi. Qualche risatina. Io, ovviamente, feci il classico gesto da docente navigato: annuii con un mezzo sorriso, come a dire “bella battuta, ma torniamo seri”. E così fu. Riprendemmo la lezione, tornai a parlare di rate, di formule, di Excel. Ma quella sera, solo in albergo, mentre il minibar mi offriva una bottiglietta d’acqua a prezzo da champagne e la TV trasmetteva repliche di quiz dimenticati, quella frase tornò a bussare alla mia mente.
“È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Ma certo! Perché no? Perché non pensare che dietro le formule ci siano storie? Storie di attrazione, di repulsione, di corteggiamenti matematici, di triangoli amorosi (non solo geometrici), di numeri che si cercano, si sfuggono, si fondono. Un’idea folle, certo.
Accostare l’innamoramento, quel sentimento poetico, irrazionale, profondo, all’aridità dei numeri, che per definizione sono freddi, impersonali, astratti. Ma forse proprio per questo l’idea mi sembrava irresistibile.
Così iniziai a scrivere. A spizzichi e bocconi, tra una riunione e una trasferta, tra un bilancio e un report. Annotavo storielle, dialoghi, immagini. Immaginavo lo Zero e l’Uno in crisi di coppia, il Due che cerca equilibrio, il Pi greco che seduce tutti ma non si concede a nessuno. Poi, come spesso accade, la vita prese il sopravvento.
Gli impegni si moltiplicarono, le cartelle si accumularono, e quei fogli finirono in fondo a un cassetto. Lì rimasero, silenziosi, per anni. Fino a oggi.
Oggi che sono in pensione, e che ho tempo per ascoltare le idee che bussano piano, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo. Ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”
E così è nato questo libro. Un libro che non pretende di insegnare matematica, ma di farla sorridere. Un libro che non vuole dimostrare teoremi, ma raccontare storie. Un libro che, se tutto va bene, vi farà guardare i numeri con occhi nuovi.
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