Approfondimenti
Uomini in cambio di carbone
Emigranti, il forum: la tragedia di Marcinelle. Anna Maria Errico, di Racale: «Il mio papà unico superstite dei sette partiti da Racale per lavorare nella famigerata miniera in Belgio. Si salvò solo per un caso fortuito…»

Anna Maria Errico racconta la storia del suo papà che ora non c’è più.
Negli anni Cinquanta fu tra coloro che furono ammaliati dalle ingannevoli promesse del governo che svendette la vita di tanti in cambio della fornitura del carbone per il nostro Paese: «Uomini in cambio di carbone», conferma Anna Maria.
«Papà fu uno dei pochi che, grazie ad un caso fortuito, riuscì a scampare la tragedia di Marcinelle in Belgio», racconta, «nel dopoguerra, aveva 20 anni, dopo aver letto quelle locandine che giravano all’epoca e promettevano lavoro e soldi, partì per il Belgio per garantire un futuro alla sua famiglia».
Carmine Errico (nato il 13 gennaio 1929), a Marcinelle, viveva inizialmente in una baracca, una di quelle tipiche dei minatori, come si è visto nelle rare immagini dell’epoca o nei film.
MATRIMONIO PER PROCURA
Poi si sposò con l’articolo 13, per procura, perché non poteva lasciare il lavoro e rientrare. Quando fu raggiunto dalla moglie, insieme, trovarono un alloggio in un quartiere sorto proprio per ospitare i minatori.
Ha lavorato per 7 anni a Marcinelle ed era proprio nella miniera di carbone Bois du Cazier, teatro del disastro dell’8 agosto 1956 (quando un incendio riempì di fumo tutto l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani e 6 di Racale, proprio come il nostro protagonista).
«Era addetto alle frane ed il suo era un lavoro decisamente rischioso. Così un suo amico, salentino come lui (era di Felline), gli propose di andare a lavorare in un’altra miniera meno pericolosa di Bois du Cazier, che tutti sapevano essere trascurata e senza alcuna forma di sicurezza per i lavoratori. Infatti, si verificavano spesso frane ed incidenti.
Così papà si finse malato (perché non voleva rischiare di restare senza lavoro), rinunciò a quei giorni di paga alla Bois du Cazier, per provare a lavorare in un’altra miniera dove aveva trovato ingaggio. Al suo secondo giorno di lavoro, a fine turno, risalì il carrello e, in superficie, non trovò quelli che dovevano dare il cambio. Così, l’amico che gli aveva proposto di cambiare miniera e lavorare con lui, andò a chiedere al Bureau, l’ufficio. Al suo ritorno lo abbracciò e, con voce sommessa, gli disse che gli aveva salvato la vita, perché a Marcinelle erano tutti morti!».
Possiamo solo provare ad immaginare lo stato d’animo di Carmine che un po’ si sentiva anche in colpa, perché era tra i responsabili della sicurezza: «Voleva scendere giù per aiutare quelli che, oltre che colleghi, erano suoi amici ma lo bloccarono».
Da Racale erano partiti in 7 e sei sono morti a Marcinelle: «Gli ultimi anni che ha vissuto in Belgio, mio padre non stava bene, non dormiva più la notte e, quelle poche volte che riusciva ad addormentarsi, sognava dei suoi amici e li chiamava. Dopo due anni, tornò in Salento».
Nella tragedia un altro dramma: «Mia mamma e mia nonna vennero a conoscenza della tragedia di Marcinelle ma seppero che papà si era salvato solo quando le salme giunsero a Racale, praticamente dopo un mese. In pratica arrivarono prima i corpi dei deceduti della lettera con cui mio padre avvisava di essere vivo».
Tornato in Salento dopo otto anni di Belgio, Carmine ha lavorato come guardiano notturno. Ma la miniera gli è rimasta dentro, in tutti i sensi: «Come tanti suoi colleghi si ammalò di silicosi dopo essere entrato quotidianamente in contatto con minerali e rocce quarzifere. Aveva le protesi ad entrambe le ginocchia perché costretto a lavorare in tunnel non più alti di 80 cm. Protezioni e tutele? Macchè, non avevano neanche le ferie! Non c’era nessuna forma di garanzia o di assistenza sanitaria. Loro dovevano solo lavorare, sempre! Se si ammalavano non lavoravano e non venivano pagati, tutto qua».
Tornando alle conseguenze, non sono state solo fisiche: «Raramente parlava di Marcinelle, anche perché si sentiva umiliato. Raccontava che, una volta sceso giù, stava insieme ai topi. Ed in un certo senso era anche grato loro, perché quella presenza era una sorta di segnale che non c’era pericolo di frane. Se i ratti si agitavano, invece, stava per accadere qualcosa».
NO CANI NO ITALIANI
Anna Maria conserva ancora il manifesto della locandina con le promesse del governo italiano: «Tantissimi anni di lotte. Mio padre e gli altri si sono battuti per i loro diritti. Il riconoscimento della causa di lavoro per la silicosi e le protesi alle ginocchia. Senza considerare il danno morale: non erano trattati da esseri umani. Come quando andavano nei bar e trovavano la scritta “No cani, no italiani”».
Carmine non è mai più tornato a Marcinelle: «Non ne ha avuto il coraggio, troppo dolore. Ci sono andata io, da adulta e, quando ho visitato il museo, ho capito i silenzi di mio padre, compreso le sue lacrime, la rabbia che tornava prepotente ogni anno ad agosto. Ho capito perché l’8 agosto era intoccabile e perché nei giorni che precedevano e seguivano l’anniversario erano silenzi totali e lacrime. Quella tragedia se la sentiva addosso e se l’è portata nella tomba. Tanto che aveva una scheggia di carbone sullo stomaco, calcificatasi negli anni e, quando gli proponevamo di farsela togliere, ci rispondeva che se l’era presa sottoterra e lì se la sarebbe portata. Andando a Marcinelle è come se avessi chiuso un cerchio della mia vita. Ho capito tante cose ed oggi posso dire: sono figlia di un uomo che ha vissuto quel che ha vissuto e ne vado orgogliosa».
Chi in famiglia ha conosciuto la migrazione, gli stenti, il lavoro precario e senza tutele, come si pone oggi di fronte alle tante polemiche che accompagnano i moderni fluissi migratori?
«Io sono per l’accoglienza sempre e comunque. In quei volti oggi rivedo quello di mio padre. E quando assisto alle immagini degli sbarchi è come se riascoltassi quanto ci raccontava papà, quelle poche volte che lo faceva. E fa rabbia, perché siamo nel 2025 e, dopo 70 anni, è come se la storia si ripetesse. Senza che nulla sia cambiato».
📍 Segui il Gallo
Live News su WhatsApp 👉 clicca qui
Il manifesto con cui il governo italiano “caldeggiava” il lavoro nelle miniere in Belgio
Così i minatori riguadagnavano la superficie in ascensore
Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Approfondimenti
Maglie, il presidente dell’ISPE tradisce le aspettative: si dimetta!
Di fronte ad un enorme danno, di oltre 3 milioni di Euro, il suo dovere è dimettersi. Non possono esserci accordi diversi sulla pelle dei dipendenti, dei cittadini, soprattutto se sono anziani; vanificando i tanti sacrifici della famiglia Carrapa…

Chiediamo le dimissioni del presidente dell’ISPE (Casa di Riposo) di Maglie
È di questi giorni l’attenzione di molta stampa sul centro fisioterapico che l’ASL Lecce ha annunciato di realizzare, nella dismessa struttura dell’Ospedale (PTA) di Maglie.
Ricordiamo che questo “centro” è la soluzione che è stata trovata dall’ASL per poter utilizzare il lascito della famiglia Carrapa di oltre 3 milioni di euro. L’eredità doveva essere destinata alla costruzione di una struttura sanitaria, in alternativa al nuovo ospedale, previsto, ma deliberato solo dopo due anni, dalla stesura del testamento, avvenuta 2009.
Nel documento era indicata una prescrizione che l’obbligava in caso di struttura sanitaria diversa dall’Ospedale, il completamento nei 5 anni dal decesso, in caso contrario l’intero lascito era destinato all’Istituto Servizi per la Persona (ISPE).
Accade, però, che chi doveva, non solo non ha costruito una struttura, né grande né piccola, ma nemmeno iniziata, riuscendo solo a produrre un cartellone di cantiere con data di inizio e di fine lavori, dove la data inizio è praticamente quella di scadenza dei termini, e quella di ultimazione lavori è anche disattesa, nonostante che si sono stati utilizzati locali esistenti, che necessitavano solo lavori di ristrutturazione.
Non c’è dubbio che il lascito doveva andare all’ISPE di Maglie, dove le esigenze dei cittadini anziani sono tante: mancanza di posti disponibili, carenza di personale e insufficienza della struttura, che la defunta Vita Carrapa voleva completare.
Invece, pur essendo a conoscenza delle disposizioni testamentarie, il presidente Fulvio Pedone, non reclama il diritto a succedere, impedendo che altri ne entrassero in possesso.
Forse il presidente non ha capito che non era lui, persona fisica, il vero beneficiario, ma il comune di Maglie e i suoi anziani cittadini.
Il suo atteggiamento va contro il diritto di successione, contro la legge regionale n 15 del 2004, contro il loro stesso statuto dell’ISPE e contro l’art. 630 del cc..
Non è chiaro se ci sono stati intendimenti o benevole interpretazioni perché ciò accadesse, sta di fatto che chi agisce contro il suo mandato, non merita la stima dei danneggiati che non possono capire il perché non si è voluto aiutare.
E’ chiaro che, di fronte ad un enorme danno, di oltre 3 milioni di Euro, il suo dovere è dimettersi, da Presidente dell’ISPE. Non possono esserci accordi diversi sulla pelle dei dipendenti, dei cittadini, soprattutto se sono anziani; vanificando i tanti sacrifici, della famiglia Carrapa.
Comitato Nuovo Ospedale sud Salento – Antonio Giannuzzi – fiduciario fam.Carrapa
Approfondimenti
“Dal Salento al mercato nazionale: innovazione e tradizione intrecciate in ogni corda”

Nel profondo Sud della Puglia, dove il mare incontra le rocce di Gagliano del Capo, nasce una delle aziende più versatili e dinamiche presenti sul territorio italiano. Corderie Italiane, marchio prodotto e distribuito da Filtrex Srl, azienda specializzata nella produzione di corde, funi e trecce, è guidata con passione e lungimiranza dalla Famiglia Savarelli: ci troviamo di fronte ad un esempio concreto di come la tradizione artigianale possa fondersi con l’innovazione industriale.
Il suo fondatore, Cosimo Savarelli, ex dirigente di un noto calzaturificio locale, nel lontano 1989 decise di intraprendere una nuova strada reinventandosi e portando la sua esperienza imprenditoriale acquisita nel corso degli anni in questa nuova realtà. Ad affiancarlo, il figlio Giuseppe, laureato a pieni voti in Management Aziendale presso l’Università del Salento e con cui abbiamo il piacere di parlare oggi.
Giuseppe, la vostra gamma di prodotti è davvero ampia. Come si riesce a gestire una produzione così diversificata?
È difficile dare una risposta univoca a questa domanda, perché nello scenario attuale bisogna essere performanti sotto tutti i punti di vista. Ma sento di poter dire che la chiave fondamentale del nostro successo é l’organizzazione. La nostra azienda, pur mantenendo un’identità artigianale, ha saputo integrare nuove e moderne tecnologie industriali.
Questo ci permette di coprire numerosi settori che spaziano dalla nautica all’agricoltura, dall’edilizia al bricolage, passando per ambiti più specifici e professionali, come quello dei tendaggi e del fai da te. Produciamo cime per ormeggio e ancoraggio, corde galleggianti, trecce calibrate e in alta tenacità, corde naturali, spaghi alimentari, fino ai cordini tecnici per la pesca e attività outdoor. Avere una filiera interna ben strutturata e macchinari tecnologicamente avanzati ci consente di rispondere prontamente e con estrema flessibilità alle mutevoli esigenze di mercato, che poi vendiamo anche online su https://www.corderieitaliane.com/.
Quanto incide l’elemento “Made in Italy” sulla vostra proposta?
È il nostro marchio di fabbrica. Il Made in Italy, oggi più che mai, rappresenta un elemento di garanzia: non solo per la qualità del prodotto, ma anche per l’etica del lavoro e il rispetto delle normative vigenti. Le nostre corde sono fatte per durare: selezioniamo solo materie prime di altissima qualità, supervisioniamo ogni singola fase della produzione e non lasciamo nulla al caso.
Diamo la massima importanza alla qualità del prodotto, all’assistenza pre-post vendita e al packaging finale. In un contesto economico orientato sempre più verso l’adozione di politiche green ed ecosostenibili, siamo costantemente alla ricerca di soluzioni di imballo a basso impatto ambientale, pur garantendo la conservazione del prodotto e un aspetto elegante che attiri l’attenzione del cliente. Anche l’occhio vuole la sua parte, e crediamo molto nell’importanza dell’immagine del brand e della presentazione del prodotto finale che deve essere chiaro ed elegante in ogni punto vendita.
Parlando proprio di punto vendita: il vostro sistema di merchandising è spesso citato come esempio. Come funziona?
Abbiamo pensato ad un modello che metta al centro il rivenditore. Lo aiutiamo in tre fasi: partiamo dalla progettazione del layout personalizzato, forniamo il sistema espositivo con le referenze richieste e infine seguiamo il cliente nel tempo, monitorando la rotazione dei prodotti e aggiornando l’assortimento.
Questo approccio è particolarmente utile in settori come il fai-da-te, dove il consumatore finale è spesso inesperto e ha bisogno di indicazioni semplici ma precise per orientarsi.
Il settore nautico sembra essere uno dei vostri punti di forza. Ci potete dire qualcosa in più?
È uno dei nostri mercati storici e più affermati. Produciamo corde per piccole e grandi imbarcazioni, trecce decorative e ornamentali, sia in fibra sintetica che naturale, sagole e cordini con destinazioni d’uso differenti e molto altro ancora.
In questo settore è fondamentale garantire resistenza alla trazione, affidabilità e sicurezza. Ecco perché puntiamo su materiali di primissima scelta e su lavorazioni attente ai dettagli. Anche nel mondo della nautica il design conta tantissimo, e le nostre corde devono essere non solo performanti ma anche esteticamente belle da vedere.
Tra le novità, quali sono i prodotti che stanno riscontrando più successo?
Negli ultimi anni abbiamo investito molto nelle cime per le manovre a bordo di imbarcazioni a vela e nei cordini per hobby e fai da te, introducendo nuovi colori e ampliando notevolmente l’assortimento globale. Abbiamo anche investito nei prodotti per il packaging alimentare, come gli spaghi in carta e canapa.
Sono settori in continua espansione, dove il consumatore finale è sempre più attento sia all’estetica che alla sostenibilità. Stiamo anche studiando nuove soluzioni ecologiche, come filati biodegradabili per l’agricoltura, perché crediamo fortemente in una produzione che rispetti l’ambiente e risponda alle esigenze del futuro.
Guardando avanti, qual è la visione per il domani di Corderie Italiane?
Vogliamo continuare a crescere mantenendo solide le nostre radici. Il nostro stabilimento a Gagliano del Capo è il nostro orgoglio, ma è anche un punto di partenza. Sogniamo di portare la nostra filosofia – basata su qualità, servizio e affidabilità – in ogni angolo d’Italia. E chissà, magari anche oltre. La nostra più grande forza è la fiducia dei clienti, costruita nel tempo. E finché saremo “legati alla qualità”, continueremo a fare la differenza.
-
Corsano1 settimana fa
Tiggiano: «Siamo state aggredite e picchiate!»
-
Cronaca2 settimane fa
Incidente sulla litoranea: muore 67enne in moto, sequestrata Golf
-
Castro2 settimane fa
Castro: chiuso il porto!
-
Cronaca2 settimane fa
Mortale sulla litoranea: conducente Golf si autodenuncia
-
Castrignano del Capo4 settimane fa
Agente immobiliare cade nel vuoto a Leuca: vivo per miracolo
-
Cronaca1 settimana fa
Rubati farmaci al “Cardinale Panico” per decine di migliaia di euro
-
Cronaca4 settimane fa
Scontro all’incrocio a Tricase: codice rosso
-
Attualità3 settimane fa
Lucugnano torna ad avere il medico di base