Approfondimenti
Laudes ad Astra per i SS. Filippo e Giacomo
Alla fine di una intensa attività di scavo archivistico, individuati committenti ed artisti del coro (cantoria) e pulpito settecenteschi della chiesa di Diso. Al costo di 400 ducati…
«Sacro utriusque carmine Laudes ad astra tollimus» (traduzione «eleviamo al cielo, col sacro canto, le lodi di ambedue [gli Apostoli]»): recita così la prima strofa del Responsorio latino in onore dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo, Patroni e Protettori di Diso.
Anche se non conosciamo con estrema esattezza l’anno di nomina e di elezione dei due Apostoli a Patroni del paese (presumibilmente dai primi decenni del Settecento) la comunità di Diso da oltre tre secoli innalza ed eleva ai loro protettori le lodi più eccelse, espresse in canti e preghiere, culminanti il 1° maggio, giorno della loro festa solenne. Canti e preghiere elevati fino al cielo, dai fedeli congregati nelle assemblee liturgiche, dal coro parrocchiale, dal clero locale e dai tantissimi oratori e panegiristi che si sono avvicendati in occasione della loro festa.
Cantoria e pulpito sono stati finora gli elementi di decoro in queste meravigliose celebrazioni.
A proposito della cantoria un balzo di gioia ed esultanza in quel giorno di ottobre 2000 per la scoperta dell’artefice dell’organo della parrocchiale di Diso.
Quel documento inedito dell’archivio diocesano di Otranto che avevo tra le mani, in attesa di essere inventariato, rivelava la paternità dell’organo tardo ottocentesco a otto registri, opera del maestro barese Giuseppe Toselli.
In realtà si trattava di un inventario analitico dei beni mobili e stabili della parrocchiale di Diso redatto dall’arciprete pro tempore don Pietro Antonio Stasi.
La preziosa segnalazione, fino ad allora sconosciuta alla bibliografia locale, ha trovato degna pubblicazione nella mia monografia «Civium Patroni», edita da Pubbligraf nel 2001, pag. 94.
Dopo venti anni un’altra sorprendente ed inattesa scoperta: quella dell’artefice del coro, del pulpito, dei finestroni e della porta principale della nuova parrocchiale di Diso, componenti realizzati tra l’ottobre 1768 e la primavera del 1769.
L’intensa e proficua attività di scavo archivistico, effettuata presso l’Archivio di Stato di Lecce nei repertori notarili delle piazze di Diso, Spongano e Poggiardo, ha portato alla individuazione di un rogito del notaio Serafino Resce di Diso, datato 9 ottobre 1768 e avente per oggetto «Obbligatio ad invicem, inter Deputatos Ecclesiae Parocchialis Terrae Disi, et Benedictum dè Francesco. Albarano tra li Signori Deputati della Chiesa di Diso, e Maestro Benedetto dè Francesco di Lecce».
Immensa l’emozione di chi scrive nell’aver ritrovato «l’albarano» ossia il capitolato d’appalto per la realizzazione di alcune opere importanti nella nuova chiesa parrocchiale di Diso. In precedenza altri albarani erano emersi dalle carte notarili riguardanti la costruzione della chiesa parrocchiale di Surano, la realizzazione degli stalli in legno del coro delle parrocchiali di Spongano e Poggiardo.
I protocolli di Resce invece ci consegnano la paternità del coro di Diso, quella cantoria che sorregge l’organo del Toselli, e del pulpito che finalmente oggi hanno i nomi, quelli dei committenti e quello dell’ artefice che li ha realizzati. Il tutto a beneficio della comunità parrocchiale e in onore degli Apostoli Filippo e Giacomo.
I «deputati» eletti e nominati dal clero, dalla Municipalità e dal popolo di Diso fin dal 1758 per gestire tutte le operazioni di costruzione e completamento del nuovo edificio parrocchiale, erano lo stesso arciprete don Paolo Villani e il sacerdote dottor don Romualdo Longo. Con indescrivibile impegno, costanza ed enormi sacrifici i due deputati hanno seguito quotidianamente le fasi della riedificazione della chiesa (1758-1763) e successivamente quelle di completamento e arricchimento (altari, tele, arredi, suppellettili sacre e opere d’arte).
Dopo la realizzazione degli altari laterali della navata e dei due cappelloni laterali, assegnati e poi gestiti da alcune famiglie cospicue del paese, dalle Congregazioni laicali e dalle Opere Pie esistenti nella Parrocchia, i due amministratori provvedono agli elementi indispensabili per la celebrazione liturgica: porte, finestre, vetrate, coro e pulpito.
Per questa finalità si avvalgono della maestria di Benedetto De Francesco di Lecce, capo mastro falegname di una prestigiosa bottega leccese.
Convocato a Diso per il rogito davanti al notaio Resce, il maestro De Francesco riceve l’incarico per la realizzazione delle vetrate ai sedici finestroni della chiesa, per la porta maggiore, le due porte laterali della nave dell’edificio e infine per il coro e il pulpito in legno di abete.
Naturalmente nell’atto notarile sono ben distinte e dettagliate le singole voci.
A proposito del coro viene specificato che esso deve essere realizzato «in legno di apeto, à tenore del disegno che si conserva da detto Signor Arciprete…», come anche per il pulpito si precisa di costruirlo «à tenore della larchezza, e lunghezza richiede il luogo dove detto pulpito verrà situato, e fare tutti gli ornamenti, e cartocci necessari, e colorire a color di noce detti Coro, e pulpito, e darvi la vernice…».

In questa foto il pulpito ligneo realizzato dal maestro Benedetto dè Francesco di Lecce. nella foto grande in alto il particolare del pulpito con raffigurazione dello stemma civico di Diso e la data di realizzazione 1769 (foto di Filippo Cerfeda)
Come si può notare nessun elemento tecnico, artistico ed estetico viene trascurato, persino gli ornamenti «orecchiellati» del pulpito. Tutto viene perfettamente eseguito a regola d’arte in modo conforme alle precise disposizioni contenute nell’atto notarile. Addirittura sul pulpito il maestro De Benedetto cesella, su medaglione ligneo, lo stemma dell’Universitas (lo stemma cittadino) ossia l’agnello pasquale con la bandiera in bocca e la data di realizzazione: 1769.
Quale fu il costo complessivo di questa imponente commissione di lavoro assegnata al maestro leccese? Dagli accordi stipulati tra i deputati della fabbrica della chiesa e il maestro De Francesco risulta che l’importo totale era stato fissato per ducati 400, una somma considerevole per quei tempi.
Non va dimenticato che Diso e Spongano erano le parrocchie più popolate della minuscola diocesi di Castro che comprendeva ben quindici paesi, compresa la città di Castro.
La popolazione di Diso, di circa 800 abitanti in quegli anni, poteva permettersi una somma considerevole? I deputati però non hanno alcuna esitazione; sanno benissimo di poter contare sulla generosità dei cittadini, del clero locale, della Municipalità e del sostegno economico di alcune famiglie benestanti del luogo.
Garantiscono al maestro falegname una caparra di 15 ducati, versata in moneta d’argento, ed assicurano il restante pagamento «farlo giornalmente à tenore dell’opra, che si lavorerà».
Il tutto andrà a buon fine e nella primavera dell’anno successivo la nuova chiesa era dotata di porte, finestre, coro e pulpito.
Per la balaustra in pietra leccese che recinta tutta l’area presbiterale bisognerà attendere 30 anni.
L’ultimo pilastro in pietra leccese della balaustra reca infatti la data 1799.
Anni intensi e operosi quelli della seconda metà del Settecento, caratterizzati dalla intensità di fede e dalla fervente devozione verso i Santi Apostoli e Protettori Filippo e Giacomo ai quali, dopo la realizzazione del coro e del pulpito, si innalzarono costantemente dalla comunità di Diso «laudes ad astra».
Filippo Giacomo Cerfeda
Approfondimenti
“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro
Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…
di Luigi Zito
Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.
E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.
Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.
Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.
Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.
Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.
Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.
Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.
Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.
Ricordiamocene.
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L’ambasciatore Cristina: “Ho conosciuto Putin e il Dalai Lama, che esperienze”
«Il Salento, è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate a Tricase, per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere”…
Cristina Funes-Noppen è ambasciatore onorario del Belgio (lei stessa preferisce l’appellativo di ambasciatore a quello di ambasciatrice essendo quest’ultimo usato per indicare la moglie dell’ambasciatore, NdR), e da un po’ di tempo vive buona parte dell’anno in Salento, a Tricase, dove ha comprato un’antica dimora, quasi attaccata alla chiesa matrice, adattandola ai suoi bisogni,
Figlia di ambasciatore ha seguito le orme paterne e dopo gli studi accademici a carattere diplomatico ha percorso la sua carriera come ambasciatore del Belgio in numerosi Paesi nei vari continenti tra cui Zambia, Kenya, India, Tailandia, Marocco, Austria e Argentina, senza dimenticare che in tutte le sue destinazioni, come ambasciatore residente, copriva anche larghe giurisdizioni riguardanti altri vari Paesi.
È stata anche coordinatore di tre direzioni al ministero degli affari esteri: Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite e Disarmo.
Ha ricoperto inoltre le funzioni di rappresentante permanente presso l’O.N.U e di commissario speciale per la cooperazione e lo sviluppo.
Dopo aver seguito le orme paterne in ambito professionale, l’ambasciatore segue ancora oggi le inclinazioni della madre, Maria Noppen De Matteis, pittrice e “star mondiale del surrealismo anche se poco conosciuta in Puglia” (bari.repubblica.it > cronaca 2022/12/19 news).
Nata nel 1921 nel castello baronale dei Sauli di Tiggiano, cui apparteneva la madre, dove le è stato allestito un museo permanente delle sue opere, Maria Noppen De Matteis, verso la fine degli anni ’50 e i primi ’60, d’estate villeggiava col marito e la figlia Cristina a Tricase-Porto, nella casa di Angelico Ferrarese, posta in una splendida posizione panoramica e vicina al villino di Gaetano Sauli, suo parente.
La giovanissima Cristina (Cri-Cri per le amiche e gli amici) era bionda, solare, molto bella, vivace, dal sorriso incantevole che “faceva girare la testa” ai giovanissimi rampolli delle famiglie-bene di Tricase-Porto in quel periodo caratterizzato dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere.
La vena artistica di Cristina Funes-Noppen ne fa un personaggio veramente eclettico e sorprendente perché, oltre a dipingere, ella scrive con successo, in francese, romanzi e saggi storico-letterari dai quali traspare la sua speciale cultura maturata a diretto contatto con i popoli delle nazioni dove ha esercitato il ruolo diplomatico.
Gli ultimi suoi due romanzi, editi nel 2023 e nel 2025, si intitolano “Ils étaient six” e l’altro “Équivoques”. Il primo, narra la vicenda dei criminali nazisti che alla fine della II guerra mondiale si nascosero in Argentina.
La trama si svolge a sud delle Ande, in piena cultura “quechua” e consente al lettore, in filigrana, di seguire l’evoluzione politica dell’Argentina negli anni 1945-1983.
L’ultimo, contiene quattro romanzi gialli che danno informazioni su diversi Paesi, Kenia, India, Thailandia e un dialogo spiritoso sulla morte.
L’INTERVISTA ESCLUSIVA
Perché il Salento e Tricase?
«Il Salento è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più – ma ci sono i miei cugini, è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere malgrado le mie molte peregrinazioni nel mondo, è infine la terra dove mi sento a casa. Nonostante la mia nazionalità belga sono rimasta profondamente salentina».
È soddisfatta della sua scelta? Ombre e luci?
«Se consideriamo il tipo di vita che si ha qui rispetto a quello di altri Paesi, occorre riconoscere che qui la qualità della vita è più umana. E poi, il patrimonio naturalistico, architettonico, storico, e culturale, nell’insieme, è di alta qualità e ampiamente godibile».
«HO CONOSCIUTO PUTIN»
Tra i diversi Capi di Stato o di governo da lei conosciuti, come racconta nel suo libro Chroniques impertinentes… ancora in carica tra gli altri vi è Vladimir Putin.
«Ho conosciuto Vladimir Putin nel 2001 quando è venuto in visita ufficiale in Belgio. Io ero all’epoca commissario speciale e pertanto fui invitata alla cena di gala. Non ci siamo parlati molto, però mi diede l’impressione che ci teneva ad avere buoni rapporti con l’Europa. Non mi sembrò nemmeno che terrorizzasse i suoi collaboratori.
Di fianco a me era seduto il suo consigliere per le questioni nucleari che aveva abusato della “divina bottiglia”, come dicono i francesi, e pertanto cantava in francese durante tutta la cena suscitando l’ilarità dei commensali, compreso Putin.
Cantando a squarciagola, non dava certo l’impressione di temere il suo presidente, il che non succede normalmente nelle cene ufficiali di gala e tanto meno di fronte a quello che è supposto essere un dittatore sanguinario.
Nella mia carriera ho incontrato vari dittatori e posso assicurare che davanti a loro nessuno dei collaboratori al seguito si sarebbe permesso di cantare».
GLI OSTAGGI
Due aneddoti, uno triste e l’altro lieto, nei suoi ricordi di ambasciatore.
«Il primo, andato a buon fine, riguarda due ostaggi di Medici senza Frontiere presi dall’armata di liberazione del Sud Sudan e liberati dopo una trattativa durata 20 giorni in cui i guerriglieri vollero trattare solo con me, al telefono, di notte.
Non ci chiesero nessun riscatto come invece per ripicca accadde dieci giorni dopo, con un altro ostaggio francese, la cui trattativa durò tre mesi e si chiuse con l’esborso di un’ingente somma di denaro. Questo mi fu precisato, ridendo, dal mio collega francese che pretese che era tutta colpa mia se la SPLA si era rifatta sul suo governo! L’aneddoto triste riguarda invece due belgi, un ragazzo che lavorava per le Nazioni Unite e sua moglie.
Erano spariti da 5 anni e i due miei predecessori non erano riusciti ad avere notizie certe.
I genitori speravano e le autorità pretendevano che fossero ancora vivi. È una storia romanzesca che si svolse in Thailandia e in Cambogia. Da quello che finalmente sono riuscita a scoprire seppi che erano stati uccisi dai Khmer Rossi, forse con la complicità dell’esercito thailandese e eventualmente con risvolti riguardanti il traffico di opere d’arte.
Testardamente impegnata, dopo molte peripezie, e dopo aver insistentemente discusso con i due re, Shianouk e Bhumipol, fui messa in contatto con il capo dell’esercito thailandese e con i Khmer Rossi che mi consegnarono le spoglie che io affidai alle famiglie, le quali ebbero almeno la consolazione di sapere cos’era successo ai loro figli e di potere seppellirne i corpi».
IL DALAI LAMA EMETTE UNA ENERGIA POSITIVA
La persona che più ha lasciato traccia nel suo animo durante la lunga carriera diplomatica?
«È stato di certo il Dalai Lama: una persona assolutamente fuori dal comune che emette un’energia positiva straordinaria e trasmette alle persone che incontra una carica di felicità. E ho il privilegio di avere ancora dei contatti sporadici con questo sant’ uomo, grazie al quale la cultura tibetana continua a sopravvivere malgrado l’occupazione della Cina che fa di tutto per eradicarla.
Perciò il Dalai Lama ha deciso che dopo la sua morte non si reincarnerà nel Tibet per evitare che i Cinesi arrestino la sua reincarnazione (che potrebbe essere anche una bambina) e la sostituiscano con una di loro scelta come fecero con il Panchen Lama (figura importante nel buddhismo tibetano). Il Panchen Lama che si era reincarnato nel Tibet. fu arrestato quando aveva solo 6 anni nel 1995, rimpiazzato con un ragazzino che conveniva alle autorità cinesi e nessuno sa, da allora, dove si trovi il vero Panchen Lama».
Chroniques impertinentes
“…Un libro che si caratterizza per una libertà di spirito, un tono a volte mordace, esotico e cosmopolita. Un libro istruttivo, politicamente scorretto…ma così giusto! Un libro prezioso che deve essere letto da coloro che s’interessano alla diplomazia e agli affari di questo mondo”.
Approfondimenti
Il mondo delle Associazioni nel Salento: pregi e difetti
L’unità civile si ritrova nell’incontro di tanti che sanno dialogare per poter davvero vivere meglio…
di Hervé Cavallera
Che la lettura dei caratteri peculiari di un determinato periodo storico non sia sempre facile, almeno per i contemporanei, è certamente cosa risaputa, ma ciò è particolarmente vero in un momento storico come quello che stiamo vivendo, nel quale un elemento significativo è la contraddizione.
La pace è infatti proclamata come un bene da tutti auspicato e invece persistono le guerre, sì da paventare addirittura la possibilità di un conflitto mondiale. Al tempo stesso si predica l’inclusione, ma l’integrazione reale è difficile e non mancano quartieri ghetto.
E accade che nel mondo dei social media, in cui tutti siamo apparentemente connessi, le persone non riescono a colloquiare in reale presenza tra loro e moltissimi anziani, senza più alcuno accanto, devono ricorrere alle Case di Residenza Assistenziale.
Nell’età nella quale l’istruzione è notevolmente cresciuta per tutti, e quindi presupporrebbe un mondo più sereno, è invece in atto una irrazionale violenza crescente. E si potrebbe continuare.
ANIMALE SOCIALE
Eppure l’uomo, come aveva già detto il filosofo Aristotele, è essenzialmente un animale sociale ossia destinato per sua natura a vivere in comunità e ciò, al di là delle istituzioni in cui la compresenza è inevitabile (dalle scuole alla fabbriche, dagli uffici allo stesso Stato), è confermato dalla presenza e dalla diffusione dell’associazionismo, ossia dalla libera e responsabile partecipazione ad associazioni di varia natura (culturali, sportive, di volontariato, di promozione sociale e così via).
Private o pubbliche, con una lunga tradizione storica alle spalle o con fresca baldanza di buoni propositi, le associazioni non mancano.
Non risulta (o quanto meno non conosco) il numero complessivo delle associazioni in provincia di Lecce, ma indubbiamente, considerando la varietà delle tipologie e il numero dei Comuni della provincia, possono essere migliaia.
Basti considerare una città come Tricase per rendersi conto non solo della consistenza quantitativa della loro esistenza, ma altresì della loro incisività nel sociale. Non intendo in questa sede soffermarmi su alcune poiché non mi sembra corretto fare delle scelte che potrebbero sembrare discriminatorie o di parte.
È sufficiente dire che, mentre qualcuna è un po’ sonnacchiosa, altre sono particolarmente attive e che accanto ad associazioni di carattere prevalentemente ricreativo ve ne sono altre di natura culturale e altre ancora che hanno per fine principale l’operare per il miglioramento della qualità della vita della comunità o per venire incontro ai più bisognosi.
Vi sono poi associazioni meramente online, delle comunità virtuali o gruppi digitali che diffondono opinioni, informazioni e vanno acquistando capacità di indirizzare i loro componenti in più ambiti.
Si tratta di una realtà in espansione e che andrebbe esaminata a parte, soprattutto quando assume un carattere socio-politico.
MEGLIO FARE LE COSE INSIEME
Il punto essenziale che al momento è giusto sottolineare è dato comunque dai vantaggi che l’associazionismo offre. In primo luogo, ogni associazione aggrega, accomuna ed è pertanto una comunità con dei fini accettati da tutti i membri e quindi richiede delle norme, delle regole, delle competenze, dei propositi.
Implica in tal modo il saper vivere insieme, formando un tutt’uno con i componenti pur nei diversi compiti. Sotto tale profilo, la coesione sottintende l’amicizia nel rispetto delle diverse personalità. Inoltre, un’associazione si pone obiettivi che prescindono (o dovrebbero prescindere) dagli interessi personali.
Si pensi alle associazioni di servizio volte ad attività di beneficenza e di supporto sociale i cui esiti dovrebbero riguardare il bene pubblico e ciò vale altresì per quelle culturali e di volontariato. Fini di crescita sociale esistono del resto anche in quelle di natura politico-sociale, solo che in esse, come avviene anche per quelle che sono espressione di una tifoseria, vi è sempre una natura di scelta di parte e quindi di contrapposizione, sia pure nel leale riconoscimento della realtà di differenti orientamenti.
DIMMI CON CHI VAI E TI DIRO’ CHI SEI
Ci si trova per tutti questi motivi dinanzi ad una situazione complessa che non solo mostra come il soggetto non vive isolato, ma che caratterizza una comunità, le dà un senso.
«Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», recita un vecchio proverbio, facendo capire che il comportamento di ognuno è influenzato dall’ambiente che frequenta, ma al tempo stesso è anche vero che ognuno deve sforzarsi di far crescere l’ambiente o l’associazione di cui fa parte.
Si manifesta allora un altro elemento che deve essere costitutivo del permanere in una associazione: il farla positivamente sviluppare, accrescendo il numero dei soci attraverso la qualità e il valore di ciò che si realizza. Sotto tale profilo, le associazioni veramente meritevoli di rispetto hanno sempre un valore educativo, poiché sollecitano i componenti a dare il meglio di sé per l’interesse di tutti.
Il fine dell’azione non è personale, ma collettivo, dove per “collettivo” non si intende solo il gruppo di cui si fa parte, ma l’intera città a cui si appartiene e, attraverso la propria città, il territorio di appartenenza.
In questo modo lo sguardo, l’operare si amplia e dal proprio gruppo si estende a tutto il territorio a cui si appartiene.
La vitalità di un territorio dipende infatti dalla forza di partecipazione degli abitanti alla vita dello stesso: ognuno per la sua parte, per la sua professione, per il suo gruppo di appartenenza, per la sua competenza.
Associandoci, comunichiamo, ossia trasmettiamo idee, affetti, esperienze e collaboriamo.
Come del resto avviene nelle famiglie, il cui legame è soprattutto affettivo e parentale, oltreché giuridico. Per questo tutte le associazioni, che hanno per fine il bene pubblico, sono determinanti per lo sviluppo sociale e sono la ricchezza di un territorio.
Democrazia è partecipazione responsabile, perché comporta competenza e capacità di superare, stando insieme, i propri interessi particolari.
L’unità civile si ritrova nell’incontro di tanti che sanno dialogare per poter davvero vivere meglio.
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