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Turismo, che estate è stata? “Un mezzo flop, lo dicono i dati”

«Sono product manager per un tour operator internazionale nel turismo delle dimore di pregio. Affittiamo dalle ville agli alloggi storici di lusso ad un’utenza di fascia medio-alta e di provenienza internazionale….

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INTERVISTA ESCLUSIVA


di Lorenzo Zito


Che estate è stata? L’immancabile quesito settembrino, quest’anno, ha trovato fin troppe risposte già all’ombra delle stelle cadenti di San Lorenzo. Flop.


Quattro lettere, una parola sola che balena nella testa di tutti. L’impressione è comune e diffusa. E negli occhi di ognuno il ricordo è ancora nitido: l’invivibile traffico delle precedenti estati; le spiagge stracolme; le auto in strada per far spazio alle orde di ragazzini disposti a dormire nei garage, pur di taggare Gallipoli nelle loro stories.


Ma un assioma sopravvive al tempo: non ci andava bene prima, ma non ci va bene nemmeno adesso.


Una parola (da sola) però non può essere compendio di una baraonda di sensazioni e polemiche che, a suon di scontrini e lezioni di vita, ci hanno accompagnato lungo questa vituperata estate, ergendo ciascuno di noi ad esperto del settore.


Più d’una, di parola, l’abbiamo allora chiesta a chi nel settore ci lavora da anni. Domandandoci se il sovrapprezzo per il pasticciotto tagliato in due, più che causa dello spopolamento, possa essere conseguenza dell’incapacità di fare analisi e di dare risposte valide ai bisogni del territorio.


La preziosa testimonianza è quella della salentina Saveria Carparelli. La sua è una prospettiva per certi versi insolita, sulla quale non si fa poi così spesso un gran vociare. È quella del turismo di fascia alta che, in Salento come in altri paradisi terrestri, cerca nei luoghi e nelle comunità quel surplus da riservare al cliente, con l’obiettivo di costruire in chi viaggia ricordi pregni dell’anima del posto.


Saveria, qual è il tuo mestiere?

«Sono product manager per un tour operator internazionale nel turismo delle dimore di pregio. Affittiamo dalle ville agli alloggi storici di lusso ad un’utenza di fascia medio-alta e di provenienza internazionale».


Che estate ha riservato il Salento al vostro settore?

«Per certi versi anomala. Di certo non è stata un’annata top, ai livelli di quella del 2019 (la migliore pre-Covid) o di quella del 2022 (la più intensa post pandemia). Noi abbiamo avuto il polso della situazione già diversi mesi prima della bella stagione. Il nostro tour operator apre il calendario di prenotazioni sin dall’anno prima ed il turista organizza per tempo il suo viaggio, talvolta anche a dodici mesi dalla partenza (sia per garantirsi un posto sui voli disponibili che per l’abitudine, diversa dalla nostra, di fissare la vacanza con largo anticipo).


Il trend è apparso subito non all’altezza del recente passato, in particolar modo nell’alta stagione. Le prenotazioni, poi, sono arrivate con tempistiche diverse: talvolta già a marzo i calendari dei nostri alloggi sono già completi, mentre quest’anno in quel periodo eravamo fermi al 40%. Abbiamo anche registrato molti last minute (che per noi sono una novità) ed una serie di buchi a ridosso dell’alta stagione, ad esempio a luglio. Al tramonto dell’estate, l’impressione è quella di aver perso una fetta di utenza medio-alta, mentre ha continuato a rispondere agli standard il turista di fascia elevata»


È andata meglio ad altre mete?

«Trovo che il dato sia generalizzato. Non solo guardando la Puglia, ma anche altre destinazioni nazionali, come ad esempio la Sicilia che ha registrato lo stesso calo. E lo scenario non è del tutto diverso all’estero, come ci raccontano Corsica o Grecia».


Quali le cause? Pesano rincari e nuove destinazioni meno dispendiose (come l’Albania, di cui si fa un gran parlare)?

«Non ho i dati per fornire una risposta adeguata sull’Albania (che tuttavia ritengo sia indietro sulla preparazione turistica rispetto alla Puglia, così come diremmo di noi se ci dovessimo paragonare a chi fa questo mestiere da più tempo, tipo la Toscana). È l’Europa tutta ad aver perso appeal quest’anno.


La causa principale è il conflitto russo-ucraino, che da un lato ha ridotto la percezione di sicurezza del viaggiatore e dall’altro ha portato a rincari generalizzati. A questo si uniscono una serie di altri elementi: pesano anche fattori esogeni, e non solo gli aspetti legati al luogo d’arrivo.


Un esempio è il caso dell’Inghilterra, rilevato sulla stagione 2023. La nostra utenza, che talvolta è arrivata ad essere per il 70% inglese, quest’anno ha registrato un calo fortissimo sul mercato britannico. Un dato probabilmente legato al momento storico che si vive oltremanica (dove le dichiarazioni dello stesso Premier, che affermato “non so se gli inglesi riusciranno a permettersi una vacanza quest’anno”, hanno seminato sfiducia). Poi a tutto ciò si sommano anche paure legate ad alcune notizie che varcano i confini del nostro Paese».


L’eco delle disgrazie ha un peso?

«Mi vengono in mente la Xylella o la piaga degli incendi. Il cliente spesso ci chiama per essere rassicurato. Vuole sapere se i posti che andrà a visitare o dove andrà ad alloggiare sono ancora come li ha visto in foto. Il turismo è un settore sensibile a molte variabili: basti pensare che oggi alcuni tour operator riservano all’utente la possibilità di rivedere la propria permanenza in caso di cattive previsioni meteo.                                                                                                   Va da sé che il forte risalto dato a determinati temi dalla stampa faccia assumere proporzioni smisurate ad alcune questioni, se viste da lontano: qualche anno fa qualcuno mi chiese anche se la Xylella poteva essere pericolosa per l’uomo…».


Che prospettive vedi all’orizzonte?

«In questi giorni stanno arrivando le prime prenotazioni per la prossima stagione e spero siano di buon auspicio. Mi auguro che si possa andare verso un ritorno alla normalità, anche se ci sono degli aspetti su cui il Salento è ancora indietro nel confronto con altre destinazioni».


Cosa andrebbe migliorato?

«Delle infrastrutture se ne parla da anni: collegamenti e distanza dagli aeroporti pesano. A ciò si stanno aggiungendo delle politiche sui voli che fanno calare le presenze. La riduzione dei collegamenti per l’aeroporto di Brindisi (e la centralizzazione di quello di Bari), ad esempio, ci penalizza molto. Spesso il turista che vorrebbe trascorrere una settimana in Terra d’Otranto è costretto ad andar via prima per poter trovare un volo per tornare casa. O, peggio, non si spinge a sud per non dover percorrere ore di macchina dopo aver preso l’aereo che lo ha portato a Bari».


 


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Per svelare i misteri celati apre il laboratorio archeologico di Torre Guaceto

Dalla scoperta della necropoli avvenuta nel 2019 a oggi, sono state recuperate 108 urne provviste di ciotole di copertura, deposte il più delle volte in pozzetti scavati nella roccia e poi coperti con piccoli accumuli di terra. In qualche caso, gli archeologi portato alla luce tombe di pregio recanti un cippo in pietra che ne segnalava la posizione e con all’interno urne decorate con motivi geometrici e corredi in bronzo e ambra…

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A tu per tu con con i ricercatori: apre il laboratorio archeologico di Torre Guaceto, fino al 30 giugno si potrà assistere ai microscavi sulle urne cinerarie della riserva

I ricercatori stanno portando alla luce i misteri celati nelle urne rinvenute nella necropoli a cremazione di Torre Guaceto.

Per l’occasione, fino al 30 giugno, gli utenti potranno accedere liberamente al laboratorio archeologico del Consorzio di Gestione della riserva e ascoltare il racconto della storia del luogo.

Lo studio della necropoli a cremazione dell’età del Bronzo continua e, mentre nelle annualità precedenti si è svolto sul campo con campagne di scavo, quest’anno è condotto nel laboratorio archeologico di Torre Guaceto.

Il team di ricerca del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento diretto dal professore Teodoro Scarano, in accordo con la Soprintendenza, ha avviato presso il laboratorio di archeologia di Torre Guaceto una campagna di studio delle urne rinvenute nel corso delle ultime due campagne di scavo nell’area della necropoli che si estende sotto la sabbia della spiaggia delle conchiglie dell’area protetta.

Le attività vedono la partecipazione degli studenti dei corsi di laurea triennale e magistrale, della Scuola di specializzazione in Beni archeologici e di assegnisti e dottorandi del Dipartimento di Beni Culturali dell’Ateneo salentino che svolgono attività didattiche e tirocini curriculari.

I microscavi delle urne cinerarie, ovvero la lenta rimozione del terriccio che le riempie al fine di individuare i resti ossei dei defunti e gli eventuali oggetti di corredo che li accompagnano, stanno restituendo importanti testimonianze relative sia ai resti umani, sia agli oggetti deposti che consentiranno di ricostruire i costumi funerari delle comunità dell’età del Bronzo, secondo millennio a.C., di Torre Guaceto e di raccontare le storie di questi individui.

Dalla scoperta della necropoli avvenuta nel 2019 a oggi, sono state recuperate 108 urne provviste di ciotole di copertura, deposte il più delle volte in pozzetti scavati nella roccia e poi coperti con piccoli accumuli di terra. In qualche caso, gli archeologi portato alla luce tombe di pregio recanti un cippo in pietra che ne segnalava la posizione e con all’interno urne decorate con motivi geometrici e corredi in bronzo e ambra.

Torre Guaceto è l’unica riserva italiana ad avere un laboratorio di archeologia, un luogo nel quale giungono i materiali provenienti dalle ricerche in corso nel territorio e nel quale si svolgono tutte le attività di processamento e studio – ha dichiarato il presidente del Consorzio di Gestione dell’area protetta, Rocky Malatesta – “Questo grazie alla grande attenzione dell’ente per l’ambito storico-archeologico, gli investimenti fatti negli anni per la ricerca e la conservazione e ad una convenzione stipulata tra noi del Consorzio di Gestione di Torre Guaceto, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Brindisi e Lecce e il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento.

E siamo convinti che tanta bellezza e conoscenza debba essere alla portata di tutti – ha sottolineato il presidente del Consorzio -, da qui la decisione di aprire le porte del nostro laboratorio per permettere agli utenti di assistere al lavoro degli archeologi e di scoprire la nostra storia”.

Da oggi e fino al 30 giugno, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17, il team dell’Università del Salento accoglierà gli utenti presso il laboratorio di Torre Guaceto, nella borgata di Serranova, la posizione https://g.co/kgs/Lfye3iF

Crediamo nella ricerca e nella conoscenza per tutti – ha chiuso il presidente del Consorzio, Malatesta -, dal 2008 investiamo nelle indagini archeologiche e valorizziamo il nostro patrimonio, sostenendo il gruppo di ricerca dell’Università del Salento nello svolgimento dell’attività di studio, collaborando alla scrittura di progetti che hanno poi consentito di realizzare gli allestimenti museali della della torre e del centro visite, dando vita al laboratorio archeologico di Torre Guaceto, ma non ci fermiamo, ora l’obiettivo è creare un vero e proprio museo”.

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Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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Maglie, il presidente dell’ISPE tradisce le aspettative: si dimetta!

Di fronte ad un enorme danno, di oltre 3 milioni di Euro, il suo dovere è dimettersi. Non possono esserci accordi diversi sulla pelle dei dipendenti, dei cittadini, soprattutto se sono anziani; vanificando i tanti sacrifici della famiglia Carrapa…

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Chiediamo le dimissioni del presidente dell’ISPE (Casa di Riposo) di Maglie

È di questi giorni l’attenzione di molta stampa sul centro fisioterapico che l’ASL Lecce ha annunciato di realizzare, nella dismessa struttura dell’Ospedale (PTA) di Maglie.

Ricordiamo che questo “centro” è la soluzione che è stata trovata dall’ASL per poter utilizzare il lascito della famiglia Carrapa di oltre 3 milioni di euro. L’eredità doveva essere destinata alla costruzione di una struttura sanitaria, in alternativa al nuovo ospedale, previsto, ma deliberato solo dopo due anni, dalla stesura del testamento, avvenuta 2009.  

Nel documento era indicata una prescrizione che l’obbligava in caso di struttura sanitaria diversa dall’Ospedale, il completamento nei 5 anni dal decesso, in caso contrario l’intero lascito era destinato all’Istituto Servizi per la Persona (ISPE).

Accade, però, che chi doveva, non solo non ha costruito una struttura, né grande né piccola, ma nemmeno iniziata, riuscendo solo a produrre un cartellone di cantiere con data di inizio e di fine lavori, dove la data inizio è praticamente quella di scadenza dei termini, e quella di ultimazione lavori è anche disattesa, nonostante che si sono stati utilizzati locali esistenti, che necessitavano solo lavori di ristrutturazione.  

Non c’è dubbio che il lascito doveva andare all’ISPE di Maglie, dove le esigenze dei cittadini anziani sono tante: mancanza di posti disponibili, carenza di personale e  insufficienza della struttura, che la defunta Vita Carrapa voleva completare.

Invece, pur essendo a conoscenza delle disposizioni testamentarie, il presidente Fulvio Pedone, non reclama il diritto a succedere, impedendo che altri ne entrassero in possesso. 

Forse il presidente non ha capito che non era lui, persona fisica, il vero beneficiario, ma il comune di Maglie e i suoi anziani cittadini.

Il suo atteggiamento va contro il diritto di successione, contro la legge regionale n 15 del 2004, contro il loro stesso statuto dell’ISPE e contro l’art. 630 del cc..

Non è chiaro se ci sono stati intendimenti o benevole interpretazioni perché ciò accadesse, sta di fatto che chi agisce contro il suo mandato, non merita la stima dei danneggiati che non possono capire il perché non si è voluto aiutare.

E’ chiaro che, di fronte ad un enorme danno, di oltre 3 milioni di Euro, il suo dovere è dimettersi, da Presidente dell’ISPE. Non possono esserci accordi diversi sulla pelle dei dipendenti, dei cittadini, soprattutto se sono anziani; vanificando i tanti sacrifici, della famiglia Carrapa.

Comitato Nuovo Ospedale sud Salento – Antonio Giannuzzi – fiduciario fam.Carrapa                            

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