Attualità
Crocefisso nelle scuole: “De Giuseppe non ha centrato la questione”
Egregio Direttore, ho avuto modo di leggere l’articolo apparso su “il Gallo” del 14/27 novembre 2009 a firma di Alfredo De Giuseppe, dal titolo “Crocefisso in classe, chi lo vuole e chi no”. Sono d’accordo con la risposta che lei ha formulato nei confronti di De Giuseppe, tuttavia credo che l’articolo di quest’ultimo tratti la questione in maniera impropria. La sentenza sul Crocefisso emanata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha suscitato nell’opinione pubblica, come era ovvio, un vespaio di polemiche, provocando uno schieramento di favorevoli o contrari verso la decisione del Tribunale Europeo.
Ciò che non condivido è ritenere tale sentenza il proseguimento dell’eterna lotta tra religione e laicità. Discutere mettendo alla base la motivazione che “l’icona cristiana lede il diritto della libertà di fede e religione”, come è stato scritto nell’articolo di De Giuseppe, significa non aver centrato il problema. Il Crocefisso fuori dai luoghi sacri della religione cristiana è visto come un simbolo che nasce dal contesto religioso, ma che è stato assunto dalla cultura italiana. La presenza del Crocefisso in dei luoghi pubblici esprime a tutti i fruitori di quel posto alcuni principi o valori, che sono nati prettamente nel contesto cristiano, ma di seguito sono stati assimilati dalla cultura del nostro Paese. Quando De Giuseppe dice che quella del Crocefisso è “una consuetudine tutta italiana” ha ragione, ma lo è in quanto aspetto oramai culturale del Paese.
Di questo non ne sono convinto solo io, ma anche un noto ateo come Massimo Cacciari, che nel 2001 spiegava ad un musulmano che non voleva il Crocefisso nelle aule scolastiche: “Ma che lei, da musulmano, ignori che quel simbolo significa perdono senza rappresaglia, amore senza ricompensa, essere innalzati nella sconfitta. E che tutto questo, poi, sia stato tradito miliardi di volte dalla cristianità… miliardi di volte. Tanto che l’ultimo Papa (Giovanni Paolo II) chiede perdono. Ma che tutto questo lei non lo dica da musulmano, da fratello musulmano, questo darà fiato alle peggiori trombe di questo Paese” (Dalla trasmissione “Porta a porta”, 5 novembre 2001). Il Crocefisso presente in dei luoghi pubblici. Dunque. ha la funzione di ricordarmi che un giusto è stato condannato ingiustamente, che al di sopra di tutto c’è l’amore, il concetto di prossimo, di perdono, di non violenza e quindi della pace. Potremmo aggiungere altro, ma rimane il fatto che questi sono concetti appartenenti alla cultura italiana e anche europea pur nascendo in ambito cristiano.
Anche la laica Francia ha come motto “Uguaglianza, Fraternità e Libertà”, sono principi propri e approfonditi dalla cristianità, ma sono stati anche assimilati all’interno della cultura francese, tanto da essere scritti in ogni luogo pubblico. Altro aspetto poi che è totalmente inesatto nell’articolo di De Giuseppe è che la corte “è formata da ben 47 membri […] e ha preso questa decisione alla unanimità”. Prima di tutto i membri della Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo credo siano 41 (http://www.coe.int/) e poi la sentenza è stata emanata da 7 giudici: Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).
La Corte Europea è stata voluta da grandi personalità politiche come De Gasperi, i quali sapevano bene oltre a quello che sostiene De Giuseppe che valori e principi propriamente religiosi hanno contaminato il nostro costume e la nostra cultura; prima di loro già Benedetto Croce sosteneva che non possiamo non dirci cristiani in Europa; ultimamente anche l’ateo Odifreddi ha dichiarato ciò. Come giustamente ha sostenuto lei, direttore Zito, stando a quanto è detto da De Giuseppe dovremmo indicare, ad esempio, sui cartelloni stradali il cimitero con un altro simbolo oppure cambiare quello della “Croce Rossa” che si dichiara associazione a-religiosa oppure quello del pronto soccorso, oppure la croce che è posta nei luoghi dove sono avvenuti eccidi, stermini, uccisioni di guerre e quel luogo ritenuto sacro da tutta la nazione dovrebbe essere simboleggiato da qualcos’altro.
De Giuseppe dovrebbe forse capire che la religione non può essere vissuta solo nel privato perché se uno si dice laico e se con il pensiero relativista è disposto ad accettare l’opinione di tutti, allora si deve accettare anche chi ispira i suoi atteggiamenti a valori e principi religiosi. Laico stando al termine, indica proprio questo. De Giuseppe non può dire in una cultura laica chi deve parlare e chi no, non fa altro che affermare in maniera brutale il suo pensiero, quindi tutto è, meno che laico. Riguardo poi alla questione del Concilio di Quinisesto, è stato convocato da un Imperatore e non dal Papa, quindi illegittimo e mai riconosciuto, tuttavia se De Giuseppe non ci crede venga alla Messa e sentirà dire: “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” oppure vedrà la simbologia dell’agnello dove è conservata l’Eucarestia, tutta la liturgia pasquale riprende la tematica dell’agnello.
Quella del Crocefisso poi non è proprio una consuetudine in quanto la sua presenza nelle aule scolastiche è voluta dalla legge: Articolo 140 del Regio Decreto n. 4336 del 15 settembre 1860 del Regno di Piemonte e Sardegna; Circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n. 68 del 22 novembre 1922; Circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n. 2134-1867 del 26 maggio 1926; Articolo 118 del Regio Decreto n. 965 del 30 aprile 1924; Articolo 119 del Regio Decreto n. 1297 del 26 aprile 1928. Queste disposizioni sono state sempre ritenute valide. “Basta essere un po’ intellettualmente onesti…”, ha scritto De Giuseppe, “per riconoscere la veridicità della sentenza sul Crocefisso”. Io credo che il suo relativismo tanto corretto non sia visto i tanti argomenti che ha trattato senza poi conoscerli proprio per bene, per questo mi si lasci pensare che la sua penna, nello scrivere l’articolo in questione, più che da quello che lui ritiene “onesto”, è stata forse motivata anche da un po’ di faziosità.
Don Luca De Santis
Attualità
Genitore si scusa con la dirigente del Liceo Comi: “Rivolsi parole gratuitamente ingiuriose”
“Fu solo il frutto di un momento di forte tensione personale”: nella lettera pubblica inviata alla Redazione, l’intento di chiudere bonariamente una vicenda incresciosa risalente al 2024
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di scuse giunta in Redazione dal signor Grazio De Paoli, genitore di uno studente del Liceo Comi. La lettera pubblica è indirizzata alla Dirigente del medesimo istituto. Come si evince dalla stessa comunicazione, inviata alla Redazione per tramite dell’avvocato Francesco Accoto, la presente vale quale presa di coscienza dell’errore commesso e come manifestazione della volontà di chiudere bonariamente una spiacevole vicenda, risalente al 2024. All’epoca, nel mese di settembre, lo scrivente avrebbe rivolto pubblicamente delle parole ingiuriose all’indirizzo della Dirigente e del Liceo.
“In riferimento a quanto accaduto nel settembre 2024, durante l’accoglienza nell’auditorium delle classi prime del Liceo “G. Comi” di Tricase, desidero esprimere alla Dirigente scolastica, Prof.ssa Antonella Cazzato, e all’intera comunità scolastica, le mie più sincere scuse per le parole e i toni inappropriati usati. Riconosco che il mio intervento è stato inopportuno, errato, offensivo e non riflette il rispetto e la stima che invece avrebbe dovuto avere la Dirigente e dell’Istituto e tutti gli altri addetti, che si sono distinti per serietà, attenzione e professionalità nelle numerose attività scolastiche ed extracurriculari svolte.
Le mie parole, gratuitamente offensive, pronunciate in quella circostanza nell’auditorium del Liceo “G. Comi”, sono state solo il frutto di un momento di forte tensione personale, senza alcuna responsabilità da parte della Dirigente scolastica, Prof.ssa Antonella Cazzato né di tutta la scuola. Per quanto ho potuto constatare il Liceo “G. Comi” ha sempre garantito un percorso formativo di elevata qualità, e il personale docente e non docente, insieme alla Dirigente, si è sempre mostrato all’altezza del proprio compito educativo verso mio figlio assicurandogli un ottimo percorso scolastico quinquennale”.
Attualità
Alessano-Specchia: fronte comune a scuola contro il bullismo
Questa mattina l’incontro, nei due plessi, con l’Associazione Nazionale Carabinieri Sezione Tricase
Coinvolgimento e partecipazione attiva degli studenti e delle studentesse del Comprensivo di Alessano e Specchia che oggi hanno incontrato l’Associazione Nazionale Carabinieri Sezione Tricase, in un incontro sul delicato tema del bullismo e cyberbullismo.
Un momento di dialogo autentico, che ha contribuito a sviluppare consapevolezza e responsabilità tra le giovani generazioni, grazie anche al prezioso intervento della psicologa Marinella Martella, che ha offerto spunti concreti per riconoscere e contrastare questi fenomeni.

A impreziosire l’iniziativa, la presenza dei Sindaci dei rispettivi Comuni, segno tangibile di un’attenzione condivisa e di una comunità che sceglie di fare rete per proteggere e sostenere i propri ragazzi e le proprie ragazze.
Approfondimenti
Pompeo Maritati, “Quando i numeri si innamorano (e io ci casco)”
Oggi che sono in pensione, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo, ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”…
L’idea di questo libro nasce in un luogo che, a prima vista, sembrerebbe il meno romantico del mondo: una sala corsi di una grande banca italiana, illuminata da neon impietosi, con pile di dispense, calcolatrici scientifiche e tazzine di caffè che avevano visto giorni migliori.
Era verso la fine degli anni 90, e io, in giacca e cravatta, stavo tenendo un corso di matematica finanziaria a un gruppo di operatori bancari. L’argomento del giorno? Il calcolo delle rate di mutuo con il sistema cosiddetto “alla francese”.
Un nome che evoca baguette, bistrot e chanson d’amour, ma che in realtà nasconde una formula che farebbe piangere anche un ingegnere.
Eravamo immersi in coefficienti, tassi d’interesse, progressioni geometriche e quel misterioso “ammortamento” che, più che un piano di rimborso, sembrava una lenta agonia numerica. E proprio mentre stavo spiegando la logica dietro la distribuzione degli interessi nel tempo, uno degli uditori – un tipo sveglio, con l’aria di chi aveva già capito tutto, ma voleva vedere se anche io lo avevo capito se ne uscì con una frase che mi colpì come una freccia di Cupido: “È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Silenzio. Sorrisi. Qualche risatina. Io, ovviamente, feci il classico gesto da docente navigato: annuii con un mezzo sorriso, come a dire “bella battuta, ma torniamo seri”. E così fu. Riprendemmo la lezione, tornai a parlare di rate, di formule, di Excel. Ma quella sera, solo in albergo, mentre il minibar mi offriva una bottiglietta d’acqua a prezzo da champagne e la TV trasmetteva repliche di quiz dimenticati, quella frase tornò a bussare alla mia mente.
“È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Ma certo! Perché no? Perché non pensare che dietro le formule ci siano storie? Storie di attrazione, di repulsione, di corteggiamenti matematici, di triangoli amorosi (non solo geometrici), di numeri che si cercano, si sfuggono, si fondono. Un’idea folle, certo.
Accostare l’innamoramento, quel sentimento poetico, irrazionale, profondo, all’aridità dei numeri, che per definizione sono freddi, impersonali, astratti. Ma forse proprio per questo l’idea mi sembrava irresistibile.
Così iniziai a scrivere. A spizzichi e bocconi, tra una riunione e una trasferta, tra un bilancio e un report. Annotavo storielle, dialoghi, immagini. Immaginavo lo Zero e l’Uno in crisi di coppia, il Due che cerca equilibrio, il Pi greco che seduce tutti ma non si concede a nessuno. Poi, come spesso accade, la vita prese il sopravvento.
Gli impegni si moltiplicarono, le cartelle si accumularono, e quei fogli finirono in fondo a un cassetto. Lì rimasero, silenziosi, per anni. Fino a oggi.
Oggi che sono in pensione, e che ho tempo per ascoltare le idee che bussano piano, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo. Ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”
E così è nato questo libro. Un libro che non pretende di insegnare matematica, ma di farla sorridere. Un libro che non vuole dimostrare teoremi, ma raccontare storie. Un libro che, se tutto va bene, vi farà guardare i numeri con occhi nuovi.
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