Approfondimenti
Parcheggio ma…non Pos
Dal 1° luglio in vigore l’obbligo della funzione bancomat sui parcometri, ma in provincia trovare una colonnina con Pos è un’impresa
Quando si parla di “parcheggi blu”, spesso e volentieri, si finisce per accapigliarsi. Paese che vai, malcontento che trovi. Di Comune in Comune le aree di sosta soggette a parcometro si espandono a discapito di zone precedentemente “bianche”. Una macchia d’olio che invade senza distinzione centri storici, vicinanze di chiese e dintorni di ospedali, facendo crescere il disappunto degli automobilisti che, al più, monta in sterili sfoghi sui social network, basati nella stragrande maggioranza dei casi su una sentenza della Cassazione di cui tutti conoscono l’esistenza ma nessuno il contenuto. Secondo sentimento comune, per legge l’Ente sarebbe tenuto a realizzare “tot parcheggi bianchi ogni tot parcheggi blu”. In realtà, il concetto non è così immediato e nemmeno così stringente: il Comune è semplicemente tenuto a riservare una “adeguata” area a parcheggio libero, che rimane a sua totale discrezione finché, giuridicamente parlando, un qualsivoglia “opponente” (anche un normalissimo cittadino) non ne contesti le proporzioni o la totale assenza.
Ma se per il numero di parcheggi a pagamento non vi sono leggi vincolanti, lo stesso non si può dire per una nuova disposizione ampiamente ignorata, quella che prevede l’introduzione del Pos in tutti i parcometri.
Tanto per fare una legge…
Dallo scorso 1 luglio, con la legge di stabilità 2016 (ex Finanziaria) è entrato in vigore l’obbligo della funzione bancomat e carta di credito sulle colonnine per il pagamento della sosta. Ad un mese dalla decorrenza della legge (già da tempo prevista e attesa dagli “addetti ai lavori”), trovare un parcometro con Pos in Salento è un’impresa. In provincia di Lecce, dai paesi più piccoli ai più popolati, dalle marine turisticamente più all’avanguardia a quelle un po’ meno frequentate, le gettoniere continuano a incassare senza offrire la possibilità di pagare con carta. Chi non si ritrova spicci in tasca e non ha la voglia o il tempo di cercare un parcheggio libero per mezzore, si affida ancora all’intramontabile “io speriamo che me la cavo”, accendendo le quattro frecce e provando a scampare agli Ausiliari del traffico.
Immaginate un turista che, non essendo pratico della zona, non sa a chi rivolgersi per cambiare delle banconote in monete o non sa dove recarsi per prelevare quando non ha contanti.
In giro per la provincia non troverebbe parcheggi con Pos nemmeno nei centri principali.
A Casarano a onor del vero il parcheggio non si paga affatto, per le vicissitudini che hanno interessato l’aggiudicazione dell’appalto e che tengono ancora “in sosta” la gestione dei parcheggi. Tanto per prendere un paese a caso nei dintorni casaranesi, dove i parcometri sono attivi, a Parabita (le foto paese per paese in galleria a margine) la sosta nelle aree blu si paga solo in contanti.
A Galatina campeggia il più comune modello di parcometro, esclusivamente a moneta, e nemmeno Maglie si è adeguata alla nuova legge.
A Tricase le uniche novità in cui ci si può imbattere buttando un occhio ai parcometri sono i continui sequestri e dissequestri dell’autorità giudiziaria. Qui la gestione dei parcheggi a pagamento è tribolata dalla lotta dell’ex società titolare del servizio alla sua subentrante. In tutto ciò, sulle nuove colonnine spunta una slot per l’inserimento di schede magnetiche, ma non si tratta di Pos: manca il tastierino numerico e, soprattutto, l’unico pagamento accettato è in moneta sonante.
Per ora, è un passo più avanti Leuca: chi sceglie il lungomare tra punta Meliso e punta Ristola, pur non potendo fruire del servizio bancomat, quantomeno può avvalersi di un’app che permette di pagare la sosta direttamente dallo smartphone.
L’impasse, evidentemente, è dettata dalle spese da affrontare per mettersi in regola. Soprattutto per chi dispone di colonnine non di ultima generazione, l’introduzione del nuovo servizio non è semplice come bere un bicchier d’acqua. E comporta dei costi non irrisori, dall’acquisto di parcometri nuovi al costo per l’utilizzo del Pos stesso.
Ma non possiamo non pagare
In questo semplice ma indolente trapasso al pagamento elettronico c’è chi ha prontamente colto la palla al balzo (forse col riuscito intento di mettersi in mostra) per dare una personale lettura della situazione, senza badare rischio di indurre la gente in errore: uno studio legale ha lanciato in rete la sua interpretazione della norma, in poche ore diventata di dominio comune, sostenendo che laddove non sia garantita la possibilità di pagare con bancomat e carte, si possa sostare gratuitamente. Non è così. Dopo l’euforia iniziale, la corsa al parcheggio gratuito è bruscamente rallentata. D’altronde, pensate che sarebbe mai potuto passare un mese a sbafo senza che gli interessati avessero preso provvedimenti? La realtà dei fatti è che l’indisponibilità del Pos non esime il cittadino dal rispettare quella che è una norma stradale. Ben diverso infatti è il Codice della strada dalla legge di stabilità: da un lato c’è l’obbligo per i cittadini di rispettare le norme di circolazione, dall’altro quello per l’amministrazione di rispettare le norme amministrative. Con la netta differenza che vede l’automobilista multato se non paga la sosta, mentre l’Ente non rischia di incappare in sanzioni in caso di inadempimento.
Per i Comuni infatti c’è più di una scappatoia. Innanzitutto, la legge di stabilità prevede che l’obbligo in questione “non trova applicazione nei casi di oggettiva impossibilità tecnica”. Che vuol dire tutto e niente, e nel dubbio esime sempre chi non vuole aggiornarsi dal doverlo fare. Poi, c’è un rimando che finisce dritto in decreti attuativi mai approvati: la norma richiama quella sui “micropagamenti elettronici” del 2012 che, a sua volta, rinvia ad alcuni provvedimenti ancora in sospeso.
Insomma, tanto per tornare al malumore, i cittadini ne han ben donde. Di sostare senza pagare, però, non è il caso: il gioco non vale la candela. In caso di sanzione, anche in assenza di Pos, il giudice di pace potrebbe sì darci ragione, qualora vi ricorressimo, ma certamente non in maniera gratuita…
Ticket scaduto? Multa inammissibile
Sempre in materia di parcheggi, caso simile è quello delle multe a ticket scaduto, vera e propria vessazione messa in atto ancora in troppi Comuni. Più volte il Ministero delle Infrastrutture ha sottolineato che sanzionare chi sosta oltre il tempo per cui ha pagato non è ammissibile: “In caso di omessa corresponsione delle ulteriori somme dovute, l’applicazione della sanzione (…) non è giuridicamente giustificabile, in quanto l’eventuale evasione tariffaria non configura violazione alle norme del Codice della Strada, bensì un’inadempienza contrattuale, da perseguire secondo le procedure «jure privatorum» a tutela del diritto patrimoniale dell’ente proprietario o concessionario” (parere del 22.3.2010 prot. n. 25783). “L’applicazione della sanzione in aree dove è consentito sostare illimitatamente purché a pagamento, deriva invece dall’erronea convinzione che il protrarsi della sosta oltre l’orario per il quale è stato effettuato il pagamento equivalga alla violazione di un divieto di sosta” (parere del 27.2.2014 prot. n. 993).
Illegalità ben accetta…
Nonostante ciò, si va avanti come nulla fosse con le sanzioni ingiustificate. Tanto a rimetterci è sempre il cittadino, come con i Pos: se non ci sono, l’unico a rischiare la sanzione è l’automobilista, mentre l’amministrazione è tranquilla nonostante l’attività di riscossione nelle aree blu non rispetti la legge. In fin dei conti non è la giurisprudenza a tener banco, ma un semplice calcolo nelle tasche dei cittadini: cosa costa di più tra una multa di 41 euro (scontata del 30% se pagata entro cinque giorni) ed un semplice deposito del ricorso al giudice di pace? Indovinate un po’…
Lorenzo Zito
Parabita
Galatina
Maglie
Tricase
Leuca
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Vittoria annunciata e confermata per Decaro. Affluenza al ribasso: e ora?
Credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema: come mai tanta gente non va più a votare. E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?
di Luigi Zito
Si sono da poco chiuse le urne per le elezioni Regionali in Puglia, l’affluenza in picchiata, come tutte le stime lasciavamo intendere, si è attestata al 41,85%, cinque anni fa al voto partecipò il 56,4 per cento degli elettori.
In Puglia si è registrata la più bassa affluenza di sempre, anche meno delle stesse Regioni dove ieri e oggi si è votato: Campania e Veneto.
La provincia dove si è votato di più è stata Lecce, con una affluenza del 44%; Taranto con 40,60%, Bari 41,31%, Brindisi 41,94%, BAT 41,22, la peggiore Foggia con poco più del 38%.
Le proiezioni non lasciano spazio a “ribaltoni” di sorta.
Antonio Decaro è dato al 70% non raggiungerebbe il 30% Lobuono che ha già ammesso la sconfitta.
Secondo l’instant poll YouTrendper Sky TG24, nel campo progressista guidato da Antonio Decaro Partito Democratico si attesterebbe tra il 25% e il 29%, seguito dalla lista «Decaro Presidente» stimata tra 11,5% e 15,5%.
Le altre liste della coalizione oscillano tutte tra il 6% e l’8% per «Per la Puglia» e Movimento 5 Stelle, tra il 4% e il 6% per Verdi-Sinistra e tra l’1% e il 3% per i Popolari.
Sul fronte del centrodestra, Luigi Lobuono registra Fratelli d’Italia tra il 18% e il 22%, Forza Italia tra l’8% e l’11% e la Lega tra il 3,5% e il 5,5%.
Le liste minori della coalizione – Noi Moderati, Civici e Sud al Centro – sono tutte comprese tra 0% e 2%.
Ora che la frittata è stata fatta, sarebbe opportuno che qualcuno dei nostri politici ci spiegasse come mai meno di un pugliese su due non si è sentito ispirato nell’andare a votare.
Quali sono i veri motivi: disaffezione alla vita pubblica; poca pubblicità; istituzioni lontane dai cittadini; politici ibernati nelle torri d’avorio; consiglieri regionali poco attenti al territorio ed ai veri problemi dei pugliesi, sanità alla stremo (nella puntata di ieri di Report, la Puglia è ultima nella classifica nazionale per i tempi di attesa delle prenotazioni mediche)?
Ora credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema, la nostra non è una di quelle Regioni democraticamente avanzate (come la Svizzera ad esempio), dove ogni 3 x2 ogni quesito viene posto al popolo che, incalzato da tanta sollecitazione, non va più a votare.
E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?
Sembra, ormai, che l’unico compagno che mai ci abbandona e ci delude nella nostra vita sia il disprezzato cellulare che monitora ogni respiro della nostra giornata: non sarebbe meglio (forse) iniziare a pensare ad un sistema di voto elettronico, in cui ogni votazione, registrazione e conteggio dei voti avviene tramite strumenti digitali?
I vantaggi sarebbero tanti: la velocità del conteggio, la comodità di votare ovunque, si risieda in città o meno, all’estero o in qualsiasi altra parte del mondo; una maggiore possibilità e facilità di far votare persone con disabilità; il risparmio di carta e varie.
Certo le criticità viaggiano alla stessa velocità del web: il rischio di attacchi hacker; la poca affidabilità di molti aggeggi elettronici; garantire la Privacy per tutti (sappiamo bene cosa succede con le fastidiose telefonate dei call che tutti riceviamo sul telefono), e poi la sicurezza.
Ogni innovazione ha pregi e difetti, leggi i Paesi dove hanno già sperimentato il voting, come l’Estonia, il Brasile o l’India che hanno fatto di necessità virtù utilizzando questa novità tecnologica.
Se non iniziamo a pensarci da subito si rischia che, alle prossime elezioni (qualsiasi esse siano), oltre alla penuria di votanti ci ritroveremo anche con Candidati consiglieri e Presidenti eletti che non rappresentano (di fatto) la maggioranza delle volontà dei pugliesi e, se tanto mi dà tanto, tanto vale affidarci alla Dea bendata e sceglierli dal mazzo con una estrazione, risparmieremmo tempo e salute.
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Pompeo Maritati, “Quando i numeri si innamorano (e io ci casco)”
Oggi che sono in pensione, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo, ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”…
L’idea di questo libro nasce in un luogo che, a prima vista, sembrerebbe il meno romantico del mondo: una sala corsi di una grande banca italiana, illuminata da neon impietosi, con pile di dispense, calcolatrici scientifiche e tazzine di caffè che avevano visto giorni migliori.
Era verso la fine degli anni 90, e io, in giacca e cravatta, stavo tenendo un corso di matematica finanziaria a un gruppo di operatori bancari. L’argomento del giorno? Il calcolo delle rate di mutuo con il sistema cosiddetto “alla francese”.
Un nome che evoca baguette, bistrot e chanson d’amour, ma che in realtà nasconde una formula che farebbe piangere anche un ingegnere.
Eravamo immersi in coefficienti, tassi d’interesse, progressioni geometriche e quel misterioso “ammortamento” che, più che un piano di rimborso, sembrava una lenta agonia numerica. E proprio mentre stavo spiegando la logica dietro la distribuzione degli interessi nel tempo, uno degli uditori – un tipo sveglio, con l’aria di chi aveva già capito tutto, ma voleva vedere se anche io lo avevo capito se ne uscì con una frase che mi colpì come una freccia di Cupido: “È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Silenzio. Sorrisi. Qualche risatina. Io, ovviamente, feci il classico gesto da docente navigato: annuii con un mezzo sorriso, come a dire “bella battuta, ma torniamo seri”. E così fu. Riprendemmo la lezione, tornai a parlare di rate, di formule, di Excel. Ma quella sera, solo in albergo, mentre il minibar mi offriva una bottiglietta d’acqua a prezzo da champagne e la TV trasmetteva repliche di quiz dimenticati, quella frase tornò a bussare alla mia mente.
“È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”
Ma certo! Perché no? Perché non pensare che dietro le formule ci siano storie? Storie di attrazione, di repulsione, di corteggiamenti matematici, di triangoli amorosi (non solo geometrici), di numeri che si cercano, si sfuggono, si fondono. Un’idea folle, certo.
Accostare l’innamoramento, quel sentimento poetico, irrazionale, profondo, all’aridità dei numeri, che per definizione sono freddi, impersonali, astratti. Ma forse proprio per questo l’idea mi sembrava irresistibile.
Così iniziai a scrivere. A spizzichi e bocconi, tra una riunione e una trasferta, tra un bilancio e un report. Annotavo storielle, dialoghi, immagini. Immaginavo lo Zero e l’Uno in crisi di coppia, il Due che cerca equilibrio, il Pi greco che seduce tutti ma non si concede a nessuno. Poi, come spesso accade, la vita prese il sopravvento.
Gli impegni si moltiplicarono, le cartelle si accumularono, e quei fogli finirono in fondo a un cassetto. Lì rimasero, silenziosi, per anni. Fino a oggi.
Oggi che sono in pensione, e che ho tempo per ascoltare le idee che bussano piano, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo. Ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”
E così è nato questo libro. Un libro che non pretende di insegnare matematica, ma di farla sorridere. Un libro che non vuole dimostrare teoremi, ma raccontare storie. Un libro che, se tutto va bene, vi farà guardare i numeri con occhi nuovi.
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Luglio 1931: “Quando a Tricase, sul Quadrano, c’erano le Colonie”
Una storia intrigante di un secolo fa: nasce su uno sperone roccioso, su uno dei più bei scorci di Tricase Porto. Da opificio per tabacchine a colonia, durante il fascismo; da casa al mare a discoteca nei anni 70…
di Ercole Morciano
La costruzione conosciuta col nome di “colonie” nasce a Tricase-Porto, sul promontorio del “Quadrano”, tra fine Ottocento e primi del Novecento, come magazzino per la prima lavorazione del tabacco in foglie per conto della ditta greca Hartog & C., proveniente da Salonicco, come quella dei f.lli Allatini.
Costruire un magazzino per la lavorazione del tabacco al porto, mentre comportava indubbi benefici per la ditta proprietaria, costringeva le operaie tabacchine a portarsi da Tricase alla marina per lavorare in ogni condizione metereologica e ne siamo certi a piedi nudi, come purtroppo imponevano i tempi.
Costruire un magazzino per la lavorazione del tabacco al porto, mentre comportava indubbi benefici per la ditta proprietaria, costringeva le operaie tabacchine a portarsi da Tricase alla marina per lavorare in ogni condizione metereologica e ne siamo certi a piedi nudi, come purtroppo imponevano i tempi.
Proprio da Tricase, dove le tabacchine erano le meno pagate della provincia e oberate dal cottimo, nel 1905 partì la protesta che infiammò tutta la Terra d’Otranto con uno sciopero che portò ad un lieve miglioramento delle paghe e all’abolizione del famigerato cottimo.

Le tabacchine di Tricase erano “toste” e il loro vessillo scarlatto, recuperato per merito del consigliere comunale socialista Luigi Cavalieri, è ora esposto nella sala consiliare di palazzo Gallone.Tutte le donne del popolo di Tricase erano all’epoca coraggiose e determinate: nel 1917, in piena prima guerra mondiale, sfidarono le dure leggi di guerra che punivano gli assembramenti e scesero in piazza per reclamare pane, pace, lavoro e il rientro dal fronte dei loro uomini, figli-mariti-fratelli-fidanzati.
Le ditte greche Allatini e Hartog, verosimilmente in seguito agli scioperi di cui sopra, decisero di vendere i loro stabilimenti tricasini mettendo fine ad un periodo che, pur foriero di benefici, si caratterizzava per la durezza con cui le lavoratrici venivano trattate e per lo sfruttamento cui erano sottoposte.
Quello dei F.lli Allatini fu acquistato nel 1909 dal neonato consorzio cooperativo, poi Acait, di cui diventò la sede, mentre quello della ditta Hartog, in Tricase-Porto, passò in proprietà della famiglia del direttore dell’Acait, dott. Filippo Nardi.
“Villa Nardi”, nel primo lustro degli anni ’30”, è denominato l’ex tabacchificio Hartog, costruito sullo sperone roccioso sovrastante la baia del “Quadrano” e caratterizzato da una vasta costruzione a piano terra, con vari ambienti adibiti alla lavorazione, al deposito, agli uffici e alle abitazioni.
Edificato con conci di carparo, volte a stella, vaste aree di pertinenza, su un sito tra i più panoramici di Tricase-Porto, l’ex tabacchificio, detto ufficialmente “Villa Nardi”, fu sede di colonie elio-talasso-terapiche durante il fascismo nel triennio 1932-34.
PERCHE’ LE COLONIE
Il regime fascista sosteneva il sorgere delle colonie estive per due ragioni: una di carattere socio-sanitario per prevenire e contrastare malattie dell’infanzia molto diffuse nelle classi popolari (rachitismo, tubercolosi, avitaminosi…) e l’altra di carattere propagandistico attinente l’educazione e la formazione dei cosiddetti coloni, “Balilla e Piccole Italiane”, ovviamente in gruppi separati, di forte impronta nazionalista, bellicista, con particolare riguardo al culto della personalità verso il dittatore Mussolini, in analogia con quanto avveniva già nella scuola di stato.
Nasce così nell’ispettore Valletta l’idea di impiantare una colonia estiva in provincia quale filiazione di quella laziale, molto lontana per mandarvi i ragazzi/e delle famiglie salentine.
Il 3 agosto 1932 egli riceve l’approvazione prefettizia che autorizza la Federazione Provinciale M.S. ad “aprire una colonia estiva per bambini/e di 7-12 anni, nella marina porto di Tricase, presso ‘Villa Nardi’ che sarà intitolata ad Achille Starace”.
Valletta nomina direttrice l’insegnante leccese, Giovanna Astore che il 15 agosto 1932, alle 8.15, prende in carico i “coloni” dalla stazione di Lecce per “rilevare gli altri lungo le fermate della linea Lecce-Zollino-Maglie-Tricase”.
COME FUNZIONAVANO LE COLONIE
Nell’Archivio di Stato di Lecce, tra le carte riguardanti la colonia di Tricase, si conservano l’elenco dei capi del corredo necessario, l’orario delle attività e la “vittizzazione”.
Orario: 6, sveglia; 6-7 pulizia personale; 7-7.30, primo pasto; 8-12, alla spiaggia; 12.30-13.30, secondo pasto; 13.30-16, ricreazione o riposo; 16-19, passeggiata e merenda; 19.30-20.00, terzo pasto; 20.15, silenzio.
Ai piccoli coloni verrà somministrata: la mattina, caffè-latte, marmellata e pane; a pranzo, minestra, pietanza, frutta e pane; per merenda, pane, marmellata, od altro; a cena, pietanza, formaggio od altro, frutta e pane.
Le carte d’archivio ci dicono che l’anno seguente la direzione passò al neo-presidente della Federazione di Lecce Michelangelo Sansonetti, che confermò il personale dell’anno precedente con i relativi incarichi.
Risulta anche che l’assistenza medica era prestata dal dott. Alessandro Caputo, mentre quella religiosa era assicurata dal parroco di Tricase Porto, don Michele Nuccio.
Dalla relazione finale del presidente, densa della reboante e pomposa retorica di regime, di cui si trascrivono alcuni stralci, si apprendono i particolari sulla vita della colonia: “educare i fascisti di domani come li vuole il DUCE [sic], sani, forti, disciplinati e pronti a tutto osare”; durante l’alzabandiera: “Gli occhietti [dei bambini] si levano, il braccio si alza nel saluto romano, e un nome vibra nel coro argentino; DUCE.
Mentre una folla di passanti sosta commossa, più che incuriosita, e riverente si scopre il capo” e si ferma finché non vede di bambini rientrare in colonia “marzialmente cantando Giovinezza”.
Le parole più altisonanti le troviamo nella esaltazione della figura di Benito Mussolini: “Finita la funzione religiosa, di ritorno [dalla chiesa] in colonia, i nostri bambini, dal canto sacro all’inno Giovinezza, passano tra due fitte ali di popolo, suscitando un delirio di entusiasmo per Colui che con tanto interesse e amore attende alla sanità della stirpe… il cui nome resta scolpito nel cuore di tutti…”.
GLI ABUSI
Non è possibile scrivere tutto per motivi di spazio, ma si apprende dalle relazioni archiviate che non mancavano gli abusi.
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