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Cronaca

Rifiuti: Poggiardo rialza le barricate

Un altro stop alla FORSU, stavolta proveniente dai Comuni dell’Aro Lecce 6. La battaglia contro i rifiuti (ed i cattivi odori) continua

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Sembrava essersi chiusa definitivamente la stagione del trattamento della frazione umida dei rifiuti presso l’impianto di biostabilizzazione di Poggiardo e dei conseguenti problemi odorigeni che attanagliavano la comunità di Poggiardo e Vaste. Negli ultimi giorni, invece, ecco un nuovo capitolo di una vicenda che sembra una partita di ping pong tra la Regione Puglia e l’Amministrazione Comunale la quale ancora una volta ha dovuto ribadire che restano ferme, valide ed efficaci le Ordinanze sindacali n. 18 dell’8 giugno 2019 “Divieto di conferimento rifiuti aventi codice CER 200108 a far data dal 10.6.2019 presso l’impianto di biostabilizzazione di Poggiardo” e n. 19 del 2 luglio 2019 “Divieto di transito e di accesso ai mezzi destinati al trasporto RSU. Diffida e segnalazione di omessa ottemperanza alla Ordinanza sindacale 18/2019” a seguito della notifica dell’ultima ordinanza regionale, la n. 4 del 30.07.2019, che proroga fino al prossimo 30 settembre l’utilizzo degli impianti di biostabilizzazione di Poggiardo ed Ugento per i rifiuti organici provenienti dall’Aro Lecce 6 e dall’Aro Lecce 11, emessa dal Governatore a causa dello stop al conferimento dei rifiuti presso la stazione di trasferenza “Cave Marra Ecologia” di Galatone. Tale disposizione, se rispettata, introdurrebbe nell’impianto poggiardese i rifiuti organici con codice CER200108 (non compatibili con quelli per cui l’impianto è autorizzato) di un bacino di circa 90mila abitanti proprio in pieno periodo estivo quando già la presenza di turisti alza considerevolmente il quantitativo di rifiuti prodotto e conseguentemente il rischio di miasmi. Ecco il motivo della ferma presa di posizione del Sindaco Giuseppe Colafati e dell’Assessore alle Politiche Ambientali Antonella Pappadà che lunedì mattina insieme al vice sindaco Damiano Longo ed agli agenti di Polizia Locale ha presidiato l’ingresso dell’impianto per verificare il rispetto delle ordinanze sindacali.


«Nella mattinata di lunedì», spiega l’assessore Pappadà, «non è stato consentito il conferimento di quei rifiuti aventi Codice CER 200108 per la cui ricezione l’impianto di Poggiardo non è autorizzato: ciò anche alla luce della prevalenza delle Ordinanze sindacali rispetto alle altre disposizioni. All’impianto sono giunti quattro autocompattatori provenienti dall’Aro Lecce 6 che dopo esser stati sanzionati dalla Polizia Municipale in ottemperanza alle ordinanze sindacali sono stati rispediti indietro. Restiamo fermi sulla nostra posizione e riteniamo che la soluzione adottata dall’Aro 6 non sia quella più idonea alla risoluzione del problema in quanto il paventato conferimento presso l’impianto di Poggiardo aggraverebbe ancora di più la sofferenza di una comunità già vessata negli anni. Evidentemente si è preferito adottare la scelta più comoda anziché trasportare l’organico direttamente in Calabria, dove peraltro già veniva dislocato dopo il trasferimento presso Cave Marra e per il quale la Regione si era detta disponibile a coprire i maggiori costi di trasporto, oppure individuare un’altra stazione di trasferenza nell’immediato dal momento che questo è un onere in carico al gestore”.



A questa situazione si è giunti dopo mesi di incontri tra Comune da una parte, Regione e Ager (Agenzia Regionale per i Rifiuti) dall’altra, di ordinanze e contrordinanze, prese di posizione, incomprensioni e conseguenti scuse da parte del Governatore Emiliano il quale tuttavia è costretto a scontrarsi con la carenza di impianti di compostaggio in Puglia e con uno stato di emergenza pressoché continuo.


Con abbondante anticipo (lo scorso 13 novembre) l’Amministrazione Comunale di Poggiardo, dopo aver notificato ai Sindaci dei 46 Comuni conferitori la diffida a voler trasportare rifiuti conformi a quelli autorizzati presso il biostabilizzatore e minacciando di bloccare gli autocompattatori per verificare presenze di percolato e di rifiuti umidi non trattabili dall’impianto in località Pastorizze gestito da Progetto Ambiente 2, era riuscita a strappare l’impegno della Regione Puglia a risolvere la questione del conferimento della frazione umida sollevando l’impianto di Poggiardo dal trattamento di quanto non di propria pertinenza, nel corso di un Consiglio Comunale straordinario svoltosi presso il locale Teatro Illiria alla presenza del Presidente della Regione Michele Emiliano, del presidente della Provincia di Lecce e Sindaco di Gallipoli Stefano Minerva e di alcuni dei Sindaci dei 46 Comuni che conferiscono gli scarti secchi da raccolta differenziata a Poggiardo oltre che dei presidenti degli Ambiti raccolta ottimale (Aro), del vice presidente Anci Puglia, del direttore generale dell’Ager, Grandaliano, di quello dell’Asl di Lecce e del loro omologo di Arpa Puglia. Da quel consesso scaturì che i Comuni avrebbero necessariamente dovuto avviare una raccolta differenziata spinta al fine di consentire la separazione dell’organico dall’indifferenziato poiché si era finalmente accertato che i cattivi odori provenienti dall’impianto derivavano dall’elevata percentuale di organico presente nel rifiuto conferito.  E che sarebbe stato auspicabile costruire nuovi impianti di compostaggio in provincia.


Ma proprio alla vigilia della stagione estiva sono arrivati i primi problemi a causa della temporanea chiusura dell’impianto di compostaggio di Lucera e del sequestro di quello di Ginosa nei quali venivano conferiti i rifiuti del brindisino che inducevano il Presidente Emiliano ad emanare il 6 giugno una prima ordinanza nella quale si ordinava di trasferire la FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) presso gli impianti di Trattamento Meccanico Biologico di Manduria, Poggiardo e Cavallino. A tale ordinanza seguiva la n.18 del Sindaco Colafati con la quale si vietava il conferimento rifiuti organici presso l’impianto di biostabilizzazione di Poggiardo, una seconda ordinanza del Governatore pugliese che di fatto chiedeva di prorogare fino al 31 luglio il termine dell’emergenza cui si sarebbe dovuto far fronte con gli impianti funzionanti (tra cui Poggiardo) la quale veniva impugnata al TAR dal Comune di Poggiardo e la n. 19 del Sindaco che vietava il transito e l’accesso ai mezzi destinati al trasporto RSU presso l’impianto di biostabilizzazione.

Finché il 7 luglio scorso la querelle finiva su un Tavolo tecnico convocato presso il Comune di Lecce dal presidente di Ager, Fiorenza Pascazio alla presenza del direttore Ager Gianfranco Grandaliano, dei sindaci di Poggiardo Giuseppe Colafati e di Brindisi Riccardo Rossi, del Presidente della Provincia Stefano Minerva, dell’assessore regionale Loredana Capone e del Presidente della Regione Michele Emiliano il quale al termine dell’incontro prendeva l’impegno di rallentare il conferimento dell’umido a Poggiardo e dislocarlo presso altri impianti scusandosi con il primo cittadino poggiardese per il disagio arrecato. Il tutto fino appunto all’ultima ordinanza regionale del 30 luglio che capovolge – o quantomeno tenta di farlo – per l’ennesima volta lo stato di fatto.


Nel frattempo il TAR lo scorso 23 luglio si è pronunciato respingendo l’istanza di sospensione in via cautelare proposta contro le ordinanze regionali perché da un punto di vista formale ha ritenuto che l’istruttoria adottata dalla Regione per le predette ordinanze fosse completa e che le sole emissioni odorigene lamentate dalla popolazione poggiardese non costituiscono un pregiudizio sufficiente per l’incolumità della salute pubblica senza un danno ambientale concreto accertato e provato. Tuttavia gli effetti dell’ordinanza regionale sarebbero scaduti solo pochi giorni dopo (il 31 luglio giustappunto) e rimane ancora sospeso il giudizio nel merito per il quale verrà fissata una nuova udienza.


Ora, in piena estate, con i mezzi contenenti la FORSU respinti dall’impianto di Poggiardo e multati (accettati invece quelli con frazione secca che possono regolarmente conferire) e l’Amministrazione Comunale fermamente intenzionata a far rispettare le ordinanze sindacali ed a tutelare la propria comunità da impatti ambientali ed odorigeni molesti, la patata bollente passa ancora una volta alla Regione, all’Ager ed ai gestori di servizi dell’Aro 11 e dell’Aro 6 che dovranno trovare una soluzione alternativa individuando o realizzando una nuova stazione di trasferenza dopo che quella di Galatone non può più essere utilizzata per superamento dei limiti autorizzativi.


Carlo Quaranta


Cronaca

Incendio sul litorale di Salve: ecco il CanadAir

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Un vasto incendio è divampato questa mattina tra Torre Pali e Pescoluse, nella zona costiera di Salve, nel basso Salento.

Le fiamme hanno interessato l’area di macchia mediterranea, minacciando diverse villette estive e la strada provinciale, invasa dal fumo e chiusa al traffico.

Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, per garantire lo svolgimento delle operazioni di spegnimento e impedire che le fiamme raggiungessero anche le spiagge di Pescoluse.

Fumo trasportato verso il mare: bagnanti allontanati

Il vento ha portato il fumo direttamente verso la costa, invadendo un tratto di spiaggia. Le nuvole nere hanno reso l’aria irrespirabile, costringendo molti dei bagnanti presenti a interrompere il bagno e lasciare la spiaggia.

Necessario un CanadAir

Non si registrano feriti o vittime.

Tuttavia, le fiamme hanno continuato ad espandersi e per riuscire a circoscriverle si è reso necessario l’intervento di un CanadAir, entrato in azione attorno alle 16.

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Cronaca

Maglie: defunti in ostaggio dei vivi

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di Lorenzo Zito

La coscienza popolare insegna che la morte non guarda in faccia a nessuno.

Eppure, a Maglie il trapasso non è sempre una livella, come recitava il grande Totò.

C’è un fenomeno in città che serpeggia sottotraccia e che riguarda la gestione del cimitero comunale, per alcuni migliorabile.

Capita, di tanto in tanto (ma nemmeno così troppo), che i loculi disponibili per le tumulazioni si esauriscano, a danno dei defunti che si ritrovano a dover attendere un posto dove poter riposare in eterno.

I nostri son piccoli centri: ne deriva che, fortunatamente, l’effetto non è quello di alcune grandi città del nostro Mezzogiorno, dove interi depositi si ritrovano a fungere da sale d’attesa per la sepoltura.

Tuttavia, anche a Maglie qualcosa di anomalo perdura, come da noi verificato, dopo che, in questi mesi, più d’una voce si era approssimata a riguardo all’orecchio della nostra redazione.

TRA POLITICA E CONFRATERNITE

L’attuale contesto è figlio di più contingenze.

Una di queste sembra essere una scelta politica intrapresa qualche amministrazione fa.

Circa 15 anni or sono, furono realizzati nuovi loculi e fu pubblicato un bando per la loro cessione ai cittadini attraverso un’azienda privata.

L’appalto fu vinto da una ditta che aveva mandato di cederli in serie (da 3, 6 o 9) a famiglie che volevano riservarsi uno spazio all’interno del cimitero cittadino.

Alcuni anni dopo la vendita in serie fu sciolta, procedendo (sotto l’amministrazione guidata da Antonio Fitto) alla vendita di ciascun loculo singolarmente.

Fu così che tutti i nuovi spazi furono ceduti a privati, lasciando chiaramente quella porzione di cittadinanza che non aveva voluto o non aveva potuto provvedere all’acquisto, sprovvista di una propria nicchia.

«TALVOLTA È CAPITATO»

Eccoci quindi arrivare ai giorni nostri, il cui contesto, per esser al meglio interpretato, necessita anche di una seconda prospettiva.

Quella inerente al ruolo delle confraternite cittadine.

A Maglie esistono quattro confraternite.

La Confraternita della Maria SS. Addolorata; la Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia; la Madonna delle Grazie e quella dei SS. Medici, che peraltro è tra le più grandi di Puglia (oltre 4mila confratelli).

Come accade quasi in ogni Comune, ciascuna confraternita possiede una cappella e dei loculi dedicati ai propri defunti all’interno del cimitero comunale.

Incontrando e dialogando con alcuni rappresentanti di queste, abbiamo avuto conferma di quanto si dice in paese: «talvolta è capitato» che arrivasse qualche chiamata per richiederci la disponibilità di loculi da far utilizzare a persone estranee alle confraternite. Così come talvolta capita che alcuni di questi loculi siano stati assegnati a dei non iscritti (magari negli spazi meno ambiti, come le ultime file della cappella, ci spiega qualcuno), per venire incontro alle richieste che si susseguono. La stessa cronaca lo racconta: la giovane magliese tragicamente scomparsa a Napoli lo scorso dicembre, in seguito all’incendio che ha colpito il B&B dove alloggiava, è stata tumulata tra i defunti della Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia, pur non essendone consorella.

Ecco allora che, leggendo tra le righe, qualcuno si spinge finalmente oltre e trova il coraggio di darci la sua lettura: da un lato, le confraternite vengono utilizzate come stampella per sopperire alla carenza di loculi pubblici; dall’altro, le stesse sono diventate l’approdo prediletto di chi, non volendo finire nella lotteria delle sepolture e non essendo disposto ad acquistare un loculo tutto per sé, si iscrive alla confraternita per pensare alla morte con meno patemi.

«Non prendiamoci in giro», commenta un esponente di una delle quattro confraternite, che preferisce restare anonimo, «in tanti oggi si uniscono alle confraternite non certo per fede, ma proprio per avere la certezza (in cambio di un obolo contenuto) di una sepoltura degna, all’interno di un contesto decoroso, come quello delle nostre cappelle, piuttosto che negli spazi pubblici, lasciati al degrado».

Controtendenza nella controtendenza, oltre al picco di devozione registrato a mo’ di indulto, si segnala anche un altro fenomeno: in un periodo storico in cui le famiglie tendono a perpetrare la sepoltura dei propri cari (anche ben oltre i 30 anni), sempre di più sarebbero a Maglie i confratelli che, per ottenere uno spazio all’interno delle cappelle, procedono alla dissepoltura di famigliari mancati da lungo tempo per far spazio ai propri cari defunti recentemente.

Da un lato quindi i loculi privati, già ceduti ai cittadini che si sono potuti permettere un posto da cui osservarsi nell’aldilà. Dall’altro le confraternite, che dispongono di una riserva di loculi, a volte croce ed altre delizia. A ciò si aggiunga un’altra informazione che, tra i denti, sfugge alle chiacchierate intercorse in questi giorni, sempre con alcune delle suddette confraternite: non di rado, vengono effettuate delle sepolture temporanee, nell’attesa di traslare la salma in loculi idonei non appena se ne presenti la possibilità.

«UN BISOGNO, NON UN’EMERGENZA»

Ma quando si presenta questa possibilità?

Lo dice, implicitamente, il sindaco facente funzioni, Antonio Fitto – già primo cittadino della città tra il 1997 e il 2000 – oggi subentrato in qualità di consigliere comunale più anziano, a seguito della sospensione del sindaco uscente Ernesto Toma, attualmente agli arresti domiciliari per presunti reati contro la pubblica amministrazione, come emerso da recenti inchieste giudiziarie.

«Non parlerei di emergenza», ci spiega Fitto, «al più di qualche estemporanea criticità. L’ultima volta in cui ricordo che una salma abbia dovuto attendere per la tumulazione risale al 2023».

«La nostra amministrazione», continua, «ha già previsto risorse da destinare alla costruzione di nuovi loculi. Attività non ancora partita solo per via di un avvicendamento negli uffici comunali, che ha rallentato l’iter. L’intenzione», ammette infine, «è quella di non dover più inseguire le estumulazioni».

L’AGO DELLA BILANCIA

Sono quindi le estumulazioni il vero ago della bilancia.

L’unico elemento in grado di garantire nuovi posti ai nuovi defunti.

L’idea del Comune per venir meno a questa dinamica, tuttavia, sembra quella di replicare le misure di qualche anno fa: «Realizzeremo dei nuovi loculi a schiera, che saranno messi in vendita. In questo modo, il Comune potrà rientrare delle somme investite».

Emerge insomma un dato evidente: i loculi disponibili sono terminati, e oggi si “insegue” l’estumulazione per fare spazio. E se è vero che presto si procederà alla realizzazione di nuovi loculi, è altrettanto vero che questi verranno messi in vendita.

Ciò significa che, una volta acquistati da cittadini ancora in vita – desiderosi di garantirsi uno spazio per il futuro – il ritorno alla situazione attuale è più che un rischio.

Sul tema ha preso parola anche il gruppo consigliare all’opposizione, Maje Noscia, affermando che «la gestione del cimitero va completamente ripensata, anche adottando un nuovo Piano Regolatore Cimiteriale. Le attuali criticità sono figlie anche della scelta compiuta dall’amministrazione nel 2010, all’epoca guidata da Antonio Fitto, che ha ritenuto affidare in concessione ad un’impresa privata i lavori inerenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione del cimitero (la cui cattiva esecuzione dei lavori è sotto gli occhi di tutti), in cambio del diritto del privato a realizzare e vendere 21 edicole funerarie, oltre che circa 700 singoli loculi».

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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