Approfondimenti
Arte vecchia, scarpe nuove: la scalata della “Zaminga”
L’intervista – “Decollati senza l’aiuto di nessuno: nei nostri confronti totale disinteresse”

Da quasi un anno, nella zona industriale di Tricase, tre bandiere sventolano all’ingresso di un capannone. Sono quella italiana, quella europea e quella degli Emirati Arabi Uniti. Sormontano un cancello che si chiude alle spalle una certezza e un po’ di mistero. In paese lo sanno tutti: lì c’è un calzaturificio. In quel capannone Tricase è tornata a parlare una lingua che conosce, ma che sembrava morta e sepolta. Quello stesso tetto sotto il quale un tempo muoveva i primi passi l’epopea di Adelchi Sergio, oggi è il campo base della scalata dei fratelli Zaminga. È sia punto di arrivo che di partenza di una storia che, a dirla tutta, più che farsi avvolgere dal mistero, si presta al chiacchiericcio per i suoi intrecci col passato. E a Tricase, che a cavallo tra vecchio e nuovo millennio faceva rima con scarpe ed era la terra proprio di Adelchi, non potrebbe essere altrimenti.
“Lui non c’entra nulla. È venuto spesso a trovarci e per questo la gente crede che abbia degli interessi nella nostra attività, ma non è così”. È Guido Zaminga a precisare l’estraneità di Adelchi nell’azienda di proprietà sua e dei suoi fratelli Roberto e Giuliano. È lui a ripercorrere con noi la loro storia, partita in tutti i sensi da lontano. Guido è la personificazione del “self made man”, l’icona del sogno americano del ventesimo secolo, la realizzazione personale dal nulla, attraverso il sudore e la perseveranza. Ha imparato a dare del tu al lavoro, iniziando proprio da ragazzino (quasi bambino per la verità), con i suoi fratelli, a lavorare nella filiera Adelchi che lo ha poi portato fino in Bangladesh (“Quando ci andammo noi non c’erano le comodità di oggi: dormivamo in mezzo ai topi”). Ci mostra il suo lato duro e granitico, come se ad un uomo al comando non fosse concesso sorridere. Poi si scioglie e ci racconta, come farebbe ad un amico, come hanno fatto a metter su una realtà che dà lavoro ad 80 persone.
“Non ci ha aiutati nessuno, siamo arrivati fin qui da soli: gli unici a darci un briciolo di fiducia sono stati amici e conoscenti che ci hanno aiutati ad acquistare i macchinari facendoci credito. Non abbiamo visto il becco di un quattrino dalle banche e nemmeno il minimo sostegno morale dalla politica”.
Nemmeno da quella locale?
“C’è stato un totale disinteresse nei nostri confronti, come dimostra anche l’isolamento che viviamo qui nella zona industriale. Attorno a noi regna il degrado e l’incuria. Non un minimo di illuminazione, di pulizia o anche solo di controllo stradale all’orario di uscita degli operai. Ogni giorno tremo ricordando un incidente che vidi da vicino proprio su questa pericolosa strada tanti anni fa. Cosa costerebbe ai vigili venire a dare un’occhiata al traffico per quei dieci minuti al giorno? Evidentemente la via sotto i riflettori è un’altra (parla dell’altro braccio della zona industriale, quello che conduce alla famigerata maxi rotatoria di Lucugnano), vi hanno fatto un rondò ogni cinque metri! Questo lato invece è diventato un museo abbandonato. La prima domanda che si fa chi viene da fuori è cosa siano questi capannoni dissestati che ci circondano. Io non ci vedo più il passato, ma quello che avrebbero potuto essere”.
Tu cosa ci avresti fatto?
“Una zona industriale gestita dal Comune. Mi viene da ridere a pensare che Tricase ha acquistato l’Acait. Non ho ancora capito a cosa è servita quella spesa. Non sarebbe stato meglio acquistare questi capannoni e ridargli vita? A Corsano, ad esempio, la zona industriale è di proprietà comunale. Per Tricase sarebbe stata una opportunità, non per farvi impianti di compostaggio o chissà che, ma magari per portare in un’area adatta officine e depositi che affollano il paese e per avere un piccolo introito, derivante dagli affitti, nelle casse pubbliche. Senza contare che avrebbe ridato lustro all’intera area. Noi prima eravamo a Tiggiano, dove la zona industriale è un fiore all’occhiello: pulita, ordinata e controllata”.
È da lì che siete partiti?
“No, dall’Albania. Poi siamo rientrati in Italia passando da Miggiano e successivamente da Tiggiano. Fino ad arrivare a Tricase, quasi un anno fa”.
Una scelta di cuore?
“La realizzazione di un sogno. Lavorare e dare lavoro a casa nostra era un obiettivo che avevamo in testa da sempre”.
Al netto dei problemi incontrati, da rifare?
“Senza dubbio sì, probabilmente però sbagliando. Perché in fin dei conti sono a casa, ma mi sento solo. Ci manca anche il semplice appoggio morale. Io non mi sono mai interessato di politica, ma stupisce che tanto il Sindaco quanto gli assessori non si siano mai fatti vivi. Non lo dico per noi, ma almeno per chi ci lavora”.
Che forza lavoro avete?
“Abbiamo 40 dipendenti fissi ed altri 40 impiegati periodicamente. Non possiamo assumere tutti a tempo indeterminato perché anche per noi la certezza del lavoro non è sempre a lungo termine. Poi, paradossalmente, con le leggi odierne si è più agevolati ad assumere chi non ha esperienza che chi è in mobilità. Certo non un aiuto in un periodo così ricco di difficoltà”.
Si mormora in proposito di ritardi nei pagamenti.
“So che circolano voci a riguardo e ci tengo a fare una precisazione: non nascondo che le difficoltà iniziali ci hanno portato a qualche ritardo nei primi periodi. Ma pian piano le cose si sono messe a posto, i nostri operai hanno capito, ci hanno visti crescere ed hanno riposto fiducia in noi, standoci vicini”.
Ad oggi, che fatturato fate?
“Negli ultimi sei mesi abbiamo sfiorato i due milioni di euro”.
E puntate ad espandervi.
“Se mi lasciano stare…(fa riferimento al furto subìto da pochi giorni). Ci hanno rubato un camion e centinaia di paia di scarpe. Un danno da 200mila euro. Non il primo caso: già ad agosto ci avevano fatto ‘visita’. Eppure stavolta ci eravamo assentati solo per qualche ora…”
Non ci aspettavamo una commiserazione, ma a onor del vero nemmeno questa reazione: l’imprenditore non si lecca le ferite, il furto non lo mette in ginocchio. Al più, spiega, “mi fa rabbia, perché pesa sul lavoro delle persone. E fa stizzire ancor di più sentirsi presi in giro da qualcuno come è accaduto subito dopo…”
Allude all’infelice commento su Facebook dell’assessore Sergio Fracasso (“…mi puzza un po’…”) all’accaduto. Episodio che lo ha portato a scrivere una lettera al politico tricasino tramite le nostre colonne (su www.ilgallo.it) e cui lo stesso Fracasso ha risposto chiedendo scusa per la sua uscita “colorita” ma, a suo dire, priva di dietrologia.
“Ci stiamo comunque espandendo”, riprende Zaminga, “abbiamo appena acquistato altri due macchinari da taglio, quelli che ci mancavano per poter fare il prodotto in loco dalla A alla Z, dal disegno della scarpa, fino alla sua forma finale”.
Producete solo qui in Italia?
“Siamo in grado di farlo. In parte però lavoriamo ancora in Albania. Alcune tomaie le facciamo lì, perché richiedono più manodopera”.
E la manodopera costa…
“Non solo. Costa e scarseggia: si è perso quello zoccolo duro che un tempo lavorava per Adelchi. Alcuni suoi ex dipendenti oggi lavorano per noi, altri invece fanno altro o non lavorano più perché avanti con gli anni. La manodopera sapiente che avevano maturato non c’è più. Anche per questo abbiamo in mente di mettere su una scuola per insegnare ai giovani a cucire a macchina”.
Oggi che mercato servite?
“Una fascia medio alta. Lavoriamo con arabi e coreani. Marchi come Capo Italy ed Ecoflex puntano su di noi perché sanno che il Made in Italy offre garanzie che in Paesi come l’Albania non ci sono: lì hanno bisogno di essere monitorati costantemente da tecnici per assicurarsi un lavoro di qualità“. E aggiunge, strizzando l’occhio: “In Italia è tutta un’altra cosa…”
Noi lo avevamo capito da subito, la sua fabbrica lo comunica in ogni angolo. Nella sala dove ci accomodiamo, troneggia un tricolore di forme di calzature in legno, verniciate di bianco di rosso e di verde. La “Z” gigante di Zaminga, che si erge per le pareti dei capannoni, poggia su una piccola bandiera del Belpaese. La stessa che sventola all’ingresso del calzaturificio, la stessa che fa brillare gli occhi di Zaminga quando si parla di casa, di Tricase, di Italia. Perché in fondo quel tricolore è molto più di una garanzia di qualità. È la spinta che riesce a far largo tra le piramidi ed i mausolei di un paese che non sapeva più cosa significa dare lavoro ad 80 persone. È il motore vero che può alimentare la scalata di un “self made man” in un sogno tutto salentino. Altro che American Dream…
Lorenzo Zito
Approfondimenti
Il sindaco di Martano, Fabio Tarantino, si confessa…

Intervista esclusiva al sindaco di Martano, Fabio Tarantino, ospite in redazione
Una lunga chiacchierata svicolando dalla pura cronaca amministrativa alla cultura e al sociale, con qualche sortita anche sulla politica provinciale e regionale e sulla delicata situazione in Medioriente.
Tarantino sta affrontando l’ultimo anno del suo secondo mandato e, ammette, come consentito dalla nuova legge per i Comuni sotto i 15mila abitanti, di puntare al tris alle prossime elezioni.
In questi dieci anni tante le opere portate a termine ma ciò di cui il primo cittadino più va orgoglioso è come «in questi anni sia cambiato il modo di vivere il paese. È cresciuto il rispetto dello spazio pubblico, tutti insieme abbiamo compreso quale sia la strada migliore per valorizzare Martano e le sue professionalità. Non abbiamo il mare e, se vogliamo essere attrattivi, dobbiamo essere accoglienti, in tutti i sensi».
A partire dagli spazi da vivere: «Abbiamo trasformato quella che era una strada di passaggio per automobili in due piazze.
La prima, l’abbiamo chiamata piazza Castello, perché consente agli avventori
di godere del panorama del palazzo Baronale. La seconda, piazza dei Caduti, è oggi uno spazio vivo e vissuto dai miei concittadini e da chi viene da noi in visita».
L’INFRASTRUTTURA… SOCIALE
Dieci anni da sindaco saranno stati una faticaccia ma anche una fucina di soddisfazioni. La più importante?
«È un’infrastruttura… sociale! Abbiamo ricreato una stretta connessione tra la gente e l’amministrazione: il Comune è oggi un “palazzo di vetro”. Il funzionario è a disposizione di tutti, esattamente come l’amministratore. Potranno accusarci di tutto ma, di certo, non di esserci allontanati dalle persone e dalle loro esigenze. Qui nessuno si è mai chiuso nella torre».
LA CULTURA AL CENTRO
Da giornalista sa bene quanto sia importante la cultura nella vita di una città e di ognuno di noi.
«L’abbiamo messa al centro di tutte le nostre attività. Ne è stata (e ne sarà) la diretta protagonista oppure con un importante ruolo di “accompagnamento”. Comunque, presente all’interno di tutte le manifestazioni promosse dall’amministrazione, in tutti i progetti, i programmi e le opere introdotti in questi dieci anni. La cultura è il punto di riferimento per il Comune, con la sua biblioteca, i suoi eventi, le iniziative a fare da presidio culturale, insieme ovviamente alla istituzione scolastica del territorio e alle associazioni di promozione culturale».
OPERAZIONE RECUPERO
Altro punto a favore il recupero della ex struttura “Dopo di Noi”.
«Abbiamo ereditato questa opera, , incompleta e definanziata, dalle precedenti amministrazioni.
Dopo un intenso lavoro istituzionale, nel 2020, siamo riusciti a ottenere un nuovo finanziamento per completare quella che era diventata una delle opere incompiute simbolo a livello nazionale.
Da poco è scaduto il bando per l’affidamento in gestione, ora vedremo gli esiti e cercheremo di arrivare a una gestione e, quindi, all’apertura di questa struttura con un gruppo di appartamenti destinati ad anziani e disabili che restano soli. La comunità che immaginiamo è inclusiva e deve garantire ai più deboli una vita dignitosa oltre all’accesso alle cure».
CITTADELLA DELLA SALUTE
Non avete lesinato sforzi per quella che è una sorta di hub della salute.
«Non abbiamo un ospedale in loco e, per questo, abbiamo fatto il possibile per fornire almeno i servizi essenziali. Il nostro poliambulatorio lavora a pieno regime, basta consultare i numeri per averne conferma. Puntiamo ad avere, nello stesso posto, sfruttando i locali della RSA, anche i poliambulatori di tutti i medici di base del paese, i poliambulatori pediatrici e gli altri servizi».
IL CIRCOLO TENNIS
C’è qualcosa che ha urgenza di realizzare prima che finisca il secondo mandato?
«Restituire ai cittadini il Circolo Tennis. Stiamo realizzando due campi di tennis, due di padel e un campo di calcetto. Lo sport è importante e il Circolo fa parte della storia di Martano. Contiamo che ritorni all’antico splendore».
Fuori dai denti: ci sarà per il terzo mandato?
«La squadra ha fatto bene e può continuare il suo lavoro, credo proprio che ci ripresenteremo agli elettori. Anche perché…».
Perché?
«Stiamo gettando le basi affinché la nuova zona artigianale diventi un fiore all’occhiello della città. La zona PIP 1 è completa, per la PIP 2 abbiamo già ricevuto tante richieste sia da locali che da persone che vorrebbero trasferire la loro azienda da noi. Vogliamo fare in modo che la nostra zona artigianale sia davvero funzionale e quindi appetibile per dare anche un impulso all’occupazione».
Altro suo cruccio è la lotta allo spopolamento.
«Non è facile. Tra denatalità e giovani che vanno via per avere un futuro, rischiamo di rimanere una terra popolata solo da anziani. Ci stiamo ragionando e faremo tutto quanto nelle nostre possibilità per invertire la tendenza. Come creare degli spazi affinché chi svolge un’attività in altre città possa continuare a farlo da Martano, avendo tutto a disposizione e senza doverne pagarne lo scotto. Ci siamo già dotati di Ultra Fibra per la connessione internet, ora dobbiamo pensare a come offrire spazi adatti».
CONTRO IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Intanto avete sistemato gran parte della questione “fognatura bianca” contro il rischio idrogeologico.
«Per quanto riguarda la fognatura bianca e il recupero delle acque pluviali, abbiamo ricevuto un finanziamento di 3,5 milioni di euro complessivi con due finanziamenti. Con quei fondi stiamo realizzando un’infrastruttura primaria necessaria per Martano. Riguarderà le principali arterie, quindi, via De Gasperi, via Mameli, via Traglia, via Aldo Moro, via Don Minzoni, via Teofilo. In questo modo forniremo alla città un’infrastruttura importante contro il rischio idrogeologico. Abbiamo anche in “cottura” altri tre progetti relativi alla fogna bianca, finanziati sempre dal Ministero, per ottenere poi fondi pari a sei milioni di euro, proprio per completare la rete di fognatura bianca della città».
PRESIDENTE DELLA PROVINCIA?
Oggi è vicepresidente della Provincia e c’è già chi la vede futuro presidente…
«Il presidente Stefano Minerva si dimetterà per prendere parte alle elezioni regionali e io sarò chiamato a colmare il vuoto amministrativo fino alle prossime elezioni. Se, poi, si vorrà dare continuità all’amministrazione uscente confermo la mia disponibilità ma senza alcuna forzatura. Se ce ne sarà bisogno, io ci sarò».
LA QUESTIONE PALESTINESE
A differenza di molti suoi colleghi, non ha fatto spallucce e, sul genocidio di Gaza, ci ha messo la faccia.
«Martano condanna con fermezza qnaato accade nella Striscia di Gaza. Abbiamo esposto una bandiera della Palestina ancora più grande, a testimonianza di un impegno non solo morale, anche politico e istituzionale. Le notizie che ci giungono sono drammatiche: scarsità di medicinali, mancanza di cibo e acqua potabile, distruzione del sistema sanitario e scolastico, collasso totale delle infrastrutture civili.
Il Consiglio comunale di Martano ha formalmente chiesto: il cessate il fuoco immediato, l’apertura urgente di corridoi umanitari sicuri, il rispetto del diritto internazionale, l’opposizione a ogni ipotesi di annessione della Striscia di Gaza.
La nostra è solo un’istituzione locale.
Crediamo, però, che il compito della politica, anche a livello comunale, sia quello di dare voce ai valori universali di giustizia, pace e tutela della dignità umana. Martano non resta in silenzio e si schiera sempre dalla parte della vita e dei diritti umani. Da diversi porti del Mediterraneo, son partite le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, con l’obiettivo di rompere l’assedio e portare aiuti alla popolazione stremata. Tutti abbiamo il dovere di fare qualcosa: è in discussione il principio di umanità. Al tema dei diritti umani, del rispetto dei diritti umani contro il genocidio sono sensibili sia il sottoscritto, come vicepresidente della provincia, che l’intera amministrazione comunale di Martano. Ecco perché stiamo mettendo a disposizione della Freedom Flotilla Italia noi stessi, le nostre capacità e la nostra forza politica per aiutare, in ogni modo possibile, un popolo vittima di genocidio».
CULTURA CINOFILA
Di recente avete attivato il servizio gratuito di cultura cinofila. Di che si tratta?
«Anche questo è un aspetto importante della vita di tutti. Il Comune, in collaborazione con gli educatori cinofili Angelo De Mitri e Lavinia Donateo, ha avviato la nuova iniziativa dedicata alla tutela e al benessere dei cani. Un servizio gratuito, individuale e personalizzato per sensibilizzare il cittadino sulla cultura cinofila e supportare i proprietari nei problemi relazionali con il proprio cane».
Giuseppe Cerfeda
Approfondimenti
Oltre l’app: Cloud e HTML5 spingono il mobile gaming nel futuro
Come funzionano i giochi nel browser con HTML5? Per capirlo occorre guardare al ruolo crescente del cloud gaming, una tecnologia che cambia il rapporto tra hardware e software…

Oltre l’app: Cloud e HTML5 spingono il mobile gaming nel futuro
Già da qualche anno, il mobile gaming non è più un passatempo marginale. In poco più di un decennio ha trasformato il mercato globale, mettendo nelle mani di milioni di persone la possibilità di accedere a titoli complessi e sofisticati. Fino a poco tempo fa la sua crescita sembrava legata quasi esclusivamente alle app scaricate dagli store digitali. Oggi, invece, due tecnologie stanno ridisegnando le regole del gioco: il cloud e l’HTML5.
Cloud gaming su smartphone: dal download allo streaming
Come funzionano i giochi nel browser con HTML5? Per capirlo occorre guardare al ruolo crescente del cloud gaming, una tecnologia che cambia il rapporto tra hardware e software. È un modello in cui i giochi non sono installati sul dispositivo, ma elaborati su server remoti. Lo smartphone diventa così un terminale che riceve in streaming immagini e dati, riducendo la dipendenza dall’hardware locale.
La logica ricorda il passaggio dal DVD alle piattaforme di film on demand: ciò che conta non è possedere il supporto, ma avere accesso immediato al contenuto.
Per gli utenti significa poter usare titoli complessi anche su device di fascia media, senza temere rallentamenti o incompatibilità. È come se il telefono fosse solo la porta d’ingresso, mentre la vera potenza di calcolo resta nascosta dietro le quinte, nei server che macinano dati a velocità impressionante.
Dietro a questo meccanismo si cela un’enorme sfida tecnologica: ridurre la latenza, garantire una trasmissione stabile di immagini ad alta definizione e assicurare stabilità di connessione. Non è un caso che i grandi attori del settore stiano investendo in data center diffusi in diverse aree geografiche, per avvicinare i server agli utenti finali. È una corsa silenziosa che prepara il terreno a un futuro in cui la distinzione tra console, PC e smartphone rischia di dissolversi.
HTML5 per il gaming: giochi nel browser senza app
Se il cloud elimina la barriera dell’hardware, l’HTML5 agisce sul piano del software. Questo linguaggio permette di sviluppare titoli che funzionano direttamente nel browser, senza download e senza plugin esterni.
L’impatto è evidente: un titolo può essere aggiornato in tempo reale e reso disponibile istantaneamente a chiunque disponga di una connessione. Per i giocatori significa passare da un link a una partita in pochi secondi. Per gli sviluppatori è la possibilità di raggiungere un pubblico vastissimo senza la mediazione obbligata degli app store e senza vincoli di compatibilità tra sistemi operativi.
L’HTML5 ha fatto passi enormi rispetto ai suoi primi impieghi. Oggi supporta grafica 3D, audio di qualità, animazioni complesse e funzioni interattive che lo rendono una base solida per giochi di ogni genere, dai puzzle casual fino a titoli competitivi più elaborati. È una tecnologia che cresce in parallelo con le esigenze del mercato, adattandosi con sorprendente elasticità a scenari sempre nuovi.
Mobile gaming, cloud e HTML5: un cambiamento di paradigma
Cloud e HTML5 non sono solo innovazioni tecniche, ma forze che spingono il settore verso un nuovo equilibrio e di fatto una nuova weltanschauung.
Il cloud promette di democratizzare l’accesso ai giochi più sofisticati, mentre l’HTML5 apre a un’accessibilità immediata e universale. Due strade diverse, ma complementari, che tendono a superare l’idea stessa di app come unico canale di fruizione.
Chi guarda al futuro del mobile gaming deve immaginare scenari in cui lo smartphone è una finestra, non più un contenitore. Una finestra capace di aprirsi su mondi sempre più complessi, senza barriere tecniche né vincoli di piattaforma.
Questo non significa che le app siano destinate a sparire: restano strumenti validi, soprattutto per chi cerca intrattenimento offline o preferisce ambienti chiusi e protetti. Tuttavia, la spinta del cloud HTML5 è destinata a ridurre progressivamente il loro predominio, aprendo un panorama più articolato e complesso.
Mobile gaming: conseguenze economiche e sociali del cambiamento
Gli effetti derivanti non riguardano solo la tecnologia, ma anche il modo in cui il mercato e la società interagiscono con il gioco. Con il cloud, il modello di business tende a spostarsi verso abbonamenti mensili e formule “pay per access” simili a quelle già diffuse nello streaming video. L’HTML5, invece, favorisce titoli accessibili gratuitamente con inserzioni pubblicitarie o microtransazioni.
Questi modelli sollevano domande etiche e regolamentari. Chi gestisce i dati di milioni di giocatori collegati a server globali? Quali tutele esistono per i minori? E come si definisce il confine tra intrattenimento e consumo eccessivo? Sono interrogativi che richiedono risposte non solo tecnologiche, ma anche politiche e culturali.
Sul piano sociale, la diffusione di giochi immediati e accessibili ovunque contribuisce a un fenomeno che potremmo definire di “gioco diffuso”. Non più sessioni concentrate davanti a una console, ma momenti frammentati, inseriti nelle pause quotidiane. Un cambiamento che modifica la percezione stessa del tempo libero e la relazione con la tecnologia.
Il futuro del gaming: equilibrio tra mercato e cultura
Non si tratta solo di un’evoluzione tecnica, ma di un cambiamento culturale verso i giochi a pagamento. Il gioco non è più confinato a spazi chiusi: con il cloud e l’HTML5 è più accessibile,con comparazione bonus immediato e interconnesso con le offerte del mercato.
L’industria si trova davanti a un nuovo equilibrio tra modelli economici, diritti digitali e modalità di fruizione. E gli utenti, spesso inconsapevoli della rivoluzione in corso, sono i primi testimoni di un futuro che si costruisce giorno dopo giorno, partita dopo partita.
Il mobile gaming, nato come intrattenimento leggero, si avvia così verso una maturità in cui il confine con il gaming tradizionale è sempre più labile. E in questo passaggio non c’è soltanto l’innovazione tecnologica, ma anche una riflessione su come viviamo il gioco, sul tempo che gli dedichiamo e sul valore culturale che gli attribuiamo.
Approfondimenti
I sindaci e la sindrome dell’Armata Brancaleone
Insomma, come recitava la regola aurea che circolava in molte scuole di pensiero, tanto tempo fa, quella massima: “Chi non sa fare un tubo, potrà fare politica, domani”, non deve vincere, ma neanche cedere il passo a formare, una volta in sella, delle “Armate Brancaleone”…

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Fra poco, in autunno, torneremo a votare!
Ci toccherà ancora una volta, come scriveva Montanelli: “Turarsi il naso e votare…”.
Scegliere di candidarsi, dedicarsi alla politica, lo so, non è cosa facile, anzi è alquanto ardua come scelta: non deve essere un rimpiazzo, una surroga, ma impegno costante, obbligo e zelo!
Insomma, come recitava la regola aurea che circolava in molte scuole di pensiero, tanto tempo fa, quella massima: “Chi non sa fare un tubo, potrà fare politica, domani”, non deve vincere, ma neanche cedere il passo a formare, una volta in sella, delle “Armate Brancaleone”.
A leggere la realtà di oggi nel nostro Salento, sembrerebbe che quello sfottò, quella saggezza popolare, si sia trasformata in profezia.
In molte nostre città è ricominciata scuola e, in tante parti dei nostri Comuni, insieme alle lezioni sono iniziati i lavori stradali, i rifacimenti, i rumori, le deviazioni: chiaramente, a ridosso dei plessi scolastici.
Così come in tante altre vie, appena tirate a lucido con sforzi economici non indifferenti, subito dopo la posa del nuovo asfalto, iniziano i lavori dell’AQP, dell’Enel, della fibra, del Gas.
E’ solo una coincidenza o mancata programmazione, sciatteria? Sembra la facciano apposta!
A sentir loro, i politici, i manager non hanno colpe: una volta è la burocrazia, l’altra, gli uffici, l’altra ancora la Giunta che non sa coordinarsi, poi lo scirocco “mputtanutu”, le zanzare del Nilo e i social “caini” che mettono in giro certe false voci.
Capisco che avere a che fare con l’AQP (che in molti comuni sta ultimando lavori) è come aver a che fare con Brighella: pensate sono così scrupolosi che inviano le fatture da pagare 15 giorni dopo la scadenza e poi si fanno pagare il “pizzo” per il ritardato pagamento sulla fattura successiva.
Sono così organizzati che in una scuola del nostro Salento, che da mesi aveva programmato “le porte aperte” con palloncini e festoni per accogliere e dare il benvenuto ai pupi per l’inizio della materna, l’acquedotto ha deciso, proprio quel giorno, di chiudere l’acqua!
Forse in segno ben augurante di benvenuto!
Forse era un saluto liquido (senza l’acqua), o un messaggio subliminale: “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
Certo, se proprio devo essere sincero, questo copione fa il pari con quelli dell’Enel (o come si chiama oggi la società dell’energia) che, bontà loro, per non dare fastidio e creare scompiglio, quando decidono di togliere la corrente in certe strade dei nostri Comuni, zitti zitti, non avvisano nessuno.
Si, forse qualcuno della loro famiglia lo avvisano: i pali della luce! Ma guai a farlo sapere in giro: che scherzo sarebbe!
O quelli delle Poste che, due volte su tre, nonostante siano una istituzione nazionale preposta alla gestione economica e alla felicità dei nostri anziani che, invece, quando si recano in agenzia, dopo aver fatto la fila per riscuotere la pensione, si sentono rispondere: “Mi dispiace, non ci sono soldi!”.
Ora potrei capire i poveri sindaci e le loro armate (politiche), che investiti da una barca di soldi – leggi PNNR – da spendere entro non oltre, plagiano Brancaleone e, dopo le votazioni creano alla meno peggio, quando non li sfiduciano, un gruppo di “tubisti” spesso mal organizzati e inconcludenti, i quali giustificano, come sopra, il loro operato.
Ma si intravede un’alba per il cambiamento?
La colpa è anche nostra: anche dei giornali, poco attenti a quello che succede; della poca denuncia e della poca assunzione di responsabilità; della evanescenza di chi si affaccia alla politica; e in ultimo di tanta gente che, specchiandosi con la realtà che la circonda, è stordita dal poco senso civico.
Fra poco, dicevo, andremo a votare, io non sono nessuno, sono solo un semplice osservatore, per questo non mi elevo a dare consigli, ma vorrei solo invitare tutti al dibattito, alla riflessione, a spendersi, a lottare, a farsi sentire anche con il voto.
Solo così potremo creare un’alba lucente, un futuro migliore per tutti, degno di questa bella terra.
Luigi Zito
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