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Approfondimenti

Leuca e la ‘nuova’ Colonia Scarciglia che mette tutti d’accordo

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COLONIA SCARCIGLIA, LEUCA



Presso il Circolo della Vela di Santa Maria di Leuca, è stato presentato ufficialmente il progetto di riqualificazione della Colonia Scarciglia vincitore del bando di gara emanato dall’amministrazione di Castrignano del Capo alla fine del 2022.


IL FUTURO DI LEUCA


Il presidente dello Yacht Club, Giovanni Arditi di Castelvetere, ha posto l’attenzione sul fatto che il progetto di riqualificazione della Colonia Scarciglia rappresenta il futuro di Leuca, allo stesso modo in cui lo Yacht Club Leuca, le cui radici affondando nel lontano 1878, ne rappresenta la storia.


OCCASIONE DI RILANCIO


Per il sindaco di Castrignano del Capo, Francesco Petracca, rappresenta un’occasione di rilancio per il territorio e si inserisce in un programma di rigenerazione più ampio: «La Colonia Scarciglia, così come appare oggi, non è un buon biglietto da visita per Leuca.  Appena ho visto il progetto me ne sono subito innamorato: non è impattante; è rispettoso dell’ambiente; rinuncia a 700 mq di volumi; comporta una riqualificazione dell’intero promontorio di Punta Meliso, anche attraverso un rimboscamento; prevede una serie di collegamenti con la Via Francigena e con la Via Crucis, rivolgendosi anche al turismo religioso e dei cammini; lascia aperto al pubblico il percorso che porta a Punta Meliso e, infine, è un progetto che dall’esterno si vede poco, si confonde con la roccia e la macchia mediterranea».


DA APPLAUSI


L’assessora regionale Anna Grazia Maraschio ha sottolineato come il progetto coniughi «tutte le componenti essenziali negli interventi di riqualificazione» ed ha raccontato come «quando fu presentato per la prima volta ai funzionari del paesaggio e dell’urbanistica della Regione Puglia, alla fine ci furono un minuto di silenzio e un applauso».


PER MONSIGNORE E’ OK


Don Gianni Leo (Rettore della Basilica di Santa Maria De Finibus Terrae), intervenuto per conto del Vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, ha ricordato come Mons. Vito Angiuli sia «stato tra i primi a visionare questo progetto e ad auspicarne la realizzazione».


RESTUTUISCE BELLEZZA


L’imprenditore Ivan De Masi ha posto l’accento sulla valenza pubblica: «Il progetto risponde ad un’esigenza del Comune di Castrignano del Capo che prevede la riqualificazione urbana di un’area più vasta. Restituisce bellezza e fa convivere pubblico e privato. Una parte del progetto è destinata, infatti, a rimanere pubblica e sarà la sede di una Fondazione Culturale di cui si spera facciano parte le istituzioni: l’Università del Salento, la Diocesi ed i privati che a vario titolo operano sul territorio».


LUOGO UNICO


L’altro imprenditore in rappresentanza dell’azienda promotrice Alboran Real Estate, Pasquale Amabile si è soffermato sugli aspetti turistico-ricettivi del progetto: «Nell’immaginario collettivo dell’Italia, Leuca è percepita come un luogo unico, al pari di Capri, ma può e deve ancora crescere da molti punti di vista. L’auspicio è che possa farlo anche grazie a questo progetto, che prevede la creazione di una struttura ricettiva di alto livello, finalizzata a qualificare ancora di più l’offerta turistica in Salento».


PAESAGGIO PROTAGONISTA


L’architetto Toti Semerano, infine, ha spiegato la filosofia di fondo del progetto: «L’attuale fronte della Colonia Scarciglia è un detrattore ambientale, nonostante la sua storia e le ragioni straordinarie per cui è stato realizzato. Il progetto si propone di lasciare solo il piano terra dell’immobile e di rivelare la collina alle sue spalle, che è stata cancellata e non è più percepibile. Il vero protagonista è il paesaggio. La caratteristica essenziale del progetto consiste nella sua doppia natura: da un lato la Fondazione Culturale aperta al pubblico, che sarà il motore della nuova Colonia Scarciglia, dall’altro la struttura ricettiva e gli annessi servizi (bar, ristorante, piscina, spa ecc.) per gli ospiti».


IL FUTURO DIRETTORE


Sulla eliminazione della facciata e, più in generale, sulla riduzione del volume esistente, si è soffermato anche Mario Carparelli, futuro Direttore della Fondazione: «Quando ho visto per la prima volta il progetto ho pensato a Michelangelo, che si definiva artista “del levare” e non “del mettere”, perché per lui il blocco di marmo andava scolpito affinché potesse liberare la statua che vi era imprigionata dentro. Esattamente come Michelangelo, Toti Semerano con il suo progetto non aggiunge ma toglie, liberando la bellezza offuscata dall’attuale struttura».




SINTESI DEL PROGETTO


Il progetto, che si è aggiudicato il Premio The Plan Award 2021 per la categoria paesaggio promosso dalla rivista di architettura e design The Plan, invece di utilizzare il volume esistente, prevede di ridurlo drasticamente facendo riapparire la collina ora del tutto celata alla vista: un intervento dove l’architettura dialoga, si integra, si fonda col paesaggio.


Dell’imponente volume della Colonia Scarciglia viene utilizzato esclusivamente il piano terreno, viene recuperato invece il volume esistente dell’ex scuola, destinandolo a residenza turistica con annessi servizi.

La parte rimanente del piano terreno, opportunamente ristrutturata, resta nella disponibilità pubblica e viene recuperata per dare sede in futuro a una costituenda Fondazione Culturale.


Un unico elemento svetta nel paesaggio recuperato: una Torre di grande valore simbolico, la cui altezza è la memoria della dimensione dell’ex colonia, al cui attuale volume si sceglie di rinunciare.


La Torre sarà un segno identificativo del paesaggio costiero salentino, ma anche la Porta di accesso alla collina sovrastante, che si vuole rendere accessibile non solo come passeggiata, ma anche estendendo, attraverso un restauro botanico, la parte alberata così da formare un bosco rigenerativo dell’intero costone.

Gli appositi percorsi serviranno a raggiungere da Leuca il Santuario De Finibus Terrae e avranno pendenze adeguate, in quanto progettate con il fine di eliminare ogni barriera architettonica e dare comodo accesso alla terrazza che si sviluppa sopra l’immobile destinato alla sede della Fondazione.


Questo grande spazio diventerà una Arena cinema all’aperto e sarà utilizzabile, oltre che per proiezioni e rassegne cinematografiche, anche per ogni altra manifestazione culturale.



Rendering Colonia Scarciglia-55


UN PO’ DI STORIA, UNA VOLTA LA COLONIA ERA COSì….



Il prof. Hervé Cavallera.


L’attuale progetto di riqualificazione della vecchia Colonia Scarciglia, da tempo abbandonata, fa riemergere ricordi di un passato ormai svanito, divenuto storia.


Per tutto l’Ottocento non pochi erano, nella penisola italiana, i bambini poveri ed esposti a malattie. Pertanto varie associazioni filantropiche e religiose decisero di ospitarli, durante la calura estiva, in degli edifici detti colonie marine (o ospizi).


La più antica colonia pare sia quella aperta a dei bambini di strada da parte dell’Ospedale di Lucca a Viareggio nel 1822. Altri ospizi con analoghi compiti sorsero in zone montane.La loro finalità non era solo ricreativa, ma soprattutto sanatoriale, in particolar modo per piccoli malati di tubercolosi e di scrofolosi.


Il fenomeno della presenza di tali malattie si era accentuato con l’urbanizzazione, la quale aveva generato ulteriori problemi igienici nei quartieri popolari, dove molte volte mancava l’acqua e carenti erano i servizi igienici.


Né la situazione igienica era più rosea nei tanti medi e piccoli Comuni italiani. La prima guerra mondiale accrebbe ancor di più il disagio igienico ed economico, con la diffusione di malattie come la sifilide, il tracoma e il tifo, oltre che la tubercolosi.


Il fascismo, all’interno della sua visione dello Stato totalitario, affrontò risolutamente il problema della organizzazione di massa della gioventù e dell’igiene sociale potenziando le colonie estive, montane e marine e, dal 1926, la loro gestione fu affidata alle locali federazioni del Partito Nazionale Fascista.


Per quanto riguarda il basso Salento orientale, nel 1928 fu aperta a Leuca la Colonia “Luigi Scarciglia” e un’altra, denominata Colonia Trieste, ai Laghi Alimini (Otranto). Il tutto fu poi, con gli anni Trenta, gestito dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) e dall’Opera Nazionale Balilla (ONB). Nel 1937 la cura delle colonie fu affidata alla Gioventù Italiana del Littorio (GIL).


Alle colonie potevano accedere – così si legge in un regolamento del 1939 – bambini provenienti da famiglie bisognose, dando la precedenza agli orfani di caduti di guerra e ai figli di mutilati e di invalidi per la grande guerra.


L’età dei frequentanti  andava dai 6 ai 13 anni. Dalle fonti ufficiali risulta un totale di 568.680 assistiti nel 1935 e 806.964 durante l’estate del 1939.


Il soggiorno durava circa un mese, secondo un piano giornaliero di attività stabilito a livello nazionale, in cui non mancava il carattere patriottico secondo il costume del tempo.


Con la  nascita della Repubblica Italiana le colonie estive hanno poi assunto un carattere più vacanziero oltre che formativo e sanitario, e il patrimonio immobiliare  delle colonie  è stato  affidato prima alle  province e regioni e poi, negli anni ’70, agli enti locali.


Soprattutto negli anni anteriori al boom economico, le colonie estive rappresentavano una mèta ambita per tanti bambini, anche se non sempre facile da raggiungere. Le auto private negli anni ’50 non erano molte, sì che i bambini, come ben ricordo, potevano ancora giocare per  strada; il tutto con la vigilanza, discreta ma oculata, di madri e parenti anziani.


Né erano adeguati (e non lo sono tuttora) i mezzi pubblici per lo spostamento nei vari paesi del Capo di Leuca, sì che andare alla Colonia Scarciglia (e risiedervi) rappresentava allora un’autentica avventura e non sempre le famiglie, per privata cautela, erano disposte ad affidarvi i loro figli. Il distacco da casa non era sentimentalmente ben vissuto dai genitori.


Accettato era invece lo spostarsi in gruppo, in modo da essere sicuri di quanto potesse accadere ai piccoli. In un momento storico in cui le risorse economiche erano assai ristrette, i villeggianti nelle marine appartenevano di solito al ceto medio-alto. Essendo inoltre i nostri paesi distanti dal mare pochi chilometri,  i più solevano recarsi al mare  per il tramite della corriera che in vari Comuni collegava giornalmente il centro urbano con la marina.


Per tale motivo, negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, la frequenza della Colonia era considera propria delle classi sociali meno abbienti e d’altra parte non sempre i Comuni – riferendoci al nostro territorio – erano in grado o capaci di sviluppare una amministrazione che attraesse e incrementasse con indubbi vantaggi ricreativi e formativi la vita dei ragazzi durante il soggiorno.


Di qui il graduale ma inesorabile declino, sì che una struttura, pur imponente come la Colonia Scarciglia, è andata incontro all’abbandono.


E tuttavia occorre sottolineare che il ruolo delle colonie estive è stato importante sotto tanti aspetti. In primo luogo quello sanatoriale in quanto non solo garantiva un momento di vita in un ambiente salubre, ma sospingeva alla utilizzazione di una vita igienica, laddove varie abitazioni erano prive dei servizi primari.


Poi i bambini socializzavano e imparavano la disciplina, elementi fondamentali del vivere civile. Così le colonie esprimevano l’esigenza che lo Stato tutelasse e promuovesse sempre di più la salute pubblica, che è un bene essenziale.



Hervé Cavallera

Approfondimenti

Marina, 36 anni, per Sant’Egidio a Bangui, Centroafrica: “Vicina agli ultimi della terra”

“A 17/18 anni si vuole cambiare il mondo e pensi sia possibile! Ci sono periodi in cui mi abbatto e non sopporto il peso della missione, in cui riesco a vedere solo i problemi, i ritardi, le frustrazioni, che raramente mancano durante una giornata di lavoro, ma poi…

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L’INTERVISTA ESCLUSIVA

di Luigi Zito

A quale scintilla primitiva si affida l’animo umano quando la fiamma d’amore si accende, si sviluppa, si infiamma e riluce sino a risplendere luminosamente?
E qual è la moneta che ripaga la gratificazione che plasma il nostro cuore, che lo trasforma da cima a fondo, e che lo muove a donarsi agli altri?

Non credo sia solo una mia curiosità, è un affanno che accompagna la vita, che frequentemente ci pone davanti a simili dilemmi. È un tarlo capire cosa muove il sole e le stelle: cosa spinge una giovane donna a lasciare la zona comfort della sua vita per aprirsi al mondo, donarsi e aiutare chi è in difficoltà ed ha più bisogno?
Ancor più se, per farsi piccola per diventare grande, ha scelto di farlo a migliaia e migliaia di chilometri da casa.

È il caso di Marina Ciardo, 36 anni, di Tricase, che da anni vive a Bangui, Repubblica Centroafricana ed è Capo Progetto per l’Associazione Sant’Egidio.

Marina, di buon grado, ha amabilmente risposto a mie precise sollecitazioni.

«VOLEVO CAMBIARE IL MONDO»

«“Cosa vuoi fare dopo la scuola?”. Questa era la fatidica domanda che parenti, amici e insegnati mi ripetevano verso la fine del quinto anno delle superiori. Forse il lavoro che svolgo oggi è proprio la risposta a quella domanda che allora mi trovava impreparata. Non ci avevo mai pensato prima, ma su una cosa ero certa: volevo viaggiare, conoscere nuove culture e usanze diverse dalla mia, cercare di capire quello che, probabilmente, mi è ancora inspiegabile, divertirmi e, soprattutto, provare a cambiare il mondo! Si perché a 17/18 anni si vuole cambiare il mondo e pensi sia possibile! Così, sfogliando una guida delle facoltà universitarie, ho scoperto il corso di laurea in Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale a Parma.

E allora mi sono detta: “Ma si, dai! proviamoci”, d’altronde potrebbe unire due strade: quella dell’economia, già intrapresa alle superiori (e che tanti dei miei affetti mi spingevano a proseguire, perché così trovi subito lavoro), e quella della cooperazione internazionale, un mondo inesplorato ma affascinante».

«LA MIA AFRICA»

Come sei arrivata in Africa, a Bangui?

«Non faccio altro che ripetermi, se oggi sono qui, in Africa, é anche grazie al mio professore di Storia ed economia dei Paesi in via di sviluppo, che ci ha sempre spronato a fare un’esperienza nel campo della cooperazione, precisando anche che il lavoro del cooperante non è per tutti: o lo ami o lo subisci. Concludendo poi con un’amara postilla: “Molti dei miei studenti sono giunti alla laurea magistrale ma, di fatto, non hanno mai intrapreso quella strada”.

Incoraggiata e sostenuta dalla mia famiglia, durante l’estate del secondo anno universitario ho deciso di fare una esperienza diretta, sono entrata in contatto con l’Ong Coope – Cooperazione Paesi Emergenti -, e ho vissuto un mese straordinario in un piccolo villaggio a sud della Tanzania, Msindo.

Allora, ho realizzato chiaramente: «Questo è ciò che voglio fare! Conoscere una realtà così diversa dalla mia, vedere la gioia delle persone che, nonostante la consapevolezza delle difficoltà giornaliere, continuano a lottare, sorridendo, con impegno, voglia di farcela, aggrappati alla vita come mai avevo visto fare prima. Dando una mano, facendo piccole cose, ho vissuto momenti e emozioni che stravolgono. Questo mi ha fatto sentire utile. A volte è bastato anche solo aver aggiustato una staccionata in una scuola».

Finita quell’esperienza, cosa è successo?

«Sono rientrata in Italia e ho assaporato per la prima volta il mal d’Africa di cui fino a quel momento avevo solo sentito parlare. Così ho continuato il percorso universitario prima a Parma e poi a Torino. Una volta specializzata in Economia dello sviluppo e cooperazione internazionale, ho assolto il servizio civile in Madagascar, poi il primo lavoro con la Ong Emergency (in repubblica Centroafricana e nel Kurdistan iracheno), successivamente con il Cuamm (Medici con l’Africa) nel Sud Sudan e, infine, da quasi 6 anni, nuovamente nella repubblica Centroafricana con la Comunità di Sant’Egidio».

Come opera la comunità di Sant’Egidio?

«Principalmente in due settori: il primo riguarda la salute, attraverso il programma Dream: cura le malattie croniche come l’epilessia, il diabete, l’ipertensione, l’HIV, l’asma e malattie renali leggere; il secondo è rappresentato dal programma Pace e Riconciliazione che, in modo costante e discreto promuove la pace.

È ben noto il ruolo di mediatore della Comunità di Sant’Egidio tra le parti in conflitto in RCA. La firma dell’Accordo Politico per la Pace, il 19 giugno 2017 a Roma, tra il governo centrafricano e 13 gruppi politico-militari è stato un momento cruciale nella storia del Paese. Questo accordo ha avviato, di fatto, il processo di dialogo e disarmo, che ha avuto un secondo e altrettanto importante momento con la firma degli Accordi di Khartoum nel febbraio 2019».

Qual è il tasso di povertà dove ti trovi? Di cosa c’è più bisogno? La situazione politico-economica, carestie? Guerre?

«Situata nel cuore dell’Africa, la Repubblica Centroafricana (RCA) è, dopo la Somalia e il Sud Sudan, è il paese più povero al mondo.
Nella classifica dell’Indice di Sviluppo Umano è 191° su 193 paesi presi in esame; il 60%, dei circa sei milioni di abitanti, vive con meno di un dollaro al giorno.
Si registra, purtroppo, uno tra i più alti tassi di mortalità materno-infantile e la popolazione ha in media un’aspettativa di vita piuttosto bassa (intorno ai 54 anni). Nonostante la posizione strategica e le risorse naturali presenti sul territorio, il Paese affronta da decenni una profonda instabilità politica che ha minato lo sviluppo economico e sociale.

Sono innumerevoli i colpi di Stato, le rivolte e i conflitti armati. Negli ultimi anni il Governo centrale ha avuto un controllo limitato sul territorio, soprattutto nelle regioni settentrionali e orientali, dove sono presenti gruppi ribelli e milizie locali. Non mancano le interferenze straniere che si manifestano con la presenza di milizie mercenarie, protagoniste talvolta discontri armati e violazioni dei diritti umani.

È un Paese che vive principalmente grazie ad agricoltura, estrazione di diamanti e oro e industria del legname. La crescita economica è ostacolata da mancanza di infrastrutture, insicurezza e instabilità politica. Questi elementi, combinati con una povertà estrema e la carenza di servizi essenziali, hanno generato una grave crisi umanitaria. Le donne e i bambini i più vulnerabili, esposti come sono a violenze, malnutrizione e mancanza di istruzione. Sono cresciuta molto con ogni organizzazione, sia a livello personale che professionale, ma la lunga permanenza a Bangui, mi ha permesso di contribuire alla formazione dei giovani locali, che desiderano migliorare la situazione del loro Paese».

IMPOTENZA E DOLORE

«Il confronto con quanto è fuori dal tuo controllo ti fa sentire inadeguata»

Ci racconti un aneddoto, un avvenimento, che ti ha toccata particolarmente?

«Sono stati anni impegnativi, difficili, che hanno permesso la nascita di amicizie profonde, anche con pazienti per me speciali, che oggi non ci sono più. Il senso di impotenza e il dolore per la loro perdita ti svuota, ti consuma, ti fa credere di non poter andare avanti. Il confronto con quanto è fuori dal tuo controllo ti fa sentire inadeguata. Forse è proprio questa la sfida ma credo che tutto questo mi stia forgiando. Essere testimone, lottare, nel bene e nel male, provoca una forza mista a rabbia che spinge ogni giorno a dare il meglio, anche se a volte non è abbastanza.

A Bangui sono arrivata nel gennaio del 2020, con la prospettiva di starci un anno o poco più, invece, a quasi 6 anni dal mio arrivo, mi ritrovo qui a scrivere questa mia storia e, forse, tracciare anche un bilancio.

Quando parlo con i nuovi colleghi (qui c’è un turnover molto intenso, la permanenza media è da 6 mesi a un paio d’anni), inevitabile che chiedano: “Da quanto tempo sei qui?”. E alla mia risposta, “Quasi 6 anni”, mi incalzano: “Perché?!”.
Non so spiegarlo in poche parole: conservo un “album di emozioni” e da brava amministratrice ho difficoltà a tradurlo in parole. Il fantastico team dell’associazione é un ingrediente fondamentale per questa ricetta di resistenza/resilienza».

TRA MALATTIE E COPRIFUOCO

Covid e altre malattie, come le affrontate?

«Nel 2020 abbiamo trascorso il periodo del covid e il mio primo periodo con questa nuova realtà lavorativa. Non abbiamo sofferto come in Italia, le restrizioni erano blande, c’era solo la paura di essere contagiati e stare male, e allora sì che sarebbe stato un problema, vista l’assenza di ospedali specializzati.
Il 2021 c’è stato un tentativo di colpo di Stato, Bangui era stata dichiarata “Ville mort” (città morta), una città “ibernata” per un paio di settimane e sotto coprifuoco (se ti trovavano per strada non chiedevano un documento o ti facevano una multa, rischiavi di essere ammazzata), che lasciava pochissimo spazio per lo svago, gli amici, per lamentarsi del caldo, delle zanzare, della mancanza d’acqua e degli sbalzi di elettricità che rischiavano di bruciare quello che lasciavi innescato alla presa della corrente».

Ci descrivi una tua giornata tipo?

«Ci si sveglia prendendo il caffè (rigorosamente Quarta!), cercando di mettere in ordine le priorità della giornata, con la consapevolezza che, nel momento in cui metterai piede in ufficio, verrai assalita da mille imprevisti: problemi con le banche, con le macchine, lentezze inesorabili dei Ministeri e cose che si rompono: qui molte cose si rompono con una velocità incredibile.

Seguo principalmente due progetti: il Programma Dream (gestiamo una clinica e un padiglione di ospedale e curiamo circa 3mila pazienti cronici e una media di 100 nuove donne incinte al mese che accompagniamo nel percorso prenatale. Tutti i servizi sanitari sono a pagamento, mentre il nostro programma prevede gratuità e presa in carico in modo olistico del paziente).

E poi abbiamo avviato, da 3 anni, delle campagne di vaccinazione porta a porta per i bambini da 0 a 2 anni.
Per il progetto “mediazione di pace”, mi limito a seguire l’ufficio per evitare problemi di carattere amministrativo e logistico».

“Basta! Mollo tutto e torno in Italia!”, l’hai mai pensato?

«Mi succede spesso, anche più volte nello stesso giorno.
Ci sono periodi in cui mi abbatto e non sopporto il peso della missione, in cui riesco a vedere e sottolineare solo i problemi, i ritardi, le frustrazioni, che raramente mancano durante una giornata di lavoro.
Mi hanno molto aiutato e sostenuto le amicizie qui a Bangui.

Avere delle persone che in un quadro nero intravedono un punto bianco e riescono a fartelo vedere e apprezzare, non è scontato.
È questa la forza che mi è stata trasmessa giorno per giorno, che mi aiuta a inquadrare l’amore per questa professione, mi fa andare avanti e ammirare questo quadro caravaggesco: sebbene prevalgano le ombre, la presenza di luce, minima ma potente (carica di quanto si è realizzato), è dominante».

COSA FARAI DA GRANDE?

Hai già deciso cosa farai in futuro?

«Bisogna sempre tenere alto il morale delle truppa: nel mentre si accavallano le emozioni, il leitmotiv mi ritorna in mente, mentre mi ritrovo a scrivere questa storia, a pochi giorni dalla mia partenza, al momento definitiva, da Bangui.
Questa è la parte relativa al lavoro, ma non c’è solo questo.

A Bangui è presente anche un gruppo locale della Comunità di Sant’Egidio, giovani centroafricani che, malgrado le difficoltà, cercano di vivere lo spirito evangelico della Comunità del Santo.

Lo fanno nella gratuità e nell’amicizia, prestano servizio ai poveri, ai bambini di strada, alla scuola di pace e alla cura degli anziani soli e senza sostegno. Mi emoziona vedere che esistono dei giovani che sperano e lavorano per un futuro diverso per il loro Paese.

Dopo quasi 10 anni di lavoro non so ancora dare una risposta alla domanda che Gabriella mi pone “ogni 2 per 3”: Cosa vuoi fare da grande?! So che voglio continuare, e mi impegnerò al 100% per fare in modo di soddisfare almeno in parte quel desiderio di “cambiare le cose” in meglio. Aiutare, vedere la gente sorridere, scoprire la bellezza delle diversità, affinchè quello che ha spinto una giovane salentina ad affrontare questo mestiere, si avveri.

Ecco la mia risposta: «Non so cosa farò da grande, ma il mio lavoro mi piace e continuerò a farlo».

COME AIUTARE

Come possiamo aiutare la tua comunità?

«Con una donazione a:

COMUNITÀ DI S. EGIDIO ACAP – ASSOCIAZIONE DI PROMOZIONE SOCI – IBAN: IT36Q0200805074000060045279

Causale: Programma Dream Centrafrica»

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Approfondimenti

Air Fryer: trucchi per migliorare la cottura dei cibi

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Patate al forno

Negli ultimi tempi le abitudini alimentari di tantissime famiglie sono state stravolte dall’ingresso in casa di un elettrodomestico che ha fatto grandi promesse: garantire piatti golosi come quelli fritti ma leggeri come quelli al forno. Tuttavia, padroneggiare la tecnica di una friggitrice ad aria che sfrutta un vortice di calore ad alta velocità non è immediato come sembra e i primi esperimenti possono rivelarsi non ottimali se non si conoscono le tecniche giuste.

Spesso si dà la colpa allo strumento per una panatura che si stacca o per un interno rimasto crudo, ignorando che la causa reale è una gestione sbagliata degli spazi o dell’umidità residua sugli alimenti. Imparare a bilanciare questi elementi è l’unica via per ottenere risultati paragonabili alla cucina professionale.

Come diventare esperti

Per diventare dei veri esperti nell’utilizzo della propria friggitrice ad aria vi basterà adottare pochi semplici trucchi capaci di garantire una doratura esterna impeccabile su ogni tipo di alimento. Seguendo queste indicazioni scoprirete che la air fryer è uno strumento incredibile, soprattutto se si sceglie un modello avanzato tecnologicamente, come ad esempio quelle di Moulinex, con cui potrete spaziare liberamente in cucina, realizzando ottimi contorni di verdure grigliate e persino dolci da forno complessi senza alcuna difficoltà.

Asciugare bene gli ingredienti e dosare l’olio con intelligenza

La regola d’oro per evitare l’effetto bollito è eliminare ogni traccia di acqua dagli alimenti prima della cottura. Inserendo nel cestello prodotti ancora umidi, l’evaporazione impedirà la formazione della crosta esterna, quindi è importante tamponare accuratamente carne, pesce e ortaggi con carta assorbente fino a renderli perfettamente asciutti.

Passando ai condimenti, bisogna sfatare il mito che l’olio non possa essere utilizzato se si vuole cucinare un piatto salutare: una minima quantità è infatti essenziale per attivare la doratura e proteggere il cibo dal calore secco dell’aria. Invece di versare l’olio direttamente dalla bottiglia, l’ideale è utilizzare un nebulizzatore spray per distribuire uno strato sottile e uniforme su tutta la superficie degli ingredienti. Questo piccolo trucco, oltre a evitare il fumo causato dall’olio in eccesso, aiuta anche le spezie e il sale ad aderire meglio alla superficie dell’alimento, evitando che la forza dell’aria le stacchi dal cibo appena accendete la macchina.

Non riempire troppo il cestello e adattare le temperature

Un errore molto comune dettato dalla fretta è quello di riempire il cestello fino all’orlo, sovrapponendo il cibo. La friggitrice ad aria lavora grazie al circolo veloce dell’aria e se ostruite il passaggio ammucchiando gli ingredienti, la parte centrale rimarrà cruda o fredda. Per ottenere una cottura omogenea è sempre meglio cuocere in più riprese disponendo tutto in un unico strato senza affollare troppo lo spazio.

Inoltre, avendo una camera di cottura compatta e una ventola molto potente, la macchina genera un calore molto più aggressivo rispetto agli elettrodomestici standard. Di conseguenza, le istruzioni di cottura pensate per la cucina tradizionale vanno necessariamente adattate abbassando la temperatura di circa venti gradi e riducendo il tempo di cottura del venti per cento rispetto al forno statico. Ricordate poi l’importanza di intervenire durante il processo: estrarre il cestello a metà cottura per scuotere energicamente le patatine o girare le fettine di carne è un passaggio obbligatorio per garantire che ogni lato venga esposto al calore e si colori uniformemente.

Attenzione alla carta forno e alla pulizia costante

Molti appassionati tendono a utilizzare la carta forno per evitare di sporcare, ma se non gestita bene questa abitudine può compromettere il risultato. Coprire interamente la griglia sul fondo, infatti, blocca il flusso d’aria che arriva dal basso, impedendo al cibo di cuocere correttamente nella parte inferiore. Se volete usarla, la soluzione migliore è acquistare i fogli già forati o sagomare la carta in modo intelligente, facendo attenzione a non inserirla mai durante il preriscaldamento per evitare che finisca sulla resistenza bruciandosi.

Infine, un altro aspetto che incide sul sapore dei piatti è la pulizia dello strumento. I residui di grasso e le briciole che cadono sul fondo tendono a bruciare nelle cotture successive, generando fumo e odori sgradevoli che possono alterare il gusto di cibi delicati, motivo per cui è buona norma lavare i componenti dopo ogni singolo utilizzo. Utilizzando spugne non abrasive e detergenti delicati riuscirete a proteggere il rivestimento antiaderente del cestello, evitando che i cibi si attacchino in futuro.

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Approfondimenti

Tricase, commercio e futuro, fra dubbi e speranze

Paola Baglivo, di Ottica Moderna e Gino Bortone della gioielleria Bortone, delineano il futuro della città…

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Paola Baglivo, Ottica Moderna – Tricase
“Gli sconti che offrono online sono improponibili per noi che dobbiamo necessariamente tener conto delle spese da sostenere”
«La concorrenza dell’e-commerce è spietata», ammette Paola Baglivo di Ottica Moderna, «in particolare, noi la sentiamo molto per gli occhiali da sole. Gli sconti che offrono online sono improponibili per noi che dobbiamo necessariamente tener conto delle spese da sostenere. È una partita persa».

“Per le festività natalizie, in verità, non nutro molte speranze…”

Il bilancio dell’ultimo anno è «positivo, anche perché la nostra è una realtà consolidata, molto concentrata sul servizio svolto sempre in maniera molto professionale. Per le festività natalizie, in verità, non nutro molte speranze», conclude, «ascolto molte lamentele dai miei clienti, i costi sono aumentati e gli stipendi sono sempre gli stessi. C’è molta incertezza per il futuro».
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Gino Bortone, Gioielleria Bortone, Tricase
«I lavori di riqualificazione da programmare con le associazioni di categoria»
Gino Bortone dell’omonima Gioielleria è anche presidente dell’Associazione Commercianti. Ci ragguaglia così sulle iniziative in programma per le feste: «L’associazione commercianti di Tricase, in collaborazione con l’amministrazione comunale, le associazioni del territorio (Tricasèmia, Associazione Filia, Proloco, Adovos Giovani) e altre attività sensibili al bene comune della Città, ha contribuito a creare l’atmosfera Natalizia, allestendo diversi addobbi tra le vie del paese».
Sulle difficoltà che vive il settore, Bortone riporta come «le associazioni nazionali di categoria denunciano una sofferenza, per i negozi di prossimità, con vari fattori alla chiusura di molte attività con la conseguente desertificazione dei centri urbani».
A questo si aggiungono gli intoppi a livello locale: «Quando sono alle porte lavori di riqualificazione o anche quei lavori cosiddetti indifferibili, si dovrebbero programmare gli interventi confrontandosi con le associazioni di categoria, per non creare ulteriori difficoltà e ostacoli che, alla lunga, potrebbero portare alla disaffezione da parte del consumatore nei confronti dei negozi di prossimità.

“Vivibilità e caoticità delle città contribuiscono a cambiare abitudini e stile di vita. Di conseguenza cambia anche il modo di fare acquisti”

Purtroppo, la vivibilità e caoticità delle città contribuiscono a cambiare abitudini e stile di vita. Di conseguenza cambia anche il modo di fare acquisti e ci si rivolge sempre più all’e-commerce».
Ricordando che, «l’importanza del commercio di prossimità non è da sottovalutare neanche sotto l’aspetto sociale, in quanto rappresenta anche luogo di incontro, di crescita e scambio di opinioni».
Tolto il dente passato il dolore. Sugli aspetti positivi Bortone sottolinea che «uno dei punti di forza di Tricase resta quello di essere il centro più grande del basso Salento, annoverando un numero considerevole di attività commerciali. Pertanto, il commercio continua ad essere una forte attrattiva per tutti i paesi dell’hinterland.
Anche l’immagine della Città sta cambiando: aver valorizzato strade e piazze, favorirà l’arrivo di più persone da altri paesi per trascorrere una giornata spensierata».
Per il futuro Gino Bortone auspica che si possa «accrescere la collaborazione tra amministrazione comunale e Associazione Commercianti, unendo le sinergie e attenzionando le esigenze del settore».
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Queste interviste le potete trovare su il Gallo cartaceo, distribuito questo fine settimana, in 80 Comuni del Salento;

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