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Cronaca

È deciso: causa decreto, anche quest’anno niente Presepe Vivente a Tricase

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A cura del Comitato del Presepe Vivente – Tricase




È stata una decisione che abbiamo valutato a lungo, ma la vostra e nostra sicurezza viene prima di qualsiasi cosa. Viene prima della gioia di un evento che unisce una intera comunità, ma quando questa unione può essere vettore di un virus che mette a dura prova i cuori di tutti dobbiamo fare un (sofferto) passo indietro.
Chiediamo scusa per lo scarso preavviso, ma abbiamo voluto prendere questa decisione, comunicandola anche alle istituzioni, poiché la legge vigente non ci impone di non aprire al pubblico (il decreto dovrebbe entrare in vigore il prossimo 28 Dicembre), ma per la tanta affluenza e il forte rischio di assembramenti all’ingresso, è nostra la responsabilità di tutelare tutti da un contagio che aumenta, anche nella nostra comunità.
Erano le 15:00 di oggi quando tutto il Comitato e l’Amministrazione comunale hanno iniziato il tavolo di discussione per arrivare alla decisione.
Eravamo sotto il grande arco di “Betlemme” quando il nostro Duca (l’asinello della natività) ha fatto il suo ingresso al Presepe, eravamo intenti a prendere le misure e valutare quante persone potesse contenere ogni possibile prolunga della serpentina all’ingresso.
Ci siamo poi spostati nella casa di Andrea Rizzo, che ci accoglie sempre per gli incontri e le riunioni. Abbiamo discusso ogni possibilità, valutato ogni soluzione, e alle 17:00 Salvatore è entrato in sala e ci ha annunciato che la Cascata del Presepe Vivente di Tricase era riattiva: dopo due anni, la cascata ha ripreso a scrosciare forte sulla parete rocciosa.
Abbiamo sorriso tutti, esultato e applaudito… poco dopo quei sorrisi si sono trasformati in commozione. Perché la decisione più responsabile e pesante era stata presa: abbiamo deciso di annullare questa edizione del Presepe Vivente di Tricase.
Siamo andati avanti per ore a discutere tra noi e lottare tra le emozioni, le ragioni e i dati, mentre fuori tutto lo staff, instancabile, lavorava a mettere a punto i dettagli per domani.
Abbiamo acceso la grande Stella Cometa, abbiamo allestito le decine di case dei mestieri, abbiamo incontrato tutti i figuranti, a cui va il nostro più sincero “GRAZIE!”, abbiamo fatto una visita al Presepe Vivente vuoto, silenzioso, e splendidamente illuminato.
Abbiamo preso questa decisione e siamo profondamente emozionati per quello che ci ha donato sognare la riapertura. Abbiamo voglia di andare avanti. Ringraziamo davvero tutti i fornitori, gli operatori, i sostenitori del Presepe Vivente di Tricase. Per ognuno di loro, per ognuno di voi, la nostra Stella Cometa resterà accesa fino al 6 Gennaio.
In queste circostanze non bisogna abbattersi, quando le decisioni sono guidate dalla realtà dei fatti, vuol dire che è la scelta giusta. Tristi ma certi che sia stata la cosa migliore da fare!
Con sincero affetto, grazie a tutti e auguri di un sereno Natale!


Cronaca

Turismo, penuria di personale: «Allora non era colpa del Reddito di Cittadinanza…»

Il dibattito sulla difficoltà nel reperire lavoratori stagionali: Daniela Campobasso, nuova segretaria generale della Filcams Cgil Lecce: «Evidentemente non era colpa del sussidio. Basterebbe applicare il Contratto. Invece lavoro sottopagato, orari che eccedono di gran lunga quello ordinario, condizioni di sfruttamento, lavoro nero. In due parole: precarietà e sfruttamento»

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Puntualmente, in questo periodo, si ritorna a discutere di turismo in tutte le sue sfaccettature e, altrettanto puntualmente, le imprese del settore lamentano penuria di personale.

Fino allo scorso anno il mantra ricorrente recitava più o meno così: «La gente non ha più voglia di lavorare; è tutta colpa del Reddito di cittadinanza».

«Abbiamo sempre sostenuto invece che, pur tra tanti abusi oggettivi, il Reddito di cittadinanza non fosse la vera causa di questa difficoltà», tuona Daniela Campobasso (nella foto in alto), la nuova segretaria generale della Filcams Cgil Lecce, «lo abbiamo detto sulla base di un ragionamento semplice, consequenziale: se gli addetti al settore turismo fossero stati pagati come previsto dalla contrattazione nazionale e se il contratto collettivo fosse stato rispettato anche su riposi, ferie, permessi, orario di lavoro, quale convenienza avrebbero avuto migliaia di lavoratori nel percepire un sussidio così esiguo? Risposta scontata: non avrebbero avuto alcuna convenienza».

«Oggi», prosegue la neo segretaria generale della Filcams Cgil Lecce, «i nodi vengono al pettine e la realtà dice che quel nostro discorso non faceva una piega, visto che anche quest’anno, con il Reddito di cittadinanza debellato dal Governo, la “penuria di personale stagionale” si ripresenta».

In un recente articolo di stampa, il vice presidente del Fipe nazionale, «dopo aver ammesso quanto da noi già in passato sostenuto», afferma che lo sfruttamento nel settore del turismo sia una “leggenda metropolitana”, citando la sua personale esperienza di imprenditore rispettoso di regole e contratti.

«Pur apprezzando la sua condotta di datore di lavoro che è bene ricordare dovrebbe essere considerata normale», la replica di Daniela Campobasso, «quel che noi incrociamo quotidianamente nelle nostre sedi racconta una realtà completamente diversa: lavoro sottopagato, orari che eccedono di gran lunga quello ordinario, condizioni di sfruttamento, lavoro nero. In due parole: precarietà e sfruttamento».

«È troppo semplicistico invitare le persone alla denuncia», aggiunge la sindacalista, «perché sappiamo bene quali retaggio culturale e paure si celino dietro questa scelta. Sarebbe più opportuna una scelta etica da parte di tutte le imprese del settore, una scelta di rispetto non solo di regole e contratti, ma anche e soprattutto della vita di ciascun lavoratore».

«È una battaglia culturale», conclude Daniela Campobasso, «che dovrebbe vedere protagonisti proprio quegli imprenditori onesti che si vedono ingiustamente omologati in quella platea, purtroppo maggioritaria, di “prenditoriinteressati solo ad accrescere il proprio profitto, indifferenti a dare il proprio contributo non solo alla crescita individuale, ma anche allo sviluppo territoriale».

 

 

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Cronaca

Autovelox: scatta la multa per due decimi di km/h

Multa da guinness dei primati all’autovelox di Trepuzzi. Il superamento irrisorio del limite imposto, se rilevato con il solo ausilio degli strumenti elettronici non integra una condotta colposa del conducente. Giovanni D’Agata (Sportello dei Diritti): «L’ente accertatore prenda atto di quanto accaduto e provveda all’annullamento del verbale con il ricorso amministrativo senza che il malcapitato debba rivolgersi al giudice di pace sborsando anche il costo del contributo unificato che è praticamente prossimo a quello dell’intero verbale se pagato nei cinque giorni»

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Qualche anno fa, citando l’onnipresente Giulio Andreotti, si diceva che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Quanto sta accadendo con gli autovelox e gli altri strumenti che restano utili se adoperati nel modo giusto per l’incolumità di chi viaggia in auto, alimenta il sospetto che oltre a limitare la velocità siano pensati per ripulire le tasche degli automobilisti.

Dopo l’episodio sulla Gallipoli – Lecce che vi abbiamo riportato qualche giorno fa, con un verbale per un decimo di chilometro più del lecito al netto della famosa tolleranza, la storia si ripete.

E si può parlare di guinness da primati per un automobilista leccese che è stato sanzionato lungo la strada S.S. 613 Lecce – Brindisi , perché pizzicato dall’autovelox fissato al km 23+700 , in direzione Brindisi per soli 0,2 decimi di chilometro.

La regola vuole che dalla velocità rilevata dall’apparecchiatura (autovelox, telelaser, tutor) bisogna sottrarre il 5% con un minimo di 5 km/h.

Se dopo aver effettuato questa operazione il risultato sarà superiore al limite, scatta la multa. Altrimenti, l’automobilista è salvo.

È la famosa tolleranza, prevista dall’articolo 345 del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada, dove si legge: “È disposto che per gli accertamenti della velocità, qualunque sia l’apparecchiatura utilizzata, al valore rilevato sia applicata una riduzione pari al 5% con un minimo di 5 km/h”.

Nella pratica, una rilevazione di 76 km/h diventa, ai fini dell’eventuale violazione e delle relative sanzioni, 70,20 km/h (-5 km/h).

Storicamente, le misurazioni sono effettuate all’unità di km/h.

Con l’evoluzione tecnologica, però, sono state imposte misurazioni più raffinate.

Insomma, anche se si sta sulla pubblica via sembra quasi essere proiettati in competizioni automobilistiche dove si viaggia sul filo dei millesimi solo che qui, nei controlli della velocità siamo ancora rimasti, non si sa ancora per quanto a questo punto, al controllo dei decimali.

Dunque si tratta di accertamento effettuato solo con l’ausilio di un’apparecchiatura elettronica, e considerato il superamento del limite, poco al di sopra di quello imposto, l’automobilista non è in grado, anche usando la normale diligenza richiesta per la condotta di guida, di verificare il rispetto del limite al “centesimo”, perché condizionato inevitabilmente ad alcuni parametri empirici esterni, (l’esatta caratura del tachigrafo, il pedale dell’acceleratore ecc.) che impediscono la verifica simultanea e certa della velocità effettiva, senza che tutto ciò comporti un aumento dei pericoli per la sicurezza stradale e tenuto conto della presumibile volontà del conducente di attenersi alle prescrizioni del codice della strada in tema di velocità. Ebbene, questo famigerato apparecchio ha “multato” un cittadino perché “eccedeva di km/h 0,2 decimi il limite imposto” di 110 km/h .

La Corte di Cassazione ha ricordato con ordinanza 3698/2019 che nessuna multa va elevata nei confronti di chi supera di poco il limite.

L’augurio, evidenzia, Giovanni D’Agata, presidente dello  “Sportello dei Diritti”, è che «l’ente accertatore prenda atto di quanto accaduto e provveda all’annullamento del verbale con il ricorso amministrativo senza che il malcapitato debba rivolgersi al giudice di pace sborsando anche il costo del contributo unificato che è praticamente prossimo a quello dell’intero verbale se pagato nei cinque giorni».

 

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Cronaca

Tricase Porto, Villa Sauli: «Vietato abbattersi, obbligatorio abbattere!»

L’ex consigliera comunale Francesca Sodero dopo la notizia di un nuovo ricorso al Tar da noi pubblicata per primi: «Non cali il silenzio sul nuovo ricorso contro l’abbattimento dell’Ecomostro. Negli ambienti legali non c’è timore per la messa in discussione della sentenza di demolizione e, anzi, c’è chi è pronto a confermare che tecnicamente il procedimento potrebbe serenamente andare avanti anche ignorando l’attuale ricorso»

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Dopo che ha fatto capolino, in esclusiva, sul nostro sito, la notizia di un nuovo ricorso al Tar di una degli eredi e di possibili nuove lungaggini prima dell’agognato abbattimento si continua a discutere di Villa Sauli.

In particolare è tornata sull’argomento Francesca Sodero, consigliera comunale durante il mandato di sindaco di Carlo Chiuri, quando, cioè, è stata condotta e vinta (lo dicono le sentenze) la battaglia per l’abbattimento dell’ecomostro di Tricase Porto.

Di seguito l’intervento della ex consigliera comunale.

Francesca Sodero

«Ricordo che a giugno 2019, a seguito dell’accoglimento della sospensiva relativa all’ordinanza di demolizione del 2019 da parte del TAR, la cittadinanza fu investita dallo sconforto, abbandonandosi velocemente alla vulgata: “tanto non cambierà mai nulla!”.

Non fu facile dare fondo al poco ottimismo rimasto per invitare i cittadini a continuare a crederci.

Lo sforzo non fu vano e i risultati, dopo quasi 5 anni, arrivarono grazie alla perseveranza di una leadership politica cui non mancava di certo il coraggio, una qualità che oggi non è facile riscontrare.

Eppure tutti gli attuali amministratori, chi più chi meno, sono proseliti del presidente Emiliano, che deve buona parte del suo successo politico (non dico elettorale, perché su quello sono già ampiamente evocative le cronache giornalistiche) ai detonatori su Punta Perotti.

Ebbene, il 30 aprile scorso, per merito de “Il Gallo”, siamo venuti a conoscenza di una nuova problematica, ossia di un nuovo ricorso al TAR che poggerebbe su un difetto di notificazione. Leggendo gli atti pubblicati sull’albo pretorio si deduce che una degli eredi lamenterebbe l’omessa notifica della seconda ordinanza di demolizione (datata 6 marzo 2019), quella confermata dal Consiglio di Stato per intenderci, mentre avrebbe ricevuto la prima ordinanza sindacale di dicembre 2018, quella emanata dal sindaco Carlo Chiuri per motivi di sicurezza pubblica.

È lecito pensare ad una precisa strategia processuale per prendere tempo, perché è diversamente inspiegabile il motivo per il quale questa comproprietaria non abbia fatto ricorso insieme agli altri avverso la prima ordinanza, abbia continuato così a dormire sonni tranquilli, restando all’oscuro dell’esito del ricorso sulla prima ordinanza del 2018 e restando anche all’oscuro del contenuto della dichiarazione di inefficacia della SCIA presentata dai comproprietari per tentare di consolidare l’immobile. Entrambi questi documenti, infatti, menzionano l’incriminata ordinanza di demolizione del 2019.

La sentenza sul ricorso relativo alla prima ordinanza, quella sindacale del 2018, dichiarò l’improcedibilità del ricorso stesso proprio in base all’emanazione della seconda ordinanza nel 2019 e risulta difficile pensare che l’attuale ricorrente non si sia preoccupata di informarsi sul destino della predetta ordinanza che, in mancanza di impugnazione, avrebbe determinato il rischio di vedersi abbattuto l’immobile.

Per quanto riguarda invece la SCIA presentata dopo l’ordinanza di demolizione del 2019, bisogna tener conto che dovrebbe essere stata presentata con l’assenso di tutti i comproprietari, risultando difficile pensare che il relativo provvedimento di rigetto, contenente il riferimento proprio all’ordinanza del 2019, sia stato effettivamente ignorato dall’interessata; anzi, bisognerebbe dare per scontato che ne abbia avuta cognizione se non altro indirettamente.

Restano riflessioni poggiate su una documentazione incompleta e sulle confuse parole del sindaco e sarebbe davvero utile sentire la voce dei consiglieri comunali e degli assessori su tutta la vicenda, in primis di quelli che festeggiarono prontamente per la sentenza di rigetto del ricorso dello scorso dicembre.

Scopriamo che il nuovo ricorso è stato notificato al comune il 23 marzo scorso, la delibera di giunta che decide per la costituzione in giudizio risale al 18 aprile, mentre è dal 30 aprile che il caso è stato reso noto sulle testate giornalistiche locali. Alla stessa data (30 aprile) risale la determina dirigenziale di affidamento dell’incarico al legale che rappresenterà il comune in giudizio, quindi anche da questo punto di vista si può ben presumere che il risalto mediatico abbia svolto un ruolo nell’accelerare i tempi di risposta del Comune.

Sarebbe d’aiuto che le opposizioni rompessero il silenzio insieme a tutto quel movimento che alla fine dello scorso febbraio si compattò al grido “Abbattiamo l’ecomostro!”.

È nei momenti difficili che la politica dovrebbe metterci la faccia, non solo quando c’è da cavalcare l’onda dei successi altrui. Sarebbe interessante capire se oggi siano ancora tutti in prima linea o se al primo soffio di vento ci sia stato un generale ammutinamento. È dalle minoranze che un’amministrazione trae la forza per condurre congiuntamente le battaglie più difficili ed è nel silenzio delle stesse che si costruiscono alibi e complici dimenticanze.

Negli ambienti legali non c’è timore per la messa in discussione della sentenza di demolizione e, anzi, c’è chi è pronto a confermare che tecnicamente il procedimento potrebbe serenamente andare avanti anche ignorando l’attuale ricorso. Questo solo per ribadire che anche oggi il mio messaggio resta il medesimo: non dobbiamo scoraggiarci, usiamo il tempo per coltivare fiducia nella giustizia e allenare la nostra forza d’animo».

 

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