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Discarica subito, “ma non a Corigliano”

L’urgenza di una discarica che traghetti la Puglia verso il modello del riciclo è parsa un dito puntato contro Corigliano. Ma per la sindaca è solo un “polverone mediatico”

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La nostra regione, in tema rifiuti, vive un periodo buio. E come la dea Notte diede al mondo Caronte, così la tenebrosa congiuntura che affligge la Puglia ha prodotto necessità di un traghettatore. Sì, non sarà certo un Caronte il commissario Gianfranco Grandaliano, e non è mito bensì delicata realtà il suo recente incarico. Ma pur sempre sponde migliori sono quelle cui punta il manager ed avvocato scelto dal presidente Emiliano per far raggiungere al ciclo dei rifiuti pugliese l’oasi di una nuova governance, basata sul perno del riciclo e dettata da una fresca legge che…ne prepari il terreno.


I riflettori sono, perciò, tutti puntati sull’attività commissariale di Grandaliano e tutt’intorno, meglio che in un ippodromo, si scommette su ogni passo della Regione. Capita così che le parole, attese come voce d’oracolo, pesino ma non vengano soppesate.


L’urgenza espressa dallo stesso commissario di “una discarica pubblica pronta da subito” per tamponare le impellenze, mentre si lavora per rimettere “il sistema in equilibrio”, è parsa un dito puntato contro Corigliano d’Otranto. Questo perché nel paese griko giace uno dei pochi impianti pronti ma inutilizzati. Fermo perché collocato su una falda acquifera che irrora l’Acquedotto Pugliese e che con tutto può esser compatibile, meno che con una discarica. Come Corigliano, solo altri tre impianti in tutta la Puglia sarebbero pronti all’uso: quelli di Castellaneta, Cerignola e Trani. Nessuno di questi, però, nei tempestivi termini che garantirebbe quello salentino.


Discarica Corigliano


Se tanto mi da tanto, direbbe qualcuno…Quel qualcuno però non è Dina Manti. La prima cittadina di Corigliano, da noi interpellata sulla questione, ha subito precisato che “ad oggi questo timore non è altro che un polverone mediatico privo di fondamenti ufficiali”. Ma procediamo con ordine.


La Primavera pugliese


È primavera quando Emiliano decide per la rivoluzione. Il governatore pugliese si convince che “il vecchio sistema ha fallito” e alle idi di marzo annuncia: “Serve una nuova legge. Sono stanco di firmare ordinanze per tamponare l’insufficienza delle discariche e l’inadeguatezza della vecchia norma, che finiscono per far le fortune di privati o di altre Regioni (NdA, dove la Puglia era costretta a dislocare gli scarti eccesso)”. Dietro alle sue dichiarazioni pesano i numeri di un ciclo dei rifiuti disastroso, in continua emergenza e capace di condurre in discarica nientemeno che il 70% degli scarti, mantenendo il riciclo a metà tra un lusso e una chimera. Ecco quindi che il governatore procede al commissariamento di tutte le OGA (Organi di Governo d’Ambito) prospettando un forte cambio di rotta mediante la stesura di nuova legge. La legge arriva, giorno più giorno meno, un mese fa. La sua attuazione passa da un periodo di commissariamento col quale preparare l’istituzione di un’Agenzia con pieni poteri in materia, affiancata da una struttura tecnico-operativa, e che procederà “all’affidamento della realizzazione e della gestione degli impianti di trattamento, recupero, riciclaggio e smaltimento”. Ai Comuni resterà la gestione dello spazzamento, della raccolta e del trasporto dei rifiuti, nonché il compito di eleggere, assieme ai rappresentanti della Regione e della Città di Bari (in quello che viene definito “comitato dei delegati”), il presidente e il vicepresidente dell’Agenzia.


Il resto sarà in mano all’unico ente appaltante che punterà a creare una gestione circolare degli scarti, che inizi e finisca in regione perché, come ricorda Emiliano, “la raccolta dei rifiuti è una risorsa che la Puglia deve valorizzare” con impianti di compostaggio e massimo riciclo, “prima che diventi risorsa per qualcun altro”. Ad oggi, infatti, l’assenza delle discariche necessarie sul territorio, ci costringe a lunghi e dispendiosi viaggi per lo smaltimento che a sua volta finisce per soldi nelle casse di privati o di enti a noi estranei. Insomma, un vuoto a perdere.


A ciò si aggiunga l’obbligo imposto dalla comunità europea di far scendere entro il 2030 i rifiuti in discarica sotto al 10%. Scadenza che il commissario scorge già all’orizzonte, indicando che “dovremo raggiungere l’obiettivo prima di quella data, e entro la fine di quest’anno dovremo già rimettere in equilibrio il sistema”.


Questa sana fretta di Grandaliano, unita alla ricerca della succitata “discarica traghetto” attivabile in tempi brevi, ha fatto suonare i campanelli d’allarme attorno a Corigliano.


Campanelli che ignorano però altre precise parole del commissario a garanzia di “una localizzazione degli impianti non imposta, ma condivisa, a scanso di qualsiasi conflittualità con le comunità locali”.


 


La sindaca: “Discarica? Solo se compatibile con la falda”

Garanzie che la prima cittadina di Corigliano d’Otranto, Dina Manti, si sente di confermare.


Nessuno dalla Regione ha mai pronunciato una frase riguardo una possibile riapertura della discarica di Corigliano. Né tantomeno c’è nulla di ufficiale ma taciuto a riguardo. È solo un polverone mediatico che cozza con quanto ho potuto apprendere di persona a Bari, da Emiliano prima e presso la Fiera del Levante poi”.


Dina Manti

Dina Manti


Ha incontrato le istituzioni regionali?


“Ho incontrato il governatore assieme ad altri sindaci, tra cui molti provenienti dal Salento, in una delle prime fasi della legge sulla partecipazione che sta varando. L’indomani, ho preso parte, in Fiera, a uno dei tavoli tematici con gli uffici della Regione e gli assessorati, disponibili ad incontri e approfondimenti. In particolare, ho seguito quello sulla nuova governance del ciclo dei rifiuti, dove ci è stata illustrata la nuova legge”.


Rassicurazioni su Corigliano?


A Bari sono a conoscenza della singolare situazione in cui versa l’impianto del nostro Comune. Per questo l’assessore all’Ambiente, Mimmo Santorsola, ha specificato che a breve la Regione convocherà l’amministrazione di Corigliano per discuterne. Al momento siamo quindi in una fase interlocutoria: hanno dimostrato di esser pronti a dialogare e non ad imporre. Vogliono condividere le scelte con le comunità. La legge nasce proprio in quest’ottica. Non c’è nulla che faccia pensare all’apertura della discarica per far fronte all’emergenza”.


Eventualità che incontrerebbe comunque la vostra opposizione?


La nostra posizione è sempre la stessa. Noi siamo contrari alla messa in funzione dell’impianto, che mette a serio rischio la falda sottostante. Ci rendiamo conto però che per la sua realizzazione è stato fatto un investimento pubblico milionario. Per questo motivo ci siamo detti disponibili a un suo riutilizzo ma solo con un rifiuto compatibile con la falda. Una disponibilità vincolata che è stata anche oggetto di delibera da parte del Comune di Corigliano e che ha incontrato il favore dei sindaci dell’unione dei Comuni della Grecìa Salentina. Non cederemo ad altre opzioni, continueremo nel solco delle scelte fatte sin qui, che in materia di rifiuti ci hanno portati ad essere tra i Comuni più virtuosi: grazie alla raccolta differenziata, Corigliano ha abbassato l’ecotassa a 3,75 euro/t, a fronte di una media in provincia che si attesta sui 7 euro”.


Passo importante verso l’agognata economia del riciclo.


La strada verso l’obiettivo finale è ancora lunga, ma passa senz’altro da questi numeri e dalle nuove generazioni. Personalmente, credo nell’educazione dei bambini come soluzione alla mancanza di cultura ambientale che affligge i nostri paesi. Perché i bambini non sono solo il domani, ma anche il presente: il più delle volte, sono loro a insegnare ai genitori come comportarsi”.


Lorenzo Zito


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Certezze ed incertezze del presente

Lo spettro della guerra, malavita, femminicidi, violenza dilagante nel mondo adolescenziale e giovanile. E il Salento? Terra di anziani residenti o fugaci vacanzieri…

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di Hervé Cavallera

di Hervé Cavallera

La Pasqua da poco trascorsa dovrebbe aver ricordato ai Cristiani che essa, per il tramite della passione, morte e resurrezione di Gesù, è l’invito al passaggio ad una vita migliore.

Le feste del Cristianesimo, infatti, possono essere considerate come una sollecitazione per un futuro che sia, per i singoli e per la collettività, più buono e sereno rispetto al passato.

Ma l’immagine del presente non è così.

In campo internazionale permangono almeno due conflitti e i rischi che i campi di battaglia si allarghino non sono da sottovalutare.

E non è un problema dappoco.

Poi, per quanto riguarda l’Italia (ma il fenomeno non è solo italiano) si può constatare un aumento della violenza.

E non ci si riferisce solo ai casi più eclatanti, ossia ai delitti legati al mondo della malavita e alla crisi delle relazioni sentimentali (basti ricordare i femminicidi).

Ci si riferisce particolarmente alla violenza diffusa nel mondo adolescenziale e giovanile con i tumulti nelle università volti ad impedire la libertà di parola a conferenzieri non graditi, alle dimostrazioni pacifiste che generano saccheggi e vandalismi di vario genere, alle conflittualità che serpeggiano in certe scuole in una contrapposizione tra docenti ed allievi, con la partecipazione talvolta dei genitori.

Si ha l’impressione di trovarci in un mondo in cui non si riesce più a controllare gli impulsi.

Così accade che le frustrazioni, che sicuramente la maggior parte di noi ha pure conosciuto nel corso della propria esistenza, non vengano superate rafforzando il carattere e abituando a saper affrontare le difficoltà, ma producano comportamenti aggressivi che si propagano con facilità.

Ciò significa che gli adulti, i genitori in particolar modo, devono ben essere attenti oggi più che mai alle dinamiche dell’età evolutiva dei giovani.

Per fortuna sembrerebbe un fenomeno che non riguarda in modo preoccupante il nostro Salento.

Non che manchino i fatti di cronaca nera, ma fenomeni di scontri di piazza da parte di minorenni sono assai pochi.

E qui allora emerge un’altra considerazione: quello dello spopolamento.

Le nascite sono da tempo in netto calo nella Penisola.

Secondo i dati dell’ISTAT in Italia nascono 6 bambini ogni mille abitanti.

Nel Salento al calo demografico si aggiunge poi il fatto che molti giovani compiono gli studi universitari in altre regioni d’Italia e non tornano più nel paese nativo.

Certo, vi sono anche coloro che tornano e con coraggio, come si è scritto su questo giornale, ma sono pochi.

Il Salento diventa la terra di anziani residenti o di fugaci vacanzieri.

E allora l’invito alla gioia che proviene dal suono delle campane pasquali si spegne in una triste rassegna.

Conflitti sempre più minacciosi tanto da spingere qualcuno a sostenere il ritorno alla leva obbligatoria, sviluppo della criminalità organizzata, violenze e tragedie domestiche, violenza giovanile, fragilità nell’affrontare le difficoltà connesse al quotidiano, spopolamento, stagnazione produttiva…

Occorre precisare che non si nega che esistano casi positivi, anzi di eccellenza nella imprenditoria, nei giovani, nella vita coniugale e così via, ma l’ombra del negativo è sempre più visibile e preoccupante.

LA COMUNICAZIONE DELL’EFFIMERO

Vi è poi la sensazione di una crescita dell’individua- lismo accentuato dai social, dalla facilità di esprimere pareri su tutto e su tutti.

Al tempo stesso la comunicazione digitale isola fisicamente l’utente pur avendo egli un contatto online con centinaia se non migliaia di persone.

È la comunicazione dell’effimero, mentre si continua a rimanere soli.

Come diceva l’antico filosofo, l’uomo è un animale sociale; ha bisogno di vivere concretamente, fisicamente col prossimo, non di limitarsi a parole diffuse con mezzi artificiali.

Ed è questo l’aspetto che è il lascito ideale delle recenti celebrazioni pasquali: quello di tornare ad essere una comunità.

Una comunità di persone che si incontrano e dialogano ed elaborano progetti che permettano una crescita economica e spirituale.

Tutto questo richiede buona volontà e competenza, richiede il mettere da parte l’attrazione per il proprio tornaconto, per il proprio particulare come diceva Guicciardini.

È un compito che devono tornare ad assumere quelle istituzioni ad esso preposte quali la famiglia e la scuola.

In un momento storico in cui i legami familiari diventano sempre più fluidi, bisogna che la scuola diventi davvero un centro di formazione di responsabilità oltre che di conoscenze e competenze.

Un futuro migliore è affidato da sempre ad una buona educazione e di ciò dobbiamo tornare a prendere consapevolezza.

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Il fallimento della democrazia

Astensionismo: nelle regionali del 2023 raggiunse il 60% in Lombardia e Lazio; nel 2014 in Emilia-Romagna votò solo il 37,7%. Nel 2020 l’affluenza alle regionali pugliesi è stata del 56,43%…

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di Hervé Cavallera

Il prof. Hervé Cavallera

Il 25 febbraio si è votato per la Regione in Sardegna.

I candidati alla Presidenza della Regione erano 4 e le liste presenti 25.

Ora, quello che particolarmente colpisce, a prescindere da vinti e vincitori e dalle stesse modalità di votazione (voto disgiunto, ad esempio), è l’affluenza degli elettori.

Poco al di sopra del 52%, quindi ancor meno dell’affluenza avuta nelle precedenti elezioni regionali.

Né si tratta di un fenomeno meramente sardo.

L’affluenza elettorale è effettivamente bassa e, come si suole dire, l’astensionismo è in assoluto il maggior partito in Italia (ma la situazione non è dissimile anche in altri Paesi europei).

Nelle regionali del 2023 l’astensionismo raggiunse il 60% in Lombardia e nel Lazio e nel 2014 in Emilia-Romagna per l’elezione del presidente della Regione votò solo il 37,7% degli elettori.

Nel 2020 l’affluenza alle regionali in Puglia è stata del 56,43%. Ciò non può lasciare indifferenti in quanto, se democrazia significa partecipazione, il “successo” dell’astensionismo significa fallimento della democrazia.

Esiste ormai nella realtà uno scollamento tra cittadini e politica.

È un dato inequivocabile che non può essere risolto con la diffusione del cosiddetto “civismo” ossia con la nascita di movimenti localistici.

Invero nel 1946 l’Assemblea Costituente introdusse il principio della obbligatorietà del voto che però all’art. 48 della Costituzione italiana risulta solo un dovere civico.

Nel 1957, col D. P. R. n.361, si rendeva obbligatorio il voto nelle elezioni politiche, dichiarando che occorreva fare un elenco degli astenuti.

Il tutto poi venne meno nel 1993 (D. L. 20 dicembre 1993, n . 534).

Il che è anche corretto poiché il concetto di liberta implica anche l’astensione. E tuttavia quando l’astensione raggiunge livelli elevatissimi sì da quasi superare il numero dei votanti, è chiaro che è in atto una crisi della sensibilità politica dei cittadini.

Si tratta di un processo che in Italia si può far risalire alla cosiddetta fine della prima Repubblica (1994) ossia con la fine dei partiti che esistevano nella Penisola dal 1946.

In realtà, il fenomeno rientra nel collo delle grandi ideologie e, di conseguenza, in una semplificazione della vita politica tra due schieramenti, etichettati come moderati o conservatori da una parte e progressisti dall’altra.

Non per nulla negli Stati Uniti d’America dove esistono praticamente solo due partiti, il repubblicano e il democratico, l’astensionismo tocca spesso punte del 70% a cui peraltro ci si è abituati.

Di qui un altro aspetto che va considerato: il ruolo decisivo del candidato alla presidenza.

Sostanzialmente si vota la persona più che le idee.

D’altronde tutti possiamo constatare che nei nostri Comuni sono pressoché inesistenti le tradizionali sezioni dei partiti, ove una volta i tesserati potevano discutere vari temi politici.

Di qui un ulteriore paradosso. Si ritiene che in una società democratica chi “comanda” o, per essere più corretti, chi ha la gestione della cosa pubblica sia la maggioranza.

Nei fatti, invece, proprio grazie all’astensionismo, la gestione del potere è comunque affidata ad una minoranza, mentre la maggioranza dei cittadini assiste con apatia, rassegnazione o altro, a quello che la minoranza decide.

Negli anni ’80 del secolo scorso il sottoscritto scrisse un libro sull’importanza dell’educazione politica, intesa non come educazione partitica, ma come educazione alla partecipazione responsabile alla vita pubblica.

Al presente, di fronte a fenomeni come l’astensionismo, la cancel culture, l’improvvisazione demagogica che talvolta si fa sentire per il tramite dei social, una riflessione articolata, ponderata e di largo respiro sulla necessità di una rifondazione della vita civile, in modo che non sia soggetta alle pulsioni del momento, sarebbe opportuna.

Naturalmente tutto riesce difficile ed è inutile evocare il ricordo della vecchia Educazione civica, anche se dal settembre del 2020 l’Educazione civica è considerata una disciplina trasversale che riguarda tutti i gradi scolastici.

In una società ove predomina il relativismo individualistico, mancano i grandi valori che danno davvero lo slancio vitale all’impegno civile che investa la collettività e tutto si risolve nel gioco degli interessi di piccoli gruppi o dei singoli.

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Galatina, il Liceo Vallone si mobilita “fa rumore” per le Donne

Sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

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In occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale dei Diritti della donna, il Liceo A. Vallone, di Galatina, sceglie di “far rumore” al fine di sensibilizzare i giovani, e la cittadinanza tutta, sul significato intrinseco di questa ricorrenza.

Previsto in mattinata, alle ore 11.45, un corteo che partirà dalla sede centrale del Liceo, in viale don Tonino Bello, e si muoverà verso Piazza San Pietro dove si terrà un flash mob di riflessione chiuso con la lettura di Knocking on Heaven’s door, profondo monologo in voce maschile tratto da Ferite a morte, di Serena Dandini. 

“L’ignominia continua da Giulia…1,2,3…12 vittime” è il messaggio che gli studenti e le studentesse del Liceo porteranno in corteo, ribadendo che “Nessun delitto ha una giustificazione”!

Tutti gli studenti e le studentesse del Liceo, accompagnati dal personale scolastico, attraverseranno le strade principali della città (viale don Tonino Bello – via Ugo Lisi – C.so porta Luce – Piazza San Pietro) con l’obiettivo di fare un silenzioso rumore sull’inefficacia di questa ricorrenza, dipanando un drappo rosso lungo 30 metri, simbolo del dolore e delle violenze che le donne ancora subiscono, visto il perdurante divario di genere.

“Non si ha nulla da celebrare se non vi è uguaglianza. Non si celebra la Donna se non La si rispetta” Queste le parole della Dirigente Scolastica, prof.ssa Angela Venneri, che ha fortemente promosso e sostenuto l’iniziativa, in un’ottica di sensibilizzazione e condivisione d’intenti.

Non un’occasione per festeggiare, dunque, ma solo per riflettere e tenere alta l’attenzione, con l’auspicio che l’educazione culturale possa riaffermare un ineludibile principio di civiltà.

Da qui l’augurio conclusivo dei nostri studenti e studentesse a tutte le donne con i dolcissimi versi della poesia di Alda Merini, Sorridi donna.

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