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Gli imprenditori: “Le banche non ci sostengono più”

“Puntano solo al loro profitto”; “Non conoscono più il cliente”; “Ci penalizzano con troppe regole”; “Non guardano a idee e progetti”; “I direttori stan diventando dei passacarte”

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Com’è cambiato il ruolo tra imprese e banche negli ultimi anni? Lo abbiamo chiesto agli imprenditori salentini.


SERGIO COSTANTINI, “VERGALLO MACCHINE”


Secondo Sergio Costantini della Vergallo Macchine di Corigliano d’Otranto, “per rispondere a questa domanda, bisogna guardare indietro, a quando le banche facevano solamente le banche. Cioè, quando raccoglievano il risparmio per metterlo al servizio dell’impresa affinché si sviluppasse e con lei il mercato economico. Oggi invece, sono diventate vere e proprie agenzie commerciali, che “vendono”, un’infinità di servizi finanziari e di investimento, con un’unica visione, quella di aumentare il loro profitto, spesso offrendo servizi non sempre vantaggiosi per l’impresa. Elementi necessari che occorrono oggi più che mai, nel rapporto impresa-banca sono correttezza e trasparenza che diventano sempre più una reale necessità operativa. Molto spesso le  imprese non riescono a comprendere cosa vogliano le banche e queste, a loro volta non ottengono  tutte le informazioni necessarie al fine di una corretta valutazione e conseguente decisione, in merito alla specifica richiesta di affidamento. Occorre, oggi ancor più che in passato, rimuovere tutte le reciproche difficoltà di comunicazione al fine di migliorare l’accesso al credito dell’impresa e la sua conoscenza da parte della banca, in quanto quest’ultime, svolgono anche un ruolo fondamentale di carattere economico-sociale per l’intero sistema, al pari di una qualsiasi impresa pubblica e/o privata, in quanto promotrici di investimenti e quindi di nuova ricchezza.


Per Costantini “sono dunque importantissimi gli accorgimenti per aiutare sia l’impresa nel sviluppare meglio il suo mercato, sia la banca nel comprendere pienamente il business dell’impresa da finanziare. Per fare ciò”, conclude, “credo sia fondamentale aumentare il rapporto e il contatto personale, perché dietro ogni organizzazione sia essa piccola, media o grande, ci sono delle persone che la compongono e la animano.


TOTO’ PICCINNI, “MAGAZZINI TOTO’ PICCINNI


Per Totò Piccinni degli omonimi Magazzini (Depressa di Tricase e Surano): “La politica di ristrettezze adottata dalle banche sta creando qualche problema e in taluni casi accentuando la situazione di stallo economico. Non c’è da farne una colpa a direttori e impiegati bancari del territorio perché loro hanno le mani legate. Non è più come una volta quando il direttore della banca alla quale ci si rivolgeva conosceva uno per uno i suoi clienti e sapeva quando un imprenditore era affidabile o meno. Oggi ci si basa sul famoso rating di Basilea 2 e le decisioni vengono prese altrove da persone che non conoscono neanche il nome del titolare della pratica che discutono”. Allo stesso modo Totò Piccinni sottolinea come anche “la stretta anche sul piccolo credito contribuisca ad ingessare l’economia”.


PAOLO VANTAGGIATO, “CARROZZERIA VANTAGGIATO”


Paolo Vantaggiato, dell’omonima carrozzeria di Tricase non ha dubbi: “Siamo tutti succubi di soprusi e vittime di prepotenze. Alla fine lavoriamo quasi esclusivamente per non andare sotto con la banca. Ed è anche colpa nostra perché spesso, quando ci concedono qualcosa, non siamo attenti a leggere clausole e codicilli che ci fanno firmare. C’è anche da dire però che se uno fa il carrozziere, l’edile o il macellaio, non può essere certo laureato in alta finanza… Cosa fare? Mbah… non saprei, anche perché oggi tutte le nostre energie sono assorbite dalla necessità di sopravvivere”.


ROCCO TOMA, “TOMA CARBURANTI”

Per Rocco Toma, della Toma Carburanti di Ruffano, la situazione è “irrimediabilmente peggiorata con l’introduzione dell’accordo di Basilea e l’introduzione del rating con cui viene valutata l’affidabilità delle imprese. Troppe regole che spesso e volentieri penalizzano imprenditori che hanno sempre tenuto fede ai loro impegni mai venendo meno all’estinzione dei debiti. Una volta era il direttore della banca locale a farsi in qualche modo garante dell’imprenditore che aveva di fronte perché ne conosceva pregi e difetti oggi invece si decide secondo regole prestabilite e di solito lo si fa lontano dal luogo in cui opera l’imprenditore senza tenere conto di alcunché. Personalmente non ho ancora incontrato problemi simili, ma molti colleghi affidabilissimi mi hanno raccontato di essere stati in grande difficoltà per affidamenti ridotti, perentorie richieste di rientrare immediatamente dal debito e chiusura pressoché totale dei cordoni. E questo, dopo che per anni avevano sempre fatto le cose per bene. Basilea o no, non sarebbe male si ristabilisse un rapporto di fiducia tra banche e imprese che operano sullo stesso territorio”.


DAVIDE GAETANI, “SISA”


Davide Gaetani del Gruppo Sisa di Racale (con punti vendita anche a Gallipoli, Mancaversa, Felline, Taurisano, Taviano e di prossima apertura a Maglie) individua il problema nel fatto che “le banche non guardano i progetti, le idee ma solo il bilancio e il rating. In pratica finanziano solo quelle aziende di cui sono certe al 100% del rientro”. Per Gaetani “all’estero non fanno così, è un problema tutto italiano ed è un errore non premiare l’idea, così si ferma lo sviluppo e si ingabbia l’economia”. L’imprenditore racalino individua poi un’altra anomalia nelle differenze dei rating tra banca e banca. In pratica “se cambi istituto cambia anche il tuo livello di affidabilità… possibile mai? Con i rating voluti da Basilea 2 in pratica fanno come gli pare”. Infine Gaetani torna sulla necessità di una stretta connessione tra e imprese e banche che scommettano su di loro: “Un po’ come accaduto per il mio gruppo che si sta espandendo anche grazie alla cooperazione con due istituti come Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena che hanno compreso l’importanza di spalleggiare gli imprenditori e sostenerne le idee”.


ANTONIO GIANNUZZI, “CHATEAU D’AX”


Antonio Giannuzzi di Chateau d’Ax di Maglie, sottolinea come “le banche si nascondono dietro i famosi rating e anche i tassi non sono più quelli di una volta, sempre se e quando concedono qualcosa”. Per Giannuzzi “non solo la stretta alle imprese ma anche e soprattutto quella del credito immobiliaree ha rallentato l’economia. Anche se, pare, le cose stiano cambiando perché le banche avrebbero eccesso di liquidità da far girare. Concedono credito solo a chi da garanzie assolute di restituzione ma almeno girano un po’ di euro…”. Altro punto dolente secondo l’imprenditore magliese è che “i direttori di banca rischiano di passare per dei passacarte perché tutto viene deciso nei consigli direttivi che sono lontani anni luce dal territorio e dalle sue esigenze”.


FERDINANDO CATINO, “FEPA INFISSI”


Ferdinando Catino della Fepa Infissi di Ugento spiega di essere “correntista da più di trent’anni e di non aver mai avuto particolari problemi con le banche. Anzi ho sempre trovato disponibilità e quando ce n’è stato bisogno sono anche stato consigliato nel modo giusto. È vero però che le cose oggi sono un po’ cambiate. Mi è capitato per esempio che alcuni clienti anche con le giuste garanzie si sono visti rifiutare crediti anche di appena 2-3mila euro e questo ovviamente blocca l’economia”. Un atteggiamento maggiormente votato alla ristrettezza, secondo Catino “è anche comprensibile visto il momento particolare che stiamo vivendo. Penso però che sia anche conseguenza del comportamento poco limpido di alcuni imprenditori che ci hanno marciato. Se da una parte, quindi, le banche dovrebbero essere meno rigide, dall’altra taluni imprenditori dovrebbero essere più corretti”.


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Vittoria annunciata e confermata per Decaro. Affluenza al ribasso: e ora?

Credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema: come mai tanta gente non va più a votare. E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?

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di Luigi Zito 

Si sono da poco chiuse le urne per le elezioni Regionali in Puglia, l’affluenza in picchiata, come tutte le stime lasciavamo intendere, si è attestata al 41,85%, cinque anni fa al voto partecipò il 56,4 per cento degli elettori.

In Puglia si è registrata la più bassa affluenza di sempre, anche meno delle stesse Regioni dove ieri e oggi si è votato: Campania e Veneto.

La provincia dove si è votato di più è stata Lecce, con una affluenza del 44%; Taranto con 40,60%, Bari 41,31%, Brindisi 41,94%, BAT 41,22, la peggiore Foggia con poco più del 38%.

Le proiezioni non lasciano spazio a “ribaltoni” di sorta.

Antonio Decaro, nuovo Governatore di Puglia

Antonio Decaro è dato al 70% non raggiungerebbe il 30% Lobuono che ha già ammesso la sconfitta.

Secondo l’instant poll YouTrendper Sky TG24, nel campo progressista guidato da Antonio Decaro Partito Democratico si attesterebbe tra il 25% e il 29%, seguito dalla lista «Decaro Presidente» stimata tra 11,5% e 15,5%.

Le altre liste della coalizione oscillano tutte tra il 6% e l’8% per «Per la Puglia» e Movimento 5 Stelle, tra il 4% e il 6% per Verdi-Sinistra e tra l’1% e il 3% per i Popolari.

Sul fronte del centrodestra, Luigi Lobuono registra Fratelli d’Italia tra il 18% e il 22%, Forza Italia tra l’8% e l’11% e la Lega tra il 3,5% e il 5,5%.

Le liste minori della coalizione – Noi Moderati, Civici e Sud al Centro – sono tutte comprese tra 0% e 2%.

Ora che la frittata è stata fatta, sarebbe opportuno che qualcuno dei nostri politici ci spiegasse come mai meno di un pugliese su due non si è sentito ispirato nell’andare a votare.

Quali sono i veri motivi: disaffezione alla vita pubblica; poca pubblicità; istituzioni lontane dai cittadini; politici ibernati nelle torri d’avorio; consiglieri regionali poco attenti al territorio ed ai veri problemi dei pugliesi, sanità alla stremo (nella puntata di ieri di Report, la Puglia è ultima nella classifica nazionale per i tempi di attesa delle prenotazioni mediche)?

Ora credo sia arrivato il momento che qualcuno si ponga il problema, la nostra non è una di quelle Regioni democraticamente avanzate (come la Svizzera ad esempio), dove ogni 3 x2 ogni quesito viene posto al popolo che, incalzato da tanta sollecitazione, non va più a votare.

E allora non sarebbe opportuno, in questa centrifuga tecnologica del nuovo millennio, che si cominciasse a pensare ad una votazione elettronica?

Sembra, ormai, che l’unico compagno che mai ci abbandona e ci delude nella nostra vita sia il disprezzato cellulare che monitora ogni respiro della nostra giornata: non sarebbe meglio (forse) iniziare a pensare ad un sistema di voto elettronico, in cui ogni votazione, registrazione e conteggio dei voti avviene tramite strumenti digitali?

I vantaggi sarebbero tanti: la velocità del conteggio, la comodità di votare ovunque, si risieda in città o meno, all’estero o in qualsiasi altra parte del mondo; una maggiore possibilità e facilità di far votare persone con disabilità; il risparmio di carta e varie.

Certo le criticità viaggiano alla stessa velocità del web: il rischio di attacchi hacker; la poca affidabilità di molti aggeggi elettronici; garantire la Privacy per tutti (sappiamo bene cosa succede con le fastidiose telefonate dei call che tutti riceviamo sul telefono), e poi la sicurezza.

Ogni innovazione ha pregi e difetti, leggi i Paesi dove hanno già sperimentato il voting, come l’Estonia, il Brasile o l’India che hanno fatto di necessità virtù utilizzando questa novità tecnologica.

Se non iniziamo a pensarci da subito si rischia che, alle prossime elezioni (qualsiasi esse siano), oltre alla penuria di votanti ci ritroveremo anche con Candidati consiglieri e Presidenti eletti che non rappresentano (di fatto) la maggioranza delle volontà dei pugliesi e, se tanto mi dà tanto, tanto vale affidarci alla Dea bendata e sceglierli dal mazzo con una estrazione, risparmieremmo tempo e salute.

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Pompeo Maritati, “Quando i numeri si innamorano (e io ci casco)”

Oggi che sono in pensione, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo, ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”…

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L’idea di questo libro nasce in un luogo che, a prima vista, sembrerebbe il meno romantico del mondo: una sala corsi di una grande banca italiana, illuminata da neon impietosi, con pile di dispense, calcolatrici scientifiche e tazzine di caffè che avevano visto giorni migliori.

Era verso la fine degli anni 90, e io, in giacca e cravatta, stavo tenendo un corso di matematica finanziaria a un gruppo di operatori bancari. L’argomento del giorno? Il calcolo delle rate di mutuo con il sistema cosiddetto “alla francese”.

Un nome che evoca baguette, bistrot e chanson d’amour, ma che in realtà nasconde una formula che farebbe piangere anche un ingegnere.

Eravamo immersi in coefficienti, tassi d’interesse, progressioni geometriche e quel misterioso “ammortamento” che, più che un piano di rimborso, sembrava una lenta agonia numerica. E proprio mentre stavo spiegando la logica dietro la distribuzione degli interessi nel tempo, uno degli uditori – un tipo sveglio, con l’aria di chi aveva già capito tutto, ma voleva vedere se anche io lo avevo capito se ne uscì con una frase che mi colpì come una freccia di Cupido: “È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”

Silenzio. Sorrisi. Qualche risatina. Io, ovviamente, feci il classico gesto da docente navigato: annuii con un mezzo sorriso, come a dire “bella battuta, ma torniamo seri”. E così fu. Riprendemmo la lezione, tornai a parlare di rate, di formule, di Excel. Ma quella sera, solo in albergo, mentre il minibar mi offriva una bottiglietta d’acqua a prezzo da champagne e la TV trasmetteva repliche di quiz dimenticati, quella frase tornò a bussare alla mia mente.

“È come se alcuni numeri si fossero innamorati.”

Ma certo! Perché no? Perché non pensare che dietro le formule ci siano storie? Storie di attrazione, di repulsione, di corteggiamenti matematici, di triangoli amorosi (non solo geometrici), di numeri che si cercano, si sfuggono, si fondono. Un’idea folle, certo.

Accostare l’innamoramento, quel sentimento poetico, irrazionale, profondo, all’aridità dei numeri, che per definizione sono freddi, impersonali, astratti. Ma forse proprio per questo l’idea mi sembrava irresistibile.

Così iniziai a scrivere. A spizzichi e bocconi, tra una riunione e una trasferta, tra un bilancio e un report. Annotavo storielle, dialoghi, immagini. Immaginavo lo Zero e l’Uno in crisi di coppia, il Due che cerca equilibrio, il Pi greco che seduce tutti ma non si concede a nessuno. Poi, come spesso accade, la vita prese il sopravvento.

Gli impegni si moltiplicarono, le cartelle si accumularono, e quei fogli finirono in fondo a un cassetto. Lì rimasero, silenziosi, per anni. Fino a oggi.

Oggi che sono in pensione, e che ho tempo per ascoltare le idee che bussano piano, che posso permettermi di scrivere senza Excel aperto in sottofondo. Ho ritrovato quei fogli, li ho riletti, e mi sono detto: “Perché non completarlo? Perché non dare voce a quei numeri innamorati?”

E così è nato questo libro. Un libro che non pretende di insegnare matematica, ma di farla sorridere. Un libro che non vuole dimostrare teoremi, ma raccontare storie. Un libro che, se tutto va bene, vi farà guardare i numeri con occhi nuovi.

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Luglio 1931: “Quando a Tricase, sul Quadrano, c’erano le Colonie”

Una storia intrigante di un secolo fa: nasce su uno sperone roccioso, su uno dei più bei scorci di Tricase Porto. Da opificio per tabacchine a colonia, durante il fascismo; da casa al mare a discoteca nei anni 70…

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di Ercole Morciano

La costruzione conosciuta col nome di “colonie” nasce a Tricase-Porto, sul promontorio del “Quadrano”, tra fine Ottocento e primi del Novecento, come magazzino per la prima lavorazione del tabacco in foglie per conto della ditta greca Hartog & C., proveniente da Salonicco, come quella dei f.lli Allatini.

Costruire un magazzino per la lavorazione del tabacco al porto, mentre comportava indubbi benefici per la ditta proprietaria, costringeva le operaie tabacchine a portarsi da Tricase alla marina per lavorare in ogni condizione metereologica e ne siamo certi a piedi nudi, come purtroppo imponevano i tempi. 

Costruire un magazzino per la lavorazione del tabacco al porto, mentre comportava indubbi benefici per la ditta proprietaria, costringeva le operaie tabacchine a portarsi da Tricase alla marina per lavorare in ogni condizione metereologica e ne siamo certi a piedi nudi, come purtroppo imponevano i tempi.

Proprio da Tricase, dove le tabacchine erano le meno pagate della provincia e oberate dal cottimo, nel 1905 partì la protesta che infiammò tutta la Terra d’Otranto con uno sciopero che portò ad un lieve miglioramento delle paghe e all’abolizione del famigerato cottimo. 


Le tabacchine di Tricase erano “toste” e il loro vessillo scarlatto, recuperato per merito del consigliere comunale socialista Luigi Cavalieri, è ora esposto nella sala consiliare di palazzo Gallone.Tutte le donne del popolo di Tricase erano all’epoca coraggiose e determinate: nel 1917, in piena prima guerra mondiale, sfidarono le dure leggi di guerra che punivano gli assembramenti e scesero in piazza per reclamare pane, pace, lavoro e il rientro dal fronte dei loro uomini, figli-mariti-fratelli-fidanzati.

Le ditte greche Allatini e Hartog, verosimilmente in seguito agli scioperi di cui sopra, decisero di vendere i loro stabilimenti tricasini mettendo fine ad un periodo che, pur foriero di benefici, si caratterizzava per la durezza con cui le lavoratrici venivano trattate e per lo sfruttamento cui erano sottoposte. 

Quello dei F.lli Allatini fu acquistato nel 1909 dal neonato consorzio cooperativo, poi Acait, di cui diventò la sede, mentre quello della ditta Hartog, in Tricase-Porto, passò in proprietà della famiglia del direttore dell’Acait, dott. Filippo Nardi.

“Villa Nardi”, nel primo lustro degli anni ’30”, è denominato l’ex tabacchificio Hartog, costruito sullo sperone roccioso sovrastante la baia del “Quadrano” e caratterizzato da una vasta costruzione a piano terra, con vari ambienti adibiti alla lavorazione, al deposito, agli uffici e alle abitazioni.

Edificato con conci di carparo, volte a stella, vaste aree di pertinenza, su un sito tra i più panoramici di Tricase-Porto, l’ex tabacchificio, detto ufficialmente “Villa Nardi”, fu sede di colonie elio-talasso-terapiche durante il fascismo nel triennio 1932-34.

PERCHE’ LE COLONIE

Il regime fascista sosteneva il sorgere delle colonie estive per due ragioni: una di carattere socio-sanitario per prevenire e contrastare malattie dell’infanzia molto diffuse nelle classi popolari (rachitismo, tubercolosi, avitaminosi…) e l’altra di carattere propagandistico attinente l’educazione e la formazione dei cosiddetti coloni, “Balilla e Piccole Italiane”, ovviamente in gruppi separati, di forte impronta nazionalista, bellicista, con particolare riguardo al culto della personalità verso il dittatore Mussolini, in analogia con quanto avveniva già nella scuola di stato.

A Tricase-Porto vi erano state colonie elioterapiche già negli anni ’20; questa storia inizia invece nel luglio 1931 con una visita alla Colonia di Terracina, provincia di Littoria (ora Latina), dell’ispettore scolastico Raffele Valletta, presidente della Federazione della Mutualità scolastica della provincia di Lecce.

Nasce così nell’ispettore Valletta l’idea di impiantare una colonia estiva in provincia quale filiazione di quella laziale, molto lontana per mandarvi i ragazzi/e delle famiglie salentine.

Il 3 agosto 1932 egli riceve l’approvazione prefettizia che autorizza la Federazione Provinciale M.S. ad “aprire una colonia estiva per bambini/e di 7-12 anni, nella marina porto di Tricase, presso ‘Villa Nardi’ che sarà intitolata ad Achille Starace”. 

Valletta nomina direttrice l’insegnante leccese, Giovanna Astore che il 15 agosto 1932, alle 8.15, prende in carico i “coloni” dalla stazione di Lecce per “rilevare gli altri lungo le fermate della linea Lecce-Zollino-Maglie-Tricase”.

COME FUNZIONAVANO LE COLONIE

Nell’Archivio di Stato di Lecce, tra le carte riguardanti la colonia di Tricase, si conservano l’elenco dei capi del corredo necessario, l’orario delle attività e la “vittizzazione”. 

Orario: 6, sveglia; 6-7 pulizia personale; 7-7.30, primo pasto; 8-12, alla spiaggia; 12.30-13.30, secondo pasto; 13.30-16, ricreazione o riposo; 16-19, passeggiata e merenda; 19.30-20.00, terzo pasto; 20.15, silenzio. 

Ai piccoli coloni verrà somministrata: la mattina, caffè-latte, marmellata e pane; a pranzo, minestra, pietanza, frutta e pane; per merenda, pane, marmellata, od altro; a cena, pietanza, formaggio od altro, frutta e pane. 

Le carte d’archivio ci dicono che l’anno seguente la direzione passò al neo-presidente della Federazione di Lecce Michelangelo Sansonetti, che confermò il personale dell’anno precedente con i relativi incarichi.  

Risulta anche che l’assistenza medica era prestata dal dott. Alessandro Caputo, mentre quella religiosa era assicurata dal parroco di Tricase Porto, don Michele Nuccio. 

Dalla relazione finale del presidente, densa della reboante e pomposa retorica di regime, di cui si trascrivono alcuni stralci, si apprendono i particolari sulla vita della colonia: “educare i fascisti di domani come li vuole il DUCE [sic], sani, forti, disciplinati e pronti a tutto osare”; durante l’alzabandiera: “Gli occhietti [dei bambini] si levano, il braccio si alza nel saluto romano, e un nome vibra nel coro argentino; DUCE. 

Mentre una folla di passanti sosta commossa, più che incuriosita, e riverente si scopre il capo” e si ferma finché non vede di bambini rientrare in colonia “marzialmente cantando Giovinezza”. 

Le parole più altisonanti le troviamo nella esaltazione della figura di Benito Mussolini: “Finita la funzione religiosa, di ritorno [dalla chiesa] in colonia, i nostri bambini, dal canto sacro all’inno Giovinezza, passano tra due fitte ali di popolo, suscitando un delirio di entusiasmo per Colui che con tanto interesse e amore attende alla sanità della stirpe… il cui nome resta scolpito nel cuore di tutti…”. 

GLI ABUSI

Non è possibile scrivere tutto per motivi di spazio, ma si apprende dalle relazioni archiviate che non mancavano gli abusi.

Per esempio, “quando veniva l’ispettore della Mutualità, Pomarici, il pranzo era a base di aragoste che non dovevano mai mancare sulla mensa e altre ne faceva comprare, a spese della direttrice, da portare a casa”.
La direttrice poi abitava in colonia con i suoi 4 figli e tutti “si trattavano molto bene in quanto che staccavano i migliori pezzi della carne acquistata per i coloni e se la preparavano secondo i loro gusti”.
E tutto questo nonostante i controlli a sorpresa, un giorno alla settimana, del presidente Sansonetti che lasciava il figlio in colonia per vigilare: ma la direttrice “approfittava della poca esperienza del giovane” tanto che un suo “conoscente venne ad abitare nella colonia in una delle stanze riserbate alla vedova Nardi [Maria Raeli], al quale veniva somministrato clandestinamente il vitto della colonia”.
FINO A QUANDO FUNZIONO’ LA COLONIA
La colonia funzionò anche nel 1934 e doveva proseguire anche nell’anno seguente perché i moduli per l’iscrizione furono inviati dal presidente Sansonetti ai comuni della provincia l’1 maggio del 1935.
Se non che, di lì a poco, il 15 maggio, si ebbe a Tricase la rivolta, con lo sciopero delle tabacchine, la morte di 5 persone, gli arresti e tutto il resto e pertanto non risulta che quell’anno la colonia si sia tenuta.
Il fabbricato delle “colonie”, nella seconda metà degli anni ’30, cambiò di proprietà perché allo scoppio della guerra mondiale, nel giugno 1940, venne requisito per fini bellici ai nuovi proprietari: Adriana Contegiacomo in Cortese e Donato Antonaci-Dell’Abate ai cui eredi, salvo le alienazioni intercorse, appartiene ancora oggi.
Purtroppo non andarono in porto i tentativi per fare dei fabbricati una struttura turistica ma si ricorda che, nella parte Contegiacomo-Cortese, dove dal dopoguerra in poi abitarono d’estate non poche famiglie tricasine, ha funzionato negli anni ’70 una discoteca (Le Palme) molto frequentata dai giovani per ballare e ascoltare musica all’aperto, in uno dei luoghi più suggestivi di Tricase.
Ringrazio di cuore il collezionista Mario Scorrano per la foto inedita e per le carte datemi in visione.
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