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Attualità

Maglie, Ruffano, Collepasso: la qualità urbana passa dai concorsi di progettazione

I tre Concorsi di progettazione già pubblicati sulla piattaforma telematica messa a disposizione dal Consiglio nazionale Architetti per interventi di rigenerazione e riqualificazione urbana nei tre centri salentini. Le dichiarazioni del presidente dell’Ordine Architetti PPC di Lecce Tommaso Marcucci e dei sindaci Ernesto Toma, Antonio Cavallo, Laura Manta

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A Maglie la riqualificazione e rigenerazione urbana di piazza Bachelet, valore dei lavori oltre 3miloni 200mila euro; a Ruffano la rigenerazione urbana del centro antico, e di altre aree e piazze del comune, valore dei lavori 2milioni 300mila euro; a Collepasso la riqualificazione sociale e ambientale dell’area destinata agli insediamenti produttivi, per un valore dei lavori di 2milioni.


Sono gli ambiti dei Concorsi di progettazione a due gradi già pubblicati sulla piattaforma telematica messa a disposizione dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori (https://concorsiawn.it ), importante tassello della  collaborazione tra Ordine degli Architetti PPC di Lecce e amministrazioni pubbliche territoriali per «restituire centralità al progetto di architettura nei processi di trasformazione urbana», dice Tommaso Marcucci, presidente dell’Ordine degli Architetti PPC di Lecce, «con uno strumento determinante per la qualità urbana e territoriale, e funzionale perché in grado di garantire snellimento dei tempi».


In questo modo, prosegue Marcucci, «possiamo mettere a valore nel migliore dei modi, di concerto con le amministrazioni pubbliche in uno scambio proficuo e un reciproco processo di crescita, strumenti come le risorse destinate dal “Fondo concorsi di progettazione per la coesione territoriale”, il cui obiettivo è offrire agli enti delle regioni centromeridionali e ai Comuni delle cosiddette aree interne l’opportunità di acquisire  progetti di qualità, utili per accedere alla programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali, del Fondo per lo Sviluppo e la coesione, e per partecipare ai bandi attuativi del Piano nazionale di ripresa e resilienza».


Gli interventi individuati dalle Amministrazioni di Maglie, Ruffano e Collepasso sono importanti per l’entità dei lavori, la rilevanza degli spazi urbana coinvolti, gli obiettivi attesi in termini di riqualificazione territoriale, sviluppo economico, integrazione sociale», aggiunge Tommaso Marcucci, «un percorso che conferma la rilevanza del concorso di progettazione a due gradi, lo stesso messo in campo nel caso dell’ex Galateo a Lecce sempre sulla piattaforma del Consiglio Nazionale Architetti PPC, come strumento fondamentale per attrarre qualità progettuale, rilanciare il ruolo dell’architettura nei processi di trasformazione urbana ma anche sviluppo e rilancio socio-economico del territorio, attrarre e motivare anche giovani architetti a provarsi con la sfida della bellezza e della sostenibilità, sostenere il ricambio generazionale e la presenza della nuova architettura nelle nostre città. Quella del concorso di progettazione è infatti una procedura particolarmente inclusiva, e i giovani architetti non sono penalizzati dalla necessità di dover dimostrare fatturati ampi e già consolidati. Per questo ci auguriamo, insieme alle amministrazioni interessate, un’ampia e qualificata partecipazione sia da parte dei nostri iscritti che di colleghi di altre aree geografiche».

«Quella con l’Ordine degli Architetti è una collaborazione virtuosa, perché mette al centro la qualità territoriale e il recupero a livello sociale e culturale di un intero pezzo di città», afferma il sindaco di Maglie Ernesto Toma, «il progetto di rigenerazione agirà sul quartiere più popoloso di Maglie, realizzato intorno agli anni ’70, che ha bisogno di un nuovo volto, ridisegnando e ottimizzando gli spazi disponibili per recuperare funzioni urbane, fruibilità, nuovo verde. Un quartiere peraltro caratterizzato anche dalla presenza di tre istituti scolastici. Abbiamo bisogno di idee nuove e progetti innovativi. Gli architetti hanno la giusta fantasia e creatività per dare a questo quartiere il volto nuovo di cui ha bisogno e per creare una connessione anche con le aree più periferiche di questa importante parte della nostra città».


«Puntiamo a rigenerare e valorizzare il nostro centro antico», sottolinea Antonio Cavallo, sindaco di Ruffano, «consapevoli della sua bellezza, e di come il legame tra bellezza e sostenibilità possa generare nuove e buone economie. La sinergia avviata con l’Ordine degli Architetti di Lecce, che in queste settimane peraltro proprio con il Corso formativo itinerante sul rilascio dell’autorizzazione paesaggistica mette a fuoco un tema cruciale per le pubbliche amministrazioni, conferma la necessità di una rete tra tutti i soggetti coinvolti nella tutela e trasformazione urbana e del paesaggio, capace di agevolare il confronto anche sul versante, non sempre scontato, dell’interpretazione normativa, perché solo in questo modo riusciremo a mettere in campo e rafforzare strategie durature e condivise di tutela, crescita e sviluppo territoriale».


Ne è convinta anche di Laura Manta, sindaca di Collepasso, che rilancia: «Per la nostra area Pip abbiamo obiettivi ambiziosi, che siamo sicuri di poter raggiungere con questo intervento che tende a rafforzare la transizione verde dell’economia locale e la trasformazione digitale dei servizi, a garantire una maggiore inclusione e coesione economica e produttiva, a rafforzare le dotazioni infrastrutturali così da implementare l’attrattività dell’area e stimolare la presenza di nuove imprese. Vogliamo fornire occasioni di crescita professionale alle nuove generazioni e sostenere la presenza delle donne sul mercato del lavoro, e siamo convinti che una zona produttiva rinnovata, infrastrutturata, accogliente, esteticamente attrattiva, è un tassello importante. Consideriamo la collaborazione con l’Ordine proficua e significativa, perché capace di dare il giusto apporto in termini di idee, sollecitazioni, soluzioni innovative e intelligenti, bellezza territoriale anche per una zona industriale».


Attualità

Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

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Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)

A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.

Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.

La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.

Le foto

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Approfondimenti

Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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