Approfondimenti
Salento oggi, il dibattito continua
Gli interventi di: Gaia Barletta, leccese, attivista queer e operaia culturale (presidente di 73100 Gaya, organizzazione che si occupa di diversity, equity ed inclusion); Mariella Piscopo di Taurisano, giornalista di viaggi, firma di reportage e guide, esperta di comunicazione food & travel; Paolo Insalata di Felloniche (Castrignano del Capo), presidente dell’associazione Lampus e organizzatore di concerti jazz; Mario Carparelli di Ugento, Docente di Storia della filosofia moderna dell’Università del Salento

GAIA BARLETTA
Di Lecce. Attivista queer e operaia culturale. Presidente di 73100 Gaya, organizzazione che si occupa di diversity, equity ed inclusion
«Cambiamo prospettiva, diamoci identità mediterranea»
«Sono una di quelle salentine che ha deciso di restare e di provare a contribuire al cambiamento: sono attivista per i diritti delle persone lgbtqia+ (lesbiche, gay, bisessuali, trans*, queer, intersex, asessuali +) e quest’attitudine nel tempo sta diventando il mio lavoro – intendo l’attivismo, non l’essere persona queer, quello fa parte della mia natura, così come l’essere salentina.
Essere salentina per me oggi significa rendermi conto di poter cambiare la prospettiva sulle cose, allargare l’orizzonte, connettermi con un’identità più ampia che è quella mediterranea. Non so ancora esattamente cosa significhi perché ha a che fare con la storia, anzi con tante storie, che sono quelle di tutte le persone e le popolazioni che nel tempo hanno attraversato -nel bene e nel male- il territorio nel quale siamo noi oggi e che hanno contribuito a formare la nostra identità, quella che rivendichiamo con orgoglio.
Quello che so è che ha a che fare con accoglienza, diversità, rispetto, che sono i valori fondamentali che mi muovono e che provo a diffondere nella mia sfera personale e in quella sociale e lavorativa, cercando di agire in modo da costruire ponti, non da alzare muri perché di certo non abbiamo bisogno di ulteriori conflitti.
Siamo in un momento storico cruciale, nel mezzo di trasformazioni importanti sotto tanti aspetti, primo fra tutti il clima e il Salento è al centro del Mediterraneo che cambia.
Forse è proprio questo il motivo per il quale credo valga la pena esplorare l’identità mediterranea: perché ha che fare con il mare e la sua profondità ma anche per provare a dare una prospettiva nuova alle persone più giovani e alle generazioni future».
Gaia Barletta
MARIELLA PISCOPO
Di Taurisano. Giornalista di viaggi, firma di infiniti reportage e guide, esperta di comunicazione food & travel
«Il Salento è un viaggio interiore, il nostro luogo dell’anima»
«Non è solo la nostra terra di nascita, il Salento è il nostro luogo dell’anima, un viaggio interiore alla scoperta del sé più autentico.
A partire dalle radici profondissime, come quelle degli ulivi millenari, che ci riportano a casa, anche dopo un lungo periodo, come è accaduto a me, dopo 15 anni di lontananza in giro per l’Italia e il mondo.
A partire dalla spiritualità legata ad antichi valori, che si ripete e rinsalda in ogni festa patronale, nelle processioni pasquali, nei rituali di ringraziamento delle tavole di San Giuseppe, nei canti di passione in griko.
A partire dal calore umano e da quel senso di comunità genuino, che ci fa aprire le porte di casa e aggiungere un posto a tavola per chiunque o a far salire in macchina il turista che ci chiede indicazioni per accompagnarlo direttamente a destinazione.
A partire dallo spirito del nostro territorio che è magico e misterioso, tra megaliti, torri, resti messapici, castelli medievali, cattedrali barocche, masserie fortificate, grotte preistoriche e cripte suggestive.
Un posto unico, dove due mari si incontrano e la luce è così avvolgente da lasciare senza parole.
A partire dalla campagna e dalla ricchezza dei suoi ortaggi, dalle tavole imbandite che meglio non si può, dai prodotti poveri sublimati in ricette di deliziosa semplicità, come le frise condite con olio, pomodorini e origano, che ogni salentino porta con sé
ovunque vada.
E il pesce, i crostacei, i molluschi con un sapore, che è difficile trovare altrove.
A partire dalla lentezza, dalla semplicità, dal silenzio della controra nei paesini che sembrano deserti, dal miraggio di fuga a portata di mano, come quando si percorre la litoranea Otranto-Leuca e tra il blu del cielo e il cristallo del mare si ammira l’azzurro in tutte le sue sfumature.
Senza parole, con gli occhi incantati e il volto pieno di stupore».
Mariella Piscopo
PAOLO INSALATA
Di Felloniche (Castrignano del Capo). Presidente Associazione Culturale Lampus e organizzatore di concerti jazz
«Uniti nelle disuguaglianze. Confidiamo nelle nuove generazioni»
«Che hanno in comune un leucano con un foggiano?
Beh, salvo l’appartenenza alla stessa regione, direi ben poco, considerando il fatto che le due località sono distanti quanto lo sono Roma e Parma: mondi completamente diversi!
Tutto cambia lungo quei 400 km di distanza: paesaggi, tradizioni, cultura, cucina e financo i dialetti.
Se non fosse per l’avvento della lingua italiana, un andriese e un gallipolino, non si capirebbero mai!
Restringendo il confronto nella sola provincia di Lecce, con i suoi circa 300 paesi (tra comuni e frazioni), le differenze tra gli abitanti si assottigliano ma non si annullano, rimanendo spesso molto evidenti.
E allora, cosa accomuna i “salentini”?
Al primo posto vedo l’attaccamento alla propria terra e il vanto di sbandierare con fierezza la propria appartenenza al Salento.
Avendo vissuto per oltre trent’anni da Roma in su, ho conosciuto poche persone orgogliose della propria terra quanto i salentini.
Cercando altri elementi che ci accomunano, penso alla fede calcistica “pe lu Lecce”, alla passione per “piatti forti” della cucina locale (dal pasticciotto a ciciri e tria, sagne torte, fave e cicorie, ecc…), all’orgoglio di vivere in un paesaggio illuminato da una luce straordinaria che fa brillare una costa meravigliosa, al privilegio di vivere circondati dal barocco.
Un’altra nota caratteristica dei salentini è la loro capacità di inserirsi nel tessuto sociale dei luoghi lontani dal Salento in cui si trasferiscono per lavoro, non sentendosi mai pesci fuor d’acqua ma suscitando spesso espressioni di amicizia e simpatia nei locali.
La società è molto cambiata dal dopoguerra ad oggi e sono cambiati anche i “salentini” che con l’emigrazione per lavoro o studio, l’avvento della televisione e dei nuovi media, hanno perso i tratti tipici di una cultura prevalentemente contadina fatta di famiglie numerose, lavoro e dinamiche solidaristiche proprie delle piccole comunità.
Ogni famiglia salentina ha parenti più o meno vicini che hanno lasciato il Salento e che, quando ci tornano (se tornano), dopo l’università, o a fine carriera lavorativa o per le vacanze, non sono più i salentini che erano prima di allontanarsi dalla loro terra.
Non solo: spesso, essendo stati permeati da nuove esperienze che ne hanno modificato la personalità, non ci si ritrovano più!
Alla luce di queste considerazioni, si può ancora parlare di “identità salentina”?
Forse si, ma a mio parere si tratta di un’identità non basata sulle affinità ma sui contrasti e sulle disuguaglianze!
Questo crea un grosso problema: le differenze spesso dividono, suscitano sospetto e diffidenza e sono un freno enorme allo sviluppo e alla crescita di una comunità ingessata in un presente un po’ miope e statico, oggi poco propenso al cambiamento.
Oggi è, di massima, così, ma la mia sensazione è che le nuove generazioni daranno a breve una spallata alla mentalità arroccata nella difesa del proprio campanile rompendo il muro della diffidenza e aprendosi con coraggio al confronto e alla collaborazione, apprezzando il valore delle differenze, riconoscendone le potenzialità e non i limiti.
Con un pizzico di fiducia e grazie all’insediamento sempre crescente dei “nuovi salentini” provenienti dalle più disparate latitudini, prontissimi ad apportare linfa nuova al Salento, il futuro che intravedo per il Salento è decisamente più che florido e creativo!».
Paolo Insalata
MARIO CARPARELLI
Di Ugento. Docente di Storia della filosofia moderna all’Università del Salento. È il più giovane esponente della tradizione storiografica salentina su Giulio Cesare Vanini
«Scommettere sul Salento è stato il mio modo di amarlo»
«Potrà sembrare banale, ma per me essere salentini, oggi, dovrebbe significare, prima di tutto, non essere provinciali.
Purtroppo, nelle opposte fazioni – quella degli esaltatori e quella dei denigratori “a prescindere” del Salento – c’è un fondo di provincialismo. E, aggiungerei, anche di “riduzionismo”.
Intendo dire che sia gli uni che gli altri, tanto gli “apocalittici” quanto gli “integrati”, riducono il Salento a pochi elementi distintivi e identificativi, se non a vere e proprie caricature.
Al contrario e per fortuna, il Salento è una terra ricca e dalle molteplici anime, che custodisce tante storie straordinarie, piccole e grandi, antiche e moderne.
Io sono stato battezzato da don Tonino Bello e sono uno studioso di Giulio Cesare Vanini. Quanti territori possono permettersi il lusso di vantare tra le proprie radici due simili giganti?
Eppure, quanti salentini possono affermare di conoscere veramente e profondamente queste due straordinarie figure?
Ecco, l’orgoglio e l’amore per il Salento devono poggiare sulla cultura e sulla consapevolezza, non sulla semplice appartenenza. Oggi più che mai.
Da questo punto di vista, ritengo che i turisti e i sempre più numerosi “salentini d’adozione” ci abbiano molto aiutato: ci hanno aperto gli occhi, ci hanno insegnato a vedere ciò che non riuscivamo più a vedere, a sorprenderci e a meravigliarci nuovamente di ciò che davamo ormai per scontato.
È così che, anche grazie a loro, abbiamo riscoperto il Salento. Ho studiato filosofia a Firenze e, durante gli anni dell’università,
ho vissuto anche a Milano.
Non ho mai, però, nutrito dubbi sul fatto che sarei tornato. Che la mia casa e il mio futuro fossero qui. Scommettere sul Salento è stato il mio modo di amare il Salento.
E lo è ancora oggi.
Ai tanti ragazzi che, per professione, ho il privilegio di incontrare sul mio cammino, quando mi chiedono un consiglio su cosa fare “da grandi” non smetto mai di ripetere: non abbiate paura di scommettere sulla vostra terra.
Lo credo fermamente.
Ci sono tanti settori con margini di crescita e miglioramento enormi, a partire dalla sostenibilità e dalla cultura.
A patto di uscire alla logica degli “oceani rossi”, provando invece a immaginare e creare “oceani blu” come il nostro mare, tanto per citare il capolavoro di W. Chan Kim e Renée Mauborgne».
Mario Carparelli
Per leggere gli interventi precedenti clicca qui e qui
Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Approfondimenti
Maglie, il presidente dell’ISPE tradisce le aspettative: si dimetta!
Di fronte ad un enorme danno, di oltre 3 milioni di Euro, il suo dovere è dimettersi. Non possono esserci accordi diversi sulla pelle dei dipendenti, dei cittadini, soprattutto se sono anziani; vanificando i tanti sacrifici della famiglia Carrapa…

Chiediamo le dimissioni del presidente dell’ISPE (Casa di Riposo) di Maglie
È di questi giorni l’attenzione di molta stampa sul centro fisioterapico che l’ASL Lecce ha annunciato di realizzare, nella dismessa struttura dell’Ospedale (PTA) di Maglie.
Ricordiamo che questo “centro” è la soluzione che è stata trovata dall’ASL per poter utilizzare il lascito della famiglia Carrapa di oltre 3 milioni di euro. L’eredità doveva essere destinata alla costruzione di una struttura sanitaria, in alternativa al nuovo ospedale, previsto, ma deliberato solo dopo due anni, dalla stesura del testamento, avvenuta 2009.
Nel documento era indicata una prescrizione che l’obbligava in caso di struttura sanitaria diversa dall’Ospedale, il completamento nei 5 anni dal decesso, in caso contrario l’intero lascito era destinato all’Istituto Servizi per la Persona (ISPE).
Accade, però, che chi doveva, non solo non ha costruito una struttura, né grande né piccola, ma nemmeno iniziata, riuscendo solo a produrre un cartellone di cantiere con data di inizio e di fine lavori, dove la data inizio è praticamente quella di scadenza dei termini, e quella di ultimazione lavori è anche disattesa, nonostante che si sono stati utilizzati locali esistenti, che necessitavano solo lavori di ristrutturazione.
Non c’è dubbio che il lascito doveva andare all’ISPE di Maglie, dove le esigenze dei cittadini anziani sono tante: mancanza di posti disponibili, carenza di personale e insufficienza della struttura, che la defunta Vita Carrapa voleva completare.
Invece, pur essendo a conoscenza delle disposizioni testamentarie, il presidente Fulvio Pedone, non reclama il diritto a succedere, impedendo che altri ne entrassero in possesso.
Forse il presidente non ha capito che non era lui, persona fisica, il vero beneficiario, ma il comune di Maglie e i suoi anziani cittadini.
Il suo atteggiamento va contro il diritto di successione, contro la legge regionale n 15 del 2004, contro il loro stesso statuto dell’ISPE e contro l’art. 630 del cc..
Non è chiaro se ci sono stati intendimenti o benevole interpretazioni perché ciò accadesse, sta di fatto che chi agisce contro il suo mandato, non merita la stima dei danneggiati che non possono capire il perché non si è voluto aiutare.
E’ chiaro che, di fronte ad un enorme danno, di oltre 3 milioni di Euro, il suo dovere è dimettersi, da Presidente dell’ISPE. Non possono esserci accordi diversi sulla pelle dei dipendenti, dei cittadini, soprattutto se sono anziani; vanificando i tanti sacrifici, della famiglia Carrapa.
Comitato Nuovo Ospedale sud Salento – Antonio Giannuzzi – fiduciario fam.Carrapa
Approfondimenti
“Dal Salento al mercato nazionale: innovazione e tradizione intrecciate in ogni corda”

Nel profondo Sud della Puglia, dove il mare incontra le rocce di Gagliano del Capo, nasce una delle aziende più versatili e dinamiche presenti sul territorio italiano. Corderie Italiane, marchio prodotto e distribuito da Filtrex Srl, azienda specializzata nella produzione di corde, funi e trecce, è guidata con passione e lungimiranza dalla Famiglia Savarelli: ci troviamo di fronte ad un esempio concreto di come la tradizione artigianale possa fondersi con l’innovazione industriale.
Il suo fondatore, Cosimo Savarelli, ex dirigente di un noto calzaturificio locale, nel lontano 1989 decise di intraprendere una nuova strada reinventandosi e portando la sua esperienza imprenditoriale acquisita nel corso degli anni in questa nuova realtà. Ad affiancarlo, il figlio Giuseppe, laureato a pieni voti in Management Aziendale presso l’Università del Salento e con cui abbiamo il piacere di parlare oggi.
Giuseppe, la vostra gamma di prodotti è davvero ampia. Come si riesce a gestire una produzione così diversificata?
È difficile dare una risposta univoca a questa domanda, perché nello scenario attuale bisogna essere performanti sotto tutti i punti di vista. Ma sento di poter dire che la chiave fondamentale del nostro successo é l’organizzazione. La nostra azienda, pur mantenendo un’identità artigianale, ha saputo integrare nuove e moderne tecnologie industriali.
Questo ci permette di coprire numerosi settori che spaziano dalla nautica all’agricoltura, dall’edilizia al bricolage, passando per ambiti più specifici e professionali, come quello dei tendaggi e del fai da te. Produciamo cime per ormeggio e ancoraggio, corde galleggianti, trecce calibrate e in alta tenacità, corde naturali, spaghi alimentari, fino ai cordini tecnici per la pesca e attività outdoor. Avere una filiera interna ben strutturata e macchinari tecnologicamente avanzati ci consente di rispondere prontamente e con estrema flessibilità alle mutevoli esigenze di mercato, che poi vendiamo anche online su https://www.corderieitaliane.com/.
Quanto incide l’elemento “Made in Italy” sulla vostra proposta?
È il nostro marchio di fabbrica. Il Made in Italy, oggi più che mai, rappresenta un elemento di garanzia: non solo per la qualità del prodotto, ma anche per l’etica del lavoro e il rispetto delle normative vigenti. Le nostre corde sono fatte per durare: selezioniamo solo materie prime di altissima qualità, supervisioniamo ogni singola fase della produzione e non lasciamo nulla al caso.
Diamo la massima importanza alla qualità del prodotto, all’assistenza pre-post vendita e al packaging finale. In un contesto economico orientato sempre più verso l’adozione di politiche green ed ecosostenibili, siamo costantemente alla ricerca di soluzioni di imballo a basso impatto ambientale, pur garantendo la conservazione del prodotto e un aspetto elegante che attiri l’attenzione del cliente. Anche l’occhio vuole la sua parte, e crediamo molto nell’importanza dell’immagine del brand e della presentazione del prodotto finale che deve essere chiaro ed elegante in ogni punto vendita.
Parlando proprio di punto vendita: il vostro sistema di merchandising è spesso citato come esempio. Come funziona?
Abbiamo pensato ad un modello che metta al centro il rivenditore. Lo aiutiamo in tre fasi: partiamo dalla progettazione del layout personalizzato, forniamo il sistema espositivo con le referenze richieste e infine seguiamo il cliente nel tempo, monitorando la rotazione dei prodotti e aggiornando l’assortimento.
Questo approccio è particolarmente utile in settori come il fai-da-te, dove il consumatore finale è spesso inesperto e ha bisogno di indicazioni semplici ma precise per orientarsi.
Il settore nautico sembra essere uno dei vostri punti di forza. Ci potete dire qualcosa in più?
È uno dei nostri mercati storici e più affermati. Produciamo corde per piccole e grandi imbarcazioni, trecce decorative e ornamentali, sia in fibra sintetica che naturale, sagole e cordini con destinazioni d’uso differenti e molto altro ancora.
In questo settore è fondamentale garantire resistenza alla trazione, affidabilità e sicurezza. Ecco perché puntiamo su materiali di primissima scelta e su lavorazioni attente ai dettagli. Anche nel mondo della nautica il design conta tantissimo, e le nostre corde devono essere non solo performanti ma anche esteticamente belle da vedere.
Tra le novità, quali sono i prodotti che stanno riscontrando più successo?
Negli ultimi anni abbiamo investito molto nelle cime per le manovre a bordo di imbarcazioni a vela e nei cordini per hobby e fai da te, introducendo nuovi colori e ampliando notevolmente l’assortimento globale. Abbiamo anche investito nei prodotti per il packaging alimentare, come gli spaghi in carta e canapa.
Sono settori in continua espansione, dove il consumatore finale è sempre più attento sia all’estetica che alla sostenibilità. Stiamo anche studiando nuove soluzioni ecologiche, come filati biodegradabili per l’agricoltura, perché crediamo fortemente in una produzione che rispetti l’ambiente e risponda alle esigenze del futuro.
Guardando avanti, qual è la visione per il domani di Corderie Italiane?
Vogliamo continuare a crescere mantenendo solide le nostre radici. Il nostro stabilimento a Gagliano del Capo è il nostro orgoglio, ma è anche un punto di partenza. Sogniamo di portare la nostra filosofia – basata su qualità, servizio e affidabilità – in ogni angolo d’Italia. E chissà, magari anche oltre. La nostra più grande forza è la fiducia dei clienti, costruita nel tempo. E finché saremo “legati alla qualità”, continueremo a fare la differenza.
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