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Il presidente Vadrucci della Camera di Commercio fra passato e futuro

Sono stati tre anni faticosi ma esaltanti. E soprattutto sono stati tre anni fatti insieme: io, il Segretario Generale, Francesco De Giorgio, la struttura camerale e, soprattutto, la Giunta e il Consiglio della Camera di Commercio di Lecce. Uscivamo da un periodo di pandemia che aveva provocato molti problemi al mondo produttivo salentino…

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INTERVISTA ESCLUSIVA


di Giuseppe Cerfeda


Lei è presidente della Camera di Commercio di Lecce da tre anni. Vuole fare un primo bilancio di questa esperienza?


«Sono stati tre anni faticosi ma esaltanti. E soprattutto sono stati tre anni fatti insieme: io, il Segretario Generale, Francesco De Giorgio, la struttura camerale e, soprattutto, la Giunta e il Consiglio della Camera di Commercio di Lecce. Uscivamo da un periodo di pandemia che aveva provocato molti problemi al mondo produttivo salentino. 


Le imprese della nostra provincia hanno avuto in questi tre anni la forza di credere nelle loro idee, di riprendere la produzione, di guardare avanti, cercando di utilizzare l’innovazione tecnologica e le possibilità che la Camera di Commercio, come casa delle imprese, ha messo loro a disposizione. 


Insieme alle Associazioni di categoria che compongono gli organi camerali, abbiamo trovato la possibilità di sostenere questa volontà di ripartire. Vorrei ricordare una iniziativa per tutte: abbiamo trovato nelle pieghe del bilancio un milione di euro per aiutare le imprese salentine a far fronte agli aumenti del costo dell’energia, causa delle situazioni penalizzanti per la nostra economia e le nostre aziende. 


In questo modo abbiamo aiutato il mondo produttivo salentino a ripartire senza troppi costi aggiuntivi che avrebbero potuto mettere a terra numerose attività».


Qual è lo stato attuale del tessuto economico e sociale della nostra provincia?


«Stiamo ancora lavorando con tutti gli imprenditori per cercare di emergere in un contesto che sconta un lungo momento negativo in campo nazionale e internazionale. 


La globalizzazione ha lasciato uno strascico pesante per il nostro tessuto produttivo, perché le attività per le quali una volta eravamo in grande evidenza, tessile e abbigliamento, calzaturiero e manufatturiero di qualità, una volta portate in Paesi a più bassi costi, non sono ancora rientrate nel nostro ambito. 


Ci siamo quindi dovuti reinventare le produzioni, puntando sui marchi e sulla qualità. 


Per fortuna alcune aziende leader sono riuscite a ripartire con queste nuove direttrici di sviluppo, ma la condizione internazionale non è particolarmente favorevole. 


Cominciamo a sentire l’affanno dei costi della transizione verso la sostenibilità, richiesta dalle norme europee. 


I costi di guerra, in un Mediterraneo sempre più centrale come scacchiere senza pace, non aiutano lo sviluppo dei commerci e delle transazioni. Contemporaneamente i cambiamenti climatici stanno stressando la nostra agricoltura, che pure continua ad avere prodotti di grande pregio. La Xylella ha lasciato danni dappertutto.


Ma ci sono anche iniziative che guardano all’innovazione tecnologica. I giovani, prima di decidere di scappare in altri paesi, investono energie e voglia di fare, qui, sul territorio salentino. 


La Camera di Commercio di Lecce cerca di cogliere ogni occasione per agevolare queste iniziative nuove, aiutando al contempo le aziende tradizionali ad evolversi verso traguardi internazionali, sfruttando le risorse che la Regione e Governo, con ZES Unica e Fondi di coesione e le norme europee del PNRR, mettono a disposizione. 


Lavoriamo ogni giorno in questa direzione, contando anche sul favore che il brand “Salento” ha acquisito in campo nazionale e internazionale, supportato dall’appeal turistico e culturale. Siamo a disposizione, insieme alle altre Istituzioni locali, del mondo economico salentino. 


Non dobbiamo rallentare e sono fiducioso che riusciremo a far aumentare la velocità all’economia del Salento».


Se dovesse indicare pregi e difetti del mondo economico salentino?


«Pregi e difetti non sono sempre uguali. Non sono tra quelli che dicono che ci sono difetti caratteriali nei nostri imprenditori. Ormai viviamo in un mondo globalizzato e sappiamo quello che possiamo e non possiamo fare. 

Un fattore molto penalizzante è il decentramento geografico della nostra terra, rispetto ai mercati europei di riferimento. Scontiamo da sempre – in questo periodo ancora di più – una marginalità nei trasporti che rende più difficoltosa la nostra penetrazione sui mercati internazionali. Le strutture e le infrastrutture dovrebbero aiutarci a cambiare le cose, ma ci vuole anche una nuova politica industriale che faccia del Mediterraneo un punto di riferimento industriale e commerciale diverso, evitando che si “infiammi” in quelle guerre che ne stanno riducendo l’importanza geopolitica e commerciale. 


Nel frattempo, la caparbietà, che è uno dei pregi della nostra classe imprenditoriale, deve essere ancora più efficace per resistere e trovare strade alternative per le produzioni del nostro territorio. Le Istituzioni, però, devono eliminare gli ostacoli che ancora si frappongono. 


La Camera di Commercio diventa così anello di collegamento e cerniera con le Istituzioni, per mettere in pratica norme e percorsi al servizio dell’imprenditoria locale, riducendo la burocrazia e favorendo la spinta che gli imprenditori più avveduti cercano attraverso l’innovazione tecnologica e le nuove tecniche produttive. 


Non è facile, ma ci impegniamo tutti in questa direzione».


Lei è del sud Salento e non ha mai nascosto la sua attenzione verso quella porzione di territorio, sforzandosi perché non venga snobbata com’è accaduto per tanti anni. L’adeguamento della SS. 275 ne è l’esempio lampante…


«Forse siamo arrivati al punto in cui, anche per la 275, non si possono fare più passi indietro. La strada che porta a Santa Maria di Leuca, fondamentale per lo sviluppo del sud Salento, dovrà presto essere una realtà. 


E questo grazie all’impegno di tanta parte della comunità di quei territori, anche se abbiamo dovuto piangere troppi morti. Abbiamo aggiunto la nostra opera a quella di tante istituzioni, associazioni e cittadini del basso Salento. 


Ma non dobbiamo fermarci perché altre infrastrutture hanno bisogno della nostra attenzione e del nostro impegno per proiettarci nel futuro».


Siamo a Natale. La Confartigianato ha fatto appello per comprare prodotti salentini: vuole aggiungere il suo di appello?


«La Confartigianato – di cui mi onoro di far parte – è sempre stata molto sensibile a questo problema. Impegnarci a privilegiare negli acquisti prodotti e oggetti che vengono dalle nostre aziende, è il modo più intelligente di sostenere la nostra economia e di fare un buon affare. 


Anche perché i prodotti del lavoro delle nostre operaie e dei nostri artigiani, le eccellenze delle nostre terre non sono secondi a nessuno. 


Lo sanno anche fuori dal Salento, tanto che le nostre aziende più attrezzate stanno rispondendo con l’e-commerce, alle richieste che vengono dagli acquirenti nazionali ed esteri. 


Segno che abbiamo conquistato il cuore, la mente e… il palato di tanta gente».


Ancora due anni per terminare questo primo mandato. Pensa che ce ne sarà un secondo, per lei, come Presidente della Camera di Commercio di Lecce?


«Per adesso c’è tanto lavoro da fare per cercare di raccogliere i frutti delle idee e del lavoro che, con la Giunta e il Consiglio camerale, abbiamo introdotto per aiutare la transizione del mondo produttivo salentino. 


Ci sono veramente tante idee, che cerchiamo di arricchire di risorse per poterle realizzare. 


È questo il nostro primo obiettivo, da raggiungere anche attraverso le relazioni che ho incominciato ad intraprendere con il resto del mondo produttivo italiano, grazie al mio ruolo di vice presidente nazionale di Unioncamere. 


Il resto lo decideranno soprattutto i rappresentanti delle varie categorie produttive. 


Io sono al servizio, insieme alle strutture camerali, delle imprese del nostro territorio».


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“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…

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di Luigi Zito

Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.

E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.

Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.

Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.

Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.

Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.

Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.

Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.

Ricordiamocene.

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L’ambasciatore Cristina: “Ho conosciuto Putin e il Dalai Lama, che esperienze”

«Il Salento, è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate a Tricase, per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere”…

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di Ercole Morciano

Cristina Funes-Noppen è ambasciatore onorario del Belgio (lei stessa preferisce l’appellativo di ambasciatore a quello di ambasciatrice essendo quest’ultimo usato per indicare la moglie dell’ambasciatore, NdR), e da un po’ di tempo vive buona parte dell’anno in Salento, a Tricase, dove ha comprato un’antica dimora, quasi attaccata alla chiesa matrice, adattandola ai suoi bisogni,

Figlia di ambasciatore ha seguito le orme paterne e dopo gli studi accademici a carattere diplomatico ha percorso la sua carriera come ambasciatore del Belgio in numerosi Paesi nei vari continenti tra cui Zambia, Kenya, India, Tailandia, Marocco, Austria e Argentina, senza dimenticare che in tutte le sue destinazioni, come ambasciatore residente, copriva anche larghe giurisdizioni riguardanti altri vari Paesi.

È stata anche coordinatore di tre direzioni al ministero degli affari esteri: Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite e Disarmo.

Ha ricoperto inoltre le funzioni di rappresentante permanente presso l’O.N.U e di commissario speciale per la cooperazione e lo sviluppo.

Dopo aver seguito le orme paterne in ambito professionale, l’ambasciatore segue ancora oggi le inclinazioni della madre, Maria Noppen De Matteis, pittrice e “star mondiale del surrealismo anche se poco conosciuta in Puglia” (bari.repubblica.it > cronaca 2022/12/19 news).

Nata nel 1921 nel castello baronale dei Sauli di Tiggiano, cui apparteneva la madre, dove le è stato allestito un museo permanente delle sue opere, Maria Noppen De Matteis, verso la fine degli anni ’50 e i primi ’60, d’estate villeggiava col marito e la figlia Cristina a Tricase-Porto, nella casa di Angelico Ferrarese, posta in una splendida posizione panoramica e vicina al villino di Gaetano Sauli, suo parente.

La giovanissima Cristina (Cri-Cri per le amiche e gli amici) era bionda, solare, molto bella, vivace, dal sorriso incantevole che “faceva girare la testa” ai giovanissimi rampolli delle famiglie-bene di Tricase-Porto in quel periodo caratterizzato dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere.

La vena artistica di Cristina Funes-Noppen ne fa un personaggio veramente eclettico e sorprendente perché, oltre a dipingere, ella scrive con successo, in francese, romanzi e saggi storico-letterari dai quali traspare la sua speciale cultura maturata a diretto contatto con i popoli delle nazioni dove ha esercitato il ruolo diplomatico.

Gli ultimi suoi due romanzi, editi nel 2023 e nel 2025, si intitolano “Ils étaient six” e l’altro “Équivoques”. Il primo, narra la vicenda dei criminali nazisti che alla fine della II guerra mondiale si nascosero in Argentina.

La trama si svolge a sud delle Ande, in piena cultura “quechua” e consente al lettore, in filigrana, di seguire l’evoluzione politica dell’Argentina negli anni 1945-1983.

L’ultimo, contiene quattro romanzi gialli che danno informazioni su diversi Paesi, Kenia, India, Thailandia e un dialogo spiritoso sulla morte.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

Perché il Salento e Tricase?

«Il Salento è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più – ma ci sono i miei cugini, è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere malgrado le mie molte peregrinazioni nel mondo, è infine la terra dove mi sento a casa. Nonostante la mia nazionalità belga sono rimasta profondamente salentina».

È soddisfatta della sua scelta? Ombre e luci?

«Se consideriamo il tipo di vita che si ha qui rispetto a quello di altri Paesi, occorre riconoscere che qui la qualità della vita è più umana. E poi, il patrimonio naturalistico, architettonico, storico, e culturale, nell’insieme, è di alta qualità e ampiamente godibile».

«HO CONOSCIUTO PUTIN»

Tra i diversi Capi di Stato o di governo da lei conosciuti, come racconta nel suo libro Chroniques impertinentes… ancora in carica tra gli altri vi è Vladimir Putin.

«Ho conosciuto Vladimir Putin nel 2001 quando è venuto in visita ufficiale in Belgio. Io ero all’epoca commissario speciale e pertanto fui invitata alla cena di gala. Non ci siamo parlati molto, però mi diede l’impressione che ci teneva ad avere buoni rapporti con l’Europa. Non mi sembrò nemmeno che terrorizzasse i suoi collaboratori.

Di fianco a me era seduto il suo consigliere per le questioni nucleari che aveva abusato della “divina bottiglia”, come dicono i francesi, e pertanto cantava in francese durante tutta la cena suscitando l’ilarità dei commensali, compreso Putin.

Cantando a squarciagola, non dava certo l’impressione di temere il suo presidente, il che non succede normalmente nelle cene ufficiali di gala e tanto meno di fronte a quello che è supposto essere un dittatore sanguinario.

Nella mia carriera ho incontrato vari dittatori e posso assicurare che davanti a loro nessuno dei collaboratori al seguito si sarebbe permesso di cantare».

GLI OSTAGGI

Due aneddoti, uno triste e l’altro lieto, nei suoi ricordi di ambasciatore.

«Il primo, andato a buon fine, riguarda due ostaggi di Medici senza Frontiere presi dall’armata di liberazione del Sud Sudan e liberati dopo una trattativa durata 20 giorni in cui i guerriglieri vollero trattare solo con me, al telefono, di notte.

Non ci chiesero nessun riscatto come invece per ripicca accadde dieci giorni dopo, con un altro ostaggio francese, la cui trattativa durò tre mesi e si chiuse con l’esborso di un’ingente somma di denaro. Questo mi fu precisato, ridendo, dal mio collega francese che pretese che era tutta colpa mia se la SPLA si era rifatta sul suo governo! L’aneddoto triste riguarda invece due belgi, un ragazzo che lavorava per le Nazioni Unite e sua moglie.

Erano spariti da 5 anni e i due miei predecessori non erano riusciti ad avere notizie certe.

I genitori speravano e le autorità pretendevano che fossero ancora vivi. È una storia romanzesca che si svolse in Thailandia e in Cambogia. Da quello che finalmente sono riuscita a scoprire seppi che erano stati uccisi dai Khmer Rossi, forse con la complicità dell’esercito thailandese e eventualmente con risvolti riguardanti il traffico di opere d’arte.

Testardamente impegnata, dopo molte peripezie, e dopo aver insistentemente discusso con i due re, Shianouk e Bhumipol, fui messa in contatto con il capo dell’esercito thailandese e con i Khmer Rossi che mi consegnarono le spoglie che io affidai alle famiglie, le quali ebbero almeno la consolazione di sapere cos’era successo ai loro figli e di potere seppellirne i corpi».

IL DALAI LAMA EMETTE UNA ENERGIA POSITIVA

La persona che più ha lasciato traccia nel suo animo durante la lunga carriera diplomatica?

«È stato di certo il Dalai Lama: una persona assolutamente fuori dal comune che emette un’energia positiva straordinaria e trasmette alle persone che incontra una carica di felicità. E ho il privilegio di avere ancora dei contatti sporadici con questo sant’ uomo, grazie al quale la cultura tibetana continua a sopravvivere malgrado l’occupazione della Cina che fa di tutto per eradicarla.

Perciò il Dalai Lama ha deciso che dopo la sua morte non si reincarnerà nel Tibet per evitare che i Cinesi arrestino la sua reincarnazione (che potrebbe essere anche una bambina) e la sostituiscano con una di loro scelta come fecero con il Panchen Lama (figura importante nel buddhismo tibetano).  Il Panchen Lama che si era reincarnato nel Tibet. fu arrestato quando aveva solo 6 anni nel 1995, rimpiazzato con un ragazzino che conveniva alle autorità cinesi e nessuno sa, da allora, dove si trovi il vero Panchen Lama».

Chroniques impertinentes

“…Un libro che si caratterizza per una libertà di spirito, un tono a volte mordace, esotico e cosmopolita. Un libro istruttivo, politicamente scorretto…ma così giusto! Un libro prezioso che deve essere letto da coloro che s’interessano alla diplomazia e agli affari di questo mondo”.

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Il mondo delle Associazioni nel Salento: pregi e difetti

L’unità civile si ritrova nell’incontro di tanti che sanno dialogare per poter davvero vivere meglio…

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di Hervé Cavallera

Che la lettura dei caratteri peculiari di un determinato periodo storico non sia sempre facile, almeno per i contemporanei, è certamente cosa risaputa, ma ciò è particolarmente vero in un momento storico come quello che stiamo vivendo, nel quale un elemento significativo è la contraddizione.

La pace è infatti proclamata come un bene da tutti auspicato e invece persistono le guerre, sì da paventare addirittura la possibilità di un conflitto mondiale. Al tempo stesso si predica l’inclusione, ma l’integrazione reale è difficile e non mancano quartieri ghetto.
E accade che nel mondo dei social media, in cui tutti siamo apparentemente connessi, le persone non riescono a colloquiare in reale presenza tra loro e moltissimi anziani, senza più alcuno accanto, devono ricorrere alle Case di Residenza Assistenziale.

Nell’età nella quale l’istruzione è notevolmente cresciuta per tutti, e quindi presupporrebbe un mondo più sereno, è invece in atto una irrazionale violenza crescente. E si potrebbe continuare.

ANIMALE SOCIALE

Eppure l’uomo, come aveva già detto il filosofo Aristotele, è essenzialmente un animale sociale ossia destinato per sua natura a vivere in comunità e ciò, al di là delle istituzioni in cui la compresenza è inevitabile (dalle scuole alla fabbriche, dagli uffici allo stesso Stato), è confermato dalla presenza e dalla diffusione dell’associazionismo, ossia dalla libera e responsabile partecipazione ad associazioni di varia natura (culturali, sportive, di volontariato, di promozione sociale e così via).

Private o pubbliche, con una lunga tradizione storica alle spalle o con fresca baldanza di buoni propositi, le associazioni non mancano.
Non risulta (o quanto meno non conosco) il numero complessivo delle associazioni in provincia di Lecce, ma indubbiamente, considerando la varietà delle tipologie e il numero dei Comuni della provincia, possono essere migliaia.

Basti considerare una città come Tricase per rendersi conto non solo della consistenza quantitativa della loro esistenza, ma altresì della loro incisività nel sociale. Non intendo in questa sede soffermarmi su alcune poiché non mi sembra corretto fare delle scelte che potrebbero sembrare discriminatorie o di parte.

È sufficiente dire che, mentre qualcuna è un po’ sonnacchiosa, altre sono particolarmente attive e che accanto ad associazioni di carattere prevalentemente ricreativo ve ne sono altre di natura culturale e altre ancora che hanno per fine principale l’operare per il miglioramento della qualità della vita della comunità o per venire incontro ai più bisognosi.

Vi sono poi associazioni meramente online, delle comunità virtuali o gruppi digitali che diffondono opinioni, informazioni e vanno acquistando capacità di indirizzare i loro componenti in più ambiti.

Si tratta di una realtà in espansione e che andrebbe esaminata a parte, soprattutto quando assume un carattere socio-politico.

MEGLIO FARE LE COSE INSIEME

Il punto essenziale che al momento è giusto sottolineare è dato comunque dai vantaggi che l’associazionismo offre. In primo luogo, ogni associazione aggrega, accomuna ed è pertanto una comunità con dei fini accettati da tutti i membri e quindi richiede delle norme, delle regole, delle competenze, dei propositi.

Implica in tal modo il saper vivere insieme, formando un tutt’uno con i componenti pur nei diversi compiti. Sotto tale profilo, la coesione sottintende l’amicizia nel rispetto delle diverse personalità. Inoltre, un’associazione si pone obiettivi che prescindono (o dovrebbero prescindere) dagli interessi personali.

Si pensi alle associazioni di servizio volte ad attività di beneficenza e di supporto sociale i cui esiti dovrebbero riguardare il bene pubblico e ciò vale altresì per quelle culturali e di volontariato. Fini di crescita sociale esistono del resto anche in quelle di natura politico-sociale, solo che in esse, come avviene anche per quelle che sono espressione di una tifoseria, vi è sempre una natura di scelta di parte e quindi di contrapposizione, sia pure nel leale riconoscimento della realtà di differenti orientamenti.

DIMMI CON CHI VAI E TI DIRO’ CHI SEI

Ci si trova per tutti questi motivi dinanzi ad una situazione complessa che non solo mostra come il soggetto non vive isolato, ma che caratterizza una comunità, le dà un senso.

«Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», recita un vecchio proverbio, facendo capire che il comportamento di ognuno è influenzato dall’ambiente che frequenta, ma al tempo stesso è anche vero che ognuno deve sforzarsi di far crescere l’ambiente o l’associazione di cui fa parte.

Si manifesta allora un altro elemento che deve essere costitutivo del permanere in una associazione: il farla positivamente sviluppare, accrescendo il numero dei soci attraverso la qualità e il valore di ciò che si realizza. Sotto tale profilo, le associazioni veramente meritevoli di rispetto hanno sempre un valore educativo, poiché sollecitano i componenti a dare il meglio di sé per l’interesse di tutti.

Il fine dell’azione non è personale, ma collettivo, dove per “collettivo” non si intende solo il gruppo di cui si fa parte, ma l’intera città a cui si appartiene e, attraverso la propria città, il territorio di appartenenza.

In questo modo lo sguardo, l’operare si amplia e dal proprio gruppo si estende a tutto il territorio a cui si appartiene.

La vitalità di un territorio dipende infatti dalla forza di partecipazione degli abitanti alla vita dello stesso: ognuno per la sua parte, per la sua professione, per il suo gruppo di appartenenza, per la sua competenza.

Associandoci, comunichiamo, ossia trasmettiamo idee, affetti, esperienze e collaboriamo.

Come del resto avviene nelle famiglie, il cui legame è soprattutto affettivo e parentale, oltreché giuridico. Per questo tutte le associazioni, che hanno per fine il bene pubblico, sono determinanti per lo sviluppo sociale e sono la ricchezza di un territorio.
Democrazia è partecipazione responsabile, perché comporta competenza e capacità di superare, stando insieme, i propri interessi particolari.

L’unità civile si ritrova nell’incontro di tanti che sanno dialogare per poter davvero vivere meglio.

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