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Attualità

Il sindaco di Corinto a Galatina per rafforzare il Gemellaggio fra le città

Gli ospiti hanno partecipato a laboratori di pasta fresca e degustazioni del Pasticciotto, culminati in una celebrazione etno-musicale con Pizzica e musiche greche. È stato inoltre omaggiato il Maestro Russo con ceramiche raffiguranti le “case a corte” locali…

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Si è conclusa la visita di tre giorni della delegazione del Comune di Corinto (Grecia) a Galatina, rafforzando il Patto di Gemellaggio tra le due città.


L’evento, curato dalla Pro Loco Galatina, ha rappresentato un significativo momento di scambio culturale nel Salento.


L’itinerario immersivo ha incluso tour guidati in greco a Galatina e nei centri della Grecìa Salentina (Soleto, Martano, Calimera), evidenziando il legame storico-culturale con la Grecia.


Gli ospiti hanno partecipato a laboratori di pasta fresca e degustazioni del Pasticciotto, culminati in una celebrazione etno-musicale con Pizzica e musiche greche. È stato inoltre omaggiato il Maestro Russo con ceramiche raffiguranti le “case a corte” locali.

La visione strategica della Pro Loco, improntata sul concetto che “il turismo è Cultura in Movimento”, pienamente condivisa con l’Amministrazione Comunale e sostenuta dall’Assessora al Turismo e Vice Sindaco, M. G. Anselmi.


Questa sinergia è orientata alla candidatura di Galatina a Capitale Italiana della Cultura 2028.


Il successo dell’accoglienza è stato suggellato dal Sindaco di Corinto che, manifestando grande entusiasmo per il calore della comunità, ha proposto un ulteriore Patto d’Amicizia tra la Pro Loco l’Associazione Culturale corinzia, chiudendo con il commento che vale come una promozione: “È la seconda volta che veniamo a Galatina, ma questa volta… ci siete entrati nel cuore!


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Casarano si è consegnata. Di nuovo!

Elezioni regionali: quest’anno di candidati ce ne sono almeno quattro con probabilità di vittoria, non per giudizio politico ma per meri calcoli matematici, prossime allo zero…

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di Antonio Memmi

A Casarano la vista sulla politica è sempre più corta di un occhiale da lettura del discount!

Siamo ormai alla vigilia di queste elezioni regionali che, forse come mai nella storia politica della nostra regione, sembrano esser state così scontate nel loro esito finale e a Casarano si assiste alla solita e patetica campagna elettorale del “avanti c’è posto”.

Nella storia, dall’unità d’Italia in poi, la città di Casarano mai è stata così vessata, maltrattata e palesemente umiliata da parte dei governanti regionali, come in questi ultimi 20 anni.

Eppure, era una cittadina di riferimento per il basso Salento, era (ed ha ricominciato ad essere) un motore economico in grado di dare lavoro e di conseguenza benessere e tutto nonostante la scarsa (per non definirla nulla) attenzione da parte della Regione Puglia.

Un Governo della Regione che è sempre stato troppo Bari-centrico e che ha riservato al sud della penisola solo le briciole degli investimenti e delle attenzioni che riguardano progetti importanti (provate ad organizzare un volo che vi faccia tornare a Brindisi senza un doppio scalo o a prendere un treno veloce da Bari in giù).

E se al sud della regione sono arrivate le briciole, a Casarano sono state negate anche quelle.

Per esempio: Casarano ha una delle più grandi zone industriali della provincia e non ha i Vigili del Fuoco (sembra inverosimile) e poi, impossibile non parlarne, è geograficamente il capoluogo più indicato per ospitare un ospedale in grado di servire oltre centomila abitanti (e in più l’ospedale già ce lo aveva) ma gli è sempre mancato un elemento determinante: qualcuno seduto alla Regione capace di difenderlo (mentre invece c’è sempre stato quello con il compito di impallinarlo alle spalle).

Quando la rabbia monta fra la popolazione, quando ci si accorge che è stata decretata la chiusura dell’ennesimo reparto dell’ospedale (a vantaggio di un limitrofo Gallipoli che non ha le caratteristiche tecnico-geografiche ma che invece ha un sindaco con… gli amici giusti) senti tutti concordi nel dire: «Questo succede perché non abbiamo chi ci rappresenta!».

I FANTASTICI 4

Poi arrivano le elezioni regionali e… invece che fare massa critica e puntare tutti su un proprio rappresentate (la città avrebbe i numeri per esprimerne almeno uno), parte la frenesia della corsa alla candidatura e quest’anno di candidati ce ne sono almeno quattro con probabilità di vittoria (non per giudizio politico ma per meri calcoli matematici) prossime allo zero.

Come se non bastasse poi, sembrerebbe che il PD cittadino abbia anche deciso di sostenere proprio il candidato gallipolino che è stato (apertamente) uno degli artefici del lento e inesorabile smantellamento del “Ferrari”.

IL RISULTATO?

Un paese che sogna di contare qualcosa ma finisce, come sempre, a dividere il suo peso elettorale in porzioni pressoché omeopatiche: un voto qui, mezzo voto là, e l’illusione collettiva, destinata a svanire, di “avere un rappresentante in Regione”.

Una miopia così acuta che un oculista rinuncerebbe alla visita, consigliando direttamente una benda sugli occhi tanto, a Casarano, il voto lo si dà a sentimento, non a visione.

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Alla ricerca della pace perduta nell’età della connessione globale

’era una volta il Salento, dove i bambini potevano giocare per strada e le porte delle case restare aperte. Come svincolarsi dalla violenza dell’era moderna

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di Hervé Cavallera

In questi ultimi tempi chi si guarda intorno non può che percepire un clima di violenza e di pericolo.

E non ci si riferisce solo alla guerra tra Russia e Ucraina che apre tante drammatiche possibilità e alla non facile definitiva pace tra Israeliani e Palestinesi.

La violenza si palesa nella nostra Italia, a prescindere dalla cosiddetta criminalità organizzata, nelle diverse manifestazioni di piazza, nelle aggressioni notturne, nei tanti delitti che avvengono in numerose famiglie.

C’ERAVAMO TANTO AMATI

Né il basso Salento è immune: bancomat fatti saltare, sopraffazioni e violenze tra familiari, spaccio di sostanze stupefacenti, furti in locali pubblici e presso abitazioni private, rapine a mano armata e si potrebbe continuare.

Non sono per fortuna episodi frequentissimi, ma non mancano ed è giusto che ci si preoccupi per quanto accade. Vengono alla mente le parole di papa Leone XIV per una pace disarmata e disarmante con la sollecitazione al dialogo, all’incontro, alla costruzione di ponti di umana comunicazione per formare «un solo popolo sempre in pace».

Eppure, quando ero sbarbatello, per rimanere nella terra in cui vivo, la percezione generale del Capo di Leuca era quella di una realtà tranquilla, dove i bambini potevano giocare serenamente per la via e le porte delle case restare aperte.

Certo, ogni tanto qualche furto capitava, ma rari erano gli assassinii e le violenze pubbliche e private.

Né credo fosse solo scarsa informazione, nonostante – allora come adesso – in tante famiglie si tendesse a celare diversi soprusi.

L’immagine che i ragazzi avvertivano era quella di adulti che lavoravano sodo (le donne particolarmente attente a curar la casa) e che ci tenevano alla comunicazione civile e all’osservanza delle regole.

E dire che era una società scarsamente acculturata.

La scolarizzazione di massa avrebbe dovuto favorire maggiori consapevolezze e una crescita delle responsabilità e del rispetto reciproco.
Invece, questo non è avvenuto, anzi la violenza è cresciuta quantitativamente nelle sue diverse forme, divenendo sempre più diffusa.

VIOLENZA… PARLAMENTARE

Una testimonianza molto visibile è nella stessa violenza verbale manifesta in tanti discorsi di parlamentari. Sembra quasi che non si voglia più discutere con l’avversario politico, smontandone accortamente le argomentazioni: lo si aggredisce con frasi e slogan che vorrebbero essere ad effetto.

REGOLE DA RISPETTARE

Si tratta pertanto di cercare di comprendere le ragioni di tale cambiamento della realtà quotidiana, tenendo presente che da sempre l’uomo è soggetto alle passioni e agli impulsi, tanto che Plauto (250 ca. a.C. – 184 a.C.) nella sua commedia Asinaria scriveva che «lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit» che vuol dire che un uomo diventa un lupo, ossia un predatore, per un altro uomo che non si conosce.

Per evitare atti sconsiderati la crescita di una persona è soggetta da tempo immemorabile all’apprendimento di norme per entrare nella vita sociale.

Sono norme di carattere etico espresse in ogni religione, basti ricordare i Dieci comandamenti, o Decalogo, che sono tuttora i pilastri della società occidentale.

Dalle norme etiche, che toccano l’interiorità di ciascuno, derivano poi quelle giuridiche che stabiliscono un corretto esteriore vivere sociale.

È compito dell’educazione, soprattutto attraverso la famiglia e la scuola, fornire i capisaldi del retto comportamento, in modo che ognuno viva secondo ragione e giusto sentire.

I PILASTRI DEL PASSATO

Ora, semplificando un discorso che naturalmente è più complesso e articolato, negli ultimi decenni sono un po’ venuti meno i pilastri del passato.

È in atto un processo di secolarizzazione che si traduce non solo nella scarsa frequenza dei riti e delle celebrazioni religiose, bensì anche in uno spirito di trasgressione delle regole, religiose e civili.

Non per nulla si diffondono forme di vita alternative alla famiglia tradizionale e talvolta si assiste a dei comportamenti poco piacevoli da parte di alunni e genitori nei confronti degli insegnanti, da parte dei pazienti nei confronti dei medici e così via.

All’interno di una società permissiva, va prevalendo, pertanto, un notevole individualismo che si esprime in una scarsa attenzione alle regole e in una forte volontà di successo e di godimento, con conseguenze, ovviamente, per nulla soddisfacenti.

IL PARADOSSO DEL TEMPO

Direi che si tratta di una crisi di carattere prevalentemente morale che ovviamente si ripercuote sul piano giuridico, sì da affermare un’atmosfera psicologica di ostilità e minaccia.

Contemporaneamente, in una società in cui si allunga la speranza di vita e rallenta la natalità, ci si ritrova sempre più soli.

Il che è un altro paradosso del tempo: da un lato esiste la connessione globale per cui siamo in grado di comunicare con tutti attraverso la “rete”, ma di fatto si è sempre più isolati nelle proprie case.

Si esce solo in auto per scopi precisi e non ci si intrattiene più a chiacchierare passeggiando a piedi.

È una società di movimento, di brevi saluti, non di saldi rapporti.

Sui social si diffondono le opinioni, ma non sempre si pondera ciò che si scrive: l’importante è esserci.

Di qui un mondo in cui, in un apparente sfavillio di amicizie e di relazioni, regna la solitudine e quindi il sentirsi incompresi.

E allora si ricorre alla violenza, che può essere anche nei confronti dei propri cari e di sé stessi.

COME SALVARSI

In tale situazione che riguarda un po’ tutti, il compito non da poco è il recupero della pace, ossia di una serenità interiore che consiste nel sapersi accontentare, nel tessere sereni rapporti, nell’osservare le norme, nel rispettare le competenze, nel non lasciarsi andare a valutazioni frettolose ed incaute, nella realizzazione di amicizie sincere e disinteressate.

La pace a cui aspirare, insomma, non è solo quella militare o quella di un ordine imposto per quanto giusto: è soprattutto la serenità interiore che sempre è messa in discussione dalle piccole o grandi avversità che la vita ogni giorno riserva, ma che resta l’obiettivo che esprime il senso migliore della vita.

Essere con gli altri e per gli altri (familiari, amici, concittadini e così via).

ETERNI PETER PAN

Se ci si guarda intorno vediamo una società con sempre meno giovani.

Una volta si pensava che il corso degli anni rendesse più saggi e questo non è più vero in tutti i casi.

Oggi si cerca di rimanere sempre giovani e di esprimere sentimenti giovanili.

Il che di per sé non è male, se fatto con misura ed equilibrio, se si riesce a vivere con serenità il tempo che ci è concesso. Non bisogna cedere alle lusinghe di piaceri facili e alle smanie del superfluo.

Vivere significa anche accettarsi nei propri meriti e nei propri limiti e stabilire collegamenti fondati su affetti disinteressati, offrendo il proprio contributo per il bene comune.

In questo risiede la pace di cui tutti abbiamo bisogno e che tutti possiamo e dobbiamo attuare per contribuire a costruire un mondo nel quale l’ordine interiore generi quello esteriore che spesso manca.

E manca, perché è carente, il proprio autocontrollo, la personale serenità.

È il grande progetto di sempre, ma che oggi diviene ancor più impellente realizzare per non disgregarsi negli egoismi nocivi.

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Giovane chef salentino emoziona Milano al Grande Cucina Talent Prize

Antonio De Carlo con i sapori della sua terra riceve i complimenti di grandi maestri di cucina e critici gastronomici

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C’è un profumo di mare e memoria che ha attraversato il Teatro Menotti di Milano lo scorso 10 novembre, quando il giovane chef Antonio De Carlo (classe 1996) di Zéphyr Restaurant di Lecce ha conquistato pubblico e giuria del Grande Cucina Talent Prize 2025, il prestigioso riconoscimento dedicato ai migliori talenti under 30 della ristorazione italiana.

Finalista di questa quarta edizione — che ha visto vincere Giulia Zappa del ristorante La Rei Natura by Michelangelo Mammoliti (2 stelle Michelin) di Serralunga d’Alba (CN) — De Carlo ha incantato con un piatto dal titolo evocativo: Ricordo di Sapori Antichi.

Un omaggio alla tradizione salentina dei Triddhi in brodo, piccole briciole di pasta di semola lavorate con uova e olio, che lo chef reinterpreta con visione contemporanea, trasformandole in una pasta mantecata come un risotto.

Protagonisti della creazione: Ditalino rigato e Pepe bucato del Pastificio Garofalo, burro alle erbe mediterranee, limone marocchino, curry e una delicata ricciola marinata, di cui lo stesso chef svela la ricetta.

A valutare i giovani talenti una giuria d’eccellenza composta da giornalisti, critici gastronomici e grandi maestri della cucina italiana: Andrea Aprea, Alberto Basso, Cesare Battisti, Andrea Berton, Matteo Baronetto, Eugenio Boer, Daniel Canzian, Remo e Mario Capitaneo, Davide Caranchini, Chicco e Bobo Cerea, Carlo Cracco, Roberto Di Pinto, Antonio Guida, Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Carlotta Perilli, Viviana Varese ed Elio Sironi. Ed è proprio Sironi, Executive Chef del ristorante Ceresio7 di Milano, a rivolgere parole che resteranno impresse nella memoria di De Carlo: “Antonio, in te ho visto tanta passione, talento e disciplina, ingredienti importanti per questa professione. Non ti fermare.”

Un elogio che arriva da uno dei protagonisti della scena gastronomica italiana, Elio Sironi, che ha costruito la sua carriera nei più rinomati ristoranti e hotel, da Villa D’Este al Bulgari Hotel Milano, fino al suo iconico Ceresio7, aperto nel 2013 sulla sommità della sede di DSquared2.

Ogni anno la nostra super giuria cresce e si impegna, conferendo prestigio e credibilità al premio” – racconta Federico Lorefice, direttore di Grande Cucina e ideatore del Talent Prize.

Il live cooking degli chef durante l’evento finale accende adrenalina e cattura l’attenzione; i talk puntano i riflettori su storie, passioni e dedizione, sogni e futuro.

Durante la stessa giornata sono state assegnate anche le Special Mention: Aurora Protano (Ristorante Pipero, Roma) per Sala e Sommellerie; Elena Orizio (Trattoria Contemporanea, Lomazzo) per Pasticceria da Ristorazione e Davide Trocino (Ristorante Torre, Fondazione Prada, Milano) per Bere Miscelato.

Dietro l’emozione e la tecnica di Antonio De Carlo c’è una filosofia limpida: “testa bassa e prestazioni alte”.

Una dichiarazione di umiltà e forza, che si traduce in una cucina essenziale, autentica e vibrante, capace di raccontare il Sud con accenti contemporanei.

Dopo esperienze formative al Pashà di Conversano e al Magorabin di Torino, De Carlo ha trovato da Zéphyr Restaurant la sua dimensione più intima e poetica.

Situato all’interno de La Fiermontina Luxury Home di Lecce, Zéphyr è un piccolo scrigno di emozioni culinarie, immerso tra ulivi secolari e sculture monumentali, dove arte, natura e gusto si fondono in armonia e  tutto ruota intorno alla storia romanzesca di Antonia Fiermonte, nonna materna prematuramente scomparsa dei proprietari Fouad Giacomo e Antonia Yasmina Filali, che hanno voluto condividere il talento e le opere di questa pittrice, violinista, protagonista dei salotti artistici parigini e musa dei grandi artisti francesi René Letourneur e Jacques Zwobada.

La sua storia rivive nelle sale del ristorante, dove si ammirano opere come La liberté di Zwobada (1953), tra eleganti kenzie che avvolgono i tavoli e nell’uliveto dove Le Due Sorelle di Fernand Léger, Armonia II di Letourneur e La Coppia di Zwobada, accolgono gli ospiti durante le cene d’estate.

In questo scenario sospeso tra arte e natura, Antonio De Carlo trasforma ogni piatto in emozione. Oltre ai suoi Triddhi di Sapori Antichi, sorprendono creazioni come la tartare di ricciola con latte di mandorla, fichi secchi mandorlati e alloro, il Risotto Oro d’Ulivo con zucca, burro affumicato e polvere di olive nere e i dessert di raffinata libertà creativa, come il semifreddo al mustacciolo glassato e Alba Mediterranea, caprese al cioccolato bianco, mousse al limone e yuzu, croccante alla mandorla e gel al limone.

Con la sua cucina che profuma di Sud e guarda al futuro, De Carlo si conferma una delle voci più autentiche e promettenti della nuova generazione di chef. E dal cuore del Salento, il suo viaggio – fatto di memoria, passione e coraggio – è solo all’inizio.

 

Ricordo di Sapori Antichi

Ricetta dello Chef Antonio De Carlo

Ingredienti per 2 pax

  • 40 g Pepe Bucato Garofalo • 40 g Ditalini Rigati Garofalo • 35 g burro acido • 25 g burro alle erbe • 30 g parmigiano • 200 ml brodo pesce • 7 g zest di limone marocchino • gel di limone • olio alloro • polvere di prezzemolo • Curry 1001 Nuits

Procedimento

Cuocere i Ditalini Garofalo in abbondante acqua bollente salata per sei minuti, poi scolarli e proseguire la cottura, risottandoli nel brodo di pesce, insieme al Pepe bucato per altri tre-quattro minuti.

Il brodo, con la sua mineralità marina, avvolgerà la pasta e ne esalterà la profondità di gusto; aggiungere acqua di cottura se necessario, per mantenere la consistenza cremosa.

A cottura ultimata, mantecare con il burro acido, che donerà struttura e rotondità, e con il burro alle erbe, dal profilo balsamico e aromatico.

Unire quindi la buccia di limone marocchino, capace di apportare sentori dolci e salini, e completare con il Parmigiano, che contribuisce alla persistenza gustativa e armonizza gli aromi.

Una volta impiattato, rifinire con eleganza: una spolverata di polvere di prezzemolo per il tocco di colore, un velo di Curry “1001 Nuits” dell’azienda Thiercelin, scelto per la sua raffinata armonia di rosa e aglio orsino – una reinterpretazione francese del curry, nobile e delicata.

A seguire, qualche goccia di olio all’alloro, piccoli spuntoni di gel di polpa di limone marocchino (dosati con attenzione per non sovrastare gli equilibri del piatto) e, infine, la tartare di ricciola al lime, che completa la preparazione donando freschezza, eleganza e valore.

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