Attualità
Lingue straniere? Non ci siamo!
Lo rivela uno studio condotto da ricercatori dell’Università del Salento e di quella di Helsinki: “Occorre ripensare e riorganizzare l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado”
L’ambiente scolastico è un contesto molto povero per l’apprendimento completo di una seconda lingua (L2), soprattutto in età adulta. Uno studio neurofisiologico condotto da ricercatori dell’Università del Salento (Centro di Ricerca Interdisciplinare sul Linguaggio ) e dell’Università di Helsinki (Cognitive Brain Research Unit, Institute of Behavioral Sciences ) dimostra una volta per tutte che per l’acquisizione fonetico-fonologica della L2 è necessario: ricevere una quantità di stimoli uditivi di alta qualità e da parte di insegnanti madrelingua; usare diffusamente la seconda lingua per raggiungere obiettivi comunicativi funzionali;essere soprattutto sottoposti a un training intensivo (anche con strumenti multimediali), in modo da riattivare la plasticità neurale della corteccia uditiva.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Human Neuroscience”, con il titolo Assimilation of L2 vowels to L1 phonemes governs L2 learning in adulthood: A behavioral and ERP study (“L’assimilazione delle vocali della L2 ai fonemi della prima lingua controlla l’acquisizione della L2 in età adulta: uno studio comportamentale e neurofisiologico”).
Guidati da Mirko Grimaldi (Università del Salento) ed Elvira Brattico (Università di Helsinki), i ricercatori Bianca Sisinni, Barbara Gili Fivela, Sara Invitto, Donatella Resta e Paavo Alku hanno studiato due campioni di studenti italiani, al primo e quinto anno della Facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Beni culturali dell’Università del Salento. Obiettivo: capire se gli anni di studio universitari generino tracce stabili nella memoria a lungo termine per permettere la discriminazione dei suoni dell’inglese L2, ovvero se ci siano progressi nell’apprendimento dei suoni della L2 e quindi miglioramenti nella capacità di discriminazione.
Lo studio
“Abbiamo misurato la capacità di discriminazione incrociando due metodologie”, spiega Grimaldi, “da un lato semplici test percettivi, in cui gli studenti sentivano coppie di suoni dell’inglese e dovevano giudicare quanto questi fossero uguali o diversi, e dall’altro registrazioni elettroencefalografiche (EEG) con una cuffia a 64 elettrodi, mentre gli studenti sentivano le stesse coppie di suoni ed erano distratti dalla visione di un film senza audio”. “Si tratta di particolari registrazioni EEG”, precisa Brattico, “definite Potenziali Evento Correlati, che permettono di osservare in tempo reale l’attività della corteccia uditiva, implicata nella elaborazione e rappresentazione dei suoni”.
“Quando sentiamo suoni linguistici che fanno parte della lingua nativa”, aggiunge Grimaldi, “il cervello è grado in pochi millisecondi di decodificare il segnale acustico, estrarre le caratteristiche peculiari di ogni suono e produrre una rappresentazione mentale dello stesso: così possiamo distinguere un suono da un altro e costruire prima le sillabe, poi le parole, e così via”.
“Abbiamo comparato le risposte neurali della corteccia uditiva dei due gruppi di studenti universitari fra di loro e con un gruppo di controllo caratterizzato da un basso livello di istruzione (terza media)”, spiega ancora Grimaldi, “siamo partiti da un’ipotesi molto semplice: se durante gli studi universitari si fossero sviluppate nuove abilità percettive avremmo dovuto trovare risposte neurali differenziate fra i tre gruppi. Purtroppo i risultati non hanno confermato l’ipotesi. Le risposte neurali della corteccia uditiva dei due gruppi di studenti sono risultate comparabili fra loro, e le risposte neurali di ognuno di loro non differivano da quelle del gruppo di controllo. Inoltre, tali risposte sono state generate dall’area frontale destra del cervello piuttosto che dalla corteccia sovra-temporale di sinistra (dalle parti delle tempie, dove si trova l’area uditiva che controlla linguaggio), e ciò suggerisce che i due gruppi di studenti abbiano semplicemente percepito differenze acustiche. Pensiamo, per esempio, a quando vediamo un film o ascoltiamo una canzone in una lingua sconosciuta: siamo in grado di percepire differenze acustiche, ma da quel flusso acustico non riusciremo a “estrarre” le parole e accedere al loro significato”.
Alcuni studi precedenti che hanno osservato apprendenti della L2 in contesto scolastico con differenti lingue native (tedeschi, finlandesi, giapponesi, turchi e altri che apprendono l’inglese) non hanno mai prodotto risultati favorevoli per gli insegnanti. Questo studio conferma definitivamente ed estende quei risultati, dimostrando con dati neurofisiologici che la quantità e la qualità degli stimoli ricevuti dagli studenti universitari non sono sufficienti per formare solide tracce neurali dei suoni L2 nella memoria a lungo termine.
“Al contrario delle raccomandazioni contenute nel “Common European Framework of Reference for Languages: Learning, Teaching and Assessment” (CEF), l’acquisizione della lingua straniera avviene in un ambiente in cui predomina la prima lingua, dove la percezione e la produzione della L2 ricevono poca attenzione e dove la L2 non viene mai usata fuori dalla classe. Inoltre, l’istruzione formale privilegia il lessico e la morfosintassi”, sottolineano i ricercatori, “trascurando percorsi intensivi di addestramento alla percezione e produzione. Quando viene parlata in classe, la L2 è poi spesso pronunciata da insegnanti non madrelingua o, nel migliore dei casi, da insegnati madrelingua con pronunce regionali. Gli studenti di una L2 dovrebbero invece ricevere una quantità di stimoli di alta qualità e da parte di insegnanti madrelingua, usare diffusamente la L2 per raggiungere obiettivi comunicativi funzionali ed essere sottoposti a training prolungato (anche con strumenti multimediali) a livello della percezione e produzione, in modo da riattivare la plasticità neurale della corteccia uditiva. Occorre insomma”, concludono Grimaldi e Brattico, “ripensare e riorganizzare con urgenza l’approccio didattico all’insegnamento della L2 (assieme alla formazione degli insegnanti) nelle scuole di ogni ordine e grado”.
Eleonora Marsella
Attualità
Paolo De Castro per “Il Gallo”: “Agricoltura, cooperazione e geopolitica sono la nostra strategia di pace”
In esclusiva su Il Gallo l’intervento di Paolo De Castro, già membro del Parlamento europeo, a margine dell’evento Tricase MED 2025 – Mediterraneo: le rotte possibili.
Le giornate dedicate a “Accoglienza, Conoscenza, Cultura, Economia, Politica – Le cinque rotte del dialogo” hanno trasformato il Salento in una piattaforma di confronto internazionale, dove istituzioni, mondo accademico, realtà imprenditoriali e rappresentanti della cooperazione si sono confrontati sul futuro del Mediterraneo.
Tra gli interventi più attesi, quello di Paolo De Castro, presidente di Nomisma, voce autorevole delle politiche agroalimentari europee e figura di riferimento nella costruzione del dialogo mediterraneo.
Il suo contributo non è stato un semplice intervento tecnico, ma un discorso politico nel senso più alto e più pieno del termine. Un’analisi sul presente e un appello per il futuro, costruito attorno a un’immagine che ha la forza di un manifesto:
«Siamo condannati a stare insieme».
Parole pronunciate richiamando il pensiero di Monsignor Vincenzo Paglia e diventate, nel filo narrativo di De Castro, la chiave per interpretare il ruolo del Mediterraneo in questa fase storica.
Un’immagine semplice, ma potentissima: perché essere “condannati alla convivenza” significa riconoscere che l’operazione politica più urgente oggi non è dividere, ma tenere insieme. Popoli, economie, filiere, territori, storie, crisi, speranze.
Un Mediterraneo che racconta il mondo: tensioni, conflitti, nuove fratture
“Viviamo in un mondo che si sta frantumando”, ha esordito De Castro. E la fotografia geopolitica non lascia margini di dubbio: 62 conflitti attivi, instabilità diffusa, polarizzazione delle potenze globali, e uno scenario internazionale in cui la sicurezza alimentare, energetica e climatica si intrecciano.
Il Mediterraneo, con la sua posizione cerniera, sente ogni vibrazione prima degli altri.
È un mare che collega e separa, un mare attraversato da scambi millenari e oggi esposto a:
tensioni regionali irrisolte,
crisi idriche sempre più profonde,
fratture socioeconomiche tra le sponde,
guerre che ridisegnano rotte e alleanze,
flussi migratori che raccontano più di qualsiasi statistica il fallimento di modelli di sviluppo.
Eppure il Mediterraneo resta anche un luogo di possibilità.
Una regione dove la storia ha dimostrato che la cooperazione non è un ideale, ma una necessità concreta.
L’agricoltura come chiave geopolitica: la pace nasce dalla terra
Il passaggio più sorprendente dell’intervento di De Castro è stato forse il più semplice:
la pace è anche – e soprattutto – un fatto agricolo. Non è un paradosso.
È la storia che lo insegna: dalla Mesopotamia alle carestie novecentesche, dalla geopolitica del grano alle crisi alimentari moderne, la relazione tra produzioni agricole e stabilità politica è sempre stata decisiva. De Castro lo ha spiegato con chiarezza:
«Il cibo ha sempre deciso la storia delle guerre. Parlare di Mediterraneo attraverso l’agricoltura è puro realismo geopolitico.»
L’agricoltura è una diplomazia silenziosa, ma efficace:
crea lavoro,
radica le persone ai territori,
produce relazioni sociali,
stabilizza comunità,
riduce le tensioni,
genera dignità.
È un’infrastruttura di pace, spesso invisibile, ma fondamentale. Per questo, secondo De Castro, rimettere la terra e il cibo al centro delle politiche mediterranee significa ragionare non solo da tecnici, ma da strateghi del presente.
Il ruolo del CIHEAM Bari: un presidio democratico nel cuore del Mediterraneo
De Castro ha dedicato un passaggio centrale a riconoscere il valore del CIHEAM Bari.
Lo ha definito “un presidio democratico del Mediterraneo”, evidenziando come questa istituzione svolga una funzione unica: formare competenze e costruire cooperazione reale.
Il CIHEAM non produce soltanto ricerca, ma genera una vera e propria classe dirigente tecnica del Mediterraneo:
agronomi formati in una prospettiva internazionale,
progetti di gestione idrica in contesti dove l’acqua è già una questione di sicurezza nazionale,
programmi di sviluppo rurale per Paesi MENA,
attività di lotta e contenimento delle fitopatie (come la Xylella, che ha sconvolto il paesaggio salentino),
innovazione varietale per fronteggiare il cambiamento climatico.
È una diplomazia dei fatti, non delle dichiarazioni. Ed è lì, in quella diplomazia concreta, che secondo De Castro nasce la possibilità di “tenere insieme ciò che il mondo tende a dividere”.
Dalle crisi alle opportunità: tre priorità per una nuova agenda mediterranea
Nella parte più programmatica del suo intervento, De Castro ha tracciato una vera e propria road map del futuro.
1. Adattamento climatico: la scienza come infrastruttura della pace
Il Mediterraneo è uno degli “hotspot climatici” più critici del pianeta.
Subisce un riscaldamento superiore alla media globale e vive fenomeni estremi sempre più frequenti.
Il messaggio è chiaro: nessun Paese può agire da solo. Serve un sistema integrato che unisca ricerca, trasferimento tecnologico, uso efficiente dell’acqua, agricoltura smart.
2. Sicurezza alimentare: senza mercati trasparenti non c’è stabilità sociale
Negli ultimi anni, i prezzi dei beni agricoli sono diventati un barometro del rischio geopolitico.
Ogni tensione internazionale ha immediate ripercussioni sulle filiere globali. De Castro insiste:
“La trasparenza dei mercati agricoli è una condizione di stabilità per le società mediterranee.”
Nomisma sta lavorando a:
osservatori permanenti sulle tendenze dei mercati,
sistemi di previsione degli shock,
indicatori di volatilità,
piattaforme informative per imprese e governi.
È un lavoro che può diventare – se integrato a livello mediterraneo – una vera infrastruttura di prevenzione.
3. Migrazioni e sviluppo rurale: un futuro che radica le persone ai territori
“Le persone non fuggono quando hanno futuro”, ha ricordato De Castro.
E il futuro, nel Mediterraneo, passa anche da:
investimenti nell’agricoltura,
valorizzazione delle filiere locali,
formazione tecnica,
sostegno ai giovani agricoltori,
infrastrutture rurali,
opportunità economiche nelle aree fragili.
Non è solo sviluppo. È prevenzione dei conflitti. È politica estera nel suo volto più pragmatico.
Costruire una governance comune: tre assi strategici
Per consolidare questo percorso, De Castro propone una nuova architettura di governance mediterranea, basata su tre pilastri.
1. Una piattaforma mediterranea per ricerca e formazione
Un ecosistema integrato, costruito attorno a CIHEAM e alle università della regione, capace di generare competenze condivise.
2. Un quadro comune su qualità, tracciabilità e indicazioni geografiche
Per mercati più equi, per tutelare produttori e consumatori, per rafforzare la competitività delle filiere agroalimentari mediterranee.
3. Una diplomazia economica del cibo
Una forma nuova di cooperazione regionale, che coinvolge:
imprese agricole,
istituzioni pubbliche,
enti di ricerca,
organizzazioni internazionali,
società civile.
Il cibo diventa così non solo risultato produttivo, ma strumento diplomatico, costruzione di fiducia, architettura di convivenza.
Governare insieme ciò che il mondo tende a separare
L’intervento di De Castro è stato, in fondo, un invito alla responsabilità collettiva. Non un esercizio retorico, ma una mappa politica per affrontare il presente.
“Un unico pianeta, un’unica mensa” non è un sogno: è la condizione reale in cui viviamo.
La globalizzazione, nonostante i suoi limiti, lega in modo irreversibile i destini delle comunità del Mediterraneo. L’agricoltura, troppo a lungo confinata nei margini delle agende politiche, torna invece al centro come strategia di pace.
E così, in un mondo che costruisce muri, De Castro offre una prospettiva diversa: non siamo condannati al conflitto, ma alla convivenza. Ed è proprio in quella convivenza – da costruire, gestire e proteggere – che risiede la possibilità di una nuova stagione mediterranea.
Attualità
Maria De Giovanni a Bruxelles per la Giornata Internazionale della Disabalità
Abbracci, talento e amore al Parlamento Europeo con la testimonianza di vita personale della giornalista e scrittrice nostra conterranea
È stata una testimonianza che ha lasciato il segno quella di Maria De Giovanni, protagonista al Parlamento Europeo durante la Giornata Internazionale della Disabilità. Invitata dall’europarlamentare Chiara Gemma, Maria ha portato nella sede di Bruxelles una voce autentica, intensa, capace di toccare il cuore di chi l’ha ascoltata. Definita da molti “un talento umano raro”, Maria è riconosciuta come una vera pioniera della terapia dell’abbraccio, un approccio che affonda le radici nella sua storia personale e nella sua straordinaria capacità di trasformare il dolore in cura e vicinanza.
Nell’emiciclo europeo, dove politici, esperti e rappresentanti delle istituzioni si sono riuniti per riflettere sul tema della disabilità, le sue parole hanno attraversato la sala con una delicatezza potente. Maria ha raccontato il suo percorso, fatto di sfide, di resilienza e di quella forza silenziosa che nasce solo da un’esperienza vissuta sulla pelle. Uno dei momenti più intensi del suo intervento è stato quello dedicato alla figlia Aurora, che lo scorso ottobre si è laureata discutendo una tesi proprio sulla storia della madre. Con emozione palpabile, Maria ha condiviso quanto quel traguardo rappresenti per lei un’eredità morale e affettiva: “Sentire mia figlia raccontare il mio cammino con voce nuova — ha detto — è il dono più prezioso. In quel momento ho capito che il mio dolore, la mia lotta, hanno generato qualcosa che potrà andare avanti oltre me.” Il pubblico ha risposto con un applauso lungo e sentito, quasi un abbraccio collettivo a una donna che ha fatto dell’abbraccio la sua forma più pura di cura. La giornata è stata resa ancor più significativa dalla presenza del giornalista di Rai 1, Mario Acampa, che ha intervistato Maria dando ulteriore voce e spazio alla sua esperienza come Donna impegnata nel sociale che per la sua tenacia e concretezza nel fare ha ricevuto molti riconoscimenti. Commendatore, Presidente della Onlus Sunrise Il mare di tutti , Scrittrice della trilogia sulle orme della sclerosi multipla, con l’uscita del suo ultimo libro La pienezza nella vita , è impegnata quotidianamente nella divulgazione della conoscenza sulla sclerosi multipla, lo fa nelle scuole e nelle università . L’intervista, densa di domande profonde e sguardi autentici, ha permesso di cogliere sfumature preziose della sua storia e del suo impegno quotidiano. Acampa ha saputo valorizzare la dimensione umana della testimonianza, restituendo al pubblico non solo un racconto, ma un incontro. L’europarlamentare Chiara Gemma ha espresso gratitudine per la presenza di Maria e per il suo contributo: “La storia di Maria ci ricorda che ogni intervento politico deve avere al centro l’essere umano. Le sue parole oggi sono state un faro per tutti noi.” Maria ha lasciato il Parlamento Europeo così come vi era entrata: con un sorriso gentile, la sua discrezione elegante e la certezza che anche un semplice abbraccio può cambiare il mondo. E a Bruxelles, almeno per un giorno, lo ha cambiato davvero.
Attualità
Minerva tira le orecchie al PD di Tricase: “Scelta di Chiuri errore politico”
“Il candidato è persona stimata, ma il metodo con cui è stato scelto, senza un vero confronto, desta perplessità. Così non si crea alternativa forte e credibile per produrre un cambiamento radicale e necessario per la città”
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Il PD di Tricase ha annunciato in queste ore il suo candidato sindaco per le amministrative 2026, nella persona di Vincenzo Chiuri. A seguito dell’annuncio giunge in Redazione l’intervento di Stefano Minerva che, fresco di elezione nel consiglio regionale della Puglia proprio col Partito Democratico, esprime perplessità per l’accaduto.
Decisione questa che aveva già creato maretta in Città, con le dimissioni dal Partito Democratico del consigliere Minonne (leggi qui).
La nota di Minerva
“Apprendo dalla stampa che il circolo del PD di Tricase ha già individuato il prossimo candidato sindaco del centrosinistra, un professionista affermato e una persona di indiscutibile valore.
Tuttavia, ciò che desta perplessità non è il nome, ma il metodo. Assumere una decisione così rilevante senza un vero confronto e con l’intero campo del centrosinistra non è solo poco democratico: è un errore politico.
Anche alla luce della condivisa posizione espressa in un documento presentato alla città ad aprile in cui si stabiliva il percorso e il metodo che lasciava aperta la porta a tutte quelle forze politiche, realtà sociali, gruppi e movimenti alternativi alla attuale amministrazione De Donno.
Ritengo che non si possa tornare indietro da li.
Se l’obiettivo è vincere le prossime elezioni e aprire una nuova pagina per Tricase, allora dobbiamo insistere sulla costruzione di una coalizione inclusiva frutto di un percorso condiviso, trasparente, capace di tenere insieme tutte le energie progressiste della città. Per questo chiedo alla segreteria provinciale del Partito Democratico di convocare al più presto un tavolo di coalizione che riunisca tutte le forze politiche e civiche che si riconoscono nel progetto di Antonio Decaro.
Vincezo Chiuri è persona stimata e la sua candidatura arricchisce il valore complessivo del centrosinistra. Ma il centrosinistra deve restare unito, in un percorso già avviato nei mesi scorsi e che deve continuare nel segno di un progetto di rilancio della città. Serve spirito costruttivo e lungimiranza per tenere innanzitutto insieme il perimetro della coalizione e poi provare ad allargare a tutte le forze che possono riconoscersi nell’alternativa. Tricase ha bisogno di partecipazione, di unità delle forze responsabili. Non è sufficiente oggi mettere sul tavolo una candidatura assolutamente condivisibile. Oggi serve arrivare ad una candidatura condivisa. Questo deve essere il nostro orizzonte. Un orizzonte che va preservato anche ricorrendo, se necessario, a strumenti partecipativi dal basso che sono un tratto distintivo della storia del nostro partito. Solo così potremo offrire ai cittadini l’alternativa forte e credibile in grado di produrre un cambiamento radicale e necessario per la città”.
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