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Giocare a fare Dio non è da tutti. Un giorno in pronto soccorso

Quando si ha a che fare con la vita e la morte della gente, il fardello dell’etica della responsabilità supera ogni dissertazione intellettuale e…

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Giocare a fare Dio non è da tutti. Quando si ha a che fare con la vita e la morte della gente, il fardello dell’etica della responsabilità supera ogni dissertazione intellettuale e ti riporta subito con i piedi per terra. Nulla è più reale dell’esistenza e della vita, soprattutto quando viene messa in pericolo: non c’è tempo per divagare, cazzeggiare o disquisire sull’accaduto.

In una unità operativa, o se preferite in un pronto soccorso, lo spaccato di vita umana che sfila fra le dita degli operatori quotidianamente, fra codici rossi, gialli, bianchi e verdi, fra emergenze di ogni tipo, fra categorie umane, pazienti, che superano tutte le “mazzette” dei colori, lascia poco spazio all’inventiva, bisogna procedere subito, con professionalità ed efficienza e, possibilmente, senza sbagliare!

Questo è quello che vive ogni giorno il responsabile del pronto soccorso di Tricase, dottor Antonio Angelelli, 64 anni, insieme all’equipe di medici, infermieri e collaboratori.

Quanti accessi avete avuto quest’anno?

“Quasi duemila accessi in più in confronto al 2107, e siamo ancora ad ottobre. L’altro anno abbiamo avuto circa 37mila accessi, quest’anno ci attesteremo sopra i 40mila. Consideri che nel 2102 erano 32mila, quindi, negli anni, un crescendo rossiniano”.

Molti nostri lettori lamentano tempi d’attesa lunghi, pronto soccorso quasi sempre sold out…

“Questo iper afflusso spesso è legato ai periodi”.

Spieghi meglio.

“Ad esempio l’inverno aumentano i pazienti broncopatici, asmatici, persone anziane, che si rivolgono a noi. Spesso in assenza dei posti letto rimangono in attesa in unità, in osservazione breve, per poi ricoverarli”.

D’estate invece?

“Aumenta l’afflusso soprattutto di codici bianchi e verdi. Ciò si spiega col fatto che, spesso, chi viene qui in vacanza non ha il medico di base e le guardie mediche non sempre sono adeguatamente attrezzate e, pertanto, sono costretti a farci visita.

I medici di base vi danno una mano?

“Pochi. Non tutti. Cominciamo col dire che collaboro con tutti i medici di base, anche se molti di loro rimandano il paziente al pronto soccorso per… ulteriori accertamenti. A volte il paziente vorrebbe un check up completo in tempi brevi e viene da noi per cancellare i tempi d’attesa. Spesso giungono in pronto soccorso con sintomi accusati da giorni e, nonostante questo, senza aver consultato il medico curante”.

Potrebbero collaborare un po’ di più?

“Certo. Infatti, in alcune regioni i medici di base fanno da soli per i codici bianchi e verdi, dandoci così una grossa mano. Sono appena stato a Bologna ad un congresso dell’Accademia dei Direttori dei pronto soccorso: le problematiche organizzative di cui si è discusso, sono sempre le stesse, l’afflusso, la scarsa collaborazione con i medici del territorio, le lunghe attese… Si è fatto un calcolo e si è appurato che molte volte il 40% del tempo di attesa è dovuto ai pazienti in attesa di ricovero”.

Come gestite i pazienti che arrivano?

“Innanzitutto dipende dal codice. Se è un codice rosso ha priorità sugli altri, va da sé. Abbiamo una zona rossa all’interno, dove il paziente riceve subito le cure di cui ha bisogno e viene stabilizzato dai nostri medici o dai medici di reparto che sono stati preallertati dal centro operativo e sono presenti in sala all’arrivo dell’ambulanza: anestesisti, pediatri, ortopedici, cardiologi, ecc. Una volta stabilizzato e individuato il percorso diagnostico terapeutico, si decide il da farsi, se ricoverarlo o dimissionarlo. A volte arrivano dei pazienti con codice verde, con sintomatologie varie che poi risultano essere malattie di una certa gravità, lì occorre tutta la bravura del medico per valutare la priorità e l’urgenza del caso. In poco tempo deve formulare una diagnosi d’urgenza per un immediato trattamento terapeutico. Ne va della vita delle persone”.


È mai successo che qualcuno dopo essere stato dimissionato, una volta a casa è stato male?

“Ci sono stati dei casi, certo. Seguiamo un protocollo al quale ci atteniamo: se il paziente, dopo aver eseguito degli esami generali che indicano una certa sintomatologia ed una certa cura, rientra nella norma, lo rimandiamo a casa. Alcune volte facciamo anche una “dimissione protetta”.

Sarebbe?

“Mi spiego: è come se ci fosse un tutor che segue il paziente dopo essere stato da noi, al quale diciamo: in qualsiasi momento, qualsiasi dubbio doveste avere, tornate. Però, lo ribadisco, i rischi sono sempre tanti: molti afflussi, poco tempo, tanto stress da lavoro. Tutto questo aumenta la probabilità d’errore. Siamo umani. E poi… mi faccia spezzare una lancia a favore del “Cardinale Panico”. Lo faccia. “L’afflusso dipende anche dal fatto che il nostro ospedale, ha tante specialità: cardiologia, interventistica con sala emodinamica, chirurgia vascolare, maxilofacciale, otorino, oculistica, pediatria, ginecologia, rianimazione… e poi, non vorrei dimenticare qualcuno, ha un ottimo servizio di radiologia. Dopo aver depauperato il territorio di ospedali, il nostro bacino d’utenza si è allargato moltissimo ed oggi arriva sino alle porte di Lecce. In alcuni casi poi, ci arrivano pazienti di altri pronto soccorso che non hanno le nostre specialità”.

Cosa ti angustia di più?

“Il fatto che spesso, sempre a causa dello stress, ci poniamo con il paziente in modo indisponente e invece bisogna avere sempre nervi saldi e tanta pazienza”.

E cosa invece ti gratifica?

“Incontrare spesso, anche a distanza di molti anni, dei pazienti che mi ringraziano per un intervento chirurgico riuscito, per l’ascolto dato o per avergli salvato la vita. Questo mi emoziona sempre, perché poi in fondo alla fine della carriera è quello che rimane”.



Cosa si prova quando “perdete qualcuno”?

“Quando si ha a che fare con pazienti giovani, ragazzi, bambini o qualche caso complicato, viviamo il dramma e il dolore come fossimo parte della famiglia. L’impotenza è il sostantivo forse che descrive più di altri, insieme alla rabbia, quello che proviamo. Come in una clessidra, si accumula giorno dopo giorno, si soffre e non ci si abitua mai!”

Cosa cambieresti, se potessi, in questa unità operativa?

“Cominciamo col dire che ho degli ottimi collaboratori, sia medici che infermieri. Poi, per gestire meglio l’attuale afflusso, avremmo bisogno di altri medici e altri infermieri e spazi più ampi. Inoltre, è importante la formazione continua di tutti gli operatori di pronto soccorso, cosa che già facciamo con corsi di aggiornamento periodici”.

Siete iscritti ad un sindacato medico specifico?

“Personalmente no”.

Avete delle assicurazioni che vi tutelino?

“Certo. C’è l’assicurazione dell’ospedale e, poi, ognuno di noi è assicurato, come per legge, per colpe gravi, oltre ad avere una propria assicurazione legale”.

Avete mai subito delle aggressioni come accaduto in altri pronto soccorso?

“No, solo piccole baruffe di poco conto. Può sempre capitare il villano di turno che si sente in diritto di alzare la voce. Io predico sempre l’armonia ed in alcuni casi basta che si parli con la gente e tutto rientra. Poi è bene spiegare, se non l’ho fatto prima, che una volta preso in carico il paziente e stabilita la diagnosi, a volte bisogna aspettare anche delle ore perché la Tac o il medico, magari impegnato in sala operatoria, si liberi, ma di questo nessuno ha colpa. In fondo, siamo un ospedale!”.

Pazienti eccellenti che sono passati dal vostro pronto soccorso? “Cito per tutti Patty Pravo e Mogol passati da noi l’anno scorso. Ci sono stati anche tantissimi turisti che, una volta dimissionati, basiti, ringraziano, perché credevano di trovare una sanità allo stremo ed allo sbando e invece sono stati assistiti in un polo d’eccellenza”.


Luigi Zito


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Scuola Smart al Comprensivo “Pascoli” di Tricase: “Più dinamici e inclusivi”

Grazie ad una donazione dalla Fondazione Pietro De Francesco, l’Istituto Comprensivo Pascoli di Tricase ha allestito un innovativo ambiente collaborativo plurifunzionale.

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Grazie ad una donazione dalla Fondazione Pietro De Francesco, l’Istituto Comprensivo Pascoli di Tricase ha allestito un innovativo ambiente collaborativo plurifunzionale. Questo nuovo spazio, già a disposizione di tutte le classi, è stato progettato per trasformare la didattica quotidiana in un’esperienza sempre più dinamica e inclusiva.
L’ambiente è stato dotato di strumenti all’avanguardia:
• Arredi modulari: 24 banchi trapezoidali, un tavolo collaborativo e 25 sedie, pensati per favorire il lavoro di gruppo.
• Tecnologia di ultima generazione: 25 Chromebook con relativo carrello caricatore e un monitor touch interattivo da 65 pollici.
• Formazione: Nei prossimi mesi i nostri docenti parteciperanno a corsi specifici sull’uso dei nuovi dispositivi e sulle metodologie didattiche collaborative digitali.
La Dirigente Annamaria Turco spiega: “La Fondazione con questo dono ha voluto fornire ai nostri alunni gli strumenti necessari per lo sviluppo di competenze digitali, di problem solving e di comunicazione, competenze ormai essenziali per i futuri cittadini europei, come indicato dal quadro di riferimento europeo Digicomp 2.3.
Gli arredi e i dispositivi sono pensati nell’ottica della Classe 4.0, promossa dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e che rappresenta un nuovo modello di ambiente di apprendimento che si discosta dalla tradizionale impostazione trasmissiva per una didattica innovativa, attiva e centrata sullo studente.
I ringraziamenti ufficiali sono stati espressi con profonda gratitudine il 16 dicembre 2025 durante il nostro Recital di Natale alla Dott.ssa Tina De Francesco e alla Dott.ssa Mariangela Martella, rappresentanti della Fondazione, per il loro concreto sostegno alla crescita dei nostri ragazzi. Il nostro plauso va anche alla Prof.ssa Laura Accoto, progettista dell’ambiente collaborativo“.
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Dal Salento spicca il volo “Il sogno di Flip”

Un albo illustrato per parlare ai bambini di inclusività e fiducia in sé, toccando il tema del bullismo

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“Il sogno di Flip” è l’albo illustrato, con testi e disegni di Alessia Urso, illustratrice e grafica di Marittima, pubblicato da Curcio Editore.

Ambientata al Polo Nord, la storia racconta di Flip, un piccolo elfo con una disabilità che sogna di lavorare nella fabbrica di Babbo Natale.
Dopo un episodio di bullismo, grazie alla creatività e all’incontro con un’amica speciale, Flip trova la forza di non arrendersi e costruisce un braccio artificiale che diventa simbolo di riscatto e fiducia in sé. Un racconto dolce e luminoso che parla ai bambini di coraggio, amicizia e inclusione. Disponibile su Amazon

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Presentato il calendario della Polizia locale contro la violenza di genere

Ogni mese, attraverso gli scatti di Giacomo Fracella, racconta un valore, un gesto, un simbolo di rispetto e di tutela…

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Lo speciale calendario della Polizia Locale di Nardò per il 2026 è dedicato al tema del contrasto alla violenza di genere.

Ogni mese, attraverso gli scatti di Giacomo Fracella, racconta un valore, un gesto, un simbolo di rispetto e di tutela. Ci sono, tra le altre cose, un paio di scarpette rosse sul suolo di piazza Salandra, una foto di gruppo delle agenti del Comando di via Crispi, la panchina rossa.

Dietro queste immagini c’è il lavoro quotidiano della Polizia Locale, che con dedizione e sensibilità opera per garantire sicurezza e dignità ai cittadini e ovviamente anche a tutte le donne.

Questa mattina il comandante Cosimo Tarantino ha presentato il calendario nella sede di via Crispi, consegnando una copia al consigliere delegato alla Polizia Locale Gabriele Mangione e all’assessora con delega alle Pari Opportunità Sara D’Ostuni. Presenti anche la consigliera Daniela Bove e la vice comandante Simona Bonsegna.

“Questo calendario – ha detto il comandante Cosimo Tarantino – è un messaggio di coraggio e speranza. Pensiamo che ognuno di noi debba fare la propria parte nel contrasto alla violenza di genere, la Polizia Locale ha ritenuto quest’anno di utilizzare il calendario come importante veicolo divulgativo per sensibilizzare tutti. È importante non abbassare mai la guardia”.

“Questo è un tema che interessa singoli, famiglie e istituzioni – ha aggiunto il consigliere delegato alla Polizia Locale Gabriele Mangione – e ognuno deve affrontarlo nei limiti del proprio ruolo e delle proprie possibilità. Questo calendario è uno strumento istituzionale, ma stavolta anche un segno tangibile di vicinanza nei confronti dei cittadini e di tutte le donne”.

“Ringrazio il Corpo di Polizia Locale – ha detto ancora l’assessora alle Pari Opportunità Sara D’Ostuni – per questa iniziativa di estrema sensibilità e responsabilità. Avere a casa questo calendario ci ricorda ogni giorno che il contrasto alla violenza di genere non può e non deve essere una battaglia episodica, ma costante e generalizzata”.

Dalla prima edizione del calendario della Polizia Locale di Nardò sono passati ormai 24 anni, dedicata all’epoca alla sicurezza stradale e arricchita dai disegni sul tema degli studenti delle scuole primarie. Questa edizione, invece, arriva nell’anno (il 2026) che celebra i 160 anni della Polizia Locale italiana.

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