Attualità
Casarano e l’ospedale, il solito film
Come in una commedia pirandelliana, ognuno recita il proprio ruolo, la propria sceneggiatura già scritta e rappresentata. Il destino del “Ferrari” è già segnato

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di Antonio Memmi
E così a Casarano ci si è svegliati sudati e ci si è accorti che ora vogliono chiudere anche il reparto di rianimazione dell’ospedale “Ferrari”.
È un po’ come quando, la vigilia di Natale, ci si trova tutti insieme a guardare il film “Una poltrona per due” e scorrono i titoli di testa di un film già visto, di cui si conosce trama ed epilogo. Con l’unica differenza che questo film, dalla magistrale regia di Emiliano I, re di tutte le Puglie, non fa ridere come il primo ma provoca solo rabbia e indignazione.
Ed ogni volta che va in onda questo triste e patetico spettacolo, un po’ come in una commedia pirandelliana, ognuno recita il proprio ruolo, la propria sceneggiatura già scritta e rappresentata nelle date degli anni precedenti.
C’è il comunicato stampa dei sindacati che, un po’ come i gabbiani che vanno nell’entroterra quando sta per piovere, sono i primi che hanno il sentore di ciò che ogni volta sta per accadere.
Poi c’è il comunicato dei vari comitati che fanno copia & incolla delle lettere di “rammarico e preoccupazione” e chiedono degli importantissimi tavoli di confronto; quello del sindaco che non può che appellarsi al Diritto alla Salute per i propri cittadini e auspica anch’egli un tavolo di confronto con le autorità sanitarie e quelle regionali; le medesime autorità che si degnano di organizzare questi importantissimi tavoli di confronto con la stessa euforia con cui si va ad una riunione di condominio.
Infine, Lui, il vero artefice di tutto questo circo, il regista neanche tanto oscuro che, dall’alto della sua protervia, nemmeno si degna di sedersi a quei tavoli. Perché Lui, più impegnato a schivare i problemi con la Giustizia, non ha tempo da perdere con Casarano.
E anche questa volta, dopo tutti i reparti già chiusi e ridimensionati, adesso che addirittura si è deciso di metter fine all’importantissimo reparto di rianimazione, il film che va in onda è sempre quello, con i suoi attori e la sua inutilità.
Inutile, perché al tavolo di confronto c’era Loredana Capone, presidente del Consiglio regionale e quindi facente parte del potere legislativo e non di quello esecutivo della Regione: un po’ come confidarsi con il sacerdote per i soprusi subiti dal Vescovo.
Una sacerdotessa, la Capone, che non è certo arrivata ieri nelle stanze della Regione e che la situazione di Casarano, negli anni, l’avrebbe già dovuta conoscere bene (o almeno ricordarsi delle promesse fatte) e invece si è andati a recitarle le solite litanie.
Inutile perché c’erano quei grandi manager della sanità provinciale: Direttore Generale e Direttrice Sanitaria cioè: proprio coloro che firmano i provvedimenti chiusura!
Che è come chiedere all’Agenzia delle Entrate di chiedere al Ministero di non farci pagare le tasse.
Inutile perché le promesse in campagna elettorale sono veritiere tanto quanto una banconota da 3 Euro (ed in questo caso nemmeno ne hanno fatte) anche se hanno vaneggiato (come sempre) di una fantomatica riorganizzazione della sanità provinciale.
Inutile come le forti urla dell’imprenditore di riferimento di questa città, quell’Antonio Filograna Sergio che non ha paura di definire “bastardata” l’ennesima decisione che sottrae a Casarano (ed a tutto l’hinterland) risorse e conquiste preziose volute e guadagnate da Politici di un tempo che fu.
Certo, encomiabili ed anche un po’ commoventi le iniziative di protesta civile come la Tenda dei Diritti, posizionata in prossimità dell’ingresso del nosocomio e che è un modo per far capire che la cittadinanza non ci sta a questo schifo ma… ormai è troppo tardi!
Sono anni che, dalle colonne di questo giornale, abbiamo descritto la viscida strategia che Emiliano I ed i suoi vassalli stanno attuando ai danni del Ferrari di Casarano.
Una strategia semplice, cinica e viscida appunto, lenta ma inesorabile: chiudere lentamente l’ossigeno ed aspettare la lenta asfissia.
Si cominciò con la mancata nomina dei Primari in sostituzione di coloro che andavano in pensione o che venivano trasferiti; si proseguì non rimpiazzando medici e infermieri (veri eroi che hanno sempre più dovuto farsi il mazzo per cercare di assistere al meglio i pazienti) con il personale sanitario che diminuiva di numero e aumentava sempre più le proprie ore di lavoro con la conseguenza che il livello delle prestazioni degradava man mano (come se la colpa fosse quindi degli operatori e non di chi li lascia in quelle condizioni), generando il malcontento della gente. Situazione che, ovviamente, rende meno problematica la chiusura di un ospedale che “non funziona”.
E poi la lenta chiusura dei reparti, cominciando dai pezzi pregiati (come Chirurgia pediatrica) fino ad arrivare ai giorni nostri, con l’unico sussulto di speranza quando cominciarono i lavori del 4° lotto. Ma si capì subito che era solo un modo per sperperare un po’ di soldi.
Quindi ora è tutto inutile: inutili i patetici tavoli di confronto, inutili i comunicati stampa, inutili le proteste social.
L’ospedale di Casarano chiuderà e verrà costruito un faraonico ospedale dalle parti di Maglie, spendendo 10 volte di più di quanto sarebbe costato adeguare il Ferrari; ma lì ci sono i veri interessi e tutto ciò alla faccia del diritto alla salute di tutti i cittadini che vivono da Casarano a Leuca.
C’è stato un momento, anni fa, in cui ognuno di noi ha avuto in mano l’arma giusta per dare un segnale concreto, per provare a cambiare qualcosa: quella matita che ti danno prima di andare a votare. Ma se Emiliano sta ancora lì è perché qualcuno (più di qualcuno) anche a Casarano e nel basso Salento, lo ha votato e quello stesso qualcuno non ha fatto in modo che Casarano potesse avere uno straccio di rappresentante in Regione. Si sa: “Chi è causa dei suoi mal… pianga sé stesso!”.
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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