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Attualità

Giovani e sballo: esperti a confronto

Ballo o sballo? Dopo un’estate difficile con casi di cronaca che hanno coinvolto alcune discoteche salentine, l’approfondimento con psicologi e psicoterapeuti del centro per gli studi criminologici

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L’estate appena trascorsa, con i tanti fatti di cronaca che hanno interessato anche il Salento (in particolare alcune delle discoteche più note), ha evidenziato una tendenza allo “sballo” più che al “ballo estivo” di ragazzi e giovani adulti, riproponendo all’attenzione delle principali agenzie educative il complesso e controverso tema dell’abuso di sostanze da parte di una popolazione di età compresa tra i 16 e  i 30 anni. Occorre dunque riflettere e fare chiarezza sugli elementi di innesco, sviluppo e mantenimento della dipendenza da sostanza e sui principali fattori di rischio intrapsichici e extrapsichici in un soggetto adolescente e giovane adulto. Antonella Marchisella ha approfondito l’argomento con il Dott. Paolo Dattilo e la Dr.ssa Valentina Tanini, psicologi e psicoterapeuti Coordinatori del Dipartimento di Psicologia Clinico Forense e Sociale del Centro per gli studi criminologici, giuridici e sociologici di Viterbo CSC.


Sballo ed ecstasy, morte in discotecaDottoressa Tanini, potremmo iniziare chiedendoci se esiste “un consumatore ideale di sostanze”, identificato nell’immaginario collettivo come “tossico”?

“In verità oggi sappiamo che la popolazione che fa uso di sostanze, non necessariamente tossicodipendente, va a comporre una realtà talmente eterogenea e trasversale che in tal senso qualsiasi generalizzazione e stigmatizzazione risulta essere priva di fondamento scientifico.

è importante considerare il fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti da un punto di vista multifattoriale, tenendo in considerazione il fatto che esistono consumatori occasionali e abituali con modalità di assunzione, dosaggi e motivazioni assai differenti. Oggi è ancora difficile stabilire con precisione quali sono i meccanismi che portano progressivamente dall’uso sperimentale a quello occasionale della sostanza, quindi, allo sviluppo della tolleranza e della dipendenza fisica. Tra i fattori annoverati per l’aumento dell’uso e della dipendenza, o tossicomania, possiamo includere la pressione dei coetanei o del gruppo, e il fatto che il disagio emotivo del soggetto giovane venga alleviato sul piano sintomatologico dagli effetti specifici della sostanza”.


linguaSi può descrivere la personalità del soggetto che assume sostanze stupefacenti?

“Molteplici sono le cause che conducono a una dipendenza da sostanza; in parte è generata dalle proprietà psicoattive della sostanza stessa che fanno sì che il soggetto, una volta finito l’effetto, debba assumerne ancora, ma anche dalla predisposizione del soggetto nell’affrontare situazioni come stress ed ansia interna, insicurezza, umore altalenante, disagi socio-familiari e/o lavorativi, difficoltà emotive e affettive, ecc. Per un soggetto particolarmente fragile sarà quasi automatico ricorrere alla sostanza come via di fuga. Possibili cause sono anche lo status economico del consumatore ed il contesto sociale nel quale egli è inserito”.

Nel caso di un adolescente, quali sono i possibili comportamenti o sintomi da tenere “ sotto controllo”?

“Ansia e depressione significativa, modificazioni nel rendimento scolastico, modificazioni nell’aspetto e nella cura di sé. Modalità comunicative aggressive o passive, reazioni alla frustrazione e strategie di fronteggiamento, contatto, identificazione, riconoscimento ed espressione delle emozioni. Condizioni di vita in cui versa il soggetto giovane, quali: lutti, separazioni, malattie e incidenti, conflitti; rottura legami affettivi significativi, sessualità e omosessualità. Qualsiasi stato di disagio in età evolutiva, se non adeguatamente individuato e recuperato, costituisce una condizione di rischio per l’instaurarsi di successivi stati psicopatologici o di comportamenti devianti”.

Dottor Dattilo, cosa rappresenta per un adolescente l’assunzione di un comportamento a rischio?

“I comportamenti a rischio, come quelli salutari, hanno per l’adolescente uno specifico significato, e vengono adottati in uno specifico momento della vita, in un particolare contesto e per conseguire obiettivi e compiti di sviluppo, spesso non chiari e definitivi, considerati importanti sul piano personale e sociale. Per comprendere le funzioni dei comportamenti a rischio occorre superare l’elemento descrittivo della condotta per chiarire quale senso essa assume per chi la attua. Azioni differenti tra loro possono mostrare un “equivalenza funzionale” se mirano a raggiungere simili obiettivi evolutivi. Ad esempio, realizzare la propria autonomia dagli adulti può riguardare sia comportamenti a rischio, quale il fumo di sigarette, sia l’adozione di comportamenti più evoluti e competenti, come elaborare ed esprimere un’opinione personale. Anche comportamenti identici possono essere motivati da scopi differenti. Se prendiamo in considerazione la sessualità nell’adolescente possiamo pensare che può essere agita a scopi conformistici poiché in sintonia con le norme del gruppo di riferimento, oppure al fine di affermare il proprio “essere grandi” nei confronti degli adulti. Un comportamento a rischio può essere anche polifunzionale quando serve a fronteggiare diversi compiti di sviluppo. In tal senso l’uso di droghe può servire a rivendicare la propria autonomia, a sperimentare sensazioni forti, a stabilire ritualmente un legame con i coetanei”.

In tal senso quali situazioni e circostanze possiamo considerare sane per un adolescente?

“Nel complesso un quadro di realtà funzionale è quello di un adolescente che fa leva su adulti responsabili che pongono delle richieste, che è impegnato in un progetto di realizzazione e di costruzione di sé, che vive sfide personalmente e socialmente rilevanti, che è accettato e valorizzato dal mondo adulto, che può sviluppare le sue abilità cognitive e sociali, che non è spinto a comportarsi in modo esteriore e consumistico da adulto”.


Antonella Marchisella


Attualità

Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

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Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)

A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.

Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.

La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.

Le foto

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Approfondimenti

Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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