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Attualità

Nota a margine del covid e della guerra

L’aumento dei prezzi al consumo viene inoltre a contrapporsi alla pressoché inesistente crescita degli stipendi con conseguenze importanti sul reddito reale disponibile delle famiglie. In altri termini, tracolla la stabilità del ceto medio che corrisponde alla gran parte degli italiani.

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Mentre l’attenzione dei cittadini è rivolta ai referendum e alle elezioni amministrative che riguardano 11 paesi del nostro territorio, si dovrebbe altresì riflettere sui tanti incidenti che si registrano nelle cronache locali e sull’aumento abbastanza significativo del costo della vita.


Si tratta di due aspetti non connessi tra loro, ma che hanno come tema comune la difficoltà di una vita serena.


Si parla di ragazzi che cadono nei fossati, di incidenti stradali, di incendi lungo il litorale e così via.


È indubbio che l’imprevedibile è sempre esistito, tuttavia il rispetto per gli altri, per le cose e per noi stessi non è mai da sottovalutare.


Si ha invece la sensazione – che si augura sbagliata – che il ritorno alla normalità dopo le restrizioni dovute al coronavirus e l’esplosione del caldo estivo stiano accentuando una esuberanza comportamentale che può essere pericolosa.


Il lungo elenco di incidenti che questo giornale, quotidianamente purtroppo, illustra online dovrebbe servire a renderci tutti più responsabili ed attenti onde si evitino imprevisti negativi che di solito tendono a crescere negli esodi di fine settimana o nei ritorni a casa notturni.


È il problema dell’autodisciplina a cui dovrebbe contribuire l’educazione familiare, scolastica, sociale e a cui dovremmo tutti sottostare senza reclamare frettolosamente una libertà che va semplicemente a coincidere, alcune volte, col voler seguire le proprie pulsioni senza alcuna regola.


L’autodisciplina si impone altresì dinanzi all’aumento del costo dei prodotti.


Il Professor Hervé Cavallera


Ciò che l’italiano medio, giustamente, paventa sono la spesa alimentare e il costo delle utenze come luce e gas, che costituiscono un aspetto imprescindibile del quotidiano.


Ciò significa, di conseguenza, che devono essere limitate, se non proprio tagliate, tutte quelle spese cosiddette superflue che in tanti casi costituiscono “il bello” della vita.


E naturalmente tutto questo non può che avere una conseguenza su il mondo del commercio, colpendo, come sempre avviene, i più fragili.


I due aspetti possono essere ricondotti ai due eventi che hanno caratterizzato (e invero continuano a caratterizzare) quest’anno: il covid-19 e la guerra russo-ucraina.


Certo, non sono espressione solo di tali eventi.


Per quanto riguarda la presenza di incidenti di solito, come si è già detto, essa è sempre in crescita nei giorni vacanzieri e nei mesi estivi, come la crisi economica risale a prima della guerra, ma quest’ultima, con le diverse sanzioni, ha determinato una ricaduta molto grave.

L’aumento dei prezzi al consumo viene inoltre a contrapporsi alla pressoché inesistente crescita degli stipendi con conseguenze importanti sul reddito reale disponibile delle famiglie.


In altri termini, tracolla la stabilità del ceto medio che corrisponde alla gran parte degli italiani.


Inoltre se il primo aspetto può essere affrontato dalla responsabilità dei singoli, il secondo ha una caratteristica collettiva, appare cioè come una emergenza in cui tutta la nazione è coinvolta.


Ambedue implicano delle dinamiche educative: l’attenzione al proprio dovere e l’eliminazione di ciò che non è necessario, di ciò che è futile.


E tuttavia il secondo punto, l’aumento del costo della vita, richiede un insieme articolato di risposte politiche che riguardano, ad esempio, i vari contratti di lavoro e una corretta progressione stipendiale (spesso bloccata).


È chiaro che i contratti a tempo determinato sono poco appetibili, come del resto è opportuno rivedere e rivalutare le pensioni.


Che dire poi dei disoccupati, degli anziani soli, dei più deboli?


A tutto questo aggiungiamo la presenza di tanti immigrati che non si riesce ad integrare in maniera dignitosa.


Sono problemi che esistono da tempo, ma che la situazione del presente ha riproposto in tutta la drammaticità, tanto più che ci si rende conto che si vive in una società dello spreco.


Se infatti si sta qui rilevando la difficoltà in cui vive la maggior parte di cittadini, è pur vero che esistono “categorie” di super-pagati.


Si comprende bene che non si vive in un mondo perfetto; si vorrebbe però che fosse il migliore all’interno dell’umana ragionevolezza, solo che questo si manifesta come un’utopia poiché non vi è nulla di più difficile della realizzazione del giusto in termini sociali.


E poiché, come è stato ben detto, Spes ultima dea est et omnium rerum pretiosissima, quia sine Spe homines vivere nequeunt (“la Speranza è l’ultima dea e la più preziosa tra tutte le cose, in quanto senza Speranza gli uomini non sono in grado di vivere”, traducendo in italiano per chi non avesse frequentazione con il latino), si auspica che i nuovi eletti alle comunali siano i primi di una nuova classe politica che si spenda davvero per i propri concittadini.


Occorre pur battersi affinché gli ideali non restino mere parole.


Hervé Cavallera


Attualità

Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

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Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)

A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.

Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.

La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.

Le foto

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Approfondimenti

Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli

Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

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di Hervé Cavallera

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.

Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.

Ma non basta.

A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.

Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.

Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.

Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.

Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.

L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.

E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.

Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.

Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.

SOCIETÀ DEI CONSUMI

È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.

L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.

Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.

Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.

Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.

LA LOGICA DEL MERCATO

Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.

E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.

La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.

E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.

Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.

COSA POSSIAMO FARE

Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.

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Attualità

«La mafia salentina è sempre viva»

Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

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di Sefora Cucci

Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice).  Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.

Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.

Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.

Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?

«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».

Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?

«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».

Cosa possiamo fare?

«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».

Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?

«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».

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