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Alessano

Se fossi don Tonino…

Lettera aperta. Scritta dal vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli, che tenta di simulare quello che oggi il Servo di Dio scriverebbe alla “sua” gente

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A conclusione della settimana dedicata agli appuntamenti che ricordano il “dies natalis” del Servo di Dio, Tonino Bello, maestro di spiritualità incarnata, della teologica della pace, interprete autentico delle linee teologiche e pastorali emerse dal Concilio Vaticano II, il Vescovo mons. Vito Angiuli, sabato 20 aprile, alle ore 18, giorno dell’anniversario della morte, celebrerà sulla tomba di don Tonino Bello, ad Alessano, la messa di commemorazione.

Per quanto riguarda il Processo per la beatificazione, siamo alla fase diocesana che, con tutta probabilità, dovrebbe durare fino alla fine dell’anno; in questa fase vengono raccolte le testimonianze di fedeli sulle virtù eroiche del Servo di Dio. Conclusa questa fase, tutto passerà nelle mani della Congregazione delle cause dei Santi in Vaticano per l’analisi di dettaglio e per i riscontri. La tempistica di queste fasi è tutt’altro che prevedibile; pertanto non hanno fondamento le anticipazioni di date diffuse nei mesi passati da soggetti diversi dalle autorità ecclesiastiche competenti, che peraltro comunicheranno con tempestività ogni novità ufficiale riguardo al Servo di Dio, Tonino Bello.


Intanto il vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli, scrive una lettera aperta con la quale tenta di simulare quello che oggi il Servo di Dio scriverebbe alla “sua” gente.


Alessano, 20 aprile 2013

Cari amici, forse vi sembrerà strano ricevere questa mia lettera a distanza di tempo. Sono passato vent’anni dall’ultima volta che ci siamo scambiati parole significative.  Devo, però, confessarvi che non ho potuto resistere all’impeto che mi ha preso dopo aver letto il motuproprio di Benedetto XVI, Porta fidei. Le parole del Papa mi hanno colpito profondamente per la verità dei contenuti, la forza delle argomentazioni, la semplicità della scrittura. Mi sono sembrate tanto più vere ora che Benedetto XVI ha rinunciato al suo ministero petrino e sulla Cattedra di Pietro gli è succeduto Francesco, un Papa che già nel nome annuncia una grande novità per tutta la Chiesa.

Ho letto il documento di Benedetto XVI tutto d’un fiato, come fosse una lettera indirizzata alla mia persona perché ho avvertito che si trattava di uno scritto che mi chiedeva di rivedere il mio cammino di fede in quanto cristiano, sacerdote e vescovo.

Mi è sembrato che l’immagine della porta da varcare contenesse un invito suadente ad attraversala, senza esitazione e indugio, ma con generosità e allegria, senza indecisioni e tentennamenti, ma con fiducia e speranza. Insomma, per dirla con parole altisonanti, che talvolta ho utilizzato anch’io, sine modo e sine glossa.

Varcare la porta della fede!

Ma non avevo già varcato una, due e più volte quella porta che introduce nella stanza del tesoro? La fede, infatti, è come uno scrigno che contiene un tesoro di grande valore, «il tesoro della vita», (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 5 battesimale, 13).

Sì, cari amici, devo confessarvi candidamente che ho varcato la porta della fede fin da quando “ho succhiato il latte”, cullato dolcemente dalle braccia di mia madre Maria (che bel nome e quanta assomiglianza con la Santa Vergine!). Fin da allora, ho avvertito che si trattava di una iniziazione alla “gioiosa danza della fede”.

Avvertivo che i movimenti lenti e cadenzati di mia madre, accompagnati da un nenia antica che cantava la dolce melodia dell’amore, eco dell’amore misericordioso e gratuito di Dio, erano “parole di fede”, sussurrate teneramente e impresse nel mio animo come fossero spezzoni di una melodia celeste.

Più tardi ho avuto la conferma e ho compreso (dati alla mano!) che nei gesti  e nella cantilena di mia madre vi era una implicita allusione alle gradi opere compiute da Dio nella creazione e nella storia della salvezza.

Si è così instaurato un dialogo con questa donna, “sorgente e culla” della mia vita che non si è più interrotto. Il cordone ombelicale della fede materna non si è più spezzato. Anzi con il passare del tempo si è approfondito e rafforzato, fino a trasformarsi in un sogno lungamente accarezzato e continuamente richiamato alla memoria.

Ho imparato a gustare le dolci atmosfere della famiglia nella quale ogni gesto assumeva il sapore di una “liturgia domestica”, il flusso caldo di affetto condito con i sapori genuini della casa e la dignità di parole che avevano la forza di descrivere, anzi di costruire attorno a me un luogo che in seguito mi sarebbe sembrato quasi un “paradiso terrestre”!

Sulle ginocchia di mia madre, mentre stringevo le mie mani al suo seno, mi sembrava di abbracciare qualcosa di divino. Veniva così spontaneo “credere”. La fede (lo avrei capito meglio dopo) consisteva nel vedere in modo chiaro che la realtà nasconde qualcosa di sublime, che toccare un corpo significa avvertire un calore che trasmette il senso di una sicura protezione e che lasciarsi accarezzare da una mano fa vibrare di gioia il cuore.

Sono queste le sensazioni che mi sono venute in mente la prima volta che ho letto le parole del profeta Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi per il figlio del sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io, invece, non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49, 15-16).

Tra le pareti domestiche ho assaporato il valore della fede che si esprime come “comunione fraterna”.  Ritrovarmi con i miei fratelli e mia madre attorno alla tavola per consumare un pasto frugale con la gioia che veniva dallo stare insieme è stato un ammaestramento che non ho più dimenticato. Avrei ben presto capito che riunirsi nello stesso luogo, condividere i beni disponibili, spezzare il pane insieme, conversare  fraternamente erano gesti dal chiaro valore sacramentale ed eucaristico e che la fiducia reciproca era la giusta atmosfera per comprendere il miracolo dell’unità.

Ho trascorso giorni felici nel mio paese, abitato da gente semplice che conserva ancora oggi i tratti di una antica nobiltà. Lì ho imparato l’importanza dei “volti”. Nella Chiesa parrocchiale, per le strade del paese, nelle case dei parenti e degli amici ho scoperto che il volto dell’altro è molto di più di una semplice “figura esteriore”. Nei lineamenti di un bambino, di un giovane o di un anziano è impressa una storia personale che nessuna parola riesce compiutamente ad esprimere. Occorre avere “gli occhi dell’amore e della fede” per vedere nell’altro i lineamenti del “Volto invisibile”, di quel mistero che tutti ci avvolge.

Frequentando il convento dei frati cappuccini ho ammirato la luminosa bellezza di “Madonna povertà”. La sua avvenenza mi ha sedotto! No, non ha senso trattenere nelle proprie mani i beni materiali come fossero un tesoro personale; non dà gioia vivere solo per l’arricchimento e l’accumulo di denaro: la mente si inebria, il cuore si indurisce, i sentimenti si smorzano. Rimane solo la falsa illusione di aver acquisito un potere che ben presto mostrerà la sua vanità. Cari amici, ve lo dico con il cuore in mano: “Non arricchitevi. Non vale la pena affannarsi. Non vedete i gigli del campo. Non mietono, non seminano eppure Dio li nutre. Risplendono di un candore che illumina la vista ed emanano un profumo che inebria il cuore”. La felicità non è nelle ricchezze, ma è nascosta altrove!

Sostando alcuni anni a Bologna, ho scoperto dove era questo altrove. In quella straordinaria città, fucina di nuove atmosfere, ho compreso che solo la fede carica di amore ha la capacità di saziare il cuore dell’uomo. Una fede, però, che non è solo uno sguardo rivolto verso il cielo, ma è un ardente desiderio di entrare “nelle vene della storia”. Mi sono esercitato un poco a percorrere i sentieri calpestati quotidianamente da tutti, assaporando le gioie semplici e nascoste nella vita quotidiana: la fatica del lavoro, il bisogno di compagnia, l’attenzione ai problemi sociali, l’impegno per la giustizia, la sofferenza dei poveri, il dolore degli umili.

È stata una lezione di vita che ho cercato di trasmettere ad Ugento dove, per un lungo periodo di tempo, mi sono impegnato a condurre per mano le nuove generazione e ad aprire loro i tesori nascosti nella fede in Cristo. Credere in lui è una proposta di vita, un cammino mistagogico, un’educazione permanente. Vivendo a stretto contatto con i ragazzi e i giovani ho voluto far percepire che la fede è vita e che la vita è bella.

La vita, però, ha anche i sui lati imprevedibili e, talvolta, sembra prendere una direzione non prevista. Così, non senza qualche rimpianto, mi sono trovato a lasciare la comunità del Seminario e ad assumere la responsabilità della parrocchia di Tricase. Il clima effervescente che si respirava nel post-concilio e la frequentazione di sacerdoti e laici dotati di una forte personalità hanno impresso un’altra svolta alla mia vita. Mi è parso più chiaro che la fede deve diventare anima della società e deve innestarsi nel tessuto di un popolo, trasformando dal di dentro la cultura e i valori di riferimento. Ho vissuto poco tempo in questo nuovo ambiente, ma quelli anni sono stati “travolgenti”, e hanno acceso un fuoco incontenibile, un amore appassionato e sconvolgente.

Per questo, quando mi hanno chiesto di trasferirmi a Molfetta, non è stato facile lasciare la “mia” gente e quel mare accogliente come un grembo materno e forte come un leone ruggente. Prima di partire, sono andato lungo il molo a cantare il mio amore e la struggente tristezza dell’addio. Come due innamorati ci siamo scambiati reciproca ed eterna fedeltà e abbiamo pattuito che, certo, ben presto ci saremmo rivisti. Sapevamo di non poter fare a meno l’uno dell’altro. Ci siamo detti che la “lontananza non è come il vento” e che la ”distanza non fa dimenticare chi si ama”. Quella sera (ma era già notte avanzata) è stato molto difficile staccarsi da quel posto incantevole. Non so bene come sono riuscito percorrere la strada del ritorno a casa.

Mentre mi dirigevo a Molfetta, pensavo a queste cose e mi confortava il fatto che anche lì avrei trovato il mare. Ma (ognuno lo comprende) c’è mare e mare! Tuttavia, quasi volendo ingannare me stesso, dicevo che, a ben vedere, l’acqua è sempre la stessa e che la somiglianza, talvolta, annulla la differenza. Ho imparato così ad amare la nuova compagnia. E questa resa obbediente alla Voce mi ha consentito di comprendere che la fede deve assumere la forma di “segno” e di “servizio incondizionato verso tutti”.

Così, quasi per caso e senza un progetto ben definito in partenza, pur se coltivato lungamente nel cuore fino a farlo diventare motto del mio nuovo servizio ministeriale, mi sono imbattuto in una numerosa serie di “nuovi amici”. Li ho incontrati nei posti più diversi, dove non avrei mai pensato di poterli incrociare: abbandonati sopra la panchina di un giardino pubblico, nascosti sotto una barca rovesciata sulla riva del mare, accasciati sulla soglia di un portone di un palazzo, addossati accanto alle porte di bronzo delle Chiese. (Non si è mai capito se erano le porte a sostenerli o se erano loro a mantenere saldi gli stipiti e gli architravi di quelle splendide porte). Molti li ho raccolti e li ho portati a casa. Ci siamo affezionati vicendevolmente. Avrei voluto accoglierli tutti. Sapevo con certezza che ognuno di loro, pur se all’apparenza poteva sembrare un “palazzo diroccato e di poco pregio”, in realtà aveva il valore di una “cattedrale divenuta basilica maggiore”.

Lo confesso candidamente: questi gesti non sono stati condivisi da tutti. Non sempre sono stato compreso. Talvolta gli equivoci e le diffidenze sono state molto resistenti. Non nascondo che alcuni giudizi, taglienti e affilati come lame che penetrano nella carne viva, hanno provocato in me non poche ferite. Avevo però la chiara coscienza di percorre il sentiero che mi era stato indicato. Non quello scelto da me, ma quello sussurrato dalla Voce. E questo mi ha dato fiducia. Così ho continuato ad amare tutti “fino alla fine”, fin quando mi sono “ammalato d’amore”! La follia dell’amore non si può spiegare se non a chi è disponibile a lasciarsi afferrare e consumare dall’amore.

Mentre farneticavo, roso dal dolore e dalla malattia, mi sembrava di aver “combattuto la buona battaglia e aver conservato la fede”. Nei momenti di lucidità, ho affidato il giudizio sulla mia vita a chi ha più sapienza di me.

Se ho desiderato fare ritorno al mio paese è soprattutto per riposare per sempre accanto a mia madre. Tremavo di tenerezza al pensiero che avrei potuto ascoltare, ancora una volta come facevo da bambino, il suo caldo respiro e l’incantevole suono delle sue dolcissime nenie.

Mi sembrava giusto ritornare nel luogo da cui ero partito per radicarmi in modo più profondo nella mia terra e piantare il seme della speranza lì dove essa mi era apparsa come stella che orienta il cammino.

Avevo visto fin da piccolo la sua luminosa bellezza. Non era la luce di una qualsiasi speranza, ma di quella che si staglia sulla croce e poggia sulla roccia, su Cristo Risorto, l’unico che ha il potere di spalancare la porta dell’eternità dalla quale è possibile accedere a quell’amore che brucia come un fuoco inestinguibile.

Piantato come un seme nella nuda terra, ho continuato ancora a sognare e, per quanto mi è possibile, a trasmettere le utopie della fede che hanno dato sapore alla mia vita. Ed è da quel nascondiglio sotterraneo, cari amici, che vi ho scritto questa lettera. Ho pensato di indirizzarla a Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, perché la faccia pervenire a tutti voi.

Siatene certi: non vi ho dimenticati. Vi porto tutti nel cuore. Per questo vi saluto con affetto. Custodite anche voi, nel vostro animo, il ricordo della mia persona. Così il dialogo potrà continuare e trovare vie di accesso più segrete e personali.

Non dimenticate, però, di dire a tutti, anche a nome mio, che la vita è bella e che la speranza non delude!

Se potete, venite a trovarmi. Sarà bello continuare a frequentarci e ad apprezzare, nel silenzio della preghiera, l’inestimabile valore della fede, perla preziosa per la quale vale la pena di lasciare ogni altra cosa. Non sciupatela, ma arricchitela con la vostra testimonianza. Il mondo ne ha un grande bisogno.

Vi saluto con affetto. Vi voglio bene!

Vostro don Tonino


Alessano

Sea & Rivers, Puglia e Salento Plastic Free

Sabato 27 e domenica 28 settembre volontari in azione per la tutela di mari, fiumi e corsi d’acqua. Oltre 260 eventi in tutta Italia. In Salento appuntamenti ad Alessano, Campi Salentina, Casarano, Cutrofiano, Guagnano, Taurisano e Castro 

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Torna l’onda blu dei volontari Plastic Free: sabato 27 e domenica 28 settembresi svolgerà in tutta Italia “Sea & Rivers”, il grande evento dedicato alla tutela di mari, fiumi e corsi d’acqua,promosso da Plastic Free Onlus, con il patrocinio morale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e in collaborazione con MINI Italia.

Saranno ben 28 gli appuntamenti in Puglia, uno dei numeri più alti a livello nazionale, distribuiti tra sabato e domenica, grazie all’impegno della rete capillare di referenti territoriali e all’entusiasmo dei volontari.

«Il nostro è ormai un appuntamento ricorrente e siamo felici di vedere coinvolti un numero sempre maggiore di referenti», dichiara Luigi Schifano, referente regionale Plastic Free Puglia (è di Castro, NdR), «ancora più importante è poter contare sulla collaborazione di amministrazioni comunali, associazioni locali e volontari: un segnale concreto della crescente sensibilità ambientale del nostro territorio. Il nostro obiettivo resta quello di non dover più intervenire, perché significherà che non ce ne sarà più bisogno. La strada è ancora lunga, ma il percorso che stiamo seguendo è quello giusto.

Sabato 27 settembre si terranno iniziative di clean up ad Alessano, Bisceglie, Francavilla Fontana, Campi Salentina, Putignano, Fasano, Bitonto, Laterza, Gravina in Puglia, e in Castellana Grotte, dove è prevista una passeggiata ecologica.

A Monopoli si svolgerà invece una raccolta mozziconi.

Domenica 28 sarà una giornata di mobilitazione ancora più ampia.

Nella provincia di Lecce sono previste attività a Casarano, Cutrofiano, Guagnano, Taurisano e Castro (passeggiata ecologica).

«In un momento storico in cui i mari stanno soffocando sotto il peso dei nostri scarti, Sea & Rivers rappresenta un grido collettivo di speranza e di azione», dichiara Luca De Gaetano, fondatore e presidente di Plastic Free Onlus, «le nostre iniziative dimostrano che invertire la rotta è ancora possibile. In appena sei anni, abbiamo organizzato più di 8.800 appuntamenti in Italia, rimuovendo oltre 4,6 milioni di chili di plastica e rifiuti. Ora è il momento di fare ancora di più».

Al centro dell’azione di Plastic Free c’è la lotta alla plastica: secondo le previsioni, entro il 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci, con conseguenze devastanti per la biodiversità marina e per la stessa catena alimentare umana.

Si stima che l’80% della plastica presente nei mari provenga da fonti terrestri, in particolare dai fiumi, che ogni anno riversano tra 1,15 e 2,41 milioni di tonnellate di rifiuti plastici.

In Italia, un monitoraggio condotto su 12 fiumi ha rivelato che l’87% dei rifiuti fluviali contiene plastica, di cui oltre il 38% è plastica monouso.

Non si tratta solo di un problema visibile e ambientale. Studi scientifici recenti hanno rilevato la presenza di microplastiche e nanoplastiche nel sangue, nei polmoni, nel latte materno e nei tessuti umani, a conferma della pervasività di un’emergenza che riguarda non solo l’ambiente ma anche la salute pubblica.

Anche quest’anno MINI Italia rinnova il suo supporto all’iniziativa con il progetto “MINI for the Planet”, che esprime l’impegno concreto del brand per la salvaguardia dell’ambiente, condividendo con Plastic Free i valori di responsabilità e partecipazione attiva.

«Invitiamo tutti i cittadini, le famiglie, le associazioni, le scuole e le imprese a unirsi a noi», aggiunge De Gaetano, «basta andare su www.plasticfreeonlus.it/eventi, scegliere l’appuntamento più vicino e iscriversi gratuitamente. Ogni singola azione conta, ogni persona può fare la differenza. Il nostro Pianeta ci sta chiedendo aiuto: è tempo di rispondere».

Plastic Free Onlus è un’associazione di volontariato nata nel 2019 con l’obiettivo di informare e sensibilizzare cittadini e istituzioni sul pericolo dell’inquinamento da plastica. In pochi anni è diventata una delle realtà più attive in Italia in ambito ambientale, grazie a una rete capillare di referenti territoriali, progetti educativi nelle scuole, collaborazioni istituzionali e campagne di pulizia in tutto il Paese.

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Alessano

Parte da Alessano la carovana della Pace che attraversa la Puglia

Domani, 11 settembre, un momento di preghiera sulla tomba di Don Tonino Bello e poi la tappa a Tricase

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Peace at Work – “L’Italia del lavoro costruisce la pace”, la nuova campagna delle ACLI per promuovere la pace, il disarmo e la giustizia sociale a partire dal mondo del lavoro con la sua carovana arriverà con il Presidente Nazionale Emiliano Manfredonia in Puglia, nelle province di Lecce, Brindisi, Taranto e Foggia rispettivamente l’11, 12, 13 e 15 Settembre.

La carovana passerà per i luoghi simbolo della questione sociale e del lavoro, con un percorso a tappe, invocando fiducia e coraggio in risposta alle guerre. La carovana della pace è partita da Palermo il giorno 2 Settembre, attraverserà circa 60 città italiane e si concluderà il 10 dicembre a Milano.

Obiettivo del tour sarà quello di agire nei luoghi della quotidianità: scuole, fabbriche, cooperative, cantieri, campi agricoli, università, ospedali. Sono i contesti del lavoro dove ogni giorno si costruiscono dignità, coesione, cura, sapere e comunità. Luoghi in cui si vive direttamente l’impatto delle scelte economiche, che oggi più che mai devono rimettere al centro la persona, contrastando l’idea tossica secondo cui “la guerra fa bene all’economia”.

Per la Puglia è una grande opportunità accogliere la carovana della pace dichiara Vincenzo Purgatorio, presidente Acli Puglia nella Terra di Don Tonino Bello e luogo di pace e di incontro tra oriente ed occidente. Vogliamo rimettere al centro il lavoro, la dignità, la legalità e la comunità come strumenti per disarmare i cuori e costruire il futuro. Sarà un’esperienza unica con il coinvolgimento di amministratori pubblici, espressioni del mondo lavoro, cittadini e intere comunità. Sarà un momento di festa ma anche di grande riflessione e attenzione con al centro la pace ed il lavoro”.

La tappa leccese

Giovedì 11 settembre

Ore 11.00 Cimitero di Alessano: preghiera sulla tomba di Don Tonino Bello

Ore 12.00 Fondazione Don Tonino Bello

Ore 12.30 Comune di Tricase

Ore 13.00 Pranzo solidale c/o la mensa della Caritas diocesana

Ore 17.30 Hospice Casa di Betania – Processione giubilare dall’Hospice all’ospedale Card. Panico.

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Alessano

Osare la Pace

In preghiera sulla tomba di don Tonino Bello ad Alessano. Domani dalle 20 quando, alla presenza del vescovo mons. Vito Angiuli, il prefetto Nicolino Manno leggerà la “Preghiera sul molo”

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In Preghiera per la Pace sulla tomba di don Tonino Bello che ha lottato fino all’ultimo proprio per la Pace.

Per domani (mercoledì 10 settembre), alle 20, nel cimitero di Alessano, la Prefettura di Lecce e la Diocesi di Santa Maria di Leuca organizzano un “Incontro di preghiera per la Pace”.

Dopo l’introduzione di mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento e Santa Maria di Leuca, il prefetto di Lecce Natalino Manno, leggerà la “Preghiera sul molo” di don Tonino Bello.

Seguiranno un canto mariano del giovanissimo Salvatore De Giorgi e la Recita del Santo Rosario a cura di Giuseppe Afrune e don Domenico Carenza.

Don Tonino Bello è passato alla storia non solo per le sue piccole grandi azioni quotidiane, a sostegno degli ultimi, che curava e faceva alloggiare nel Vescovado di Molfetta, ma anche perché il 7 dicembre del 1992, quattro mesi prima di morire, salpò assieme ad altri 500 da Ancona alla volta di Sarajevo, per chiedere una tregua anche solo di poche ore, facendo scudo con il proprio corpo.

La nave venne colta da una tempesta e arrivò con diverse ore di ritardo.

Le trattative con i capi militari furono lunghe ed estenuanti.

Ma lungo il cammino per Sarajevo, don Tonino Bello raccontò “l’inizio di un miracolo umano”.

Gli autisti croati dei pullman malandati su cui viaggiavano i 500 volontari, vennero invitati a casa dai serbi per essere rifocillati.

Lo stesso don Tonino venne invitato da un uomo che stava dando il pranzo funebre per la morte di suo padre.

«Sono entrato e mi ha detto: “Io sono serbo, mia moglie è croata, queste mie cognate sono musulmane, eppure viviamo insieme da sempre e ci vogliamo bene. Perché questa guerra? Chi la vuole?».

I 500 entrarono a Sarajevo l’11 dicembre ad un orario impossibile: quello più pericoloso a causa dei cecchini.

Ma nessuno sparò contro di loro.

Il girono dopo don Tonino tenne un discorso memorabile  in un cinema buio e gelido davanti a vari capi religiosi e don Renato Sacco, consigliere di Pax Cristi, riuscì a registrarlo di nascosto consegnandolo alla storia.

Come San Francesco 800 anni prima, aveva fatto scudo con il suo corpo per arginare la guerra tra Crociati e Musulmani.

«Questa è la realizzazione di un sogno», disse il vescovo col grembiule, «di una grande utopia che abbiamo tutti portato nel cuore, probabilmente sospettando che non si sarebbe realizzata. Ma ringrazio il Signore che, attraverso il nostro gesto folle, ha realizzato l’utopia. Queste forme di utopia dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? Sono solo le notaie dello status quo, non le sentinelle profetiche che annunciano tempi nuovi. Siamo abituati a pensare che “osare” sia il verbo del combattere, quando per morire e ammazzare ci vuole coraggio, invece è la pace che va osata e che davvero richiede coraggio».

Osare la Pace, appunto.

Partendo dalla preghiera sulla tomba di don Tonino e chiedendo la fine di tutti i conflitti di questa guerra mondiale a pezzi.

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Papa Francesco in preghiera sulla tomba di don Tonino durante la visita in Salento dell’aprile 2018

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