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Lecce

CGIL: la Camusso a Lecce

“Il piano del lavoro nel Salento: crescita, sviluppo, welfare, fisco e legalità”.

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Convegno provinciale della CGIL a Lecce con la presenza del segretario generale Susanna Camusso. Appuntamento martedì 21 maggio, alle 17, presso l’Hotel Hilton Garden INN in via Cosimo de Giorgi, 62 a Lecce. Il convegno verterà sul tema “Il piano del lavoro nel Salento: crescita, sviluppo, welfare, fisco e legalità”. Dopo la relazione introduttiva del segretario leccese Salvatore Arnesano e i saluti istituzionali del Prefetto Giuliana Perrotta, del presidente della Provincia Antonio Gabellone e del sindaco di Lecce Paolo Perrone, via alla tavola rotonda per la discussione del tema in oggetto. Parteciperanno Leo Caroli (assessore regionale al lavoro), Teresa Bellanova (Deputata), Piernicola Leone De Castris (presidente Confindustria Lecce), Alfredo Prete (presidente Camera del Commercio di Lecce), Gianni Forte (segretario generale CGIL Puglia), Valdo Mellone (Asl Lecce) e Diego Lazzari (Direttore di Confartigianato Lecce). Coordineranno i lavori i giornalisti Danilo Lupo e Stefano Lopetrone. Le conclusioni saranno affidate proprio al segretario generale della CGIL Susanna Camusso.

Approfondimenti

Lupini, carrubi e fichi i migliori figli spuri della terra salentina

Non c’è che dire, ieri, in un modello esistenziale più semplice, si aveva interesse, e attenzione, anche per beni “poveri” ma, con ciò, non meno utili di altri; oggi, il concetto di valore si è in certo senso ripiegato su se stesso e finalizzato a obiettivi e orizzonti di tutt’altra stregua, fra cui miraggi a portata di mano…

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di Rocco Boccadamo

Sono frutti, prodotti, derrate, cui, adesso, si annette rilievo scarso, se non, addirittura nullo; si è quasi arrivati a ignorarne l’esistenza, la cura e l’uso.

Sulla scena delle risorse agricole locali, resistono appena, con alti e bassi, le granaglie, le olive, l’uva, gli agrumi, gli ortaggi e/o verdure.

Lupini, carrube e fichi sono, insomma, divenuti figli minori e spuri della terra, le relative coltivazioni appaiono rarefatte e, di conseguenza, i raccolti trascurati o abbandonati. Mentre, sino alla metà del ventesimo secolo ma anche a tutto il 1960/1970, rappresentavano beni indicativi per i bilanci delle famiglie di agricoltori e contadini ed elementi di non poco conto per le stesse, dirette occorrenze alimentari.

I primi, della sottofamiglia delle Faboidee, al presente richiamati solo sulla carta e nelle enciclopedie come utili ai fini della decantata “dieta mediterranea”, si trovavano diffusi su vasta scala, specialmente nelle piccole proprietà contadine attigue alla costiera, fatte più di roccia che di terra rossa, si seminavano automaticamente e immancabilmente senza bisogno di soverchia preparazione del terreno, né necessità di cure durante il germoglio e la crescita delle piante, dapprima in unità filiformi, poi robuste e ben radicate sino all’altezza di metri 1 – 1,50, recanti, alla sommità, rudi baccelli contenenti frutti a forma discoidale, compatti, di colore fra il giallo e il beige – biancastro.

Al momento giusto, le piante erano divelte a forza di braccia e sotto la stretta di mani callose e affastellate in grosse fascine o sarcine. A spalla, i produttori trasportavano quindi tale raccolto nel giardino o campicello, con o senza aia agricola annessa, più prossimo alla casa di abitazione nel paese, lasciandolo lì, sparso, a essiccare completamente sotto il sole.

Dopo di che, avevano luogo le operazioni di separazione dei frutti dai baccelli e dalle piante, sotto forma di sonore battiture per mezzo di aste e forconi di legno. Diviso opportunamente il tutto, con i già accennati discoidi, si riempivano sacchi e sacchetti.

Il prodotto, in piccola parte, era conservato per le occorrenze, diciamo così, domestiche: previa bollitura e aggiuntivo ammorbidimento e addolcimento con i sacchetti tenuti immersi nell’acqua di mare, i lupini diventavano una sorta di companatico o fonte di nutrimento di riserva e, in più, servivano ad accompagnare i “complimenti”, consistenti in panini, olive, sarde salate, peperoni e vino, riservati, in occasione dei ricevimenti nuziali, agli invitati maschi. Invece, l’eccedenza, ossia la maggior parte del raccolto, era venduta a commercianti terzi.

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Le carrube sono i favolosi e bellissimi pendagli, color verde all’inizio e marrone sul far della maturazione, donatici dagli omonimi maestosi alberi, taluni di dimensioni monumentali, tutti affascinanti.

Anche riguardo alle carrube, non si pongono attenzioni particolari, salvo periodiche potature delle piante, i frutti si raccolgono, al momento, purtroppo, da parte di pochi, attraverso tocchi con aste di legno, un’operazione denominata abbacchiatura, come per le noci.

Il prodotto, copioso e abbondante ad annate alterne e riposto in sacchi di juta, oggi è indirizzato esclusivamente alla vendita a terzi; al contrario, in tempi passati ma non lontanissimi, le carrube, dopo l’essiccazione al sole, erano in parte abbrustolite nei forni pubblici del paese e, conservate in grossi pitali in terracotta, insieme con le friselle e i fichi secchi, componevano le colazioni e, in genere, i frugali pasti in campagna dei contadini.

Piccola nota particolare, d’inverno, poteva anche capitare di grattugiare le carrube e, mediante la graniglia così ottenuta mescolata con manciate di neve fresca (beninteso, nelle rare occasioni in cui ne cadeva), si realizzava un originale e gustoso dessert naturale e sano.

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I fichi, al momento, purtroppo, lasciati, in prevalenza, cadere impietosamente ai piedi degli alberi, erano, una volta, oggetto di una vera e propria campagna di raccolta, ripetuta a brevi intervalli in genere sempre nelle prime ore del mattino, con immediato successivo sezionamento (spaccatura) dei frutti e disposizione dei medesimi su grandi stuoie di canne, “cannizzi”, e paziente fase di essiccazione sotto il sole.

Allo stesso modo delle carrube, in parte erano poi cotti nei forni e andavano a integrare le fonti dell’alimentazione famigliare, in parte erano somministrati agli animali domestici, in parte, infine, erano venduti.

Soprattutto, se non proprio, per i fichi, le famiglie avevano l’abitudine, in luglio e agosto, di spostarsi fisicamente dalle case di abitazione nel paese, nelle piccole caseddre di pietre situate nelle campagne, cosicché si risparmiavano le ore occorrenti per l’andata e il ritorno di ogni giorno a piedi e avevano, in pari tempo, agio di attendere direttamente e più comodamente a tutte le fasi della descritta raccolta.

Non c’è che dire, ieri, in un modello esistenziale più semplice, alla buona e intriso di spontanea connaturata operosità, si aveva interesse, e attenzione, anche per beni “poveri” ma, con ciò, non meno utili di altri; oggi, il concetto di valore si è in certo senso ripiegato su se stesso e finalizzato a obiettivi e orizzonti di tutt’altra stregua, fra cui miraggi a portata di mano.

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Appuntamenti

La fiamma olimpica arriva a Lecce e in molti Comuni del basso Salento

I tedofori designati, che porteranno la torcia olimpica, saranno Fefè De Giorgi, Olsi Paja e Stefano Petranca…

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Domani, lunedì 29 dicembre 2025, Taranto accoglierà la fiamma olimpica, per poi proseguire a Lecce e provincia.

Il 30 dicembre, infatti, sarà a Lecce (dalle 17 alle 19,30) e in alcuni comuni del Salento, prima di proseguire la marcia dei tedofori verso Brindisi.

Sarà a Nardò (dalle 9,25) per poi passare da Gallipoli (dalle 11 alle 13). Poi si dirigerà a Presicce-Acquarica (intono alle 13), poi ancora a Maglie (alle 15:30) e ad Otranto (16:30), prima dell’arrivo a Lecce, dove ci sarà la celebrazione dell’accensione del braciere a Porta Napoli. 

I tedofori designati, che porteranno la torcia olimpica, saranno Fefè De Giorgi, Olsi Paja e Stefano Petranca.

Musica e danza della “Notte della Taranta” faranno da cornice per il passaggio della fiamma olimpica. 

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Appuntamenti

Il 30 e 31, a Lecce, due serate con Pop Out Festival, Roy Paci e Aretuska

Piazza Sant’Oronzo, con il suo straordinario valore storico e simbolico, diventa così una scenografia naturale che unisce musica, architettura e identità urbana, offrendo a cittadini e visitatori un’esperienza culturale autentica

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Lecce si prepara a salutare il 2025 e ad accogliere il nuovo anno con due grandi appuntamenti musicali nel cuore della città. Il 30 e 31 dicembre, Piazza Sant’Oronzo diventa il palcoscenico dei concerti di Capodanno, inseriti nel programma LeccèFesta 2026 e nel più ampio progetto regionaleCapodanni di Puglia, promosso in collaborazione con ARET Pugliapromozione.
Il programma prevede due serate di musica dal vivo, gratuite e aperte a tutti, capaci di parlare a pubblici diversi e di valorizzare linguaggi artistici contemporanei e identità territoriali.
Martedì 30 dicembre è in programma il Pop Out Festival, appuntamento dedicato in particolare alle giovani generazioni. Ospite principale della serata sarà Mida, artista tra i più seguiti della nuova scena pop italiana, preceduto dal live di Ascanio e dalle esibizioni dei ragazzi di Leccègiovani: giovani dj e musicisti del territorio. Una serata pensata per valorizzare il protagonismo giovanile e promuovere un’idea di intrattenimento consapevole e inclusivo.
Mercoledì 31 dicembre, la notte di San Silvestro, Lecce festeggerà l’arrivo del 2026 con un grande concerto che unisce radici mediterranee e sonorità internazionali. Sul palco di Piazza Sant’Oronzo saliranno gli Avvocati Divorzisti, i Crifiu, con il loro Community Tour, seguiti dal live di Roy Paci eAretuska, per una lunga notte di musica, festa e condivisione che accompagnerà il pubblico fino allo scoccare della mezzanotte.
Piazza Sant’Oronzo, con il suo straordinario valore storico e simbolico, diventa così una scenografia naturale che unisce musica, architettura e identità urbana, offrendo a cittadini e visitatori un’esperienza culturale autentica.
Una visione che guarda al Capodanno non solo come momento di festa, ma come leva di sviluppo, promozione territoriale e crescita economica per l’intero territorio.
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