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Attualità

Ambasciatore di pace e del Salento

Staffan De Mistura: «Amo il Salento e sono l’ambasciatore di tanti forestieri che hanno deciso di venire qui perché amano questa terra e, ancor di più, la sua gente davvero speciale…»

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L’Ambasciatore italo-svedese Staffan De Mistura ha scelto il Salento e l’hinterland di Tricase per il suo buen retiro. Già inviato dell’Onu in Iraq, in Afghanistan, in Libano e, da ultimo, in Siria (2014-2018), nel suo lungo impegno al servizio della pace presso le Nazioni Unite, ha accettato volentieri di prendere la parola nel corso della quinta edizione della Notte dei Sensi svoltasi il 26 luglio scorso al Mamma Li Turchi di Tricase Porto.


«Sono qui nel Salento perché amo questa terra e non sono il solo», ha tenuto a precisare, «in questo caso sono l’ambasciatore di tanti forestieri che hanno deciso di venire qui perché amano questa terra e, forse, ancor di più la sua gente, davvero speciale! Diventa ancora più speciale quando fa squadra come accaduto in occasione della Notte dei Sensi: varie entità che non si fanno concorrenza ma si aiutano e vogliono far si che qui si facciano delle cose speciali come gelati buonissimi, vestiti o gioielli bellissimi e vengano fuori serate straordinarie come quella che stiamo vivendo. Tutto questo vale la nostra ammirazione».


Di recente è stato anche insignito del Premio annuale dell’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, destinato a personalità che hanno contribuito a rafforzare l’immagine dell’Italia nel mondo. De Mistura è, però, un servitore di valori universali, dell’umanità, non di Stati o di organizzazioni.


Di storie, purtroppo anche di brutture, ne ha da raccontare a centinaia. Una in particolare: quando decise di fare arrivare cibo e medicinali alla città di Dubrovnik, stretta da assedio dalle forze serbe, durante la guerra jugoslava. Come andò esattamente?



«La vecchia Ragusa è una bellissima città di mare, che era assediata da tutti i lati : era nostro compito intervenire e salvarla. La vera avventura è stata quella di rompere l’assedio con delle navi che hanno portato fuori donne, bambini e feriti. Le navi erano militari, una italiana ed una francese, e durante il loro andirivieni gli altri non potevano sparare. Il segreto? È stato quello di fare un movimento frenetico, continuo, per 42 giorni in maniera tale che l’assedio non potesse continuare. Io sono stato lì per 43 giorni e sono anche stato costretto a lavarmi con la birra perché non c’era acqua, così come non c’erano tante altre cose. L’assedio era biblico e chi ha salvato la città sono state le donne di Dubrovnik le quali, ad un certo punto hanno deciso di tenere un concerto di musica classica nel mezzo dei bombardamenti per dimostrare che si poteva bombardare quanto si voleva  ma non si sarebbe mai potuto distruggere la loro cultura. In quel momento sono stato fiero di essere con loro»


Era l’ottobre del 1991. Appena qualche mese dopo, il 7 dicembre del 1991, nonostante le sue precarie condizioni di salute, don Tonino Bello volle marciare alla testa di 500 persone dalla Puglia fino a Sarajevo da dove arrivavano notizie allarmanti.

Senza voler essere irriguardosi, nei confronti di alcuno, ognuno dei due, a modo suo, con i suoi mezzi ha operato in nome della stesso ammirevole scopo: la pace.


Nel sud del mondo alcuni conflitti paiono eterni e senza soluzione. Quanto, invece, è veramente a rischio la pace anche nei paesi occidentali?


«La natura umana purtroppo è portata alla guerra da quando l’uomo esiste. Quello che si può fare è cercare di interferire con la violenza ai civili. Se i militari vogliono continuare a fare la guerra come hanno fatto per millenni, almeno i civili non vengano toccati. Questa è stata un po’ la mia missione: rompere le scatole a chi fa la guerra ai civili e, vi assicuro, l’ho fatto molto spesso».


Il multilateralismo, cioè la cooperazione come strumento di pace e di governabilità, è in fase di rigetto per nazionalisti e sovranisti, che sfruttano in un’epoca di crisi la xenofobia, la paura e la cupidigia. Condivide questa affermazione? «Non interferisco con temi di politica interna nè italiana nè di altri Paesi. Posso solo dire una cosa: ci sono crisi e problemi che nessuno Stato sovrano o non sovrano, grande o piccolo, Stati Uniti o Russia che sia, può risolvere da solo. Esempi? Ebola, Aids, Ambiente. Per questi ci sarà sempre bisogno di fare squadra».


Concordando che, storicamente, l’uomo è l’unico animale che non impara dai propri errori, vorremmo fare nostro e se possibile condividere con tutti un messaggio bellissimo che persone come Staffan De Mistura e tante altre, da Papa Francesco in giù continuano a lanciarci: non perdiamo mai la capacità di indignarci: «Avevo 17 anni», ricorda l’Ambasciatore, «ero innamorato di una giovane ragazza, avevo le mie vacanze che allora facevo a Capri mentre ora preferisco il Salento»), quando mio padre mi convinse a lasciare tutto per andare volontario, a nostre spese, a Cipro con l’Onu. Accompagnavo dei funzionari nei pressi della cosiddetta linea verde che divide la parte turca da quella greca, quando vidi un bambino di 8 anni colpito al collo da un cecchino. È stata la prima volta che ho visto qualcuno morire e la mia reazione fu di orrore e di sano sdegno. Sdegno che mi ha portato a dire: dedicherò me stesso a rendere la vita ed il lavoro complicato a chi uccide i civili, e così è stato. Lo sdegno», conclude De Mistura, «dobbiamo sentirlo per ogni ingiustizia. Se comincia a scemare vorrà dire che avremo accettato qualsiasi cosa».


Giuseppe Cerfeda


Approfondimenti

“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…

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di Luigi Zito

Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.

E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.

Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.

Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.

Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.

Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.

Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.

Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.

Ricordiamocene.

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Approfondimenti

L’ambasciatore Cristina: “Ho conosciuto Putin e il Dalai Lama, che esperienze”

«Il Salento, è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate a Tricase, per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere”…

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di Ercole Morciano

Cristina Funes-Noppen è ambasciatore onorario del Belgio (lei stessa preferisce l’appellativo di ambasciatore a quello di ambasciatrice essendo quest’ultimo usato per indicare la moglie dell’ambasciatore, NdR), e da un po’ di tempo vive buona parte dell’anno in Salento, a Tricase, dove ha comprato un’antica dimora, quasi attaccata alla chiesa matrice, adattandola ai suoi bisogni,

Figlia di ambasciatore ha seguito le orme paterne e dopo gli studi accademici a carattere diplomatico ha percorso la sua carriera come ambasciatore del Belgio in numerosi Paesi nei vari continenti tra cui Zambia, Kenya, India, Tailandia, Marocco, Austria e Argentina, senza dimenticare che in tutte le sue destinazioni, come ambasciatore residente, copriva anche larghe giurisdizioni riguardanti altri vari Paesi.

È stata anche coordinatore di tre direzioni al ministero degli affari esteri: Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite e Disarmo.

Ha ricoperto inoltre le funzioni di rappresentante permanente presso l’O.N.U e di commissario speciale per la cooperazione e lo sviluppo.

Dopo aver seguito le orme paterne in ambito professionale, l’ambasciatore segue ancora oggi le inclinazioni della madre, Maria Noppen De Matteis, pittrice e “star mondiale del surrealismo anche se poco conosciuta in Puglia” (bari.repubblica.it > cronaca 2022/12/19 news).

Nata nel 1921 nel castello baronale dei Sauli di Tiggiano, cui apparteneva la madre, dove le è stato allestito un museo permanente delle sue opere, Maria Noppen De Matteis, verso la fine degli anni ’50 e i primi ’60, d’estate villeggiava col marito e la figlia Cristina a Tricase-Porto, nella casa di Angelico Ferrarese, posta in una splendida posizione panoramica e vicina al villino di Gaetano Sauli, suo parente.

La giovanissima Cristina (Cri-Cri per le amiche e gli amici) era bionda, solare, molto bella, vivace, dal sorriso incantevole che “faceva girare la testa” ai giovanissimi rampolli delle famiglie-bene di Tricase-Porto in quel periodo caratterizzato dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere.

La vena artistica di Cristina Funes-Noppen ne fa un personaggio veramente eclettico e sorprendente perché, oltre a dipingere, ella scrive con successo, in francese, romanzi e saggi storico-letterari dai quali traspare la sua speciale cultura maturata a diretto contatto con i popoli delle nazioni dove ha esercitato il ruolo diplomatico.

Gli ultimi suoi due romanzi, editi nel 2023 e nel 2025, si intitolano “Ils étaient six” e l’altro “Équivoques”. Il primo, narra la vicenda dei criminali nazisti che alla fine della II guerra mondiale si nascosero in Argentina.

La trama si svolge a sud delle Ande, in piena cultura “quechua” e consente al lettore, in filigrana, di seguire l’evoluzione politica dell’Argentina negli anni 1945-1983.

L’ultimo, contiene quattro romanzi gialli che danno informazioni su diversi Paesi, Kenia, India, Thailandia e un dialogo spiritoso sulla morte.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

Perché il Salento e Tricase?

«Il Salento è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più – ma ci sono i miei cugini, è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere malgrado le mie molte peregrinazioni nel mondo, è infine la terra dove mi sento a casa. Nonostante la mia nazionalità belga sono rimasta profondamente salentina».

È soddisfatta della sua scelta? Ombre e luci?

«Se consideriamo il tipo di vita che si ha qui rispetto a quello di altri Paesi, occorre riconoscere che qui la qualità della vita è più umana. E poi, il patrimonio naturalistico, architettonico, storico, e culturale, nell’insieme, è di alta qualità e ampiamente godibile».

«HO CONOSCIUTO PUTIN»

Tra i diversi Capi di Stato o di governo da lei conosciuti, come racconta nel suo libro Chroniques impertinentes… ancora in carica tra gli altri vi è Vladimir Putin.

«Ho conosciuto Vladimir Putin nel 2001 quando è venuto in visita ufficiale in Belgio. Io ero all’epoca commissario speciale e pertanto fui invitata alla cena di gala. Non ci siamo parlati molto, però mi diede l’impressione che ci teneva ad avere buoni rapporti con l’Europa. Non mi sembrò nemmeno che terrorizzasse i suoi collaboratori.

Di fianco a me era seduto il suo consigliere per le questioni nucleari che aveva abusato della “divina bottiglia”, come dicono i francesi, e pertanto cantava in francese durante tutta la cena suscitando l’ilarità dei commensali, compreso Putin.

Cantando a squarciagola, non dava certo l’impressione di temere il suo presidente, il che non succede normalmente nelle cene ufficiali di gala e tanto meno di fronte a quello che è supposto essere un dittatore sanguinario.

Nella mia carriera ho incontrato vari dittatori e posso assicurare che davanti a loro nessuno dei collaboratori al seguito si sarebbe permesso di cantare».

GLI OSTAGGI

Due aneddoti, uno triste e l’altro lieto, nei suoi ricordi di ambasciatore.

«Il primo, andato a buon fine, riguarda due ostaggi di Medici senza Frontiere presi dall’armata di liberazione del Sud Sudan e liberati dopo una trattativa durata 20 giorni in cui i guerriglieri vollero trattare solo con me, al telefono, di notte.

Non ci chiesero nessun riscatto come invece per ripicca accadde dieci giorni dopo, con un altro ostaggio francese, la cui trattativa durò tre mesi e si chiuse con l’esborso di un’ingente somma di denaro. Questo mi fu precisato, ridendo, dal mio collega francese che pretese che era tutta colpa mia se la SPLA si era rifatta sul suo governo! L’aneddoto triste riguarda invece due belgi, un ragazzo che lavorava per le Nazioni Unite e sua moglie.

Erano spariti da 5 anni e i due miei predecessori non erano riusciti ad avere notizie certe.

I genitori speravano e le autorità pretendevano che fossero ancora vivi. È una storia romanzesca che si svolse in Thailandia e in Cambogia. Da quello che finalmente sono riuscita a scoprire seppi che erano stati uccisi dai Khmer Rossi, forse con la complicità dell’esercito thailandese e eventualmente con risvolti riguardanti il traffico di opere d’arte.

Testardamente impegnata, dopo molte peripezie, e dopo aver insistentemente discusso con i due re, Shianouk e Bhumipol, fui messa in contatto con il capo dell’esercito thailandese e con i Khmer Rossi che mi consegnarono le spoglie che io affidai alle famiglie, le quali ebbero almeno la consolazione di sapere cos’era successo ai loro figli e di potere seppellirne i corpi».

IL DALAI LAMA EMETTE UNA ENERGIA POSITIVA

La persona che più ha lasciato traccia nel suo animo durante la lunga carriera diplomatica?

«È stato di certo il Dalai Lama: una persona assolutamente fuori dal comune che emette un’energia positiva straordinaria e trasmette alle persone che incontra una carica di felicità. E ho il privilegio di avere ancora dei contatti sporadici con questo sant’ uomo, grazie al quale la cultura tibetana continua a sopravvivere malgrado l’occupazione della Cina che fa di tutto per eradicarla.

Perciò il Dalai Lama ha deciso che dopo la sua morte non si reincarnerà nel Tibet per evitare che i Cinesi arrestino la sua reincarnazione (che potrebbe essere anche una bambina) e la sostituiscano con una di loro scelta come fecero con il Panchen Lama (figura importante nel buddhismo tibetano).  Il Panchen Lama che si era reincarnato nel Tibet. fu arrestato quando aveva solo 6 anni nel 1995, rimpiazzato con un ragazzino che conveniva alle autorità cinesi e nessuno sa, da allora, dove si trovi il vero Panchen Lama».

Chroniques impertinentes

“…Un libro che si caratterizza per una libertà di spirito, un tono a volte mordace, esotico e cosmopolita. Un libro istruttivo, politicamente scorretto…ma così giusto! Un libro prezioso che deve essere letto da coloro che s’interessano alla diplomazia e agli affari di questo mondo”.

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Attualità

Muore a 54 anni, Sonia Petrachi, assessora a Melendugno.

il Sindaco. “L’amministrazione perde un’assessora estremamente valida, collaborativa e leale dotata di una grande disponibilità all’approfondimento e al pensiero critico ma sempre al fine di costruire e mai di distruggere…”

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Muore a 54 anni, Sonia Petrachi, l’assessore comunale alla Cultura di Melendugno.

Queste le parole del sindaco, Maurizio Cisternino: «La comunità perde una persona straordinariamente altruista e una politica sensibile, infaticabile, attenta, con un altissimo senso delle Istituzioni, e sempre al servizio del bene comune.

L’amministrazione perde un’assessora estremamente valida, collaborativa e leale dotata di una grande disponibilità all’approfondimento e al pensiero critico ma sempre al fine di costruire e mai di distruggere»

L’assessora lottava con un male incurabile che l’ha debilitata fino a portarla alla morte. 

Eletta nel giugno 2022 con la giunta, guidata dal sindaco Cisternino, Sonia Petrachi ricopriva la delega alla cultura, molto attiva in quell’ambito è stat anche l’ideatrice del BluFestival, che ha portato in città un evento di spessore con grandi scrittori di livello nazionale che hanno richiamato un pubblico colto e raffinato. 

Orgogliosa di aver ottenuto un finanziamento per avviare una campagna di scavi sull’Abbazia di San Niceta, luogo al quale era molto legata.

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