Attualità
Spezzoni di vita salentina, sotto l’insegna del tabacco
Antiche sequenze di vita contadina, autentiche pagine di civiltà e di storia, scritte, con matita e tratti di dura fatica, dalla gente di questo Sud
Antefatto: qualche giorno fa, mi è casualmente capitato di visionare, sul computer, un vecchio video in bianco e nero, realizzato dalla RAI nel 1953, dedicato alla coltivazione e alla lavorazione del tabacco nel Salento, a cura del mitico giornalista e inviato Ugo Zatterin, inconfondibile la sua voce, e comprensivo di una serie d’interviste ad abitanti, soprattutto donne, del Capo di Leuca.
Documento, a dir poco emozionante per me, ragazzo di ieri dai radi capelli bianchi e soprattutto, in piccolo, già diretto spettatore, se non protagonista, di antiche sequenze di vita contadina, autentiche pagine di civiltà e di storia, scritte, con matita e tratti di dura fatica, dalla gente di questo Sud.
Ciò, accanto al ricordo ancora fresco delle vicende appena successive alla seconda guerra mondiale e, specialmente, della fase in cui si poneva inarrestabilmente avvio a una grande, radicale riscossa o rivincita.
Una mutazione, tale ultimo evento, affatto effimera e di facciata, accompagnata ed enfatizzata, al solito, da proclami e discorsi di non disinteressati rappresentanti del popolo nelle istituzioni, di qualsiasi schieramento, bensì reale, concreta, solida, progressiva. Tanto, da toccare, in un pugno di stagioni, sì o no un decennio, l’impensabile traguardo, riconosciuto al nostro Paese anche a livello internazionale, del cosiddetto e però autentico miracolo economico.
E, si badi bene, ad aggiuntivo merito degli attori, all’epoca nessun regalo, nessuna congiuntura favorevole, nessuna fase di tassi o cambi o prezzi delle materie prime favorevoli, nessun influsso, insomma, di condizioni propiziatorie, cadute dall’alto o dalla situazione globale.
Unicamente, un’immensa marea d’impegno civile e sociale, frutto di singole personali gocce di sudore, di fatiche intense e immani, d’impegno inconsueto, indescrivibile, una cascata di volontà e dedizione che non conosceva confini, né di orario lavorativo, né di luoghi, né di settori.
Per restare al tema narrativo odierno, il tabacco si appalesava con le sue diffusissime e onnipresenti gallerie di filari, esse stesse intrise di una forza naturale prodigiosamente eccezionale. Giacché i modesti germogli o piantine ricollocati dai vivai nel grembo delle rosse e/o di colore grigio bruno zolle, crescevano, si elevavano sino a raggiungere, talora, l’altezza delle creature umane, uomini, donne, anziani, ragazzi, ragazzini, adolescenti, uno schieramento senza età e senza tempo che accudiva alle piantagioni con amore, a modo suo appassionato, dedicandosi, sperando e, nello stesso tempo, emanando interminabili rosari di stille di sudore.
La storia, o avventura, della coltivazione del tabacco, vengono a mente le sue varietà Erzegovina, Perustizza, Xanti yakà, prendeva abbrivo con l’assegnazione, da parte dei Monopoli di Stato, di un’area prestabilita su cui si poteva piantare, generalmente piccola, quando non sacrificata, secondo le dimensioni delle proprietà agricole dei richiedenti.
Concessione diretta, oppure, nel caso di messa a dimora colturale da svolgersi in regime di mezzadria, indiretta, con la relativa pratica espletata, in tale ipotesi, a cura di grossi proprietari o latifondisti che, a loro volta, trasferivano i permessi ai loro coloni.
A seguire, la semina, con relativi vivai o ruddre contraddistinti anche dalla sistemazione, sui cordoli perimetrali di fertile terra concimata, di centinaia o migliaia di piantine di lattuga (insalata), che in seguito, per, alcuni mesi, avrebbero rappresentato un non trascurabile contributo per la gamma di pietanze delle povere mense contadine.
Poi, la piantagione vera e propria, la zappettatura e, finalmente, il graduale raccolto, partendo, giorno dopo giorno o a brevi intervalli, dalle foglie più basse rispetto al terreno (prima, seconda, terza, quarta, quinta raccolta).
Intanto si susseguivano le stagioni, arrivando ad abbracciare, fra semina e raccolto, una buona metà del calendario, ossia a dire l’arco da fine gennaio ai primi di agosto.
Non sembri retorica, ma, con nostalgia ed emozione, si potrebbe fare un accostamento approssimativo rispetto all’umana gestazione.
In fondo, così come dal seme dei padri e dal grembo femminile si attendeva, come tuttora si aspetta, lo sbocciare e l’arrivo di una creatura sana e bella, parimenti dalla semina del tabacco si restava in attesa, con fiducia e ansia, del germoglio e della crescita di piante/foglie belle, sane, forti e fruttuose.
Un vero e proprio impegno a doppia ripresa, sempre all’insegna della fatica, consisteva nello stacco, di buon mattino, immediatamente dopo l’alba, delle foglie verdi e ancora umide di rugiada dagli steli delle piante, badando a rispettare rigorosamente la platea dei filari; quindi, da metà mattinata, nell’infilaggio delle medesime in lunghe, piccole lance (cuceddre) per la formazione di pesanti file/assemblaggi, che, appese man mano a rudimentali telai di legno (talaretti o tanaretti), sarebbero state a lungo fatte essiccare sotto il sole.
Non senza saltuari interventi delle persone accudenti, sotto forma di corse sfrenate, di fronte a pericoli o imminenza di acquazzoni, onde trasportare le anzidette attrezzature e i preziosi contenuti al coperto di capannoni o rifugi rurali.
Una volta, il prodotto, divenuto secco, con le file si formavano i chiuppi, per rendere l’idea, una specie di grossi caschi di banane, tenuti appesi, per un’altra maturazione o stagionatura del tabacco, ai soffitti dei locali. E, alla fine, lo stivaggio del tutto in grosse casse di legno e la loro consegna, per la lavorazione finale delle foglie, alle “manifatture” o magazzini, in genere gestiti, dietro concessione da parte dei citati Monopoli di Stato, a cura di operatori abbienti, soprattutto proprietari terrieri, dei vari paesi.
All’interno dei magazzini, le donne, in certi casi dalla giovanissima età e sino a raggiungere ragguardevoli carichi di primavere, dopo le fatiche richieste dalla coltivazione e dall’infilaggio delle foglie verdi, riprendevano a lavorare a giornata per due/tre mesi l’anno.
Così, fra una stagione del tabacco e la successiva, si procreavano figli, si stipulavano fidanzamenti e celebravano matrimoni, grazie anche ai nuovi “frabbichi” (case di abitazione), per i giovani maschi, e ai corredi, per le femmine, realizzati proprio mediante i sudati profitti che era dato di trarre dalla coltivazione e vendita del tabacco.
La scenografia dell’attività in parola era anch’essa ambivalente, nel senso che, talora, l’ambientazione rimaneva totalmente circoscritta in loco, nei paesi e nelle campagne del Salento, mentre, in altri e diffusi casi, si spandeva su plaghe distaccate e distanti, a cominciare dagli ultimi territori verso sud ovest della provincia di Taranto, sino a una lunga sequenza di località del Materano.
Nel secondo caso, avevano luogo, mercé l’ausilio di grosse autovetture noleggiate con conducente, vere e proprie migrazioni temporanee di numerosi interi nuclei famigliari: dalla mente di chi scrive, giammai si cancellerà l’immagine delle considerevoli partenze di compaesani marittimesi, per il tabacco, nelle primissime ore del 29 aprile, il giorno immediatamente successivo alla festa patronale di S. Vitale.
Riprendendo l’antefatto al primo rigo delle presenti note, nel documentario di Zatterin, le sequenze erano girate interamente dalle mie parti.
Sennonché, qualche tempo fa, nel compiere un viaggio in auto con i miei famigliari per una breve vacanza sul Tirreno, è stato per me come veder girare ancora un analogo documento, improntato a nostalgia e amore per il sano tempo lontano, che tanto mi ha dato e lasciato e, perciò, mi è molto caro.
Ciò, scivolando lungo la statale 106 Ionica e i primi tratti della 653 Sinnica, e scorrendo e leggendo le indicazioni segnaletiche di Castellaneta, Ginosa, Metaponto, Marconia, Scanzano, Bernalda, Marconia, Pisticci, Casinello, Policoro, Montalbano Ionico e via dicendo.
Non erano, almeno per il mio sentire, meri appellativi di paesi e contrade. Invece, generavano l’effetto d’immagini pulsanti, con attori, non importa se in ruoli di protagonisti o di comparse, identificantisi nella mia gente di ieri e, in fondo, in me stesso.
Rocco Boccadamo
Attualità
Il sindaco di Miggiano dal Papa
Udienza speciale per l’ANCI: Michele Sperti in udienza con Leone XIV
Il primo cittadino miggianese Michele Sperti ha incontrato sua santità Leone XIV nel corso di un’udienza speciale per l’ANCI.
Di seguito le emozioni che il sindaco di Miggiano ha affidato ai social.
“Un’esperienza unica, un’emozione autentica e difficile da descrivere, destinata a rimanere per sempre nel mio cammino umano e istituzionale.
Nel suo sguardo ho colto vicinanza, ascolto e profonda umanità: l’autorevolezza e, insieme, la dolcezza di un grande pastore d’anime.
Ho raccontato al Santo Padre della nostra terra straordinaria che è il Salento e di Miggiano: del capo della direzione sanitaria del Vaticano, nostro concittadino, e che dal nostro paese sono arrivate le scarpe ortopediche per i suoi predecessori.
Un dettaglio semplice, ma ricco di significato, che ha reso ancora più forte il legame tra la nostra comunità e la Santa Sede.
É stato un grande onore, ma soprattutto un’esperienza personale e spirituale profonda che desidero condividere con voi, perché ogni traguardo vissuto da un sindaco appartiene, prima di tutto, alla sua comunità”.
Attualità
Tricase, nuove rotatorie e vecchi pasticci stradali
Non conosciamo quale sia la scelta operata, quale Genio della Lampada abbia pensato bene di ridurre un’arteria principale per il deflusso ordinato del traffico della città…
di Luigi Zito
Si avvicina il periodo delle elezioni e, come sempre, si moltiplicano in città (a Tricase), le opere da completare o quelle da portare a termine: dalle strade da ri-asfaltare a quelle da finire; da quelle da ridisegnare (leggi via Stella d’Italia, i lavori sarebbero dovuti iniziare circa 2 anni fa), a quelle in fase di completamento come via Fratelli Allatini, per intenderci la strada che porta all’ACAIT e alla caserma dei Carabinieri, quella che volge a Caprarica (rione di Tricase), chiusa da ormai un mese, in pieno periodo di feste.
Non conosciamo quale sia la scelta operata, quale Genio della Lampada abbia pensato bene di ridurre un’arteria principale per il deflusso ordinato del traffico della città – quella è la via che accompagna verso il centro chiunque ritorni dalla zona delle scuole, in quella parte insistono tre Istituti scolastici molto frequentati: il liceo Stampacchia, il don Tonino Bello, e l’Istituto comprensivo di via Apulia – , ad un budello, dove si circolerà a senso unico unico di marcia e costringerà i residenti delle vie adiacenti a indire un concorso a premi ed estrazione per trovare parcheggio, uscire di casa in sicurezza e poter anche solo lasciare sull’uscio un secchio dell’immondizia senza il rischio di venire asfaltati.
Già in quella parte della città La Politica di 50-60 anni fa aveva pensato bene di disegnare (e costruire) strade di 6-8 metri di larghezza – forse hanno avuto una premonizione del film Blade Runner, dove le auto volano e atterrano dove occorre – che traslate al mondo d’oggi si sono ridotte ad un parcheggio davanti l’uscio di casa e ad uno spazio asfittico che permette appena di entrare in casa in sicurezza prima che ti “stirino i pantaloni”, ci chiediamo: cosa succederà ora che la circolazione principale dovrà transitare per quei budelli di strade?
Dicevamo del Genio della Lampada e le scelte che ha partorito per la nuova via F.lli Allatini: sarà stato il voler agevolare chi, senza regole, parcheggia a sbafo davanti alle poche attività commerciali che sono in quella parte della città?
Il nuovo marciapiede allargato servirà a far arrivare in sicurezza i dipendenti comunali che, a piedi, transiteranno dal palazzo municipale fino ai nuovi uffici all’interno dell’Acait?
O forse, lo si è fatto per evitare ingorghi, attese e liti con chi si intestardisce a voler continuare a fumare e deve parcheggiare e scendere proprio davanti al tabaccaio per comprare le sigarette, alla faccia di chi rispetta le regole?
Ora che avranno un paio di parcheggi dedicati, la strada a senso unico, e un marciapiede allargato, liti e contese potranno trasferirsi sulle vie attigue, essere declassate a diverbi più amabili, e magari avverrà pure qualche scambio di fiori.
Ora anche i pruriti per il Centro di Gravità Permanente sono venuti a galla – partono i lavori per l’adeguamento dell’intersezione tra le via Pirandello, via Cattaneo e via Aldo Moro, una zona che indubbiamente aveva esigenza di essere messa in sicurezza e di restyling -, la sopita speranza è che lo stesso Genio di cui sopra abbia valutato attentamente quello che sta per fare per quello che è uno snodo centrale per Tricase.
E poi ancora, ci associamo, a quanti nostri lettori ci segnalano da mesi, nel chiedere: chi è obbligato a transitare per quelle vie, quelle percorse e frequentate da decine di pullman che ogni giorno conducono centinaia di studenti (e auto) fino a scuola, via Peano, via Manin, e limitrofe, quando potranno vedere la luce, e viaggiare in sicurezza?
Soprattutto dopo le piogge dei giorni scorsi, strade fuse come emmental d’asfalto, parcheggi a fantasia e guida spericolata sono divenuti il giusto mix per incidenti e rotture di assi.
In tutto questo, dopo aver formulato i miei auguri per l’anno nuovo, nella certezza che qualcuno mi risponderà, lasciatemi spendere una sola parola sulla nuova truppa di Vigili Urbani che lavorano a Tricase: dove sono? Quanti sono? Vivono anche loro la città? Che orari fanno? Come regolano il traffico cittadino? Transitano sulle stesse vie di noi comuni mortali o come in Blade Runner, volano alto?
Attualità
La Caritas esprime preoccupazione per il nuovo gioco d’azzardo “Win for Italian Team”
Quando lo Stato continua a utilizzare l’azzardo come leva fiscale, i cittadini pagano un prezzo altissimo in termini economici, psicologici e sociali…
riceviamo e pubblichiamo
Le quattro Fondazioni Antiusura della Puglia, – Fondazione San Nicola e Santi Medici di Bari, Fondazione Buon Samaritano di Foggia, Fondazione San Giuseppe Lavoratore di Lecce e Fondazione Mons. Vito De Grisantis di Tricase – e le 19 Caritas della Puglia, condividono la grande preoccupazione della Consulta Nazionale Antiusura San Giovanni Paolo II per l’ennesima scelta di introdurre un nuovo gioco d’azzardo “Win for Italia Team”, trasformando ancora una volta la fragilità dei cittadini in una fonte di entrate. È inaccettabile che, di fronte a un’emergenza sociale ormai conclamata, le istituzioni continuino a considerare l’azzardo come una leva fiscale, ignorando deliberatamente le conseguenze devastanti che questo sistema produce nelle famiglie italiane.
Ancora più grave è associare un nuovo gioco d’azzardo all’evento sportivo per eccellenza come le Olimpiadi. Lo sport dovrebbe rappresentare vero divertimento e svago che mette al centro l’impegno individuale e di squadra nel rispetto delle regole e dell’altro, per una crescita personale e collettiva. L’azzardo non ha nulla di tutto questo. Legare il mondo olimpico a un meccanismo che genera povertà significa macchiare un ambito che dovrebbe invece educare, ispirare e dare speranza.
In Italia il gioco d’azzardo ha raggiunto dimensioni allarmanti: la raccolta nazionale ha superato i 157 miliardi di euro, con perdite per i cittadini vicine ai 23 miliardi. Numeri che raccontano un fenomeno trasversale, che compromette anziani, giovani (anche molti minori di età), studenti e le loro famiglie. L’azzardo è oggi una delle principali cause di indebitamento, e troppo spesso l’indebitamento sfocia nell’usura, come dimostrano gli ascolti in costante aumento presso le Fondazioni antiusura, dove ogni giorno arrivano persone che hanno perso tutto: risparmi, relazioni, fiducia, dignità.
Quando lo Stato continua a utilizzare l’azzardo come leva fiscale, i cittadini pagano un prezzo altissimo in termini economici, psicologici e sociali. È una contraddizione che non può più essere ignorata: da un lato si parla di prevenzione dell’azzardopatia o si promuove il cosiddetto gioco responsabile, dall’altro si moltiplicano le offerte di giochi che alimentano dipendenza, povertà e disperazione.
In un momento in cui migliaia di famiglie sono in difficoltà, il Paese avrebbe bisogno di tutt’altro: educazione finanziaria, percorsi di prevenzione dell’indebitamento, strumenti per un accesso al credito più efficaci, politiche di tutela dei più vulnerabili. Non di un nuovo gioco che rischia di diventare l’ennesima porta d’ingresso verso la rovina economica e psicologica.
Le quattro Fondazioni della Puglia condividono, insieme alla Consulta Nazionale Antiusura San Giovanni Paolo II l’ennesimo appello chiaro al Governo: faccia un gesto che risponda al vero spirito delle Olimpiadi rispettando la tregua olimpica, ritirando questa misura. Fermare l’ennesimo gioco d’azzardo significa proteggere le famiglie, difendere la dignità delle persone, restituire allo sport il valore che merita.
La Puglia nel 2024 ha speso quasi 12 miliardi di euro per il gioco d’azzardo, più di 3mila euro per abitante compresi bambini.
Fondazione Mons. Vito De Grisantis
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