Attualità
Responsabilità medica e corretta comunicazione
CORIGLIANO. Continua il calvario della madre e del figlio 16enne, affetto da totale encefalite prenatale, che aveva fatto valere giudizialmente la presunta colpa professionale del suo ginecologo.
Corigliano d’Otranto. Continua il calvario della madre e del figlio 16enne, affetto da totale encefalite prenatale, che aveva fatto valere giudizialmente la presunta colpa professionale del suo ginecologo.
Anche la Corte d’Appello di Lecce, seconda sezione civile, dott.ssa Virginia Zuppetta, consigliere estensore, ha confermato la non responsabilità del ginecologo, verso la sua ex gestante, circa la “encefalite prenatale da Citomegalovirus” contratta dal figlio della donna.
Nel 1998, al medico oggi in pensione, dott. Massimo Arachi, di Corigliano d’Otranto, già in forza presso la divisione di ostetricia dell’ospedale di Galatina, Sandra Garganese, 44enne e compaesana del ginecologo, aveva chiesto al Tribunale di Lecce il risarcimento di circa 2 milioni di euro, perché “nonostante gli esiti degli accertamenti clinici nonché degli esami, il suo ginecologo aveva omesso di rilevarle la presenza di processi patologici che avrebbero potuto determinarla ad interrompere la gravidanza”.
Accadde che il 13 novembre 1996 la donna diede alla luce Danilo, oggi 16enne, affetto da un “danno neuro motorio di entità tale”, scrisse il consulente del Tribunale di Lecce, dott. Alberto Tortorella “da realizzare un danno biologico permanente totale e con necessità ad assistenza continua, anche per l’espletamento dei quotidiani atti della vita”.
Al momento della nascita il piccolo Danilo appariva sano, ma poco dopo, si scoprì un suo gravissimo ritardo psicomotorio. Dopo alcuni vani interventi di terapia fisica riabilitativa ed in seguito ad alcune indagini morfologiche che avevano dimostrato dilatazione dei ventricoli laterali, seguì il ricovero del piccolo presso il policlinico di Modena ove gli fu formulata la diagnosi di “encefalite prenatale da citomegalovirus”. La stessa diagnosi fu confermata dall’Istituto neurologico “Casimiro Mondino” di Pavia.
A quel punto, la madre non ebbe più esitazioni: si rivolse al Tribunale di Lecce e fece valere giudizialmente la presunta colpa professionale del dott. Massimo Arachi, fondandola sulla violazione del principio della corretta comunicazione fra il sanitario e la gestante, sancito sia dalle linee guida del Ministero della salute che dal codice deontologico medico.
Più precisamente, la giovane madre lamentò al Tribunale che il suo ginecologo, dopo il referto rilasciatogli il 10 aprile 1996 dal laboratorio dell’ex Asl LE 2 Maglie, da cui poté accertare il pregresso contagio da citomegalovirus della paziente, avrebbe dovuto informarla che vi erano esami, ancorché con rischi abortivi (come l’amniocentesi) per accertare se l’infezione si era trasmessa al feto, con conseguente rischio di malformazioni.
Solo così, lamentò la sig.ra Garganese, le sarebbe stato garantito il suo diritto alla procreazione cosciente e responsabile, previsto dalla legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza.
In altri termini, la giovane madre chiese al Tribunale di affermare il principio che non spettasse al ginecologo, dopo aver accertato il pregresso contagio della paziente, ritenere o meno esistenti i presupposti per interrompere la gravidanza né di effettuare o meno ulteriori indagini invasive ed a rischio come l’amniocentesi, ma che fosse dovere del sanitario di informarla correttamente, pur in presenza di un basso rischio di reinfezione, dei contenuti e delle modalità di informazione diagnostica, e che tale dovere non fosse soggetto a nessuna valutazione discrezionale, come invece ritenuto dal dott. Arachi.
Il giudizio di primo grado si chiuse con la sentenza di rigetto della richiesta risarcitoria avanzata dalla donna nei confronti del sanitario. Il Giudice, GOT Avv. Silvia Rosato, ritenne di accogliere le conclusioni del CTU, dott. Tortorella, secondo cui l’ostetrico non aveva alcun dovere di disporre l’ulteriore esecuzione degli esami sierologici e, tanto meno, di effettuare una diagnosi prenatale di infezione da citomegalovirus in tempo utile per proporre alla paziente l’eventualità dell’interruzione di gravidanza.
Di diverso parere l’avv. Sergio Santese, difensore della ex paziente, che impugnò quella sentenza avanti alla Corte d’Appello di Lecce, ritenendo che il Giudice aveva erroneamente sposato l’approccio metodologico del CTU e non aveva correttamente valutato i profili di censurabile colpa del sanitario.
“Le considerazioni medico legali del CTU”, sostenne l’avv. Sergio Santese dopo la sentenza del Tribunale, “ricalcano chiaramente i criteri dell’accertamento del rapporto di causalità nel reato colposo omissivo improprio in tema di colpa professionale medica, mentre il Tribunale era chiamato a valutare la responsabilità civile del sanitario secondo il criterio della probabilità relativa nel senso che il pregresso contagio della gestione al virus avrebbe dovuto consigliare al medico di ritenere che fosse più probabile che vi potesse essere una reinfezione al virus e disporre dunque la ripetizione dei relativi esami sierologici”.
“Nei motivi d’appello”, riferisce ancora l’avvocato, “fu altresì censurata la sentenza, per non aver ravvisato il Tribunale profili di censurabile colpa del sanitario, sotto l’aspetto della violazione della disciplina del consenso informato della paziente”.
Ma tale importante doglianza non sembra sia stata in alcun modo considerata dalla sentenza della Corte d’Appello di Lecce.
“E’ il tema della responsabilità medica e del diritto all’informazione”, sostiene l’avv. Sergio Santese, “che avevamo voluto portare al centro della discussione avanti alla Corte territoriale; mentre dalla lettura della sentenza d’appello non abbiamo ricevuto alcuna risposta sull’argomento sollevato. Ripeto, alcuna parola di motivazione. È denegata giustizia!”, sentenzia l’avvocato Santese.
“Eppure il problema della responsabilità professionale del medico”, prosegue il difensore, “sta suscitando, soprattutto negli ultimi tempi, un ampio dibattito alimentato e sostenuto da una accresciuta e più sentita esigenza di tutela del malato. Il nuovo modo di intendere il rapporto medico-paziente ha influenzato, con il passare del tempo, anche la giurisprudenza che ha man mano modificato il proprio orientamento fino a ritenere fondamentale il principio, in un primo momento tenuto in scarsa considerazione, della obbligatorietà del cosiddetto consenso informato”.
“Il crescente numero di ammalati che, sempre più frequentemente, ha fatto valere giudizialmente la (presunta) colpa professionale del medico, fondata in molti casi sull’imprudenza e negligenza nel formulare la diagnosi o sul mancato approfondimento degli accertamenti diagnostici, oltre che sulla mancata informazione e acquisizione del consenso” ha incrementato notevolmente il contenzioso su tale delicata materia. Per questo”, aggiunge con amarezza il difensore, “è sorprendente che la Corte sull’argomento non abbia speso neppure una parola nella motivazione della sentenza. Si consideri, invece, che la Corte di Cassazione nel 2006, per la prima volta, aveva giudicato in termini assai rigorosi le conseguenze dell’inadempimento del medico all’obbligo di informare il paziente, in modo adeguato, circa i possibili effetti collaterali della cura. In particolare”, continua il difensore, “la quaestio affrontata dai giudici di legittimità è stata quella di stabilire in che termini si configuri una responsabilità dei sanitari per omesso consenso informato, a fronte di un comportamento diligente tenuto dagli stessi nell’esecuzione del trattamento terapeutico. Nel valutare positivamente la questione la Corte individua nel danno da mancata condotta informativa una fattispecie autonoma e distinta dal danno conseguente alla scorretta prestazione sanitaria. La nuova fonte di responsabilità medica”, stigmatizza Santese, “viene quindi individuata nell’obbligo di informazione gravante sul medico, con la conseguenza che, in caso di inadempimento, il medico è tenuto al risarcimento dei danni subiti dal paziente a causa dell’esito non favorevole o peggiorativo del trattamento a prescindere dalla valutazione del comportamento tenuto dal sanitario nel trattamento terapeutico. La mancata informazione si traduce, quindi, in una condotta illecita in quanto contraria ad un preciso obbligo desumibile in via di interpretazione, sia dall’art. 32, 2° comma sia dall’art. 13 della Costituzione. È del tutto evidente”, chiarisce l’avvocato, “ed è cosa ovvia, che la responsabilità professionale del medico si ricollega alla obbligazione che egli assume, nei confronti del cliente, di eseguire un determinato trattamento medico-chirurgico, che generalmente si distingue in tre diversi momenti: diagnosi, scelta della terapia, sua attuazione. L’azione del medico, rispetto a quella di altri professionisti, va ad incidere su un diritto fondamentale, di valenza costituzionale, dell’individuo: quello dell’integrità psicofisica dell’uomo la quale deve essere rispettata sempre, in ogni momento ed in ogni situazione. Il diritto in esame appartiene ai diritti inviolabili della persona, ed è espressione del diritto all’autodeterminazione in ordine a tutte le sfere e agli ambiti in cui si svolge la personalità dell’uomo, fino a comprendere anche la consapevole adesione al trattamento sanitario. Il consenso deve essere frutto di un rapporto reale e non solo apparente tra medico e paziente. Per questo”, conclude l’avv. Santese, “porteremo il caso drammatico di Danilo in Corte di Cassazione”.
Attualità
“Campagna pubblicitaria…stonata”: la segnalazione da Ruffano
Un nostro lettore commenta un manifesto apparso in queste settimane in paese: “Uso improprio del volto femminile, per di più estrapolato da un film drammatico che narra di una patologia”
Riceviamo e pubblichiamo la lettera giunta in Redazione da un nostro lettore di Ruffano che segnala un uso improprio del volto femminile su una campagna pubblicitaria che solleva, quantomeno, delle perplessità.
Segnalo la comparsa, più o meno dal 10 novembre scorso, di un manifesto pubblicitario affisso nei pressi del parco di via Torino, sulla strada che collega Ruffano a Montesano.
Tale manifesto pubblicitario dovrebbe riguardare la vista con conseguente controllo e acquisto di occhiali ma il claim, “vedere è un piacere”, viene associato ad un’immagine di una donna in evidente stato di godimento sessuale quindi l’associazione con il vedere e la vista in generale viene messo in secondo piano.
A parte l’azzardo di tale associazione, la donna presente sul manifesto fa parte a sua volta di un manifesto cinematografico, relativo al film “Nymphomaniac” del regista Lars von Trier, ed è l’attrice anglo-francese Charlotte Gainsbourg.
Si tratta di un film dal taglio drammatico che tratta di una patologia seria di cui soffre la protagonista. Non so se l’agenzia pubblicitaria si è resa conto dell’accostamento di tale immagine ma rimane il fatto che si è fatto un uso improprio del volto femminile in questione con un’espressione intima e chiaramente sessuale.
Si sarebbero potute usare molte altre metafore per esprimere l’importanza della vista e dei controlli periodici.
Inoltre, vorrei sottolineare la scorrettezza dell’allusione, escludendo dall’ipotetico piacere ad esempio i non vedenti. Il responsabile della ditta pubblicizzata (che non è di Ruffano, NdR), cui ho personalmente rivolto le mie perplessità, ha affermato, udite udite, che la “modella” non è uguale all’attrice del film. Giudicate voi (seguono foto).


Attualità
Olio d’oliva: «Servono strumenti di regolamentazione di mercato»
Italia Olivicola e CIA, appello al Governo per interventi che garantiscano un funzionamento ordinato e trasparente del mercato. Plauso alla GdF, all’ICQRF Puglia e Basilicata e all’Agenzia delle Dogane per maxi operazione antifrode
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Italia Olivicola e CIA Agricoltori Italiani, a pochi giorni dai positivi riscontri del tavolo olivicolo nazionale, tornano sulla questione olio d’oliva e lo fanno a 360 gradi, partendo da una questione basilare.
«Abbiamo espresso apprezzamento per gli impegni assunti dal Governo riguardo al potenziamento dei controlli», sottolinea Gennaro Sicolo, presidente di Italia Olivicola e vicepresidente nazionale di CIA Agricoltori Italiani, «occorre che, tuttavia, come previsto dai regolamenti comunitari, si possa procedere allo stoccaggio privato dell’olio».
Il mondo dell’olio di oliva italiano ha bisogno di stabilità e tranquillità durante la campagna olearia: Italia Olivicola e CIA, dunque, chiedono al governo di valutare l’attivazione di strumenti di regolamentazione di mercato.
«Le tensioni che si stanno registrando nelle ultime settimane nuocciono al settore», aggiunge Sicolo, «il comparto ha bisogno di calma e prospettive economico-finanziarie certe nel momento del massimo sforzo produttivo. Gli strumenti normativi per garantire una stagione ordinata dell’olio esistono e vanno messi in campo”.
L’articolo 167 bis del regolamento (UE) del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1308/2013 stabilisce che, al fine di migliorare e stabilizzare il funzionamento del mercato comune degli oli d’oliva, nonché delle olive da cui provengono, gli Stati membri produttori possono stabilire norme di commercializzazione per la regolamentazione dell’approvvigionamento.
«Il ritiro temporaneo dal mercato di quantitativi di extravergine nazionale», continua Sicolo, «può prevenire fibrillazioni e garantire che i flussi commerciali siano mantenuti ordinati e senza scossoni, a beneficio dei produttori e dei consumatori».
Da tempo Italia Olivicola chiede che, oltre a misure emergenziali, il comparto possa avere strumenti che garantiscano che il mondo della produzione non venga finanziariamente strozzato durante la campagna olearia, perturbando il mercato, disorientando i consumatori nazionali e internazionali.
«A questo proposito, voglio esprimere il mio plauso e ringraziamento alla ICQRF Puglia-Basilicata, alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Dogane per la maxi operazione tra il porto di Bari e la provincia di Lecce col sequestro di 14mila litri di olio extravergine non tracciato», conclude Sicolo, «oggi dobbiamo pensare a misure di emergenza ma guardando avanti, già pensiamo a come tutelare il reddito dei nostri agricoltori da forti oscillazioni del mercato e dei prezzi, proteggendo così la stessa immagine dell’oro verde, bandiera del Made in Italy».
Attualità
Tricase, è ufficiale: Vincenzo Chiuri candidato sindaco
Giovedì 11 dicembre la presentazione del candidato di Partito Democratico, Cantiere cvico e Sinistra italiana alle elezioni amministrative della primavera del 2026
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Partito Democratico, Cantiere civico e Sinistra italiana mettono fine alla ridda di voci, ipotesi e congetture, comunicando «con soddisfazione» la candidatura di Vincenzo Chiuri a sindaco di Tricase per le prossime elezioni amministrative della primavera 2026.
«La candidatura del dott. Chiuri», fanno sapere dalla coalizione dei tre movimenti politici, «è il frutto di un lungo percorso partecipato che ha visto coinvolti partiti, movimenti, associazioni politiche e civiche che si riconoscono nei valori e nelle idee del centrosinistra. Un processo di confronto approfondito, che ha permesso di giungere ad una sintesi ampia e credibile attorno a un progetto politico condiviso con lealtà e senso di responsabilità, non solo in grado di superare le divisioni del passato, ma anche di offrire una visione chiara ed unitaria per il futuro della nostra Città».
Congiuntamente alla sintesi sulla figura del candidato sindaco, proseguono «saranno fondamentali l’elaborazione del programma e la formazione delle liste, sollecitando la partecipazione di tutte le componenti che costituiscono il tessuto sociale cittadino».
L’APPELLO
C’è spazio anche per un appello «alle realtà che hanno scelto di attendere o di non aderire ancora alla proposta comune, ribadiamo la necessità di unirsi e fare fronte comune, contribuendo alla costruzione di un progetto collettivo, lontano dalle frammentazioni e personalismi del passato».
«Il nostro obiettivo», spiegano, «è ricevere la fiducia dei cittadini di Tricase e, soprattutto, restituire loro quella centralità e protagonismo di cui da tempo sono stati privati, nonostante le ormai famose e vane promesse di “palazzi trasparenti” e “tavoli delle Responsabilità” degli ultimi anni».
«CANDIDATO AUTOREVOLE»
La scelta di sostenere Vincenzo Chiuri «nasce proprio da questa volontà: offrire a Tricase un candidato autorevole, competente e capace di rappresentare una coalizione larga, fondata sul dialogo, sulla partecipazione e sul rispetto, oltreché su una visione moderna e inclusiva di Città».
LA PRESENTAZIONE
Di tutto questo e altro ancora Partito Democratico, Cantiere civico e Sinistra italiana parleranno in assemblea pubblica giovedì 11 dicembre, dalle ore 19, presso le Scuderie di Palazzo Gallone.
L’incontro è aperto alla cittadinanza.
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