Attualità
La fine di un impero
INTERVISTA IN ESCLUSIVA. Adelchi Sergio: “Senza esserne messo al corrente autorizzai la Deutsche Bank ad investimenti ad alto rischio, finendo col perdere fino a 9 milioni di euro. Ciò che mi fa rabbia è che, chi doveva vigilare, Banca d’Italia e Consob, non ha fatto il suo dovere”

Nell’anno in cui “il Gallo” fa cifra tonda (20 anni), ci piace ripercorrere insieme ai protagonisti di questi 5 lustri la storia recente del Salento, svelando retroscena e raccontando da dietro le quinte gli avvenimenti più importanti.
Tra questi protagonisti entra di diritto Adelchi Sergio, che ha fortemente caratterizzato il ventennio del sud est della penisola salentina: agli albori del nuovo millennio le voci più importanti dell’intero pil (prodotto interno lordo) della provincia di Lecce erano proprio quella del Calzaturificio Adelchi, insieme a quella della Filanto, facente capo al parente-rivale Filograna.
L’Adelchi è stato un autentico colosso della produzione arrivando, negli anni d’oro, a contare più di duemila dipendenti ed a fatturare oltre 400 milioni di euro in un anno. A margine, ma fino ad un certo punto, prese anche le redini della squadra di calcio del Tricase portandola, altro evento storico, peraltro irripetibile, fino all’allora Serie C. Poi la stramaledetta crisi, la indispensabile esternalizzazione di parte della produzione e infine il colpo che ha affossato un impero.
Quasi si scacciasse un groppo dalla gola è lo stesso Adelchi, con la sua caratteristica voce roca, a raccontarlo. Non prima però di aver inquadrato il periodo storico e aver ripercorso una parte del suo cammino di imprenditore: “La crisi del nostro settore è iniziata ben prima di quella riconosciuta oggi come la grande recessione del nuovo millennio. Già negli anni ’90, dopo la caduta del Muro di Berlino del 1989, si stava delineando un quadro a tinte fosche con la competizione dei Paesi asiatici che, grazie ad un costo del lavoro assai più basso del nostro, ci stava mettendo all’angolo. La nostra azienda”, sottolinea l’ex imprenditore, “è stata una delle prime a reagire, mantenendo l’occupazione in Italia ma avvalendosi anche della produzione in altri Paesi per abbassare i costi. E così abbiamo aperto la strada per Albania, Romania, Bangladesh, India, ecc. La Nuova Adelchi ha retto le sue fortune anche grazie a questa sinergia, che ci consentiva di restare competitivi sul mercato. Col passare del tempo, però, i Paesi dove abbiamo esportato le nostre conoscenze, si sono attrezzati per realizzare l’intero prodotto e non più solo delle componenti e sempre mantenendo un costo molto più basso del nostro. A quel punto ci rimaneva solo una strada da percorrere”, spiega, “quella di una trasformazione, passando dalla realizzazione di un prodotto economico a quella di una calzatura da inserire nella fascia di mercato medio alta. Questo comportava ingenti investimenti, dalla ricerca fino alla ricollocazione sul mercato e, naturalmente, richiedeva tempo. Il processo di trasformazione lo avevamo avviato, lanciando anche il marchio “Secundo” e, probabilmente, l’impresa sarebbe stata fattibile, se non fossi diventato una vittima antesignana delle banche”.
“Banca d’Italia e Consob che ci sono a fare?”
Adelchi sputa il rospo dando l’impressione di liberarsi di un peso: “Nel 2002, in buona fede, firmai dei moduli della Deutsche Bank, sottoscrivendo quelli che oggi tutti riconosciamo come “swap”, messi ad arte insieme ad altre carte da firmare per il proseguimento del normale rapporto dell’azienda con l’Istituto Bancario. In pratica senza esserne messo al corrente autorizzai la Deutsche Bank ad investimenti ad alto rischio, finendo col perdere cifre enormi. In seguito alle mie rimostranze e alle relative denunce, dovetti alla fine accettare una transazione. Non ero nelle condizioni di attendere la conclusione dell’intera vicenda perchè dovevo quotidianamente fare i conti con interessi che galoppavano e che l’azienda non poteva più sostenere.
Il mio fu un tentativo estremo di salvare l’impresa. Quello che ancora oggi mi fa rabbia è che, chi doveva vigilare, mi riferisco a Banca d’Italia e Consob, non ha fatto il suo dovere neanche dopo le mie denunce, lasciandomi in balia di quei lestofanti. Tutta questa storia (“tra swap e fior di professionisti pagati per capire che fine avevano fatto quei soldi”) alla fine mi è costata una cifra compresa tra i 5 e i 6 milioni di euro e proprio in un momento delicato, quello della trasformazione della produzione di cui si parlava prima in cui più c’era bisogno di liquidità. Quella perdita mi è costata una classificazione di cliente a rischio, non affidabile, che ha portato le banche a non sostenere più l’azienda…”. Qui, Adelchi, quasi fosse un consumato attore, si esibisce in una lunga pausa, condita dall’espressione inconsolabile del viso che lascia ben comprendere all’interlocutore il suo stato d’animo ancora intriso di rabbia e malaccetta rassegnazione. Dopo un lungo religioso silenzio che sa tanto di requiem per ciò che oggi non c’è più, quasi a volersi dare uno scossone aggiunge: “Sono comunque orgoglioso di quello che ho fatto; soprattutto sono felice di aver dato l’opportunità di lavorare a tante persone, favorendo lo sviluppo di Tricase e di tutta la zona”.
Altro aspetto che pare ancora provocargli dolore è quello delle vicende giudiziarie che periodicamente lo hanno coinvolto. In più occasioni, ad esempio, è stato accusato di depistare i fondi ottenuti con la famosa “488”. “Hanno cercato di affondarmi in tanti modi. Dicevano che i soldi della 488 li destinavo ad altre cose, mentre invece sono stato forse l’unico imprenditore ad aver messo a bilancio tutti i finanziamenti ricevuti..”
“Da lì non passo più”
Proprio quegli immobili che hanno anche fatto da cornice agli anni d’oro dell’Adelchi, oggi sono all’asta fallimentare. La prima gara è andata deserta: lei ha aggiornamenti? “Non so nulla”, si incupisce, “io di lì non ci passo più dal marzo 2009, non ce la faccio, sto troppo male”.
Abbiamo anche chiesto ad Adelchi cosa ne pensasse dell’idea del sindaco Antonio Coppola di utilizzare quegli edifici per la produzione di sigari e rhum. La risposta e stata eloquente: un lungo silenzio, accompagnato da un’espressione di sorpresa. Poi aggiunge: “Magari si trovasse una destinazione d’uso utile al paese!”.
Altra vicenda giudiziaria che ha coinvolto Adelchi e il suo gruppo è quella relativa al tragico incidente che è costato la vita a Lisa Paola Picozzi, ingegnere 31enne, responsabile della progettazione di impianti fotovoltaici di tipo residenziale e industriale, deceduta in seguito ad una caduta dal tetto della Selcom nel settembre 2010. “Sotto l’aspetto umano ho provato dolore quasi fosse stata una mia figlia. Detto questo, però, non condivido la condanna in primo grado del sottoscritto (2 anni) e di mio figlio Luca (un anno in qualità di amministratore della società). È stato un incidente, un tragico incidente, ma non è certo stata colpa nostra… Ai miei dipendenti all’estero ho sempre provveduto a sottoscrivere un’assicurazione sia in Italia che nel Paese di permanenza perché il rischio sul lavoro c’è sempre… Ecco, non capisco perché io e mio figlio siamo stati condannati, mentre il suo datore di lavoro no. Vedremo nei prossimi gradi di giudizio cosa accadrà”.
“Pensionato a 700 euro”
Oggi l’ex imprenditore ha appena compiuto settantuno anni e, come lui stesso sottolinea, è “un pensionato che dopo quasi 60 anni di lavoro percepisce appena 700 euro al mese!”. Recependo il nostro sguardo stranito, in seguito alla sua affermazione, Adelchi precisa: “Ho sempre e solo pensato all’azienda, senza preoccuparmi di costruire una pensione integrativa. Anzi, dopo i fattacci con la Deutsche Bank, mi sono ipotecato anche il letto in cui dormo (testuale, NdA)! Ho perso tutto, anche la casa di Tricase che ho ipotecato per coprire gli ultimi due milioni di euro di ammanco: è in vendita e sarà difficile anche piazzarla. Oggi vivo a Specchia in una abitazione più a misura d’uomo ed assai meno dispendiosa”. Poi, onde evitare compassionevoli fraintendimenti, aggiunge: “La cosa non mi pesa. Si può anche passare dalle stelle alle stalle ed essere ugualmente felici: sono in salute ed il piatto di pasta in tavola non manca mai”.
Una vita dedicata all’impresa e all’espansione della sua azienda, coinvolgendo la famiglia ed avendo sempre al suo fianco i figli. Oggi, però, i rapporti sembrano ai minimi termini. Adelchi accetta di parlarne: “È un po’ quello che è accaduto negli anni ’80, quando mi allontanai da mio zio (Antonio Filograna) per iniziare a camminare con le mie gambe. Non si può pretendere di avere la stessa frequenza d’onda di chi appartiene ad un’altra generazione e si entra naturalmente in conflitto. Ho messo a disposizione la mia esperienza e le mie capacità fino a quando ho potuto, poi ho tagliato il cordone ombelicale perché era giusto che cominciassero a pedalare da soli, senza un Adelchi che facesse da parafulmine. Il distacco, è ovvio, mi provoca dolore, ma d’altra parte dormo sonni tranquilli, perché sono certo che fosse la cosa giusta da fare”.
Rimpianti per qualcosa che poteva essere e non è stata? “L’unico rimpianto è logistico. Essere nel nostro maledetto/benedetto sud ci ha penalizzato e crescere nella nostra terra è storicamente difficile per tanti motivi”.
Ci sono stati anni in cui è stata paventata la sua candidatura a sindaco di Tricase, cosa c’è di vero? “Nulla! Mai neanche andato vicino, anche perché”, ci scherza su, “avrei imposto a tutti di essere al Comune dalle 3 di notte alle sette, perché poi il mio posto era in azienda”. Poi torna serio: “Mai stato legato ad alcun carro, il che è sicuramente stato un bene per molti versi ma mi ha anche danneggiato per altri. Ho sempre fatto “casa e puteca”, dedicando tutti i miei sforzi al calzaturificio”.
Un fantasma chiamato politica
Immaginabile per il Salento un ritorno alla manodopera ed ai grandi opifici? “No. E non solo per motivi economici o per il cambiamento degli scenari internazionali. I nostri giovani sono molto intelligenti, studiano e, giustamente, sognano un futuro diverso. Come dicevamo prima, la strada, eventualmente, non è quella della quantità ma quella della qualità. In tal senso permettetemi di complimentarmi con mio figlio maggiore (Antonio Sergio Filograna), capace di costruirsi un’azienda di nicchia che produce per grandi firme, da Ferragamo a Christian Dior, ecc.”. Nella fase di passaggio ad un mercato medio alto è mancato un coordinamento pubblico, una task force che incanalasse nella giusta direzione le singole iniziative, moltiplicandone l’impatto per territorio ed imprese. Come ama ripetere l’imprenditore di Nardò, Luciano Barbetta, ideatore della scuola di alta formazione del sistema moda salentino, “un fantasma chiamato politica”.
Giuseppe Cerfeda
Attualità
Acque depurate per i campi di Carpignano e Martano
“Rete irrigua consortile per il riuso delle acque depurate”: i lavori, appena affidati per un importo di circa un milione e 800mila euro, dovranno concludersi in duecento giornate lavorative, quindi entro sette mesi

«Con soddisfazione, stiamo per risolvere definitivamente la vicenda della “Rete irrigua consortile per il riuso delle acque depurate” nei nostri territori»: lo annunciano con una nota congiunta i sindaci di Carpignano Salentino e Martano.
Un progetto innovativo e ambientalmente strategico, approvato nel 2002 e completato nel 2006, ma mai attivato a causa di problemi legati al depuratore consortile. Inizialmente, mancava una soluzione per lo smaltimento finale delle acque trattate, poiché le trincee drenanti non erano state realizzate.
Successivamente, anni di abbandono e vandalismi avevano reso inutilizzabili la vasca di accumulo e la rete irrigua.
Per superare queste criticità e valorizzare gli investimenti già effettuati, soprattutto in un contesto in cui l’acqua è diventata indispensabile per il reimpianto degli ulivi colpiti dalla Xylella fastidiosa, le amministrazioni comunali di Carpignano e Martano hanno richiesto ripetutamente l’intervento della Regione Puglia.
«Grazie all’impegno di tutta l’amministrazione regionale e, in particolare, del Presidente del Consiglio regionale Loredana Capone, del consigliere regionale Cristian Casili e dell’Assessore all’Agricoltura Donato Pentassuglia», fanno sapere i sindaci Mario Bruno Caputo di Carpignano Salentino e Fabio Tarantino di Martano, «si raggiungerà l’obiettivo di ripristinare e rendere pienamente funzionanti gli impianti danneggiati, garantendo una gestione efficace delle risorse idriche e il loro riutilizzo in agricoltura».
I lavori, appena affidati, per un importo di circa € 1milione e 800mila dovranno concludersi in sette mesi (200 giornate lavorative).
«Questo risultato rappresenta un passo fondamentale per il nostro territorio», aggiungono i due primi cittadini, «ringraziamo la Regione Puglia, il consiglio regionale, la giunta e tutti i funzionari coinvolti per aver compreso l’importanza ambientale ed economica di questo intervento, nonché tutte le amministrazioni comunali di Carpignano e Martano storicamente coinvolte nella realizzazione del depuratore consortile e della rete irrigua». Recuperare e riutilizzare le acque depurate, ricche di nutrienti come l’azoto, significherà evitare sprechi idrici oggi dispersi nel terreno e fornire un sostegno concreto al settore agricolo, in particolare all’olivicoltura, gravemente colpita dalla crisi causata dalla Xylella.
«Questo progetto», si legge ancora in una nota congiunta dei sindaci di Carpignano e Martano, «è frutto di un lavoro corale e della determinazione di tutti gli attori coinvolti, a partire dalla Cooperativa San Giorgio, che ha fortemente sollecitato l’attivazione di questa infrastruttura per sostenere il reimpianto degli ulivi e il rilancio del comparto olivicolo. Si tratta di un intervento di grande rilevanza per il territorio, che fornisce una risposta tangibile alle problematiche legate alla penuria idrica e agli effetti dei cambiamenti climatici, in quanto il recupero e il riutilizzo delle acque depurate non solo mitigano l’impatto ambientale, ma offrono una risposta strutturale alle emergenze idriche, garantendo un supporto fondamentale al settore agricolo e alla rinascita dell’olivicoltura locale.
L’IMPIANTO
Attraverso tale intervento si consoliderà, dunque, un modello di gestione sostenibile delle risorse idriche, capace di affrontare le sfide del presente e preparare il territorio alle necessità future.
Dal punto di vista tecnico, la rete irrigua interesserà un’area di circa 1500 ettari, suddivisa in sette settori, che verranno serviti in modo rotativo grazie a un sistema automatizzato gestito da valvole elettroniche.
Le acque reflue urbane, dopo essere state trattate nel depuratore consortile e sottoposte a disinfezione mediante raggi UV, saranno convogliate in un serbatoio di accumulo con una capacità di 7mila metri cubi, garantendo una distribuzione costante dell’acqua per un periodo di circa quattro giorni.
L’impianto sarà in grado di erogare una portata di 28 litri al secondo (equivalente a 100 metri cubi all’ora), destinata all’irrigazione mirata, una tecnica che compensa le perdite idriche dovute all’evaporazione e alla traspirazione vegetale.
I lavori, tra l’altro, includono: l’ampliamento della camera di comando per facilitare l’utilizzo delle valvole; il ripristino delle connessioni tra le vasche e l’automazione del sistema di accumulo delle acque depurate; il rifacimento dello scarico delle acque in eccesso; la manutenzione straordinaria dei locali tecnici; la revisione completa del gruppo elettrogeno; l’installazione di un sistema antintrusione per garantire la sicurezza degli impianti; e l’adeguamento dei punti di collegamento agli utenti. Con questo progetto, i Comuni di Carpignano Salentino e Martano confermano il loro impegno per uno sviluppo sostenibile e per il sostegno alle attività agricole, pilastro economico e culturale del territorio.
MARTEDÌ 29 LA PRESENTAZIONE UFFICIALE
I lavori saranno ufficialmente presentati presso la Sala Conferenza della Cooperativa San Giorgio in Carpignano (S.P. 48) martedì 29 aprile alle ore 19, alla presenza della presidente del Consiglio regionale Loredana Capone, accompagnata dall’assessore Donato Pentassuglia, dal responsabile delle Risorse Idriche Andrea Zotti, dalla direttrice di Aqp Francesca Portincasa, dal direttore generale di Arif Francesco Ferraro e dai sindaci dei due comuni interessati.
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Attualità
A Taviano, Pellegrino contro Stefanelli: i 32 nomi delle due liste

A Taviano sarà sfida a due il prossimo 25 e 26 maggio in occasione delle amministrative che decideranno chi prenderà il posto dell’ex Giuseppe Tanisi, la cui esperienza si è conclusa prematuramente ad inizio 2025.
“Radici e Futuro Taviano” candida a sindaco Francesco Pellegrino, già vicesindaco in occasione del primo mandato da primo cittadino di Tanisi (lo sostengono gli ex gruppi consiliari di Per la Città, Taviano Futura e Taviano Libera).
Candidati con lui al consiglio:
Sabrina Burlizzi,
Vito D’Argento,
Omar Del Rosario,
Gianni Fonseca,
Emanuela Garofalo,
Erika Leone,
Antonino Manni,
Daniela Meneleo,
Alessandra Mercutello,
Giorgia Montunato,
Silvia Palamà,
Stefano Piccinno,
Carlo Deodato Portaccio,
Paola Ria,
Germano Santacroce,
Marco Stefano.
È stata vicesindaca dell’ultimo mandato di Giuseppe Tanisi invece la candidata sindaca della lista “Taviano Guarda Avanti”, Serena Stefanelli.
Con lei:
Giuseppe Tanisi,
Antonella Previtero,
Paola Cornacchia,
Francesco Lezzi,
Salvatore Rainò,
Alessio Inguscio,
Massimo Mosticchio,
Chiara Minerva,
Lucy D’Ingiullo,
Martina Mauramati,
Mariassunta Garzia,
Simona Armida,
Marco Carluccio,
Elisa Ferocino,
Silvio Spiri,
Lucia Chetta.
Attualità
Tossico e invasivo: nell’Adriatico spunta il pesce palla argenteo
È pericoloso: ecco come comportarsi. Punto 1: non imitare i giapponesi, che praticano una sorta di ‘roulette russa’ alimentare

Il pesce palla argenteo invade l’Adriatico: allarme per la salute e l’ecosistema
Il pesce palla argenteo (Lagocephalus sceleratus), una specie marina altamente tossica e invasiva, è stato recentemente avvistato nel Mar Adriatico, segnando la sua presenza più settentrionale mai registrata nel Mediterraneo.
La cattura di un esemplare lungo oltre mezzo metro nella baia di Medulin, in Istria, ha destato preoccupazione tra pescatori e biologi marini.
Caratteristiche e pericolosità
Originario delle acque tropicali dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso, il pesce palla argenteo è entrato nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, un fenomeno noto come migrazione lessepsiana. Questa specie è nota per la presenza di tetrodotossina, una neurotossina estremamente potente contenuta in organi come fegato, gonadi, pelle e intestino. Anche una piccola quantità può causare gravi intossicazioni e, in alcuni casi, la morte. La tossina resiste alle alte temperature, rendendo il consumo del pesce pericoloso anche dopo la cottura.
Oltre alla sua tossicità, il pesce palla argenteo possiede una bocca dotata di denti robusti, capaci di esercitare una forza impressionante. È anche una specie piuttosto territoriale, pronta a difendere i suoi spazi dagli invasori. In altre zone del Mediterraneo sono stati segnalati episodi di morsi ai bagnanti, con conseguenze mediche rilevanti.
Impatto sull’ecosistema
La presenza del pesce palla argenteo rappresenta una minaccia significativa per l’ecosistema marino. Si nutre di una vasta gamma di organismi, tra cui molluschi e crostacei, alterando l’equilibrio della catena alimentare. Inoltre, è noto per danneggiare le reti da pesca, aggravando le difficoltà della pesca artigianale.
Raccomandazioni per pescatori e bagnanti
Non consumare: evitare assolutamente di mangiare il pesce palla argenteo, anche se cotto. Manipolazione: in caso di cattura accidentale, maneggiare con estrema cautela e utilizzare guanti protettivi. Segnalazione: riportare immediatamente l’avvistamento alle autorità marittime o agli enti di ricerca locali.
Informazione: diffondere la conoscenza di questa specie tra comunità di pescatori e bagnanti per prevenire incidenti.
La diffusione del pesce palla argenteo nel Mar Adriatico è un segnale d’allarme che richiede attenzione e collaborazione tra cittadini, pescatori e istituzioni per proteggere la salute pubblica e preservare l’equilibrio degli ecosistemi marini.
La ‘roulette russa’ alimentare giapponese
In Giappone ci preparano il fugu, una delicatezza da brivido. Una “roulette russa alimentare” che va preparata da chef che hanno studiato 1 anno solo per servire questo piatto. Il segreto è lasciare quel tanto di veleno sufficiente a dare un po’ di euforia, ma niente piu’.
Se mangi questo pesce palla, mangi la tetrodotossina, un veleno micidiale, derivato dai batteri che vivono nelle alghe che lui mangia. A quel punto non hai scampo.
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