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Attualità

Il punto sul Covid col dottor Tassi del “Panico” di Tricase

Intervista al Direttore dell’Unità Complessa di Medicina di Laboratorio: “Nel Salento focolai ogni 20km quadri. Vaccino già a novembre”

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Storditi dal bombardamento di numeri (di contagi), dal fragore destato dalle nuove regole dettate del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), dal timore (per ora a quanto pare infondato) di un nuovo lockdown e in attesa del vaccino, abbiamo cercato di capire quale sia la reale situazione nel Salento.


Per questo abbiamo incontrato il Dott. Vittorio Tassi, Direttore dell’Unità Complessa di Medicina di Laboratorio dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase. Napoletano di origini, è specialista in Patologia Generale; a Tricase dal 1° giugno, ha un passato da ricercatore («ci ho “speso” una vita, 30 anni tra gli Stati Uniti e San Giovanni Rotondo») in biologia molecolare. Nel 2009 è arrivato nel Salento, al “Vito Fazzi”, dove ha diretto il laboratorio di Virologia e Biologia Molecolare fino a maggio e, nel marzo scorso, messo su il laboratorio Covid. Poi la chiamata dall’ospedale tricasino che «ho accettato con entusiasmo», dichiara il dott. Tassi che spiega: «Ho cercato di rivoluzionare il laboratorio di biologia molecolare, composto da personale eccellente ma ancora penalizzato dall’approccio tecnologico. In questi mesi, grazie anche a Suor Margherita Bramato (Direttrice generale dell’azienda ospedaliera, NdA) che ha creduto in me, dandomi carta bianca. Siamo intervenuti sul laboratorio riuscendo ad accrescerne in modo esponenziale il potenziale. Quando sono arrivato si processavano con difficoltà 80 tamponi al giorno, oggi abbiamo un potenziale di almeno 400 tamponi al giorno».


«La situazione in questo momento è molto diversa rispetto a quella di inizio pandemia. È un’evoluzione diversa perché a quel tempo il contagio era a macchia d’olio e, da un centro, si espandeva. Oggi si presenta a pelle di leopardo con dei focolai. All’epoca c’era tanta gente ricoverata, oggi molta di meno. Questo però non deve farci pensare che il virus abbia perso aggressività. Più semplicemente a marzo noi ci limitavamo a cercare di individuare coloro che avevano chiari sintomi del virus, oggi invece abbiamo capito come funziona e cerchiamo anche gli asintomatici. Siamo praticamente in una situazione simile a quella antecedente al marzo scorso, quando non sapevamo neanche dell’esistenza di soggetti asintomatici che sono i potenziali veicoli di contagio».


Se dovessimo fare riferimento in particolare al Salento?

«Abbiamo un grande patrimonio che è il Servizio di Igiene e Sanità, Dipartimento di Prevenzione (Sisp) dell’Asl, diretto dal dottor Alberto Fedele che funziona molto bene. Il Sisp ha 4 squadre che operano su tutta la provincia di Lecce (due sul territorio Nord, due su quello Sud). Quando viene segnalato un caso positivo, sia sintomatico che asintomatico, avviano subito il tracciamento, vanno ad interrogare la persona e rintracciano i contatti che vengono subito sottoposti a test molecolari. Nel momento in cui un focolaio viene circoscritto, di fatto viene spento perché le persone che hanno bisogno di ricovero vanno al “Vito Fazzi”, l’unico ospedale covid della provincia, chi invece è asintomatico resta a casa in isolamento. Per il momento  nel nostro territorio la media è di 3-4 focolai ogni 20 km quadrati ed è una situazione che riusciamo a controllare e contenere; se invece i focolai dovessero aumentare a dismisura comincerebbero i problemi».


DA TEST A TEST


Che differenza c’è tra test sierologico e molecolare?

«Il test sierologico noi lo facciamo in screening a tutte le persone che vengono in ospedale: è un prefiltro utile che ci rivela se la persona ha avuto una storia di contagio con il virus fino a 15 giorni prima del test. Se una persona che viene in ospedale per un ricovero o una qualsiasi pratica diagnostica dovesse risultare positiva, approfondiremmo il discorso tenendolo in stand-by per qualche giorno per poi ripetere il sierologico e, eventualmente, effettuare anche il tampone. Utilizziamo grande cautela, perché il bene prezioso che abbiamo e che dobbiamo custodire e proteggere è il nostro ospedale se vogliamo continuare a fornire tutti i servizi come fatto finora. Ecco perché, seppur a malincuore, non consentiamo visite alle persone ricoverate: è un momento particolare e tutti dobbiamo essere pazienti. Poi abbiamo due tipi di test, il diagnostico e il test di screening. Quello diagnostico ha la massima affidabilità («98% se negativo, 100% se positivo»). Lo scotto che si paga è in termini di tempo perché il risultato non lo si può avere prima di tre ore (al di fuori del nostro ospedale si va da qualche ora per i laboratori più organizzati a diversi giorni negli altri casi).

Infine, ci sono i test di screening che sono molto rapidi ma hanno un’affidabilità (sensibilità) del 60-70%. Di solito si utilizzano per valutare una comunità come una scuola o un’azienda nelle quali si vuol comprendere se vi è stata penetrazione da parte del virus. Si tratta di un test rapido con risultati disponibili in 15 minuti; in un giorno se ne possono processare pure 500. Dopo lo screening, se ad esempio il risultato è di nessun contagiato su 200 persone, ho la certezza pressocchè matematica che in quella scuola, quell’azienda, il virus non è entrato. Se dovessimo però avere anche uno o due positivi si ferma tutto, si torna indietro e si procede con i test diagnostici».


Come si fanno questi test?

«Quello diagnostico con un tamponcino che viene introdotto nella narice per qualche secondo; quello di screening si può fare allo stesso modo oppure con la saliva. Ciò che cambia è il processo di analisi».

Cosa sono sono i test salivari?

«In questo nosocomio abbiamo messo a punto da poco un tipo di test ultrasensibile, in accordo con la protezione civile che ci fornirà i reagenti necessari. Ha una affidabilità che supera il 90%, quindi quasi come il diagnostico, con l’esito però che è disponibile molto velocemente. Se dovessimo sottoporre a test, ad esempio, i miei colleghi o un reparto che può essere per qualche motivo a rischio, in 30 minuti avremmo il risultato del test su 30 persone».


AI PIÙ GIOVANI


Il rientro a scuola  era molto temuto e molte situazioni restano critiche…

«Accompagnando a scuola mio figlio resto  piuttosto sconcertato dal notare quei pullman che “vomitano” ragazzi, alcuni dei quali senza mascherina, ammassati tra loro in modo inaccettabile. Facciamo tanto per tenere aperte le scuole, spegnere focolai, contenere ogni forma di contagio e poi ci scontriamo con una realtà impreparata ad affrontare le emergenze. Probabilmente la Ministra Lucia Azzolina avrebbe dovuto considerare maggiormente la proposta della Conferenza delle Regioni per la didattica a distanza, almeno nelle scuole superiori».


Anche i più giovani però dovrebbero essere un po’ più responsabili…

«Capisco che i ragazzi abbiano questa allegra incoscienza propria dell’età… però hanno anche molti più stimoli, input e fonti di quante ne avevamo noi a suo tempo e possono capire con molta facilità che questo virus non è una stupidaggine. Se loro lo contraggono sarà anche difficile che possano ammalarsi gravemente ma diventano comunque veicolo di trasmissione. Ed in ogni famiglia esiste un nonno, un genitore o un parente fragile a rischio. Se vogliamo bene ai nostri familiari non dobbiamo dimostrarlo a chiacchiere o con un bacetto ma con le azioni. Azioni anche molto semplici come un minimo di distanziamento  quando si va in giro, la mascherina sempre indossata e lavarsi le mani spesso. Non si chiede mica la luna…».


PROTEGGIAMO IL NOSTRO OSPEDALE

Ha definito l’ospedale un bene di tutti da proteggere. La postazione di pre-triage all’ingresso del nosocomio ha questo scopo?

«Certo. Senza intaccare il percorso pulito che dovrà continuare a caratterizzare l’ospedale, quella postazione viene utilizzata proprio per eseguire i tamponi a chi rientra da viaggi all’estero, a chi viene individuato dal Dipartimento di Sanità Pubblica, dopo che il tracciamento ha verificato un contatto stretto con un positivo. Chi non è sintomatico può venire con i suoi mezzi, entra in quell’area ed in pochi minuti il nostro personale, opportunamente protetto, provvede ad effettuare il test prima di rimandare il paziente in isolamento in attesa del risultato. È un servizio importante perché solleva l’Asl dal lavoro immane di effettuare i tamponi a domicilio».

L’INVERNO FA PAURA?

Andiamo verso i mesi freddi dell’inverno. Questo deve farci paura?

«L’unica cosa che temiamo è che il diffondersi della “normale” influenza generi il caos. Nel momento in cui si presenteranno delle persone anche con un semplice raffreddore avremo paura. Intanto noi come ospedale ci stiamo  attrezzando di metodiche che ci consentano di distinguere rapidamente le diverse situazioni a rischio. Intanto per prevenire dovremmo, quanto più possibile, vaccinarci».

Il dott. Tassi si rivolge ai cosiddetti “No Vax”: «Non offendiamo la nostra intelligenza, la vaccinazione non comporta alcun rischio ed è gratuita, facciamola! Per le persone anziane, over 60, suggerirei anche la vaccinazione antipneumococcica contro la polmonite batterica. Basta farla una sola volta e dura cinque anni; ed è sufficiente rivolgersi al medico di famiglia. Vacciniamoci e, se indossiamo la mascherina, anche il virus influenzale verrà in qualche modo bloccato. Andiamo serenamente, per quanto possibile, verso l’inverno cercando agire in modo cauto ed intelligente».

Come accade per gli altri virus, col freddo dovremo attenderci un aumento dei contagi?


«A differenza di quanto accade con le normali influenze, il fattore stagionale e le temperature non hanno nessuna attinenza con i contagi da coronavirus. Detto questo, però, è innegabile che nel Salento siamo benedetti dal Signore: fin quando saremo all’aperto, con i nostri spazi, il nostro mare e con la nostra bassa densità di popolazione, i rischi saranno contenuti. Chance di contagio che aumentano vistosamente se si è costretti al chiuso degli uffici o delle aule scolastiche».


VACCINO IN ARRIVO GIà A NOVEMBRE


Lei è un ricercatore. Cosa ci può dire di questo benedetto vaccino che a detta di tutti è l’unica soluzione definitiva?

«Tra i tantissimi studi effettuati in tutto il mondo, quelli attualmente in “fase 3”, la più avanzata, sono una decina, appena tre o quattro quelli accreditati ad entrare in produzione. Tra di loro quello a cui partecipa l’Italia sembra funzionare, sia per l’immunità umorale, stimolando la produzione di anticorpi, che per l’immunità cellulare, attivando l’intero sistema immunitario contro il virus».



Che durata avrà l’immunità del vaccino?

«Non è ancora dato sapere. Vedremo se sarà necessario farlo più volte e con che intervallo di tempo».

Quanto dovremmo aspettare perché sia disponibile? «Entro la fine di novembre dovremmo avere il primo lotto di circa tre milioni di dosi del vaccino italiano. Da quanto si apprende queste prime dosi saranno destinate a persone fragili ed a personale sanitario. Nel giro di pochi mesi dovremmo avere la possibilità di vaccinarci tutti. Ritengo che entro la primavera dovremmo riuscire ad arrivare ad una vaccinazione massiva dell’intera popolazione e la storia dovrebbe cambiare il corso».

Può avere controindicazioni?

«Quelle di tutti gli altri vaccini. Niente di diverso. Come ogni vaccino avrà quella minima, davvero minima, parte di effetti collaterali. Il gioco, però, ne vale la candela, non c’è discussione. Quando ci sarà, vacciniamoci tutti. Nel frattempo, fino alla primavera prossima, dovremo ancora soffrire un po’ e continuare a… tamponare l’emergenza».

Giuseppe Cerfeda

Attualità

Omaggio di fine estate a Tricase

Dai ricordi del poeta-operaio Tommaso Di Ciaula: “Certe sere non passava nessuno”; “Tanta di quella propaganda che gli aveva toccato il cervello”; “Usciva l’acqua della salute, purgativa”

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di Ercole Morciano

Devo all’amichevole segnalazione di Alfredino Russo la conoscenza di Tommaso Di Ciaula, il contadino-operaio poeta e scrittore che, avendo vissuto a Tricase durante la sua adolescenza, le è rimasto legato come attestano alcuni suoi scritti.

FIGLIO DI UN CARABINIERE

Tommaso Di Ciaula nacque ad Adelfia (Bari) il 27 settembre 1941, da Giuseppe, carabiniere, e da Filomena Liuzzi, casalinga. Primogenito di 4 figli, seguì con la famiglia il padre nelle varie destinazioni di militare dell’Arma. Trascorse buona parte della fanciullezza e della preadolescenza in campagna, nella casa dei nonni contadini, dove visse a contatto diretto con la natura, ricca di suggestioni, e con il mondo agreste del barese che lo segneranno per sempre.
Tommaso studiò da tornitore, ma alimentò le sue conoscenze da autodidatta leggendo avidamente i giornali che il padre, ex carabiniere poi passato all’impiego civile in ferrovia, recuperava trovandoli abbandonati nei vagoni ferroviari. Giovane tornitore meccanico venne assunto dalla Pignone Sud, importante realtà industriale sorta a Bari nel 1960. Visse come operaio l’esperienza di fabbrica cogliendo dolorosamente le contraddizioni di un lavoro “artificiale” che, atteso nel meridione come alternativo a quello dei campi, ne deluse aspettative e speranze. Certamente duro e pesante, il lavoro agricolo, rispetto a quello industriale, rimane per il poeta “libero e profondamente umano dove le decisioni individuali hanno ancora un peso e danno senso agli sforzi dell’uomo” (Dalla Prefazione di G. Domenici a Tuta blu, p. 10).  Nelle sue opere Tommaso Di Ciaula non si limita a condannare il lavoro spersonalizzante della fabbrica e ad esaltare il lavoro contadino; egli esprime con rabbia anche la speranza che l’intera organizzazione del lavoro industriale diventi più umana allo scopo di migliorare le condizioni di vita, non solo materiali, di tutti gli operai.

POETA WORKING CLASS

Pertanto, Tommaso Di Ciaula, prima contadino e poi operaio, rimane uno dei massimi esponenti di poeta e narratore working-class della letteratura italiana del Novecento.
Tra le sue opere pubblicate si ricordano le raccolte di poesie Chiodi e rose, nel 1970, L’odore della pioggia nel 1980, Il cielo, le spine, la pietra nel 1995.
Nel campo della narrativa ha pubblicato vari scritti ma l’opera sua più significativa resta il romanzo autobiografico Tuta blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud, edito da Feltrinelli nel 1978 e subito tradotto nelle due Germanie, in Francia, Messico e Unione Sovietica.
Il libro, per la schiettezza dei contenuti, gli attirò le critiche del segretario generale del più potente sindacato di sinistra, Luciano Lama, che, in un’intervista a L’Espresso, accusò Di Ciaula di aver attaccato il sindacato.
Il romanzo generò 9 riduzioni teatrali in Francia, Svizzera, Germania e Belgio e il film Tommaso Blu, di cui lo stesso
Di Ciaula curò la sceneggiatura.
Tommaso Di Ciaula si spense a Bitetto (Bari) il 12 gennaio 2021.
Il 26 gennaio 2010, con decreto del Presidente della Repubblica, gli era stato concesso l’assegno vitalizio straordinario previsto dalla legge 8.8.1985 n. 440, la cosiddetta “Legge Bacchelli” a favore di “cittadini italiani illustri… che si trovino in particolare condizioni di necessità economica”.
RICORDI DI TRICASE

Dopo questa premessa molto stringata, non esaustiva, ma necessaria per la minima conoscenza del poeta e scrittore, veniamo al suo rapporto con Tricase e quindi col Salento.
Tommaso Di Ciaula visse a Tricase, dove suo padre Giuseppe era in servizio come carabiniere, presumibilmente dal 1952. Vi giunse con la sua famiglia da Aradeo dove risiedeva almeno dal 1946 (anno in cui era nato il fratello Angelo e dove nel 1952 nacque la sorellina Anna) che si aggiunsero a Tommaso, il primogenito, e Maria Angela (1944) entrambi nati ad Adelfia. A Tricase la famiglia abitò in via Umberto I° n. 9 fino al 27 novembre 1957, data in cui emigrò a Maglie, come risulta dagli atti anagrafici del Comune di Tricase.
A Tricase, dunque, Tommaso Di Ciaula ci stette dal 1952 al 1957, in pieno periodo adolescenziale, in un’età compresa tra 11 e 16 anni.
Di tale periodo rimasero nella sua memoria bei ricordi che si trovano trascritti in alcune sue opere.
Il primo è riportato nel romanzo autobiografico Tuta blu (p.151):  «Vivevamo in un paese della provincia di Lecce, Tricase, se non vado sbagliato, in una casa a pianterreno molto umida, con le stanze grandi dalle volte altissime, nelle fredde sere d’inverno ci si riuniva dietro la finestra che dava sulla strada, tutti seduti a cerchio intorno al braciere.
Per prima cosa si toglieva la luce, nel buio era bello, parlavi di tante cose, cose belle, cose paurose, ogni tanto mi guardavo dietro e mi prendeva la paura, vedevo ombre e sembrava che il gatto mammone, da un momento all’altro, dovesse agguantarmi per i capelli, ti veniva un brivido oserei dire dolce perché eri rassicurato dal braciere acceso, e dai fratelli, dalla mamma e dalle sorelle e, spesso, anche dalle vicine di casa
Per umidificare l’aria si metteva sempre un pentolino colmo d’acqua sui carboni.
Ogni tanto passava sulla strada appena illuminata da qualche lampadina qualche anima: un cane, un gatto, uno in bicicletta, una vecchia nello scialle, un giovane con la sigaretta in bocca, certe sere non passava per tutta la serata proprio nessuno».
GLI EFFETTI DELLA PAPAGNA

Il secondo ricordo lo si trova pubblicato sull’altro romanzo, Prima l’amaro poi il dolce. Amori e altri mestieri (Feltrinelli 1981, pp. 88-89): «Al sommo della salita, da lassù potevi vedere Tricase Porto.
Con il suo mare verde.
Allora giù a rotta di collo con le biciclette scassate. Biciclette senza sella, senza pedali, senza freni, senza manubrio, senza ruote.
Giù con le biciclette a correre verso il mare.
Più scivolavi giù, più sembrava che si allontanasse finché eri già lì nella sabbia, tra le onde.
Tonio era una specie di scemo.
La madre siccome quando era piccolo era molto triste, piangeva giorno e notte, gli aveva dato molta “papagna” (papavero). Tanta di quella papagna per farlo stare buono che gli aveva toccato il cervello.
I contadini usavano molta papagna per i bambini troppo agitati, troppo piagnucolosi. La notte era notte e dovevano dormire per la dura giornata nei campi l’indomani, allora un po’ di droga e il piccolo era sistemato.
Poi ce n’era tanto di quel papavero nelle campagne salentine».

faùgnu, vavuse e fuggiuni

Il terzo e ultimo episodio mi accomuna al ricordo indelebile che mi vide in parte piccolo testimone del fatto accaduto verso la metà degli anni ’50 dello scorso secolo: «Da piccolo, quando andavo in villeggiatura con i miei genitori a Tricase Porto, mi sembrava di stare in paradiso. L’unica stonatura era che la sera, sul più bello lasciavamo tutti i compagni a giocare tra i pini e gli oleandri per andare fino alla casa che avevamo affittata.
Essa era molto lontana dal centro-mare, situata al termine di una larga strada altissima, tutta pietre.
Tutta la casina era formata da una stanza, bianca dentro e bianca fuori, un gabinetto annesso con il vaso di creta per cacare, un chiodo al muro con ritagli di giornale per il culo, un barattolo mezzo pieno di calce con dentro una spazzola per biancheggiare.
Da fuori veniva il favonio [faùgnu, ndr], un vento caldo
che ti faceva certe volte addormentare secco sul vaso.
Il giorno si stava a mollo nell’acqua come il baccalà.
Tutte le inventavamo: facevamo finta di passeggiare sul pontile poi tutto ad un tratto cadevamo nel mare come colpiti a morte. Oppure si prendeva uno per le braccia e le gambe e lo si lanciava in acqua.
Da sotto il pontile usciva l’acqua della salute, acqua purgativa. C’era parecchia gente che si riempiva le bottiglie, altri addirittura le damigiane.
Nel porto si pescava molto pesce, vavose, chigghioni [fuggiuni, ndr] e anguille».

una fiocina in fronte

«Un giorno che avevamo preso a sfottere il figlio di un pescatore che era piccolo e nero come un ragnetto, quasi spazientito non ci pensò due volte a fiocinare un amico in mezzo alla fronte. Vedo ancora davanti agli occhi la testa che galleggiava nell’acqua e il mare calmo, piatto, misterioso: proprio dalla fronte sembrava uscire la lunga fiocina».
Così lo vidi anch’io, terrorizzato, quando lo condussero a casa e il vicinato fu scosso dal grido disperato della madre. Si trattava di Vituccio Adago che abitava in via Stella d’Italia, di fronte alla casa della mia nonna materna dove lo scrivente si trovava quel pomeriggio estivo.
Fu condotto subito all’ospedale di Scorrano dove gli fu estratta la fiocina con un delicato intervento chirurgico.
Si chiude così questa piccola rassegna di testi riguardanti Tricase, pubblicata per omaggiare la nostra cittadina e ricordare un poeta-scrittore, forse da noi poco conosciuto, che, avendovi vissuto, ne ha conservato e trascritto ricordi per noi preziosi, perché emblematici di un particolare momento storico.

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Attualità

Meteo, arriva l’autunno con piogge e temporali

Il caldo anomalo ha le ore contate, calano le temperature..,

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ARRIVA L’AUTUNNO CON UN CARICO DI PIOGGE E TEMPORALI –

 

Una nuova intensa perturbazione si sta avvicinando alla nostra Penisola e nel corso della settimana scaverà un’energica circolazione depressionaria che per diversi giorni rinnoverà il maltempo in molte zone d’Italia — spiega Manuel Mazzoleni, meteorologo di 3bmeteo.

“Già entro sera rovesci e temporali, anche di moderata o forte intensità raggiungeranno Piemonte, Valle d’Aosta e parte di Liguria e Lombardia. Lunedì il maltempo si estenderà a tutto il Nord, alle regioni tirreniche centro-settentrionali e alla Sardegna, con ancora rovesci e temporali localmente forti. Alto il rischio di nubifragi su medio-alto Piemonte, Lombardia, Liguria e Toscana, con accumuli localmente oltre i 50/80 mm e picchi fino a 150/200 mm sul VCO.

MARTEDÌ ARRIVA A SUD

Martedì la perturbazione scenderà di latitudine portando un peggioramento anche sul resto del Centro e sul basso versante tirrenico, rinnovando nel contempo maltempo al Nord-Est, parte della Lombardia e sulle Alpi occidentali, con fenomeni localmente ancora intensi ma in graduale esaurimento.

Mercoledì la circolazione depressionaria avrà ormai coinvolto quasi tutta la Penisola, rinnovando diffusa instabilità da Nord a Sud con piogge alternate a pause più asciutte, con l’eccezione dell’estremo Meridione dove i fenomeni saranno meno probabili. Almeno fino a venerdì altri impulsi instabili, intervallati da temporanee schiarite, transiteranno sul Nord, dove poi il tempo inizierà a migliorare nel fine settimana a partire da Ovest.

Atteso, invece, un ulteriore peggioramento al Centro-Sud — da confermare data la distanza temporale — con nuovi rovesci e temporali anche di forte intensità.”

 

DECISO CALO TERMICO, VALORI MASSIMI GIU’ ANCHE DI 10/12°C –

 

“Il caldo anomalo di questi giorni, con temperature sopra le medie del periodo di oltre 10/12°C al Nord — precisa il meteorologo di 3bmeteo — ha ormai le ore contate: il maltempo sarà accompagnato da aria decisamente più fresca di origine nord-atlantica, che farà crollare le temperature a partire dalle regioni di Nord-Ovest, dove già a inizio settimana le massime scenderanno sui 22/24°C.

Entro mercoledì il calo termico raggiungerà anche il Centro e il Nord-Est, con massime sotto i 25°C e localmente non oltre i 17/19°C al Nord-Ovest. Al Sud, dove a inizio settimana si potranno ancora toccare i 30-32°C, la diminuzione sarà più graduale: da martedì in Campania e poi da mercoledì/giovedì anche sulle restanti regioni. Entro il fine settimana le massime dovrebbero portarsi sotto i 25°C da Nord a Sud, con valori anche inferiori alle medie stagionali al Centro-Nord.”

 

ATTENZIONE ANCHE AL VENTO –

Il peggioramento sarà accompagnato da un aumento della ventilazione, dapprima dai quadranti meridionali e poi, entro metà settimana, da quelli nord-occidentali.

Nel fine settimana, se l’evoluzione sarà confermata nei prossimi aggiornamenti, la ventilazione resterà sostenuta su gran parte del Centro-Sud, con rotazione ciclonica attorno alla depressione in movimento verso sud-est: attese raffiche di Grecale sull’Adriatico e di Tramontana e Maestrale su Ligure e Tirreno.

COME MAI L’AUTUNNO SCATTA IL 22 E NON IL 21 SETTEMBRE? 


Come tutti sappiamo, l’autunno astronomico inizia con l’equinozio d’autunno, ovvero il momento in cui il Sole si trova esattamente sopra l’equatore terrestre: in quell’istante il giorno e la notte hanno più o meno la stessa durata. 
Molti pensano che sia sempre il 21 settembre, ma in realtà può cadere tra il 21 e il 24 settembre.

Il motivo è che il nostro calendario (gregoriano) non è perfettamente sincronizzato con l’anno tropico, cioè il tempo che la Terra impiega a compiere un giro completo attorno al Sole rispetto alle stagioni. L’anno tropico dura circa 365 giorni e 6 ore: queste “ore in più” si accumulano, e per compensarle ogni quattro anni inseriamo un giorno bisestile. Quest’anno l’equinozio sarà il 22 settembre alle 20:19; stessa data anche per il prossimo anno, mentre nel 2027 cadrà il 23 settembre”

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A Tricase il cibo diventa futuro di comunità

Nell’ex mattatoio comunale, il Food4Health Lab unisce innovazione, tradizione e inclusione sociale: un modello pilota che dà forza alle piccole imprese e apre nuove prospettive di sviluppo locale e internazionale

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Trasformare un modo di vivere in cibo. È questa la missione che anima il Laboratorio di Comunità Food4Health di Tricase, nato nel 2024 negli spazi rigenerati dell’ex mattatoio comunale. Qui il cibo non è soltanto nutrimento o prodotto da vendere: diventa occasione di sviluppo, strumento di inclusione sociale, opportunità di crescita condivisa.

 

Il laboratorio è il cuore del progetto Food4Health, azione pilota del programma di cooperazione strategica Interreg Italia–Albania–Montenegro, nato dalla collaborazione tra la sede italiana del Centro Internazionale di Alti Studi Agronomici Mediterranei (CIHEAM Bari) e il Comune di Tricase. Un modello innovativo a sostegno delle micro e piccole imprese dell’agricoltura e della pesca, ma anche un incubatore di nuove realtà imprenditoriali e un dispositivo di riqualificazione di filiere produttive con potenzialità ancora inespresse.

Reho

Perché un laboratorio di comunità fa la differenza? Ci risponde Aldo Maria Reho, operatore della filiera ittica, dell’azienda InMare di Gallipoli:“L’opportunità di disporre di un laboratorio in cui sperimentare e sviluppare nuovi prodotti a base di pesce rappresenta un elemento di assoluta unicità per il nostro territorio. Si tratta infatti di una struttura che mette a disposizione competenze, tecnologie e servizi che, diversamente, sarebbero inaccessibili alle piccole realtà del settore ittico locale. Grazie a questo supporto, gli operatori della piccola pesca artigianale, così come gli agricoltori, hanno la possibilità non solo di valorizzare meglio le proprie materie prime, ma anche di innovare la propria offerta, esplorando nuovi mercati e rafforzando la competitività delle loro imprese.”

Il Food4Health Lab mette infatti a disposizione dei produttori locali spazi e strumenti per trasformare e confezionare le materie prime in condizioni di sicurezza, con il supporto costante di tecnologi specializzati. Non solo: il laboratorio ha scelto di aprire le proprie porte anche agli apicoltori, con una linea dedicata al miele che valorizza una produzione radicata nel territorio e simbolo di biodiversità.

Dalla terra al mare, fino all’apicoltura, il laboratorio diventa così luogo in cui innovazione e tradizione si intrecciano, generando nuove opportunità economiche e rafforzando il tessuto produttivo locale.

Di Terlizzi

A Biagio Di Terlizzi, direttore del CIHEAM Bari, chiediamo come si trasformano i bisogni in opportunità di crescita condivisa?
“Il laboratorio di comunità Food4Health rappresenta un esempio concreto di sviluppo locale: non si limita alla sola trasformazione dei prodotti agricoli e ittici, ma diventa uno spazio di incontro, collaborazione e inclusione, dove la valorizzazione delle produzioni locali si unisce al coinvolgimento delle risorse umane presenti nella comunità. In questo senso, il laboratorio offre un modello integrato replicabile in altri contesti nazionali e internazionali, in cui le potenzialità endogene ancora inespresse possono diventare leve concrete di sviluppo. Questo approccio sostiene il reddito degli agricoltori e degli operatori della piccola pesca artigianale, creando al contempo nuove opportunità di lavoro qualificato per i giovani, trasformando il laboratorio in un volano di resilienza e competitività per le comunità costiere.”

Negli ultimi mesi il Food4Health Lab ha ospitato eventi come Proxima (dedicato al cibo sano, giusto e accessibile a tutti) e Ubuntu (festival della multicultura dedicato all’integrazione comunitaria). Iniziative che hanno mostrato come il laboratorio non sia soltanto luogo di produzione, ma anche spazio sociale e culturale, dove persone e culture diverse si incontrano e si contaminano a vicenda. Al suo interno, inoltre, trovano spazio momenti di confronto sulle politiche locali del cibo, che coinvolgono comunità, istituzioni e imprese in un dialogo aperto sul futuro del territorio.

Il respiro internazionale è una delle cifre distintive del progetto: il laboratorio è sovente oggetto di visite da parte di delegazioni governative provenienti da diversi Paesi del Mediterraneo e del mondo. Tra le più recenti, una delegazione egiziana guidata dai ministri dell’Agricoltura e della Bonifica dei Terreni e degli Affari Parlamentari e la Comunicazione Politica e, ancor prima, la visita del Ministro dell’Agricoltura del Regno di Giordania. Gli incontri hanno offerto l’occasione per presentare i progetti della cooperativa locale, le misure di sostegno alle microimprese agricole e della pesca e il ruolo del laboratorio come strumento di inclusione sociale, sviluppo sostenibile e sicurezza alimentare. E ancora, durante l’evento Proxima svoltosi la scorsa estate, funzionari e professionisti provenienti da 14 Paesi di 4 continenti, riuniti a Tricase per la sesta edizione del corso internazionale Sustainable Development of Coastal Communities organizzato dal CIHEAM Bari, hanno potuto conoscere esperienze e progetti messi in campo da questa realtà.

L’insieme di queste azioni ha contribuito a consolidare il laboratorio quale buona pratica riconosciuta e replicabile nei campi dello sviluppo sostenibile e dell’inclusione sociale.

Le prossime attività si muoveranno nella stessa direzione: a breve il laboratorio ospiterà il Bootcamp Circus, organizzato nell’ambito del progetto Interreg CIRCUS finanziato dall’Unione Europea e in programma a Tricase. L’evento riunirà partner e stakeholder dell’area adriatico-ionica per costruire una strategia comune di sviluppo, a partire proprio dall’esperienza maturata nel Salento.

Minonne

Tutto questo ha un impatto concreto per le aziende agricole e la biodiversità? Ne parliamo con Francesco Minonne, titolare dell’azienda agricola Ruralia, socia di Food4Health:
“Un laboratorio di trasformazione di comunità rappresenta un modello concreto per la valorizzazione di prodotti e servizi agroalimentari che diversamente sarebbero fuori da possibilità reali di mercato. Si tratta infatti della possibilità per le piccole aziende di mantenere una filiera corta e sistemi di qualità altissimi perché basati sulla integrità e bassa manipolazione delle materie prime.”

Il laboratorio, poi, è anche la casa degli agricoltori custodi, impegnati nella conservazione delle varietà locali e nella trasmissione di saperi agricoli che rischierebbero di andare perduti. Grazie al loro lavoro, la biodiversità diventa non solo patrimonio culturale, ma risorsa concreta di sviluppo per il territorio e le nuove generazioni.

UN MODELLO CHE GUARDA AVANTI

Oggi la gestione del Food4Health Lab è affidata a una cooperativa, composta da agricoltori e pescatori artigianali, che ha scelto di fare rete per offrire servizi condivisi e costruire un modello di sviluppo più equo e sostenibile. Una comunità aperta, che guarda al futuro e cerca nuovi operatori da inserire e formare, per rafforzare le attività e ampliare il raggio d’azione del laboratorio.

Il Food4Health Lab è dunque più di un luogo fisico: è un punto di riferimento per l’innovazione, la cultura del cibo e la cooperazione internazionale, un’esperienza nata nel basso Salento ma capace di parlare a tante comunità in Italia e nel mondo.

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