Approfondimenti
Caregiver Familiari: «I disabili non siamo noi»
Caregiver Familiari Comma 255 organizza convegno a Tricase. Intervista alla portavoce nazionale Sofia Donato e alla tricasina Stefania Sciurti (D.A.I. Reagiamo). Comma 255 è un collettivo nazionale, di soli caregiver familiari, che da anni si batte per portare in Italia una legge per il riconoscimento della figura del Caregiver Familiare, emancipandolo e riconoscendolo come cittadino con diritti soggettivi propri, slegati dalla persona con disabilità di cui si occupa.

Caregiver Familiari Comma255, nasce dalla volontà di un gruppo di Caregiver Familiari, composto da genitori e congiunti di persone con disabilità grave, con lo scopo di dare piena attuazione al riconoscimento della figura giuridica del caregiver familiare introdotto nell’ordinamento italiano dall’articolo 1, comma 255, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205.
Con l’aiuto sul posto della tricasina Stefania Sciurti, (presidente dell’Associazione D.A.I. Reagiamo) la portavoce nazionale di Comma 255, Sofia Donato, si è adoperata per organizzare un convegno nel Salento, in programma il prossimo 7 ottobre a Tricase.
Per meglio comprendere le ragioni del collettivo e dei caregiver familiari abbiamo trascorso un pomeriggio con Sofia Donato e Stefania Sciurti e sviscerato gran parte degli aspetti che riguardano chi deve accudire un familiare.
Cosa o chi è il Caregiver Familiare?
«Rispondere a questa domanda è importantissimo perché troppo spesso gli stessi Caregiver Familiari non sanno di esserlo. Il caregiver familiare è una persona che, ad un certo punto della propria vita, entra nella dimensione di disabilità perché un suo familiare convivente ha un deficit adattivo per una compromissione, originaria o sopraggiunta, della sfera intellettivo relazionale, del ritardo mentale, di un deficit cognitivo. In questi casi un adulto del nucleo familiare convivente deve assumere la responsabilità di quella vita e così nasce il binomio caregiver familiare/persona con disabilità. La vita della persona con disabilità deve essere costruita, in suo nome e conto bisogna costantemente decidere, su esigenze quotidiane di poco conto, come su esigenze sanitarie, come sulla costruzione del suo progetto di vita, passato – presente – futuro. È il caregiver familiare che cerca, costruisce e decide tutta la rete di attività e servizi che ruotano intorno al suo congiunto convivente con disabilità, ed è ancora il caregiver familiare che trasforma quella rete in funzione del sopraggiungere delle diverse esigenze del suo congiunto con disabilità, delle sue diverse tappe di crescita.
Prendere decisioni, anche sanitarie, su un individuo terzo, in assenza di una sua espressa collaborazione, cercare e costruire un comune decodificatore per comunicare con il proprio congiunto e perché questi possa il più possibile riuscire a comunicare con il mondo esterno, dover comprendere le esigenze di chi troppo spesso non sa individuare le proprie sensazioni ed emozioni, ma vive tutto come eccitazione, e doverlo tradurre al mondo, essere sempre in allerta e affrontare ogni accadimento imprevisto e rispondervi in maniera adeguata, sostenere una vita sotto continuo ricatto affettivo, nella consapevolezza che la propria serenità e lucidità, in ogni situazione, contribuisce alla serenità del congiunto con disabilità e quindi da questo dipende tutto il suo ménage quotidiano. Nella necessità di essere traduttori di esigenze, interpreti di bisogni, memoria storica dei propri congiunti con disabilità, il caregiver familiare è costretto a vivere tra una crisi – comportamentale o anche epilettica – del proprio congiunto, ed il rifiuto all’iscrizione nella scuola, tra ricoveri programmati e quelli improvvisi in urgenza, con le continue chiamate dalle scuole perché il discente con disabilità crea problemi e bisogna portarlo via, pena il subire manovre di contenimento quando non addirittura il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), e la continua ricerca di suggerimenti per scegliere tra terapie riabilitative, strategie di crescita, sistemi comunicativi. Una domanda ogni anno si ripresenta davanti al caregiver familiare: “cosa ne farò del mio congiunto con disabilità a partire da settembre?”, preludio a quell’angoscia che accompagna la nostra esistenza del “cosa ne sarà di lui/lei quando io non ci sarò più”. Negli ultimi anni si sente abusare continuamente della definizione di caregiver familiare: attorno alla persona con disabilità agiscono tante figure professionali il cui rapporto è gestito da CCNL, prestatori di cura, in inglese caregiver; esistono i familiari, coloro che in uno spirito di aiuto reciproco, si sostengono. Poi, esistono i caregiver familiari, coloro che sono costretti a rinunciare alla propria individualità per condurre la vita del loro congiunto convivente con disabilità, e sono i caregiver familiari e non altri che l’Italia ha definito con la L. 205/2017 all’art. 1 comma 255 – da cui noi prendiamo il nome».
Per supportare i Caregiver Familiari è nato Comma 255. Ci spiega cos’è e di cosa si occupa?
«Caregiver Familiari Comma 255 è un collettivo spontaneo, nato nel febbraio del 2020 quando per la prima volta, in maniera fugace, qualcuno in Parlamento ha parlato di prevedere un indennizzo economico diretto al caregiver familiare. Alcuni di noi, già in campo da anni, si sono così ritrovati e riuniti. Di lì a poco è scoppiata la pandemia con tutte le sue chiusure che ci hanno gettato nel panico, lasciandoci completamente abbandonati nelle nostre case. Di quel periodo buio non ci ha sconvolto la clausura, a quella siamo abituati, come siamo abituati alla dedizione continua verso il nostro congiunto convivente con disabilità. Ma ci ha colpito l’abbandono totale da parte dello Stato e delle Regioni che di punto in bianco hanno chiuso tutti i servizi alla persona con disabilità contando sulla nostra abnegazione e presenza, senza riconoscerci, in alcun modo, né un contributo, né un ringraziamento pubblico. Nel periodo del covid, che per le nostre famiglie ha significato quasi tre anni di interruzione di ogni attività, ci siamo sostenuti l’un l’altro con videocall quotidiane che duravano anche 4 ore. E via via, da tutto l’arco della penisola e dalle isole, abbiamo cominciato a conoscerci e riconoscerci. Nei monitor degli altri vedevamo riflesse le nostre stesse vite, le nostre stesse fatiche, l’attenzione continua verso i nostri congiunti che richiedono una supervisione ininterrotta, i dubbi e le incertezze uguali per tutti noi, abbiamo cominciato a confrontarci. Un gioco ci proponevamo l’un l’altro: parlami di te. E tempo massimo 20 secondi ogni caregiver familiare passava a parlare del proprio congiunto rimanendovi imbrigliato. Noi non esistiamo più neanche nel nostro stesso immaginario.
Da questo, la presa di coscienza che la questione caregiver familiari impone un cambio di visione e di narrazione perché fino ad ora si è parlato di caregiver familiari in funzione del bisogno assistenziale della persona con disabilità di cui questi si occupa, confondendo le necessità della persona con disabilità con quelle dei caregiver familiari. Ma i caregiver familiari sono cittadini con diritti soggettivi propri. La loro condizione va sostenuta perché ha un valore sociale. È necessario ridurre al massimo lo stress psicofisico che da quella condizione deriva e ridare ai caregiver familiari la dignità di cittadini. L’agire dell’Amministrazione nei confronti del caregiver familiare e della persona con disabilità di cui si occupa, quindi, non può essere per sottrazione e va distinta perché si tratta di individui diversi, ognuno con diritti soggettivi propri».
Quali le finalità che perseguite?
«La nostra è una battaglia di emancipazione e dignità che necessita di una riflessione approfondita da parte della politica che porti ad un cambiamento culturale per essere compresa. È nostro dovere e necessità interloquire con tutti, rimanendo equidistanti dalla politica di parte, senza pregiudizi né scelte di schieramento, convinti che il diritto delle persone sia l’intersezione tra le diverse idee e ideologie. La nostra ambizione è ottenere una legge nazionale che ci ridia dignità e ci sollevi da questa visione della società che ci assoggetta alla nostra condizione di caregiver familiari pretendendo la perdita dei nostri stessi diritti individuali».
Lei insiste molto sul concetto di emancipazione del caregiver familiare. Perché?
«Dopo anni, decenni, vissuti nella condizione di caregiver familiare, spesso senza alcuna prospettiva (mai auspicata né auspicabile) che si decada dal ruolo, in questa società che pretende di farci rientrare nel sistema informale dei servizi e di farci firmare patti con i servizi di prossimità per le mansioni che “dobbiamo” impegnarci ad assolvere, noi caregiver familiari dimentichiamo perfino la nostra propria identità, annichiliti dalla mancanza continua di rispetto della nostra individualità, del nostro ruolo, del dato di realtà per il quale spendiamo la nostra vita per salvaguardare al massimo i diritti e la dignità dei nostri congiunti con disabilità, anche davanti a quei servizi di prossimità che troppo spesso si mostrano oppositivi. Gli stessi che pretendono di sottoporci a corsi di formazione per una vita che conduciamo da decenni e della quale siamo da subito, necessariamente, i registi».
Se capisco bene dobbiamo spostare l’attenzione sull’individuo caregiver familiare. Quali sono, quindi, le esigenze specifiche dei caregiver familiari di cui chiedete il riconoscimento?
«La prima autonomia di cui un individuo abbisogna è quella economica ed i caregiver familiari non fanno differenza. Ci sono caregiver familiari che hanno dovuto rinunciare al lavoro e vivono con ciò che percepisce il proprio congiunto con disabilità: la persona con disabilità non ha quello che gli spetta ed il suo caregiver familiare vive di stenti. Quando poi la persona con disabilità viene a mancare ed il caregiver familiare, ormai fuori dall’età lavorativa, gli sopravvive, si ritrova in una situazione di totale indigenza e solitudine, senza alcuna prospettiva. Che lo Stato, la Regione, la società tutta, lo accettino o, peggio, lo prevedano, è una aberrazione. Un sostentamento economico diretto al caregiver familiare affiancato ad un sistema di politiche attive del lavoro è l’unica strada possibile per arrivare ad una vera emancipazione ed al recupero, per i caregiver familiari, della dignità di cittadini.
Tenere bene a mente il distinguo fra individuo caregiver familiare e individuo con disabilità consentirebbe poi di comprendere che il caregiver familiare non necessita di servizi. I servizi sono la risposta dovuta alla condizione di disabilità di un individuo. Ma il caregiver familiare non abbisogna di servizi. È deputato a gestirli. Tutti i servizi resi alla persona con disabilità rappresentano, per i caregiver familiari, solo una violazione continua della loro privacy ed una responsabilità gestionale, a cui ob torto collo non ci sottraiamo».
Quali sono le resistenze che il collettivo incontra?
«Tutta la regolamentazione dedicata ai caregiver familiari è originata dalla distribuzione del Fondo a loro dedicato istituito con L.205/2017, art. 1 comma 254, che negli anni è stato rivisto nelle finalità ed aumentato di risorse. In assenza di una legge nazionale le Regioni si sono mosse, invece, in una commistione fra individuo caregiver familiare e individuo con disabilità e seguendo lo schema utilizzato per la distribuzione del fondo per la non autosufficienza, fondo dedicato alle persone con disabilità. Questa logica non considera affatto i diritti individuali del caregiver familiare e sta portando a considerarlo come il sostituto “tuttofare” dei servizi dovuti alla persona con disabilità – da sempre, come si sa, del tutto insufficienti – attribuendogli doveri in un principio di una sua non altrimenti definita “volontarietà” di scelta del suo ruolo di caregiver familiare».
Perché considerate pericoloso e sbagliato utilizzare i principi del FNA per individuare i Caregiver Familiari e valutare gli aiuti che necessitano?
«Riteniamo illogica ed ingiusta qualsiasi commistione fra individuo caregiver familiare e individuo con disabilità, perché non considera i diritti individuali del primo ledendoli.
L’appaiamento fondo non autosufficienza ai criteri di accesso al fondo caregiver familiari di cui alla L. 205/2017 art. 1 comma 254, origina da un Decreto Interministeriale che si sta rinnovando di anno in anno uguale a sé stesso. Ma esso prendeva spunto da “urgenze” individuate a causa del periodo pandemico. Essendo stata dichiarata conclusa la pandemia attendiamo che si rivedano i criteri aprendo una riflessione politica a più ampio raggio e valutando l’evidenza che lo stesso periodo pandemico ha fatto emergere sui diritti e le rivendicazioni di noi caregiver familiari, ampiamente da noi testimoniati, e, auspicabilmente, iniziando a considerare l’indipendenza giuridica dell’individuo caregiver familiare dall’individuo con disabilità.
Va poi considerato che la legge di rango primario che nel nostro ordinamento giuridico definisce la disabilità è la L. 104/1992 ed essa, all’art. 3 comma 3, definisce la disabilità grave. Gravissimo è pertanto una definizione introdotta dal DM del 26 settembre 2016 ma non supportata da legge di rango primario. Detto DM, peraltro, svincola la disabilità dall’essere una condizione di vita, come invece introdotto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (L.18/2009) e riporta l’individuazione degli aventi diritto ad accedere al FNA solo in base a precise patologie o sindromi e livelli di gravità.
La “disabilità” in quanto “condizione di vita” può essere generata da una patologia o da una sindrome, o da un evento traumatico singolo (trauma da parto, incidente, ecc.) La rigida definizione delle patologie ammesse per accedere al FNA e dei livelli di gravità indicati per ogni specifica sindrome o patologie – es. l’autismo solo livello 3 – determina l’esclusione dal Fondo di una numerosa platea di persone con disabilità, soprattutto di coloro la cui condizione invalidante origina da una compromissione della sfera intellettivo relazionale e cognitiva.
La selezione degli ammessi al FNA che ne deriva impone di aprire con celerità e forza un tema di inappropriatezza dei criteri del FNA nella valutazione ed individuazione del Caregiver Familiare, figura che va riconosciuta – a nostro avviso – solo nei casi di condizione di disabilità generata da mancanza di autodeterminazione propria dell’individuo con disabilità».
Quindi quali sono i principi e criteri che chiedete vengano assunti per regolamentare gli interventi a supporto dei caregiver familiari?
«I criteri che necessariamente bisogna inserire in un processo culturale che dia dignità e valore ai caregiver familiari sono:
- I caregiver familiari sono cittadini e come tali debbono avere riconosciuti i propri diritti individuali. Non si può quindi continuare a ragionare sui caregiver familiari in funzione delle persone con disabilità.
- Il caregiver familiare è un familiare, nell’accezione più ampia possibile dei rapporti familiari riconosciuti dalla nostra società, ed è convivente. Il caregiver familiare si misura per lo stress psicofisico che la sua condizione gli comporta; se può chiudere una porta, se ha degli spazi solo suoi, se il suo spazio familiare, la sua casa, il luogo del suo riposo non è condiviso con il suo congiunto con disabilità, non è un caregiver familiare, ma un individuo che, secondo il principio di sussidiarietà e di solidarietà ribadito dal nostro ordinamento al diritto di famiglia, aiuta un suo congiunto. Lo stesso diritto di famiglia al titolo XII prevede le situazioni in cui all’interno del nucleo familiare ci siano “persone prive in tutto o in parte di autonomia” ossia non del tutto capaci di agire. È in questi casi che, per noi, esiste il caregiver familiare; esiste, cioè, laddove la persona con disabilità nasca priva o perda nell’arco della sua vita le facoltà mentali, la capacità di agire e la possibilità di autodeterminarsi in maniera autonoma. È in questi casi che per noi si deve riconoscere alla persona con disabilità l’ausilio del caregiver familiare, ricordando però che il caregiver familiare è un cittadino egli stesso, soggetto di diritti, autonomo rispetto alla persona con disabilità che assiste, e titolare di esigenze specifiche. L’Italia è uno stato di diritto che riconosce i diritti soggettivi ad ognuno dei suoi cittadini.
- La fattispecie di disabilità su indicata ed esplicitata comporta la mancanza di volontarietà del caregiver familiare nell’assumere la propria funzione. Il caregiver familiare fa una vita per due. Lo sforzo è continuo e totalizzante perché la persona con disabilità non riesce ad individuare, determinare e comunicare cosa voglia, quali sensazioni ed emozioni provi, se una scelta, anche sanitaria, è idonea e rispondente alle sue aspettative. Lo stress psico fisico di un caregiver familiare è continuo: per le scelte che si devono fare per un soggetto terzo che non può contribuire a quelle scelte né esprimerne contrarietà; per la costruzione del tempo del proprio congiunto perché ogni singolo momento della giornata va immaginato, programmato, impegnato e monitorato, e, in assenza di capacità di farlo in autonomia da parte della persona con disabilità, questa responsabilità resta in capo al caregiver familiare.
- In ultimo, esiste un problema di rappresentanze che vengono ascoltate sui temi dei caregiver familiari a qualsiasi livello istituzionale. Proprio in virtù di un distinguo giuridico fra individui, le organizzazioni ed associazioni rappresentative delle persone con disabilità sono legittimati a qualsiasi intervento in difesa dei diritti delle persone con disabilità ma non è possibile affidare loro la rappresentanza e rappresentatività sui temi dei caregiver familiari.
Di rimando, il riconoscimento dei caregiver familiari nelle condizioni di disabilità da noi individuate consentirebbe a questi di essere riconosciuti come interlocutori e rappresentanti validi per la disabilità intellettivo relazionale e con ritardo cognitivo, condizione di vita di chi certamente non ha capacità propria di partecipare ai tavoli di concertazione e confronto, ma la cui “simbiosi” con il caregiver familiare consente a quest’ultimo di rappresentarli a pieno, come fa in ogni atto quotidiano della vita.
Il caregiver familiare è la persona che più di tutti può rappresentare il proprio congiunto con disabilità intellettivo relazionale e ritardo cognitivo. La sua conoscenza e la “simbiosi” che si crea nel binomio necessitano di un caregiver familiare per portare all’attenzione dell’amministrazione e della politica anche le istanze di quella persona con disabilità. Sono quindi i caregiver familiari gli unici cui va riconosciuta la rappresentanza delle persone che vivono in queste specifiche condizioni di disabilità».
Come spingere questo cambiamento culturale?
«Caregiver Familiari COMMA 255 è e vuole rimanere un movimento spontaneo, che si scioglierà il giorno che avrà ottenuto l’approvazione di una Legge nazionale che ridia dignità ai caregiver familiari. e siamo già contenti che un Disegno di Legge da noi ispirato sia depositato alla Camera dei Deputati (clicca qui). Ma per essere ascoltati a tutti i livelli dell’amministrazione la democrazia ci impone di dimostrare una capacità rappresentativa. Nell’onestà intellettuale che ci contraddistingue riteniamo che questa non sia rappresentata dal costituirci in associazione. Chiediamo solo che chi voglia supportare la nostra battaglia, perché la condivide, sottoscriva il nostro manifesto».
Qual è la situazione in Puglia?
«Tutta la regolamentazione dedicata ai caregiver familiari è originata dalla distribuzione del Fondo istituito con L.205/2017, art. 1 comma 254, che negli anni è stato rivisto nelle finalità ed aumentato di risorse, ma che rimane un fondo dedicato ai caregiver familiari. L’appaiamento FNA ai criteri di accesso al fondo di cui alla L. 205/2017 art. 1 comma 254, origina da un Decreto Interministeriale che si sta rinnovando di anno in anno uguale a sé stesso, pur se nato per “urgenze” individuate a causa del periodo pandemico. Tuttavia, la regione Puglia è una delle poche regioni che, nelle more di una legge nazionale, ha emanato la Legge Regionale 27 Febbraio 2020, N. 3 “Norme per il sostegno del caregiver familiare”. Ma anche questa norma lega il caregiver familiare alla valutazione del bisogno assistenziale della persona con disabilità, disconoscendo in toto il diritto soggettivo del caregiver familiare in quanto persona a sé.
I bandi che si stanno susseguendo in questi anni per l’individuazione ed il sostegno dei caregiver familiari presentano a nostro avviso diverse lacune che continueranno a generare confusione.
Ad esempio, la Regione Puglia intende dare delle prescrizioni al Caregiver Familiare anche se definisce la sua attività di sostegno e cura come volontaria. La volontarietà contrasta con la possibilità di imbrigliare in regole e prescrizioni da seguire e soprattutto con l’imposizione di obblighi ben determinati. Addirittura, si sottopone l’attività del caregiver familiare a verifica a cura dell’ambito territoriale sociale e si aggiunge che nel caso in cui emergesse l’inadempimento rispetto agli impegni assunti si procederà alla revoca della misura. Il tutto in assenza di una specifica indicazione dell’inadempimento, che viene indicato in maniera generica, non si conferisce alcun connotato di gravità all’inadempimento ed inoltre non è dato sapere in cosa debba sostanziarsi visto che le prescrizioni sono diverse e individuano ambiti di intervento molto generici:
- supportare la persona non autosufficiente nella vita di relazione;
- concorrere al mantenimento delle capacità funzionali della persona non autosufficiente;
- aiutare la persona non autosufficiente nella mobilità e nel disbrigo delle pratiche amministrative;
- integrare le sue attività con quelle degli operatori sanitari e socio-sanitari nell’ambito dell’attuazione del Piano Assistenziale Individuale della persona non autosufficiente assistita;
- collaborare con il case manager nell’ambito dell’attuazione del PAI;
Non viene considerato il caso in cui il caregiver familiare sia in disaccordo con il case manager e se un eventuale contrasto possa concretizzare un venir meno alle prescrizioni imposte e quindi la revoca del provvedimento.
Non viene indicata l’autorità che dovrebbe procedere all’accertamento della violazione degli obblighi, la durata del procedimento di verifica ed ancora le modalità di difesa del caregiver familiare e l’eventuale possibilità di fare ricorso, con quali modalità e le tempistiche da rispettare.
Anche la pretesa che il caregiver familiare sottoscriva un atto unilaterale di impegno nei confronti del disabile e dell’ambito territoriale quando l’attività prestata viene definita come volontaria e che sia sottoposta a controllo quadrimestrale senza che tale attività di controllo venga minimamente definita nelle modalità integra una violazione della privacy e della libertà con la quale il caregiver familiare presta la propria opera di assistenza e cura.
Inoltre, la misura che sottopone “le normali attività di cura e assistenza del caregiver familiare in favore della persona non autosufficiente” alla verifica a cura dell’Ambito Territoriale Sociale crea una disparità tra i nuclei familiari: il controllo avverrà solo nei casi di nuclei familiari che avranno la necessità di chiedere l’accesso a tale sostegno e lo ottengano. È come dire che laddove l’ente pubblico non eroga servizi può abdicare al proprio ruolo di supervisore, quando, per norma, la persona con disabilità è in carico all’ente locale».
Come pensate si possa intervenire in Puglia?
«Come in tutta la penisola riteniamo necessario un cambiamento di paradigma culturale sul caregiver familiare. Bisogna riportare l’attenzione sul fatto che il caregiver familiare è un individuo egli stesso con diritti soggettivi propri e che non tutte le condizioni di disabilità obbligano l’individuazione di un caregiver familiare.
Questa è una scorciatoia che l’amministrazione pubblica sta trovando per individuare qualcuno a cui demandare tutte le incombenze che i servizi di prossimità non sono in grado di assolvere. E ciò è inaccettabile. Per questo il 7 ottobre, a Tricase, stiamo organizzando un convegno per discutere con l’amministrazione, la sanità, i sindacati e la politica che non si può continuare su questa strada».
Approfondimenti
Il sindaco di Martano, Fabio Tarantino, si confessa…

Intervista esclusiva al sindaco di Martano, Fabio Tarantino, ospite in redazione
Una lunga chiacchierata svicolando dalla pura cronaca amministrativa alla cultura e al sociale, con qualche sortita anche sulla politica provinciale e regionale e sulla delicata situazione in Medioriente.
Tarantino sta affrontando l’ultimo anno del suo secondo mandato e, ammette, come consentito dalla nuova legge per i Comuni sotto i 15mila abitanti, di puntare al tris alle prossime elezioni.
In questi dieci anni tante le opere portate a termine ma ciò di cui il primo cittadino più va orgoglioso è come «in questi anni sia cambiato il modo di vivere il paese. È cresciuto il rispetto dello spazio pubblico, tutti insieme abbiamo compreso quale sia la strada migliore per valorizzare Martano e le sue professionalità. Non abbiamo il mare e, se vogliamo essere attrattivi, dobbiamo essere accoglienti, in tutti i sensi».
A partire dagli spazi da vivere: «Abbiamo trasformato quella che era una strada di passaggio per automobili in due piazze.
La prima, l’abbiamo chiamata piazza Castello, perché consente agli avventori
di godere del panorama del palazzo Baronale. La seconda, piazza dei Caduti, è oggi uno spazio vivo e vissuto dai miei concittadini e da chi viene da noi in visita».
L’INFRASTRUTTURA… SOCIALE
Dieci anni da sindaco saranno stati una faticaccia ma anche una fucina di soddisfazioni. La più importante?
«È un’infrastruttura… sociale! Abbiamo ricreato una stretta connessione tra la gente e l’amministrazione: il Comune è oggi un “palazzo di vetro”. Il funzionario è a disposizione di tutti, esattamente come l’amministratore. Potranno accusarci di tutto ma, di certo, non di esserci allontanati dalle persone e dalle loro esigenze. Qui nessuno si è mai chiuso nella torre».
LA CULTURA AL CENTRO
Da giornalista sa bene quanto sia importante la cultura nella vita di una città e di ognuno di noi.
«L’abbiamo messa al centro di tutte le nostre attività. Ne è stata (e ne sarà) la diretta protagonista oppure con un importante ruolo di “accompagnamento”. Comunque, presente all’interno di tutte le manifestazioni promosse dall’amministrazione, in tutti i progetti, i programmi e le opere introdotti in questi dieci anni. La cultura è il punto di riferimento per il Comune, con la sua biblioteca, i suoi eventi, le iniziative a fare da presidio culturale, insieme ovviamente alla istituzione scolastica del territorio e alle associazioni di promozione culturale».
OPERAZIONE RECUPERO
Altro punto a favore il recupero della ex struttura “Dopo di Noi”.
«Abbiamo ereditato questa opera, , incompleta e definanziata, dalle precedenti amministrazioni.
Dopo un intenso lavoro istituzionale, nel 2020, siamo riusciti a ottenere un nuovo finanziamento per completare quella che era diventata una delle opere incompiute simbolo a livello nazionale.
Da poco è scaduto il bando per l’affidamento in gestione, ora vedremo gli esiti e cercheremo di arrivare a una gestione e, quindi, all’apertura di questa struttura con un gruppo di appartamenti destinati ad anziani e disabili che restano soli. La comunità che immaginiamo è inclusiva e deve garantire ai più deboli una vita dignitosa oltre all’accesso alle cure».
CITTADELLA DELLA SALUTE
Non avete lesinato sforzi per quella che è una sorta di hub della salute.
«Non abbiamo un ospedale in loco e, per questo, abbiamo fatto il possibile per fornire almeno i servizi essenziali. Il nostro poliambulatorio lavora a pieno regime, basta consultare i numeri per averne conferma. Puntiamo ad avere, nello stesso posto, sfruttando i locali della RSA, anche i poliambulatori di tutti i medici di base del paese, i poliambulatori pediatrici e gli altri servizi».
IL CIRCOLO TENNIS
C’è qualcosa che ha urgenza di realizzare prima che finisca il secondo mandato?
«Restituire ai cittadini il Circolo Tennis. Stiamo realizzando due campi di tennis, due di padel e un campo di calcetto. Lo sport è importante e il Circolo fa parte della storia di Martano. Contiamo che ritorni all’antico splendore».
Fuori dai denti: ci sarà per il terzo mandato?
«La squadra ha fatto bene e può continuare il suo lavoro, credo proprio che ci ripresenteremo agli elettori. Anche perché…».
Perché?
«Stiamo gettando le basi affinché la nuova zona artigianale diventi un fiore all’occhiello della città. La zona PIP 1 è completa, per la PIP 2 abbiamo già ricevuto tante richieste sia da locali che da persone che vorrebbero trasferire la loro azienda da noi. Vogliamo fare in modo che la nostra zona artigianale sia davvero funzionale e quindi appetibile per dare anche un impulso all’occupazione».
Altro suo cruccio è la lotta allo spopolamento.
«Non è facile. Tra denatalità e giovani che vanno via per avere un futuro, rischiamo di rimanere una terra popolata solo da anziani. Ci stiamo ragionando e faremo tutto quanto nelle nostre possibilità per invertire la tendenza. Come creare degli spazi affinché chi svolge un’attività in altre città possa continuare a farlo da Martano, avendo tutto a disposizione e senza doverne pagarne lo scotto. Ci siamo già dotati di Ultra Fibra per la connessione internet, ora dobbiamo pensare a come offrire spazi adatti».
CONTRO IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Intanto avete sistemato gran parte della questione “fognatura bianca” contro il rischio idrogeologico.
«Per quanto riguarda la fognatura bianca e il recupero delle acque pluviali, abbiamo ricevuto un finanziamento di 3,5 milioni di euro complessivi con due finanziamenti. Con quei fondi stiamo realizzando un’infrastruttura primaria necessaria per Martano. Riguarderà le principali arterie, quindi, via De Gasperi, via Mameli, via Traglia, via Aldo Moro, via Don Minzoni, via Teofilo. In questo modo forniremo alla città un’infrastruttura importante contro il rischio idrogeologico. Abbiamo anche in “cottura” altri tre progetti relativi alla fogna bianca, finanziati sempre dal Ministero, per ottenere poi fondi pari a sei milioni di euro, proprio per completare la rete di fognatura bianca della città».
PRESIDENTE DELLA PROVINCIA?
Oggi è vicepresidente della Provincia e c’è già chi la vede futuro presidente…
«Il presidente Stefano Minerva si dimetterà per prendere parte alle elezioni regionali e io sarò chiamato a colmare il vuoto amministrativo fino alle prossime elezioni. Se, poi, si vorrà dare continuità all’amministrazione uscente confermo la mia disponibilità ma senza alcuna forzatura. Se ce ne sarà bisogno, io ci sarò».
LA QUESTIONE PALESTINESE
A differenza di molti suoi colleghi, non ha fatto spallucce e, sul genocidio di Gaza, ci ha messo la faccia.
«Martano condanna con fermezza qnaato accade nella Striscia di Gaza. Abbiamo esposto una bandiera della Palestina ancora più grande, a testimonianza di un impegno non solo morale, anche politico e istituzionale. Le notizie che ci giungono sono drammatiche: scarsità di medicinali, mancanza di cibo e acqua potabile, distruzione del sistema sanitario e scolastico, collasso totale delle infrastrutture civili.
Il Consiglio comunale di Martano ha formalmente chiesto: il cessate il fuoco immediato, l’apertura urgente di corridoi umanitari sicuri, il rispetto del diritto internazionale, l’opposizione a ogni ipotesi di annessione della Striscia di Gaza.
La nostra è solo un’istituzione locale.
Crediamo, però, che il compito della politica, anche a livello comunale, sia quello di dare voce ai valori universali di giustizia, pace e tutela della dignità umana. Martano non resta in silenzio e si schiera sempre dalla parte della vita e dei diritti umani. Da diversi porti del Mediterraneo, son partite le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, con l’obiettivo di rompere l’assedio e portare aiuti alla popolazione stremata. Tutti abbiamo il dovere di fare qualcosa: è in discussione il principio di umanità. Al tema dei diritti umani, del rispetto dei diritti umani contro il genocidio sono sensibili sia il sottoscritto, come vicepresidente della provincia, che l’intera amministrazione comunale di Martano. Ecco perché stiamo mettendo a disposizione della Freedom Flotilla Italia noi stessi, le nostre capacità e la nostra forza politica per aiutare, in ogni modo possibile, un popolo vittima di genocidio».
CULTURA CINOFILA
Di recente avete attivato il servizio gratuito di cultura cinofila. Di che si tratta?
«Anche questo è un aspetto importante della vita di tutti. Il Comune, in collaborazione con gli educatori cinofili Angelo De Mitri e Lavinia Donateo, ha avviato la nuova iniziativa dedicata alla tutela e al benessere dei cani. Un servizio gratuito, individuale e personalizzato per sensibilizzare il cittadino sulla cultura cinofila e supportare i proprietari nei problemi relazionali con il proprio cane».
Giuseppe Cerfeda
Approfondimenti
Oltre l’app: Cloud e HTML5 spingono il mobile gaming nel futuro
Come funzionano i giochi nel browser con HTML5? Per capirlo occorre guardare al ruolo crescente del cloud gaming, una tecnologia che cambia il rapporto tra hardware e software…

Oltre l’app: Cloud e HTML5 spingono il mobile gaming nel futuro
Già da qualche anno, il mobile gaming non è più un passatempo marginale. In poco più di un decennio ha trasformato il mercato globale, mettendo nelle mani di milioni di persone la possibilità di accedere a titoli complessi e sofisticati. Fino a poco tempo fa la sua crescita sembrava legata quasi esclusivamente alle app scaricate dagli store digitali. Oggi, invece, due tecnologie stanno ridisegnando le regole del gioco: il cloud e l’HTML5.
Cloud gaming su smartphone: dal download allo streaming
Come funzionano i giochi nel browser con HTML5? Per capirlo occorre guardare al ruolo crescente del cloud gaming, una tecnologia che cambia il rapporto tra hardware e software. È un modello in cui i giochi non sono installati sul dispositivo, ma elaborati su server remoti. Lo smartphone diventa così un terminale che riceve in streaming immagini e dati, riducendo la dipendenza dall’hardware locale.
La logica ricorda il passaggio dal DVD alle piattaforme di film on demand: ciò che conta non è possedere il supporto, ma avere accesso immediato al contenuto.
Per gli utenti significa poter usare titoli complessi anche su device di fascia media, senza temere rallentamenti o incompatibilità. È come se il telefono fosse solo la porta d’ingresso, mentre la vera potenza di calcolo resta nascosta dietro le quinte, nei server che macinano dati a velocità impressionante.
Dietro a questo meccanismo si cela un’enorme sfida tecnologica: ridurre la latenza, garantire una trasmissione stabile di immagini ad alta definizione e assicurare stabilità di connessione. Non è un caso che i grandi attori del settore stiano investendo in data center diffusi in diverse aree geografiche, per avvicinare i server agli utenti finali. È una corsa silenziosa che prepara il terreno a un futuro in cui la distinzione tra console, PC e smartphone rischia di dissolversi.
HTML5 per il gaming: giochi nel browser senza app
Se il cloud elimina la barriera dell’hardware, l’HTML5 agisce sul piano del software. Questo linguaggio permette di sviluppare titoli che funzionano direttamente nel browser, senza download e senza plugin esterni.
L’impatto è evidente: un titolo può essere aggiornato in tempo reale e reso disponibile istantaneamente a chiunque disponga di una connessione. Per i giocatori significa passare da un link a una partita in pochi secondi. Per gli sviluppatori è la possibilità di raggiungere un pubblico vastissimo senza la mediazione obbligata degli app store e senza vincoli di compatibilità tra sistemi operativi.
L’HTML5 ha fatto passi enormi rispetto ai suoi primi impieghi. Oggi supporta grafica 3D, audio di qualità, animazioni complesse e funzioni interattive che lo rendono una base solida per giochi di ogni genere, dai puzzle casual fino a titoli competitivi più elaborati. È una tecnologia che cresce in parallelo con le esigenze del mercato, adattandosi con sorprendente elasticità a scenari sempre nuovi.
Mobile gaming, cloud e HTML5: un cambiamento di paradigma
Cloud e HTML5 non sono solo innovazioni tecniche, ma forze che spingono il settore verso un nuovo equilibrio e di fatto una nuova weltanschauung.
Il cloud promette di democratizzare l’accesso ai giochi più sofisticati, mentre l’HTML5 apre a un’accessibilità immediata e universale. Due strade diverse, ma complementari, che tendono a superare l’idea stessa di app come unico canale di fruizione.
Chi guarda al futuro del mobile gaming deve immaginare scenari in cui lo smartphone è una finestra, non più un contenitore. Una finestra capace di aprirsi su mondi sempre più complessi, senza barriere tecniche né vincoli di piattaforma.
Questo non significa che le app siano destinate a sparire: restano strumenti validi, soprattutto per chi cerca intrattenimento offline o preferisce ambienti chiusi e protetti. Tuttavia, la spinta del cloud HTML5 è destinata a ridurre progressivamente il loro predominio, aprendo un panorama più articolato e complesso.
Mobile gaming: conseguenze economiche e sociali del cambiamento
Gli effetti derivanti non riguardano solo la tecnologia, ma anche il modo in cui il mercato e la società interagiscono con il gioco. Con il cloud, il modello di business tende a spostarsi verso abbonamenti mensili e formule “pay per access” simili a quelle già diffuse nello streaming video. L’HTML5, invece, favorisce titoli accessibili gratuitamente con inserzioni pubblicitarie o microtransazioni.
Questi modelli sollevano domande etiche e regolamentari. Chi gestisce i dati di milioni di giocatori collegati a server globali? Quali tutele esistono per i minori? E come si definisce il confine tra intrattenimento e consumo eccessivo? Sono interrogativi che richiedono risposte non solo tecnologiche, ma anche politiche e culturali.
Sul piano sociale, la diffusione di giochi immediati e accessibili ovunque contribuisce a un fenomeno che potremmo definire di “gioco diffuso”. Non più sessioni concentrate davanti a una console, ma momenti frammentati, inseriti nelle pause quotidiane. Un cambiamento che modifica la percezione stessa del tempo libero e la relazione con la tecnologia.
Il futuro del gaming: equilibrio tra mercato e cultura
Non si tratta solo di un’evoluzione tecnica, ma di un cambiamento culturale verso i giochi a pagamento. Il gioco non è più confinato a spazi chiusi: con il cloud e l’HTML5 è più accessibile,con comparazione bonus immediato e interconnesso con le offerte del mercato.
L’industria si trova davanti a un nuovo equilibrio tra modelli economici, diritti digitali e modalità di fruizione. E gli utenti, spesso inconsapevoli della rivoluzione in corso, sono i primi testimoni di un futuro che si costruisce giorno dopo giorno, partita dopo partita.
Il mobile gaming, nato come intrattenimento leggero, si avvia così verso una maturità in cui il confine con il gaming tradizionale è sempre più labile. E in questo passaggio non c’è soltanto l’innovazione tecnologica, ma anche una riflessione su come viviamo il gioco, sul tempo che gli dedichiamo e sul valore culturale che gli attribuiamo.
Approfondimenti
I sindaci e la sindrome dell’Armata Brancaleone
Insomma, come recitava la regola aurea che circolava in molte scuole di pensiero, tanto tempo fa, quella massima: “Chi non sa fare un tubo, potrà fare politica, domani”, non deve vincere, ma neanche cedere il passo a formare, una volta in sella, delle “Armate Brancaleone”…

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Fra poco, in autunno, torneremo a votare!
Ci toccherà ancora una volta, come scriveva Montanelli: “Turarsi il naso e votare…”.
Scegliere di candidarsi, dedicarsi alla politica, lo so, non è cosa facile, anzi è alquanto ardua come scelta: non deve essere un rimpiazzo, una surroga, ma impegno costante, obbligo e zelo!
Insomma, come recitava la regola aurea che circolava in molte scuole di pensiero, tanto tempo fa, quella massima: “Chi non sa fare un tubo, potrà fare politica, domani”, non deve vincere, ma neanche cedere il passo a formare, una volta in sella, delle “Armate Brancaleone”.
A leggere la realtà di oggi nel nostro Salento, sembrerebbe che quello sfottò, quella saggezza popolare, si sia trasformata in profezia.
In molte nostre città è ricominciata scuola e, in tante parti dei nostri Comuni, insieme alle lezioni sono iniziati i lavori stradali, i rifacimenti, i rumori, le deviazioni: chiaramente, a ridosso dei plessi scolastici.
Così come in tante altre vie, appena tirate a lucido con sforzi economici non indifferenti, subito dopo la posa del nuovo asfalto, iniziano i lavori dell’AQP, dell’Enel, della fibra, del Gas.
E’ solo una coincidenza o mancata programmazione, sciatteria? Sembra la facciano apposta!
A sentir loro, i politici, i manager non hanno colpe: una volta è la burocrazia, l’altra, gli uffici, l’altra ancora la Giunta che non sa coordinarsi, poi lo scirocco “mputtanutu”, le zanzare del Nilo e i social “caini” che mettono in giro certe false voci.
Capisco che avere a che fare con l’AQP (che in molti comuni sta ultimando lavori) è come aver a che fare con Brighella: pensate sono così scrupolosi che inviano le fatture da pagare 15 giorni dopo la scadenza e poi si fanno pagare il “pizzo” per il ritardato pagamento sulla fattura successiva.
Sono così organizzati che in una scuola del nostro Salento, che da mesi aveva programmato “le porte aperte” con palloncini e festoni per accogliere e dare il benvenuto ai pupi per l’inizio della materna, l’acquedotto ha deciso, proprio quel giorno, di chiudere l’acqua!
Forse in segno ben augurante di benvenuto!
Forse era un saluto liquido (senza l’acqua), o un messaggio subliminale: “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
Certo, se proprio devo essere sincero, questo copione fa il pari con quelli dell’Enel (o come si chiama oggi la società dell’energia) che, bontà loro, per non dare fastidio e creare scompiglio, quando decidono di togliere la corrente in certe strade dei nostri Comuni, zitti zitti, non avvisano nessuno.
Si, forse qualcuno della loro famiglia lo avvisano: i pali della luce! Ma guai a farlo sapere in giro: che scherzo sarebbe!
O quelli delle Poste che, due volte su tre, nonostante siano una istituzione nazionale preposta alla gestione economica e alla felicità dei nostri anziani che, invece, quando si recano in agenzia, dopo aver fatto la fila per riscuotere la pensione, si sentono rispondere: “Mi dispiace, non ci sono soldi!”.
Ora potrei capire i poveri sindaci e le loro armate (politiche), che investiti da una barca di soldi – leggi PNNR – da spendere entro non oltre, plagiano Brancaleone e, dopo le votazioni creano alla meno peggio, quando non li sfiduciano, un gruppo di “tubisti” spesso mal organizzati e inconcludenti, i quali giustificano, come sopra, il loro operato.
Ma si intravede un’alba per il cambiamento?
La colpa è anche nostra: anche dei giornali, poco attenti a quello che succede; della poca denuncia e della poca assunzione di responsabilità; della evanescenza di chi si affaccia alla politica; e in ultimo di tanta gente che, specchiandosi con la realtà che la circonda, è stordita dal poco senso civico.
Fra poco, dicevo, andremo a votare, io non sono nessuno, sono solo un semplice osservatore, per questo non mi elevo a dare consigli, ma vorrei solo invitare tutti al dibattito, alla riflessione, a spendersi, a lottare, a farsi sentire anche con il voto.
Solo così potremo creare un’alba lucente, un futuro migliore per tutti, degno di questa bella terra.
Luigi Zito
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