Connect with us

Attualità

Una piccola ma grande chiesa: l’Addolorata di Galatina

Un vero e proprio splendore. La chiesa dell’Addolorata di Galatina (1710) riconquista la sua antica bellezza e straordinarietà stupendo il visitatore al suo ingresso

Pubblicato

il

Un vero e proprio splendore. La chiesa dell’Addolorata di Galatina (1710) riconquista la sua antica bellezza e straordinarietà stupendo il visitatore al suo ingresso nella casa di Dio. L’intervento conservativo dell’altare maggiore (1716) e il restauro delle sei tele ovali raffiguranti la Via Matris, voluti grazie alla tenacia dell’amministrazione del Pio Sodalizio, guidata da Biagio Buccella, fanno della piccola, ma grande chiesa dell’Addolorata, come amava chiamarla mons. Antonio Antonaci, Rettore per oltre quarant’anni, un vero e proprio gioiello dell’arte barocca, incastonato nel cuore del centro storico, meta obbligata dei pellegrini durante la loro visita alla città, ma anche dei fedeli devoti alla Vergine Maria. La sera del 17 dicembre 2011, alla presenza dell’Arcivescovo di Otranto S.E. mons. Donato Negro, del Rettore mons. Aldo Santoro, dell’allora Sindaco della città dott. Giovanni Carlo Coluccia, dell’ing. Giovanni Vincenti, responsabile dello stabilimento Colacem di Galatina, dell’architetto Luigina Antonazzo, Direttore dei Lavori, Emilia Marcella Stefanelli, Restauratrice B.B.C.C. della ditta DEA XXI di Lecce, della dott.ssa Alessandra Muci, Restauratrice delle tele, dei geometri Luigi e Claudio Marullo dell’omonima ditta, è stato presentato alla città di Galatina il risultato di tutti questi anni di lavoro, di progettazione, di raccolta fondi, rendendo grazie a Dio per questo importante traguardo raggiunto, punto di partenza per nuove iniziative tese a valorizzare ulteriormente il patrimonio artistico, culturale e religioso presente nella chiesa. Il grandioso lavoro portato avanti in questi ultimi mesi è la realizzazione di un progetto nato sul finire del secolo scorso con il recupero delle statue laterali poste sull’altare maggiore (S. Caterina da Siena e S. Chiara, protettrici della confraternita), e tenuto in piedi grazie alle numerose piccole offerte dei fedeli. Tutti i colori dell’altare maggiore della chiesa dell’Addolorata vennero nascosti, probabilmente agli inizi del secolo scorso, mediante una copertura di calce per evitare il diffondersi di croniche malattie infettive che imperversavano in quegli anni, soprattutto a causa delle due guerre mondiali che sconvolsero la storia della prima metà del Novecento. Ha preceduto questo lavoro di restauro un intervento per combattere l’umidità di risalita, considerando che nella parte sottostante la chiesa, dove sono seppellite le spoglie dei confratelli defunti del Pio Sodalizio, come per buona parte della zona del centro storico della città, è  presente una certa quantità di acqua, che danneggia le strutture sovrastanti. Difatti, sarà forse per la presenza di tale fenomeno, i colori della parte inferiore dello stesso altare sono andati irrimediabilmente perduti, danneggiandolo gravemente. Sul piano tecnico, è stata necessaria un’opera di eliminazione degli strati di ridipintura precedenti, seguita da una fase di consolidamento degli strati pittorici, con la stuccatura di alcune superfici lacunose e alcune parti sono state dipinte con vernice dorata (porporina) e con fondo di vernice sintetica di colore grigio. Lo stesso altare maggiore venne restaurato nel 1854, grazie all’interessamento di Aloysio Baldari, così come riportato in una incisione riportata alla luce. Il prossimo intervento riguarderà la realizzazione di un idoneo impianto di illuminazione dell’altare, che metta ben in risalto la ricchezza dei suoi particolari (pensiamo, per esempio, ai sei puttini angelici che circondano la teca dove è custodita la Vergine Addolorata, portando in mano i segni della Passione del Cristo). Il costo dell’intervento, però, è piuttosto elevato, dopo quello già realizzato! Possiamo così riscoprire, dalla sera del 17 dicembre, la straordinaria espressione del volto di San Pietro, situato per chi guarda sulla sinistra dell’altare, portando sulla mano le chiavi della città di Galatina (adversus hanc petram portae inferi non praevalebunt, arricchiva una volta lo stemma della città), di cui è compatrone insieme a San Paolo, situato sulla destra; la profonda devozione mariana dei serviti protettori della confraternita, tra i quali troviamo le statue di S. Filippo Benizi e S. Giuliana Falconieri (nipote di uno dei Sette santi fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, sant’Alessio), oltre al francescano S. Pasquale Baylon; riveste un significato particolare la devozione a S. Antonio da Padova, volendo, i nostri padri, collocarvi la statua al fianco a quella di S. Pietro. La devozione alla Vergine Addolorata, come riporta la bolla di affiliazione dell’Arciconfraternita all’Ordine dei Servi di Maria (1711), risale alla notte del venerdì santo del 1240, quando in una grotta del monte Senario comparve, a quelli che diventarono i fondatori dell’Ordine stesso, la Vergine Desolata, vestita di nero e col volto provato dalla morte del Suo Figlio Unigenito, Gesù. Si può, ora, ammirare l’altare, alto fin sopra al controsoffitto, per scorgere la via per la salvezza dell’uomo che, usando le parole dell’ing. Vincenti nella sera della presentazione, conduce, in un movimento ascendente, verso l’Eterno Padre, che lo accoglie a braccia aperte. Meritano particolare attenzione le sei tele ovali raffiguranti la Via Matris, e situate lungo le pareti della navata centrale, restaurate nel febbraio del 1957 su commessa della contessa Maria Caracciolo-Mongiò. Trattasi di dipinti di olio su tela cm. 178 x cm. 147 risalenti alla seconda metà del XVIII secolo. In particolare la tela della “Presentazione di Gesù al Tempio” presenta un’iscrizione dell’autore, Gaetano Tartaglia,  che l’ha donata e dipinta nel 1860, mentre “La sepoltura”, “La fuga in Egitto” e “La deposizione” potrebbero essere, come è emerso la sera del 17 dicembre, opera di Maria Rachele Lillo, sempre risalenti alla seconda metà del XVIII secolo. L’intervento della dott.ssa Alessandra Muci è costituito da un’opera di pulitura delle sei tele ovali e di rifacimento del relativo telaio su disegno del precedente, per riportare all’antico splendore tutto un patrimonio artistico che gli agenti atmosferici, l’umidità e l’incuria dell’uomo stavano deteriorando, fin quasi alla perdita totale di questa straordinaria ricchezza, che pochi concittadini, purtroppo, conoscono. Assumono oggi una veste diversa, ricoprendosi di luce nuova mostrando i colori vivi dell’opera stessa. Fanno certamente parte di quella che fu chiamata la Bibbia dei poveri, i quali, non sapendo leggere, con l’ausilio dell’arte pittorica potevano conoscere e scoprire la vita di Gesù e della Vergine Madre. Nonostante manchi ancora la ripulitura delle pareti interne, quest’anno tutti noi sodali della confraternita e cittadini di Galatina potremo contemplare i Dolori di Maria nella Passione e Morte del Suo Figlio Unigenito, nella chiesa dell’Addolorata, davanti a quell’altare meraviglioso, così come la pensarono e la edificarono i nostri padri tre secoli or sono. La chiesa dell’Addolorata di Galatina e tutti i suoi tesori custoditi gelosamente fanno parte del patrimonio religioso, storico, artistico e culturale della città, che l’attuale amministrazione sta cercando di valorizzare, attingendo dalle casse dell’Arciconfraternita, e soprattutto facendo affidamento alla generosità dei fedeli, tra i quali vanno menzionate le sorelle Esposito, oltre alla ditta Marullo, al Banco di Napoli spa e al corposo intervento del comune di Galatina in collaborazione con la ditta Colacem spa, grazie al coinvolgimento dell’ing. Giovanni Vincenti, che, con devozione mariana, si è molto interessato alla chiesa e alla sua salvaguardia. L’Arciconfraternita pone a tutti loro i più sentiti ringraziamenti, con una profonda preghiera alla Vergine Addolorata.


Tommaso Manzillo

Approfondimenti

“Per grazia ricevuta”: Piemontese, assessore sanità Puglia, crea d’emblée 2mila posti di lavoro

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager…

Pubblicato

il

di Luigi Zito

Quello che non succede in 5 anni, a volte, si sa, può accadere a pochi giorni dalle elezioni: siano esse comunali (alzi la mano chi non si fatto dare “una liccata di asfalto”, davanti casa poco prima del voto); provinciali, quando Presidente o Assessori, come la Madonna, si appalesano in città e chiedono una “citazione” nelle urne: e giù a concedere, promettere, santificare e beatificare, tutta Grazia sprecata o mal riposta, perché sanno che non è deificata, ma solo vanagloria.

E fin qui siamo nell’ordine naturale delle elezioni.

Quello che supera il livello di indignazione e tracima nella vergogna assoluta, ai limiti della sconcezza, e chiede vendetta, è quanto sta accadendo per le nostre elezioni regionali.

Nonostante cinque aziende sanitarie da 17 giorni siano senza direttore generale e non si veda alba, la Regione si prepara a lanciare tre concorsoni: due dei quali saranno gestiti proprio da Asl senza un manager.

Mille posti ciascuno per infermieri e Oss, mentre la terza procedura darà il via alla mobilità intraregionale per permettere spostamenti tra le varie aziende.

Ricapitolando: 2mila posti di lavoro creati d’emblée, come infermieri e Oss, dei quali un terzo (circa 700) saranno su Foggia, città del Vicepresidente e assessore alla Sanità e Benessere animale, Sport per tutti, Raffaele Piemontese, prodigo di carità e col vizio delle buone azioni.

Questi concorsi erano attesi almeno da maggio, ora una circolare del dipartimento Salute conferma che la pubblicazione è «imminente», e dunque la scadenza delle domande potrebbe arrivare proprio a ridosso della tornata elettorale del 23 e 24 novembre prossimi, anche se le prove si svolgeranno non prima di aprile-maggio.

Quando si dice avere una “faccia di tolla”, ma qualcun altro asserirà che “in politica la menzogna è una componente imprescindibile”.

Come possiamo difenderci: quando nel segreto dell’urna dovremo apporre quella “citazione”, per non ricevere un’altra villania del genere, dobbiamo saper distinguere il “grano dalla pula”, il bianco dal nero, le “facce di tolla” da quelle linde, correte, sincere e leali.

Ricordiamocene.

Continua a Leggere

Approfondimenti

L’ambasciatore Cristina: “Ho conosciuto Putin e il Dalai Lama, che esperienze”

«Il Salento, è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate a Tricase, per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere”…

Pubblicato

il

di Ercole Morciano

Cristina Funes-Noppen è ambasciatore onorario del Belgio (lei stessa preferisce l’appellativo di ambasciatore a quello di ambasciatrice essendo quest’ultimo usato per indicare la moglie dell’ambasciatore, NdR), e da un po’ di tempo vive buona parte dell’anno in Salento, a Tricase, dove ha comprato un’antica dimora, quasi attaccata alla chiesa matrice, adattandola ai suoi bisogni,

Figlia di ambasciatore ha seguito le orme paterne e dopo gli studi accademici a carattere diplomatico ha percorso la sua carriera come ambasciatore del Belgio in numerosi Paesi nei vari continenti tra cui Zambia, Kenya, India, Tailandia, Marocco, Austria e Argentina, senza dimenticare che in tutte le sue destinazioni, come ambasciatore residente, copriva anche larghe giurisdizioni riguardanti altri vari Paesi.

È stata anche coordinatore di tre direzioni al ministero degli affari esteri: Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite e Disarmo.

Ha ricoperto inoltre le funzioni di rappresentante permanente presso l’O.N.U e di commissario speciale per la cooperazione e lo sviluppo.

Dopo aver seguito le orme paterne in ambito professionale, l’ambasciatore segue ancora oggi le inclinazioni della madre, Maria Noppen De Matteis, pittrice e “star mondiale del surrealismo anche se poco conosciuta in Puglia” (bari.repubblica.it > cronaca 2022/12/19 news).

Nata nel 1921 nel castello baronale dei Sauli di Tiggiano, cui apparteneva la madre, dove le è stato allestito un museo permanente delle sue opere, Maria Noppen De Matteis, verso la fine degli anni ’50 e i primi ’60, d’estate villeggiava col marito e la figlia Cristina a Tricase-Porto, nella casa di Angelico Ferrarese, posta in una splendida posizione panoramica e vicina al villino di Gaetano Sauli, suo parente.

La giovanissima Cristina (Cri-Cri per le amiche e gli amici) era bionda, solare, molto bella, vivace, dal sorriso incantevole che “faceva girare la testa” ai giovanissimi rampolli delle famiglie-bene di Tricase-Porto in quel periodo caratterizzato dalla spensieratezza e dalla gioia di vivere.

La vena artistica di Cristina Funes-Noppen ne fa un personaggio veramente eclettico e sorprendente perché, oltre a dipingere, ella scrive con successo, in francese, romanzi e saggi storico-letterari dai quali traspare la sua speciale cultura maturata a diretto contatto con i popoli delle nazioni dove ha esercitato il ruolo diplomatico.

Gli ultimi suoi due romanzi, editi nel 2023 e nel 2025, si intitolano “Ils étaient six” e l’altro “Équivoques”. Il primo, narra la vicenda dei criminali nazisti che alla fine della II guerra mondiale si nascosero in Argentina.

La trama si svolge a sud delle Ande, in piena cultura “quechua” e consente al lettore, in filigrana, di seguire l’evoluzione politica dell’Argentina negli anni 1945-1983.

L’ultimo, contiene quattro romanzi gialli che danno informazioni su diversi Paesi, Kenia, India, Thailandia e un dialogo spiritoso sulla morte.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

Perché il Salento e Tricase?

«Il Salento è la terra di mia nonna, è la terra dove venivo d’estate per le vacanze, dove avevo dei carissimi amici che sfortunatamente non ci sono più – ma ci sono i miei cugini, è la terra dei miei antenati alla quale mi sento di appartenere malgrado le mie molte peregrinazioni nel mondo, è infine la terra dove mi sento a casa. Nonostante la mia nazionalità belga sono rimasta profondamente salentina».

È soddisfatta della sua scelta? Ombre e luci?

«Se consideriamo il tipo di vita che si ha qui rispetto a quello di altri Paesi, occorre riconoscere che qui la qualità della vita è più umana. E poi, il patrimonio naturalistico, architettonico, storico, e culturale, nell’insieme, è di alta qualità e ampiamente godibile».

«HO CONOSCIUTO PUTIN»

Tra i diversi Capi di Stato o di governo da lei conosciuti, come racconta nel suo libro Chroniques impertinentes… ancora in carica tra gli altri vi è Vladimir Putin.

«Ho conosciuto Vladimir Putin nel 2001 quando è venuto in visita ufficiale in Belgio. Io ero all’epoca commissario speciale e pertanto fui invitata alla cena di gala. Non ci siamo parlati molto, però mi diede l’impressione che ci teneva ad avere buoni rapporti con l’Europa. Non mi sembrò nemmeno che terrorizzasse i suoi collaboratori.

Di fianco a me era seduto il suo consigliere per le questioni nucleari che aveva abusato della “divina bottiglia”, come dicono i francesi, e pertanto cantava in francese durante tutta la cena suscitando l’ilarità dei commensali, compreso Putin.

Cantando a squarciagola, non dava certo l’impressione di temere il suo presidente, il che non succede normalmente nelle cene ufficiali di gala e tanto meno di fronte a quello che è supposto essere un dittatore sanguinario.

Nella mia carriera ho incontrato vari dittatori e posso assicurare che davanti a loro nessuno dei collaboratori al seguito si sarebbe permesso di cantare».

GLI OSTAGGI

Due aneddoti, uno triste e l’altro lieto, nei suoi ricordi di ambasciatore.

«Il primo, andato a buon fine, riguarda due ostaggi di Medici senza Frontiere presi dall’armata di liberazione del Sud Sudan e liberati dopo una trattativa durata 20 giorni in cui i guerriglieri vollero trattare solo con me, al telefono, di notte.

Non ci chiesero nessun riscatto come invece per ripicca accadde dieci giorni dopo, con un altro ostaggio francese, la cui trattativa durò tre mesi e si chiuse con l’esborso di un’ingente somma di denaro. Questo mi fu precisato, ridendo, dal mio collega francese che pretese che era tutta colpa mia se la SPLA si era rifatta sul suo governo! L’aneddoto triste riguarda invece due belgi, un ragazzo che lavorava per le Nazioni Unite e sua moglie.

Erano spariti da 5 anni e i due miei predecessori non erano riusciti ad avere notizie certe.

I genitori speravano e le autorità pretendevano che fossero ancora vivi. È una storia romanzesca che si svolse in Thailandia e in Cambogia. Da quello che finalmente sono riuscita a scoprire seppi che erano stati uccisi dai Khmer Rossi, forse con la complicità dell’esercito thailandese e eventualmente con risvolti riguardanti il traffico di opere d’arte.

Testardamente impegnata, dopo molte peripezie, e dopo aver insistentemente discusso con i due re, Shianouk e Bhumipol, fui messa in contatto con il capo dell’esercito thailandese e con i Khmer Rossi che mi consegnarono le spoglie che io affidai alle famiglie, le quali ebbero almeno la consolazione di sapere cos’era successo ai loro figli e di potere seppellirne i corpi».

IL DALAI LAMA EMETTE UNA ENERGIA POSITIVA

La persona che più ha lasciato traccia nel suo animo durante la lunga carriera diplomatica?

«È stato di certo il Dalai Lama: una persona assolutamente fuori dal comune che emette un’energia positiva straordinaria e trasmette alle persone che incontra una carica di felicità. E ho il privilegio di avere ancora dei contatti sporadici con questo sant’ uomo, grazie al quale la cultura tibetana continua a sopravvivere malgrado l’occupazione della Cina che fa di tutto per eradicarla.

Perciò il Dalai Lama ha deciso che dopo la sua morte non si reincarnerà nel Tibet per evitare che i Cinesi arrestino la sua reincarnazione (che potrebbe essere anche una bambina) e la sostituiscano con una di loro scelta come fecero con il Panchen Lama (figura importante nel buddhismo tibetano).  Il Panchen Lama che si era reincarnato nel Tibet. fu arrestato quando aveva solo 6 anni nel 1995, rimpiazzato con un ragazzino che conveniva alle autorità cinesi e nessuno sa, da allora, dove si trovi il vero Panchen Lama».

Chroniques impertinentes

“…Un libro che si caratterizza per una libertà di spirito, un tono a volte mordace, esotico e cosmopolita. Un libro istruttivo, politicamente scorretto…ma così giusto! Un libro prezioso che deve essere letto da coloro che s’interessano alla diplomazia e agli affari di questo mondo”.

Continua a Leggere

Attualità

Muore a 54 anni, Sonia Petrachi, assessora a Melendugno.

il Sindaco. “L’amministrazione perde un’assessora estremamente valida, collaborativa e leale dotata di una grande disponibilità all’approfondimento e al pensiero critico ma sempre al fine di costruire e mai di distruggere…”

Pubblicato

il

Muore a 54 anni, Sonia Petrachi, l’assessore comunale alla Cultura di Melendugno.

Queste le parole del sindaco, Maurizio Cisternino: «La comunità perde una persona straordinariamente altruista e una politica sensibile, infaticabile, attenta, con un altissimo senso delle Istituzioni, e sempre al servizio del bene comune.

L’amministrazione perde un’assessora estremamente valida, collaborativa e leale dotata di una grande disponibilità all’approfondimento e al pensiero critico ma sempre al fine di costruire e mai di distruggere»

L’assessora lottava con un male incurabile che l’ha debilitata fino a portarla alla morte. 

Eletta nel giugno 2022 con la giunta, guidata dal sindaco Cisternino, Sonia Petrachi ricopriva la delega alla cultura, molto attiva in quell’ambito è stat anche l’ideatrice del BluFestival, che ha portato in città un evento di spessore con grandi scrittori di livello nazionale che hanno richiamato un pubblico colto e raffinato. 

Orgogliosa di aver ottenuto un finanziamento per avviare una campagna di scavi sull’Abbazia di San Niceta, luogo al quale era molto legata.

Continua a Leggere
Pubblicità
Pubblicità

Più Letti