Attualità
Ouverture della grande sinfonia pasquale
Il Vescovo di Ugento – S.M. di Leuca ai fedeli che non hanno potuto partecipare al Giovedì Santo e non potranno vivere come gli altri anni le celebrazioni pasquali: “Vedo le vostre strade deserte e le piazze vuote. I vostri paesi sembrano disabitati. Nelle vostre case, però, pulsa la vita e da lì, grazie alla radio, alla televisione e ai social, abbracciate il mondo intero”

Papa Francesco ha aperto il Triduo pasquale nel Giovedì Santo con un omaggio ai sacerdoti “che offrono la vita per il Signore“, ai preti deceduti.
Quest’anno per il coronavirus non è stato possibile celebrare, in Italia e in tutti i Paesi colpiti dal morbo, la messa crismale del vescovo con tutti i sacerdoti della propria diocesi. Neanche il vescovo di Roma ha potuto farlo nella sua Cattedrale di San Giovanni in Laterano.
Resta fondamentale però per i credenti il messaggio simbolico che il Papa e tutti i vescovi fanno giungere nelle case di ognuno con tutti i mezzi consentiti dall’emergenza epidemiologica.
Anche il Vescovo della Diocesi di Ugento- Santa Maria di Leuca ha celebrato la Messa del Giovedì Santo in Cattedrale, nel rispetto delle distanze sociali richieste dal momento.
Particolarmente significativa e ricca di spunti di riflessione la sua omelia.
“Vedo le vostre strade deserte e le piazze vuote”, ha detto tra le altre cose Mons. Vito Angiuli, “i vostri paesi sembrano disabitati. Nelle vostre case, però, pulsa la vita e da lì, grazie alla radio, alla televisione e ai social, abbracciate il mondo intero. È il nuovo spazio pubblico dove si manifesta e si consuma il dramma divino e umano della mia e della vostra passione e risurrezione”.
Di seguito vi proponiamo l’intera omelia del Vescovo.
Venite nel Cenacolo, la casa dell’Amore*
Ouverture della grande sinfonia pasquale
sono ancora io, Gesù, che vi parlo, come ho fatto in questa quaresima È giunta l’Ora suprema del mio passaggio da questo mondo al Padre (Gv 13,1). In quest’Ora solenne, «non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 14-15). Sì, mentre sto per lasciarvi, voglio rivelarvi i miei sentimenti più intimi.
Vedo che in questi giorni di quaresima, vi siete ritirati in casa. A me sembra che le vostre abitazioni siano diventate come i palchi di un teatro. Avete preso il posto che vi era stato assegnato da sempre e vi siete accomodati per meditare e partecipare, con un forte desiderio, alla grande sinfonia pasquale che viene celebrata nella Cattedrale e nelle altre Chiese, senza il concorso di popolo.
In realtà, quest’anno, la Pasqua viene celebrata non solo nello spazio ristretto di un’aula liturgia, ma sull’altare del mondo. È sempre così. In questi giorni, si evidenzia in un modo ancora più esplicito. Bene ha scritto il mio servo Giovanni Paolo II quando ha solennemente affermato che la mia Pasqua e ogni celebrazione eucaristica hanno sempre un «carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato»[1]. In un supremo atto di amore e di obbedienza al Padre, ho lasciato la gloria del cielo e sono venuto sulla terra, per restituire tutto il creato a colui che lo ha fatto dal nulla. Mediante il mio prezioso sangue sparso dalla croce, sono entrato nel santuario eterno e ho consegnato tutta la creazione al Padre. Il mondo, uscito dalle sue mani e redento dal mio sangue, è tornato a lui quale supremo e unico sacrificio e inno di lode e di gloria alla sua maestà divina.
Vedo le vostre strade deserte e le piazze vuote. I vostri paesi sembrano disabitati. Nelle vostre case, però, pulsa la vita e da lì, grazie alla radio, alla televisione e ai social, abbracciate il mondo intero. È il nuovo spazio pubblico dove si manifesta e si consuma il dramma divino e umano della mia e della vostra passione e risurrezione.
Sento che avete voglia di partecipare a questo importante avvenimento spirituale. Il mio triduo pasquale è il più grande “spettacolo del mondo”. Vi vedo accorrere, come la gente di Gerusalemme, per contemplare questa «visione umana e divina», ripensare a quanto è accaduto in questi giorni e partecipare alla mia Pasqua di morte e risurrezione (cfr. Lc 23,48). Non, però, da spettatori o da comparse, ma da solerti interpreti insieme a me, il vostro Maestro.
La musica ha inizio. Il sipario si alza lentamente. L’orchestra intona l’ouverture della sinfonia pasquale e la sua musica vi rapisce e vi invita a salire «al piano superiore» del Cenacolo, dove i miei discepoli hanno preparato la «grande sala con i tappeti, già pronta» (Mc 14,15). È la stanza del mio convivio d’amore. Ha inizio così l’incantevole sinfonia pasquale; la grande opera musicale suonata nello spazio terrestre come eco di quella che, dall’eternità, si esegue in cielo, al cospetto di Colui che è seduto sul trono e davanti a me, Agnello, «immolato e ritto in piedi» (Ap 5,6).
Il compositore è mio Padre, io sono lo spartito e lo Spirito Santo è il Maestro che dirige l’orchestra e interpreta la musica. Ho visto mio Padre mentre, dall’eternità, componeva l’intreccio delle voci e degli strumenti; sono venuto sulla terra a rivelarvi la melodia divina e l’ho cantata nel mondo, davanti a Dio e agli uomini; lo Spirito Santo ha accordato gli strumenti e le voci umane e celesti. Così, cielo e terra, si sono uniti in un inno universale, in una sola festa del cosmo e del paradiso, in un unico gaudio di uomini e donne, di angeli e santi, che all’unisono lodano le nostre tre divine Persone.
Un autore cristiano antico, rimasto anonimo, (le cose belle non hanno nome, appartengono a tutti) vi regala le parole di un bellissimo inno: «O mistica choregìa! / O spirituale festività / O Pasqua divina! / Dai cieli tu scendi fino alla terra / e dalla terra di nuovo tu risali ai cieli! / O sagra comune di tutte le cose! / O solennità di tutto il cosmo! / o gioia dell’universo, / suo onore, festino e delizia!»[2].
Tutto era già fissato nella Scrittura. Essa racconta la storia della salvezza e la presenta come una gemma di grande valore che irradia nell’universo la divina bellezza. Leggendo ciò che è scritto, comprendete che tutto è «disposto con misura, calcolo e peso» (Sap 11,20 ). Il creato appare come un’epifania cosmica: «I cieli narrano la gloria di Dio, il firmamento annunzia l’opera delle sue mani. Il giorno al giorno affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette la conoscenza» (Sal 19,2-3). La colossale coreografia (cfr. Salmo 148), magistralmente allestita dal Padre, invita ad ammirare con stupore l’inno di gloria e di lode che si eleva nella cattedrale cosmica per esaltare l’Opera di salvezza che, insieme al Padre e allo Spirito, ho portato a compimento nel mondo. È la fonte da cui scaturisce la vita nuova e scorre il rinnovamento di tutta la terra.
Questa divina sinfonia pasquale, che abbiamo composto noi Tre, si sviluppa di tre tempi, preceduti da una ouverture. Abbiamo tessuto la sua complessa intelaiatura musicale, ognuno per la sua parte e tutti insieme come coautori. Ora, la ascoltiamo con voi. Ognuno di Noi Tre, con il suo timbro, si unisce al canto, conferendo alla composizione melodica una ricchezza di note e di accordi che incantano, inebriano e feriscono la vostra anima. Irresistibile è il suo fascino e trascinante è il suo ritmo. L’anima che ascolta questo musica divina viene sedotta e, quasi senza accorgersene, cerca di ridire le parole e cantare i ritornelli.
È la sinfonia pasquale della bellezza dell’Amore divino e umano. Il suo tema melodico è sviluppato in tre movimenti, preceduti da una ouverture e da un inno finale. È l’unico mistero, voluto da mio Padre, attuato nel mondo attraverso la mia passione, morte e risurrezione e armonizzato nel tempo e nella storia dallo Spirito Santo.
Dall’unità del mistero, deriva il senso unitario del rito liturgico. Sia pure dilatato nei tre giorni santi, è sempre celebrazione sacramentale del nostro Amore trinitario. Il venerdì commemora il memoriale della mia passione e morte, il sabato custodisce la mia discesa agli inferi e la domenica ripresenta la gloria della mia risurrezione. I tre movimenti della sinfonia celebrano l’Amore crocifisso, nascosto e risorto e tutto sfocia in un finale gioioso ed esultante. Ogni movimento richiama l’altro, in una circolarità inscindibile e armonica.
Oggi, Giovedì santo, ha inizio la sinfonia con l’accattivante ouverture. Essa contiene «l’intero Triduum paschale, e questo è come raccolto, anticipato, e “concentrato” per sempre nel dono eucaristico. In questo dono ho consegnato alla Chiesa l’attualizzazione perenne del mistero pasquale. Con esso ho istituito una misteriosa “contemporaneità” tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli»[3]. Ricordatelo sempre, cari amici: l’Eucarestia è l’unità dei tre giorni santi. È memoriale, presenza reale e sacramento della Pasqua. Questa fontana d’amore è l’energia spirituale che rinnova il mondo.
Nella stanza al piano superiore, tutto è pronto. La tavola è apparecchiata, i discepoli hanno preso posto. Faccio il solenne ingresso, con i miei abiti regali. È lamia e la vostra festa. Sotto l’abile tocco delle invisibili mani dello Spirito Santo, si ode il suono del Theremin. Lo strumento vibra senza vi sia alcun contatto fisico. Le abili movenze dello Spirito Santo fanno scaturire i suoni dalle vibrazioni. Esse sembrano fluire dalle corde di un violino. Hanno il tono melodioso e vagamente inquietante di voce umana, anzi di una voce divina. Mentre il Theremin continua a effondere nella sala l’affascinante melodia sotto il leggero soffio dello Spirito, intono il mio canto: «Desiderio desideravi» (Lc 22,15). Che splendida armonia s’intreccia tra le mie parole e la melodia provocata dallo Spirito. L’accordo è perfetto. Procediamo all’unisono.
Al suo segnale, si uniscono le voci dei discepoli che cantano: «Sicut cervus desiderat ad fontes acquarum, ita desidera anima mea ad te Deus» (Sal 41,2). Se ascoltate con attenzione questo canto, vi accorgerete che procede più concitato sulla parola desiderat, giacché si tratta di descrivere il moto spirituale in atto. Lunghe note, invece, caratterizzano i momenti di introspezione (sicut eita), i soggetti da contemplare (cervus e anima). Tutto poi si placa nella sete incessante e nella quiete dell’esaudimento del desiderio (fontes eDeus). Sì, gli apostoli, anche se non tutti, sono anime assetate d’amore che corrono alla fonte d’acqua viva per dissetarsi della sua dolcezza.
Mentre contemplate questo meraviglioso spettacolo nelle vostre case, vi giungono le mie parole che vi invitano a sedere alla stessa mensa e a prendere parte al convivio: «Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il mio invito si fa più suadente e più insistente: “Venite, amici, alla cena del vostro Signore”. «Abbiate fede! Voi verrete da me e gusterete i beni della mia mensa, com’è vero che io non ho ricusato d’assaporare i mali della mensa vostra… Vi ho promesso la mia vita… Come anticipo vi ho elargito la mia morte, quasi a dirvi: Ecco, io vi invito a partecipare della mia vita… È una vita dove nessuno muore, una vita veramente beata, che offre un cibo incorruttibile, un cibo che ristora e mai vien meno. La meta a cui vi invito, ecco… è l’amicizia con il Padre e lo Spirito Santo, è la cena eterna, è la comunione con me… è partecipare della mia vita»[4].
Attirati dalla dolce melodia di queste mie parole, in questa notte carica di silenzio e di intimità, accogliete il mio invito e, con voce appassionata, vi unite a noi e tutt’insieme cantate: «Quanta sete nel mio cuore: solo in Dio si spegnerà, quanta attesa di salvezza: solo in Dio si sazierà. L’acqua viva che egli dà sempre fresca sgorgherà. Il Signore è la mia vita, il Signore è la mia gioia». Quante volte, avete cantato queste parole in tante celebrazioni. Ora vi sembrano diverse. Forse le comprendete più in profondità.
Che strano. Proprio nel giorno dell’istituzione dell’Eucaristia non potete accostarvi a ricevere il sacramento. Rimane solo il desiderio e la comunione spirituale con me. Non è poco. È molto, anzi è moltissimo. Ricordate quanto vi dico: senza il desiderio di incontrarmi non si attua nessun incontro! Io vado incontro a chi mi desidera. «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).
Mentre celebriamo il santo mistero, gli angeli guardano dal cielo e bramano di unirsi a questo sacro convivio (cfr. 1Pt 1, 12). In un controcanto, si rivolgono a me, il loro Signore, e con le loro voci celestiali mi implorano e mi supplicano: «Anche noi desideriamo ardentemente di magiare questa Pasqua con voi» (Lc 22, 15). Rivolti a voi e a tutti gli invitati, con un po’ di gelosia, vi esortano, ad uno ad uno, con queste parole: «Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la ricchezza della parola ti superi. Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. È meglio che la fonte soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bere di nuovo ogni volta che ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria sarebbe la tua sciagura»[5].
C’è un’aria di pace nel Cenacolo. La stanza dell’Amore è la camera segreta dove si manifesta la “rivelazione intima” della sinfonia pasquale. Nell’intimità, vi regalo la mia amicizia e tolgo il velo a ciò che è nascosto. Il Cenacolo è il posto giusto per parlare d’amore. È la stanza dell’intimità, dove gli amanti si incontrano e si scambiano i loro segreti.
Il Cenacolo, non dimenticatelo cari amici, è il luogo sacro dove accadono e sono custoditi gli eventi che precedono e seguono la mia passione, la mia morte e risurrezione. Sono essi a svelare l’insondabile ricchezza del mistero. Questo luogo custodisce i più grandi eventi della redenzione: l’istituzione dell’Eucaristia (cfr. Mt 26,26-28; 1Cor 11,23-25), la mia apparizione ai discepoli (cfr. Gv 20, 19-29) e la discesa dello Spirito Santo (cfr. At 1,13-14). Senza questi avvenimenti, accaduti nell’intimità del Cenacolo e nascosti agli occhi del mondo, la croce che è la rivelazione pubblica dell’Amore sarebbe compresa solo come scandalo e follia e non nel suo valore salvifico e nella sua rivelazione suprema dell’amore.
Siamo al momento conclusivo. Mi assale la commozione e il pianto. Come uno sposo con la sua amata, vi stringo fortemente a me. Sto per lasciarvi. Voi siete la mia sposa, la mia famiglia, la mia comunità. Vedo che volete posare il vostro capo sul mio petto, mentre spezzo il pane e lo porgo a ognuno di voi. «È il mio corpo che è dato per voi». Vi offro anche il calice. «È il mio sangue sparso per voi». Cingo i fianchi con l’asciugatoio e passo a lavarvi i piedi. Questa è la “Cena del Signore”, la “memoria prolettica” del mio mistero pasquale.
Il rito eucaristico richiama il passato e annuncia il futuro. E così sarà per sempre. Ciò che celebriamo questa sera è il memoriale della mia Pasqua, la mensa di grazia e la caparra della gloria futura. A voi, non resta altro se non «fare memoria di me» e «seguire le mie orme». «Mandatum novum do vobis» (Gv 13,34). Imitate il mio esempio. Il convivio eucaristico è il contesto rememorativo che custodisce il significato dell’esempio che vi ho dato. Mettetrelo in pratica.
Celebrate sempre con stupore il mistero dell’Amore e fermatevi ad adorarlo. «O sacrum convivium», cantate nella liturgia! Il sacro convivio, cioè il convenire di chi ama perché riconosce di essere amato. D’ora in poi rimarrò sempre con voi. Vedo che vi meravigliate di queste mie parole e siete colmi di stupore. Credetemi, con questo dono eucaristico rimango sempre con voi. Gusterete così la mia presenza reale: la dolce presenza (Jesu, dulcis praesentia) e sentirete la dolce memoria (Jesu, dulcis memoria).
Vi do l’ultimo comando: tornate ogni volta al Cenacolo e, da lì, partite per il mondo intero. Poi ritornate nuovamente al Cenacolo per nuovamente ripartire, in un incessante movimento in cui è racchiuso tutto il mistero della fede e tutta la vostra vita cristiana. Senza il Cenacolo non c’è missione. E ogni missione esige che si ritorni nel Cenacolo.
Mentre concludo questo mio discorso, la musica sfuma in un dolce silenzio. L’ouverture è terminata. Cala il sipario. Adoratemi nel cuore: è il vostro Cenacolo e io sono il vostro Signore!“.
* Omelia nella Messa in Coena Domini, Giovedì Santo, Cattedrale, Ugento 9 aprile 2020.
[1] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 8.
[2] Anonimo quartodecimano, Sulla Pasqua, in R. Cantalamessa, I più antichi testi pasquali della Chiesa, Edizioni Liturgiche, Roma 2009, p. 97.
[3] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 5.
[4] Agostino, Discorso, 231, 5.
[5] Efrem il Siro, Diatessaron, I, 19.
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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