Attualità
Pensionati all’estero: IMU agevolata
Nuova riduzione IMU del 50% per una sola unità immobiliare, posseduta nel nostro Paese da non residenti fiscalmente, titolari di pensione estera maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia. Restano alcuni nodi da sciogliere…

Nuove agevolazioni IMU da quest’anno per i pensionati all’estero, ma esistono ancora alcuni nodi da sciogliere.
Sino al 2019, per una sola unità immobiliare posseduta in Italia da un pensionato non residente, iscritto all’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), veniva riconosciuta un’esenzione IMU al pari di quella concessa per le “abitazioni principali” possedute nel nostro paese.
Unica condizione, oltre al fatto che il contribuente doveva risultare pensionato dallo stato estero di residenza, era quella che l’immobile privilegiato non venisse né locato, né concesso in comodato.
Per evitare, però, una sorta di infrazione nei riguardi dell’Unione Europea con legge di Bilancio 2020 si era poi stabilito di rimuovere questo tipo di esenzione, ritenuta discriminatoria nei confronti degli altri cittadini comunitari (spesso coniugi d’oltralpe di nostri concittadini) che, pur possedendo immobili nel nostro paese, non avrebbero potuto godere di alcun beneficio.
A partire dal 2021, dunque, in base a quanto stabilito dall’art. 1, comma 48, della Legge n. 178/2020 (legge di Bilancio 2021) è prevista una nuova riduzione IMU del 50% per una sola unità immobiliare, posseduta nel nostro Paese da soggetti non residenti fiscalmente, titolari di pensione estera maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia. Per coloro che rientrano nel beneficio è prevista, altresì, una riduzione di 2/3 della TARI (Tassa sui rifiuti), come già stabilito nella precedente normativa. Tanti dubbi e perplessità in merito alle nuove disposizioni sia dai contribuenti, sia dagli operatori degli uffici tributi dei comuni. Preoccupa ulteriormente il fatto che persino commercialisti, altri professionisti e autorevoli siti on-line di informazione fiscale non siano ancora giunti, sino ad oggi, a dare alle nuove disposizioni un’interpretazione univoca e soprattutto definitiva.
«Su alcuni organi di stampa (tra cui un importante quotidiano)», asserisce la deputata eletta nella ripartizione Europa, Angela Schirò, «sono state riportate informazioni incorrette che rischiano di inficiare il senso e gli obiettivi di tale disposizione. Abbiamo anche provveduto a sollecitare l’emissione di una circolare esplicativa da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze».
Effettivamente una buona parte degli orientamenti convoglia ancora oggi nell’opinione che le nuove disposizioni verranno sì applicate ai pensionati esteri, ma ad una specifica condizione: la percezione della pensione dovrà essere necessariamente in regime di convenzione internazionale in cui rientrano solo particolari categorie di pensionati, quali i titolari di accordi per la totalizzazione internazionale.
I nuovi beneficiari dovrebbero essere, in questo caso, solo quei contribuenti che hanno lavorato in Paesi con i quali la nostra nazione ha stipulato una convenzione bilaterale, anche in materia di protezione sociale.
Avrebbero, pertanto, diritto alla nuova agevolazione IMU solo ed esclusivamente i pensionati, non residenti in Italia, che abbiano lavorato nei seguenti stati esteri extracomunitari convenzionati: Argentina, Repubblica di Capo Verde, Australia, Repubblica di Corea, Brasile, Repubblica di San Marino, Canada e Quebec, Stato del Vaticano, paesi dell’ex Jugoslavia, Tunisia, Turchia, Israele, Isole del Canale e Isola di Man, USA, Messico, Uruguay, Principato di Monaco e Venezuela.
“Per pensione in regime di convenzione internazionale», aggiunge l’On. Schirò, «si intende una pensione maturata tramite la totalizzazione di contributi versati in Italia con quelli versati all’estero in un paese convenzionato, comunitario ed extracomunitario. Ci siamo attivati», prosegue la deputata, «per individuare una formulazione legislativa che consentisse il ripristino della agevolazione e siamo riusciti, con la Legge di Bilancio per il 2021, a reintrodurre il parziale beneficio dell’IMU e quindi – ribadisco – sia bilaterale (accordi con paesi extracomunitari) che multilaterale (Regolamenti comunitari di sicurezza sociale). A causa della mancanza di risorse non siamo riusciti ad ottenere una esenzione totale (è stato istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’Interno con una dotazione su base annua di 12 milioni di euro)”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la senatrice e vice presidente della Commissione Esteri Laura Garavini, la quale conferma come la pensione in regime di convenzione internazionale riguardi i lavoratori comunitari ed extracomunitari che abbiano maturato periodi assicurativi in Italia, in stati membri dell’Unione Europea, negli stati SEE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein), in Svizzera e negli stati extracomunitari.
«Possono beneficiare della riduzione IMU del 50%», continua la senatrice, «i pensionati esteri, possessori di un immobile in Italia, che percepiscono in pro-rata, con un calcolo cioè sulla base della somma dei periodi contributivi maturati in almeno un altro Paese oltre che nel nostro. Tutto ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di un paese comunitario o extracomunitario».
In una improbabile controversa ipotesi i nostri parenti e conoscenti di Germania, Francia, Belgio, Spagna, Austria, Svizzera e tanti altri stati d’Europa subirebbero un impatto traumatico di non poco conto vedendosi precludere ogni prerogativa.
Qualcuno si domanda quanto potrebbe incidere in termini di risorse economiche, l’estensione dell’attuale agevolazione (a prescindere dall’iscrizione all’AIRE) a tutti quei pensionati che, pur risiedendo all’estero, hanno perso attualmente qualsiasi beneficio per aver maturato contributi unicamente nel Paese straniero in cui hanno lavorato sin da giovane età.
Non potrebbe ravvisarsi anche in questo caso una forma di discriminazione?
Chissà se le nostre parlamentari non riescano anche qui ad andare sino in fondo.
Tonio Scanderebech
Attualità
Via alle ispezioni della cavità in zona Puzzu a Tricase

Sono iniziate stamani le ispezioni del pozzo rinvenuta nel borgo antico di Tricase, in zona Puzzu, la scorsa settimana (leggi qui)
A calarsi sono i componenti del Gruppo Speleologico Tricase. Restituiranno tutte le informazioni utili che emergeranno sulla cavità, a partire anche dall’esatta profondità, stimata in circa 25 metri al momento del ritrovamento, avvenuto durante i lavori di riqualificazione del centro storico.
Per le vie del centro cittadino intanto stamattina è rimbalzata la falsa notizia secondo cui qualcuno sarebbe caduto accidentalmente nel pozzo. Nulla di vero: trattasi appunto delle operazioni ispettive avviate nella giornata odierna.
La locale Protezione Civile ed una ambulanza sono sul posto preventivamente, pronte a intervenire in caso di necessità.
Le foto




Approfondimenti
Sotto un cumulo di rifiuti e pannelli
Con la Civiltà dei consumi si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione

È da anni ormai che da più parti si lamenta che nel Salento sta crescendo il cumulo di rifiuti industriali con grave inquinamento per l’ambiente.
Né meno semplici sono i problemi connessi alle discariche dei rifiuti comunali, a prescindere dalle discariche illecite che non mancano.
Ma non basta.
A tutto questo si deve aggiungere la consistente presenza di pannelli solari e pannelli fotovoltaici in tutto il territorio, sul cui smaltimento è difficile prevedere; una presenza peraltro favorita dalla debole strategia nell’affrontare la Xylella fastidiosa.
Gli effetti della diffusione del batterio insieme alla decrescita della coltivazione delle campagne hanno condotto alla desertificazione di gran parte del Salento con la conseguenza che la distesa di olivi secolari è stata sostituita da quella di pannelli fotovoltaici, mentre nella incantevole striscia di mare che va da Otranto a Santa Maria di Leuca si propone con forza la realizzazione di un gigantesco parco eolico offshore.
Senza entrare nei dettagli, è chiaro che va manifestandosi uno scenario che una volta si sarebbe definito apocalittico e che in fondo è tale. Si tratta allora di cercare di comprendere cosa sta affettivamente accadendo.
Il punto chiarificatore da tenere in massimo conto è lo sviluppo della tecnologia.
Chi è anziano sa molto bene cosa è accaduto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso con la fascinosa affermazione della società dei consumi, la quale, però, ha fatto venir meno ogni sostenibilità.
L’usa e getta è divenuta una realtà sempre più frequente e la diffusione del materiale in plastica, in particolare, è diventata inarrestabile con tutti i problemi che nel tempo si sono manifestati, rivelandosi una fonte di inquinamento drammatico nelle acque (dai laghi agli oceani) e negli stessi viventi, poiché frammenti di plastica di dimensioni di pochissimi millimetri si trovano ormai nei corpi dei viventi.
E il discorso si potrebbe ampliare estendendolo ai pannelli solari e fotovoltaici dismessi, ai tanti oggetti che quotidianamente buttiamo via.
Si può e si deve essere diligenti nella gestione dei rifiuti attraverso la raccolta differenziata, ma il problema dello smaltimento permane.
Per dirla in breve, si è passati da comunità che tendevano a conservare e utilizzare la gran parte degli oggetti (si pensi alle vecchie brocche e agli utensili di terracotta) ad una collettività in cui gli oggetti si rinnovano in continuazione.
SOCIETÀ DEI CONSUMI
È chiaro che tutto questo corrisponde all’affermazione di una società del consumo sotto la spinta della scienza e della tecnica; è la società del capitalismo avanzato con tutti i suoi indubbi vantaggi, ma con la conseguente produzione di rifiuti che sono ormai difficilmente smaltibili.
L’artificiale non si dissolve nella natura come invece avveniva per l’antica spazzatura e ciò genera la diffusione non solo delle grandi discariche, ma di un inquinamento sempre più pericoloso. Ed è un fenomeno che ovviamente non riguarda solo il Salento, ma si estende in tutte le parti del mondo, soprattutto in quelle più industrializzate.
Così il 5 giugno è stata dichiarata dall’ONU “Giornata mondiale dell’ambiente” e quest’anno tale giornata è dedicata alla lotta all’inquinamento da plastica.
Sotto tale profilo, essendo un processo legato alla funzionalità e alla comodità – espressioni appunto della tecnologia – esso appare invincibile in quanto è difficile qualunque ritorno al passato, a società che possono essere giudicate arcaiche. Certo, è lecito e doveroso cercare di ricorrere a dei rimedi. Non si può rimanere inerti di fronte a dei guasti che mettono discussione la salute e la stessa continuità della vita.
Per poter porre rimedio ai pericoli in corso sarebbe auspicabile la produzione di oggetti smaltibili e inoltre di maggior durata.
LA LOGICA DEL MERCATO
Gli strumenti di cui ci serviamo dovrebbero essere più durevoli.
E ciò è sicuramente fattibile, anche se va contro la logica del profitto propria della realtà industriale, la quale richiede invece il rapido consumo di ogni prodotto e un continuo rilancio in un mercato che continuamente si rinnova.
La logica del mercato, insomma, impone una produzione sempre nuova e di breve durata. Una produzione apparentemente o realmente più funzionale, ma che va oltre la tutela dell’ambiente.
E qui il discorso si potrebbe estendere al processo di cementizzazione che diventa sempre più esteso a discapito della permanenza della flora e della fauna, con palazzi destinati peraltro ad avere una minore durata nel tempo.
Come si vede, quello che deve essere messo in primo luogo in discussione non è tanto il problema della discarica in una determinata località o di un hub energetico, quanto quello della natura del “progresso” ossia di uno sviluppo della vita quotidiana connesso ai frutti della tecnologia e ad un numero considerevole di lavoratori che vive producendo (e utilizzando) tali frutti. È, per ricordare un’immagine classica, il serpente che si mangia la coda: siamo asserviti a ciò che produciamo e di cui non sappiamo fare a meno, nonostante la consapevolezza che rischiamo di autodistruggerci.
COSA POSSIAMO FARE
Quello che al momento possiamo fare è prendere consapevolezza di tale situazione e richiedere la produzione di materiali sostenibili e di lunga durata. Non è un andare controcorrente, perché è in gioco la qualità e la possibilità stessa della vita. È realistico che non si possa bloccare o modificare tutto da un momento all’altro, ma l’intelligenza umana deve indirizzare con serenità e decisione verso tale cammino e il compito della classe dirigente dell’immediato futuro è farsi carico di tutto questo, mentre la diffusione di tale messaggio deve essere fatta propria, senza nessun impeto che sarebbe controproducente ed inutile, da tutti coloro che sono addetti alla promozione della cultura.
Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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