Cronaca
Noemi, il Vescovo: “Rispettiamo il dolore”
L’omelia di Mons. Angiuli durante la messa di suffragio: “Ciò che fa più male non è solo la morte fisica, ma quel coacervo di sentimenti fatto di animosità, rancori, ostilità, accuse infondate, insinuazioni malevole, calunnie velenose che si insinuano nell’animo fino a far perdere il senso del limite e della misura”

Nel trigesimo della tragica morte di Noemi Durini, questo pomeriggio, nella Chiesa Madre di Specchia, Andreana Bassanetti, presidente e fondatrice dell’Associazione “Figli in Cielo” ha incontrato le famiglie colpite dalla perdita di un figlio.
“Figli in Cielo” è una Comunità approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana per sostenere ed accompagnare le famiglie che vivono l’esperienza del lutto, è presente dal 1991 in quasi tutto il territorio italiano e in molti Paesi del mondo.
Nelle scorse settimane, il Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale ha nominato Sua Eminenza, Cardinale Camillo Ruini, Assistente ecclesiastico nazionale dello stesso sodalizio.
Dalle 18,30, sempre in Chiesa Madre, S. E. Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento – Santa Maria di Leuca, presiede la Messa di suffragio.
Il naufragar m’è dolce in questo mare
Di seguito il testo della omelia del Vescovo in occasione della messa di suffragio del trigesimo della morte di Noemi Durini
Cari Imma e Umberto,
cari fratelli e sorelle,
ci ritroviamo per commemorare insieme, con l’affetto e con la preghiera, la cara Noemi prematuramente e dolorosamente scomparsa. Come ho sottolineato nell’omelia della Messa esequiale, portiamo il peso della tristezza e dell’amarezza per quanto è accaduto con tre atteggiamenti: il silenzio, le lacrime e la preghiera. Mettiamo da parte ogni altro sentimento e viviamo con dignità, rispetto e discrezione il seguito di questa dolorosissima vicenda.
Per onorare degnamente la memoria di Noemi, facciamo nostro l’insegnamento che ci propone la Parola di Dio: rafforzare la consapevolezza del nostro peccato, insieme alla certezza dell’infinita misericordia di Dio. Il salmista ci invita a riconoscere che «presso il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione» (Sal 130,7). Nessuno, pertanto, dovrebbe ergersi a giudice del proprio fratello e tutti, dal profondo del cuore, dovremmo chiedere a Dio la remissione delle nostre colpe, nella certezza che egli esaudirà la nostra invocazione. Ciascuno di noi dovrebbe ripetere le parole del salmo: «Spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora» (Sal 130, 5-6).
Per questo, nonostante gli avvenimenti ci spingono a a incamminarci su altre strade, rimaniamo fermi nel percorrere il sentiero della speranza. Non la piccola speranza che, considerando gli avvenimenti in modo troppo umano, restringe gli orizzonti e crea contrasti, ma la grande speranza, l’unica capace di spalancare le porte del cuore fino sperare per tutti! Tutti possono redimersi e cambiare vita. A tutti, Dio concede sempre una possibilità di ravvedersi e di ritornare sui propri passi se con umiltà e sincerità si è disposti a riconoscere i propri errori, anche quelli più gravi, e a espiarli secondo giustizia e verità.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato una vicenda che contiene un grande insegnamento. Gli abitanti di Ninive, persone semplici, notabili e perfino il re, si convertono a seguito dell’annuncio proposto dal profeta Giona. Gli uomini e persino animali sono coinvolti in questo processo interiore ed esteriore di cambiamento. Di fronte al loro proposito di conversione, Dio si commuove (cfr. Gn 3, 5.10) dà libro sfogo alla sua immensa magnanimità. Considera tutti gli uomini suoi figli, egli vuole che tutti si salvino. Non desidera la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Charles Peguy esprime in modo poetico questa verità mettendo in bocca a Dio queste parole:
«Io risplendo talmente nella mia creazione.
In tutto ciò che accade agli uomini e ai popoli, e ai poveri.
E anche ai ricchi. […]
In ogni nascita e in ogni vita.
E in ogni morte.
E nella vita eterna che non avrà mai fine.
Che vincerà ogni morte»[1].
La vicenda di Noemi dovrebbe risvegliare in noi questa consapevolezza, spingerci a imparare dal mistero della morte il significato della vita e a porci le seguenti domande: la morte è un ponte o un abisso? Un passaggio verso qualcosa d’altro oppure un precipizio nel nulla? Un punto che mette fine definitivamente a un percorso o una virgola che semplicemente indica una sosta? Una serratura che chiude ogni passaggio o è una chiave che può aprire nuove porte? una scomparsa definitiva o solo una svolta, quasi la curva di una strada che impedisce di essere visti?
Dobbiamo sentirci tutti interpellati da queste domande. Esse valgono per tutte le età e in tutte le circostanze e invitano a cercare non superficiali e scontate, soprattutto se si tratta di un figlio o di una figlia morta in giovane età. In questo caso, infatti, il dolore si reduplica e diventa ancora più lancinante. Quasi prestando le sue parole a voi, cari Imma e Umberto, un genitore afferma: La morte dei nostri figli a qualsiasi età e da qualsiasi circostanza sia dipesa è uno dei colpi più crudeli che la vita può infliggerci. Il viaggio attraverso il dolore è molto lungo, buio, difficile e doloroso per i genitori che lo devono, volenti o nolenti, effettuare, tanto che ci siamo definiti amputati […]. La morte dei nostri figli non è una malattia da cui si può guarire. Si tratta di un cambiamento che modifica la nostra vita per sempre e col quale dobbiamo imparare a convivere. Siamo così costretti a fare l’impossibile: costruire una nuova vita e scoprire una “nuova normalità” per noi e le nostre famiglie in un mondo senza di loro».
La morte in giovane età di un figlio o di una figlia frantuma la vita dei genitori in mille rivoli. Aggiunge dolore al dolore e fa sanguinare il cuore senza che vi sia alcun balsamo che cicatrizzi le ferite e dia un po’ di sollievo all’anima. Partecipando a questi sentimenti, Papa Francesco afferma: «La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. […] la morte è come un buco nero che si apre nella vita delle famiglie e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione. […] Ma la morte fisica ha dei “complici” che sono anche peggiori di lei, e che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia; insomma, il peccato del mondo che lavora per la morte e la rende ancora più dolorosa e ingiusta»[2].
Il chiacchiericcio mediatico
In un caso, come il nostro, ciò che fa più male non è solo la morte fisica, ma quel coacervo di sentimenti fatto di animosità, rancori, ostilità, accuse infondate, insinuazioni malevole, calunnie velenose che si insinuano nell’animo fino a far perdere il senso del limite e della misura. Invece di avvolgere ogni cosa con il mantello dell’umana pietà e della sincera compassione, ci si avventura in giudizi malevoli, valutazioni fantasiose, opinioni avventate, commenti ammiccanti. E come se ciò non bastasse, alle prese di posizioni dei singoli e dei gruppi, si aggiunge il chiacchiericcio mediatico che, quasi si trattasse di un’indagine giudiziaria, pretende di indagare su ogni piccolo dettaglio passando ogni elemento, anche il più insignificante, al minuzioso vaglio della sua lente di ingrandimento con un’ossessiva ripetitività per soddisfare la curiosità dello spettatore.
Cari fratelli, rispettiamo il dolore di tutti e soprattutto, come nella vicenda di Noemi, il dolore dei genitori. Credo che i vostri sentimenti, cari Imma e Umberto possano essere espressi con le parole di un altro genitore il quale scrive: «Il dolore derivante dalla morte d’un figlio non può essere ignorato o evitato. È necessario valicarlo, al fine di uscire dall’altra parte. Non ci sono calendari per il dolore, ogni persona deve prendersi il tempo necessario per superare il lutto. […] I nostri figli non sono partiti (non userò mai la parola “morti” o “deceduti”) senza un buon motivo: Dio lo conosce e ce lo dirà quando giungeremo da Lui per essere di nuovo insieme a loro. Non vogliono lacrime e dolore, li terrebbero ancoràti a questo mondo che non gli appartiene più, devono crescere spiritualmente, devono andare avanti nel loro cammino, la miglior cosa che possiamo fare per onorare la loro memoria è dedicarci agli altri, a chi soffre come noi e più di noi».
La carità e l’amore per il prossimo sono il vero balsamo che lenisce ogni dolore. A tal proposito, Papa Francesco afferma: «Tutte le volte che la famiglia nel lutto, anche terribile, trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. […] L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata […]. L’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami familiari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza»[3].
La speranza è una virtù esigente e difficile, ma non impossibile. Certo è sorprendente e stupefacente per noi, e anche per Dio. Se ne fa interprete ancora una volta Charles Peguy quando scrive questi versi:
«Ciò che mi sorprende, dice Dio, è la speranza.
E non so darmene ragione.
Questa piccola speranza che sembra una cosina da nulla.
Questa speranza bambina.
Immortale
Ma sperare è difficile (…)
Quel che è facile e istintivo è disperare ed è la grande tentazione»[4].
Sì, la speranza è una virtù che sorprendente perché è capace di attraversare il velo del mistero anche quello più oscuro e tenebroso, e continuare a crede nl futuro. La morte di una persona giovane è, senza alcun dubbio, come un terribile naufragio. Morire nel fiore della giovinezza è come affondare nell’oscurità di un oceano che inghiotte l’esistenza nel suo vortice incessante e seppellisce ogni cosa nella profondità del suo abisso. E alle insondabili ricchezze nascoste nel fondo del mare, aggiunge anche la perla preziosa della giovane vita prematuramente scomparsa.
Se, però, prendiamo l’oceano smisurato e immenso come simbolo dell’infinita misericordia di Dio, allora, senza rimpianto anzi con gioia, potremo esclamare con Faustina Kowalska: «Il mio nulla affonda nel mare della tua misericordia, o Padre di misericordia» e ripetere con un sereno abbandono i versi dell’Infinito: «Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: / e il naufragar m’è dolce in questo mare».
Cari fratelli e sorelle, chi ci vieta di pensare che Noemi, dal luogo della sua attuale dimora, non ripeta queste consolanti parole? Nel silenzio, forse potremo ascoltare ancora la sua voce ripetere al nostro cuore amante: «Mi è dolce naufragare nel mare della divina misericordia che tutto perdona e a tutti ridona salvezza e vita». Potremmo anche pensare che, come Maria di Betania, Noemi ora è seduta ai piedi del Signore, tutta intenta ad ascoltare le sue parole, mentre a noi pellegrini sulla terra, il Signore, come a Marta, rivolge un dolce rimprovero: «Voi vi preoccupate e vi agitate per molte cose, ma una sola è la cosa di cui è bisogno. Noemi/Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10, 41-42).
Abbandoniamoci anche noi, cari fratelli e sorelle, nelle braccia della divina misericordia. L’amore di Dio è più forte della morte e, come il sole a mezzogiorno, fa risplendere su tutti, senza distinzione di sorta, «la speranza che non delude» (Rm 5,5).
+Vito Angiuli
Vescovo di Ugento- S. Maria di Leuca
[1] C. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù.
[2] Francesco, La Famiglia – 19. Lutto, catechesi all’Udienza generale, Mercoledì, 17 giugno 2015 .
[3] Francesco, La Famiglia – 19. Lutto, catechesi all’Udienza generale, Mercoledì, 17 giugno 2015 .
[4] C. Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù.
Cronaca
Incendio sul litorale di Salve: ecco il CanadAir

Un vasto incendio è divampato questa mattina tra Torre Pali e Pescoluse, nella zona costiera di Salve, nel basso Salento.
Le fiamme hanno interessato l’area di macchia mediterranea, minacciando diverse villette estive e la strada provinciale, invasa dal fumo e chiusa al traffico.

Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, per garantire lo svolgimento delle operazioni di spegnimento e impedire che le fiamme raggiungessero anche le spiagge di Pescoluse.
Fumo trasportato verso il mare: bagnanti allontanati

Il vento ha portato il fumo direttamente verso la costa, invadendo un tratto di spiaggia. Le nuvole nere hanno reso l’aria irrespirabile, costringendo molti dei bagnanti presenti a interrompere il bagno e lasciare la spiaggia.
Necessario un CanadAir

Non si registrano feriti o vittime.
Tuttavia, le fiamme hanno continuato ad espandersi e per riuscire a circoscriverle si è reso necessario l’intervento di un CanadAir, entrato in azione attorno alle 16.
Cronaca
Maglie: defunti in ostaggio dei vivi

di Lorenzo Zito
La coscienza popolare insegna che la morte non guarda in faccia a nessuno.
Eppure, a Maglie il trapasso non è sempre una livella, come recitava il grande Totò.
C’è un fenomeno in città che serpeggia sottotraccia e che riguarda la gestione del cimitero comunale, per alcuni migliorabile.
Capita, di tanto in tanto (ma nemmeno così troppo), che i loculi disponibili per le tumulazioni si esauriscano, a danno dei defunti che si ritrovano a dover attendere un posto dove poter riposare in eterno.
I nostri son piccoli centri: ne deriva che, fortunatamente, l’effetto non è quello di alcune grandi città del nostro Mezzogiorno, dove interi depositi si ritrovano a fungere da sale d’attesa per la sepoltura.
Tuttavia, anche a Maglie qualcosa di anomalo perdura, come da noi verificato, dopo che, in questi mesi, più d’una voce si era approssimata a riguardo all’orecchio della nostra redazione.
TRA POLITICA E CONFRATERNITE
L’attuale contesto è figlio di più contingenze.
Una di queste sembra essere una scelta politica intrapresa qualche amministrazione fa.
Circa 15 anni or sono, furono realizzati nuovi loculi e fu pubblicato un bando per la loro cessione ai cittadini attraverso un’azienda privata.
L’appalto fu vinto da una ditta che aveva mandato di cederli in serie (da 3, 6 o 9) a famiglie che volevano riservarsi uno spazio all’interno del cimitero cittadino.
Alcuni anni dopo la vendita in serie fu sciolta, procedendo (sotto l’amministrazione guidata da Antonio Fitto) alla vendita di ciascun loculo singolarmente.
Fu così che tutti i nuovi spazi furono ceduti a privati, lasciando chiaramente quella porzione di cittadinanza che non aveva voluto o non aveva potuto provvedere all’acquisto, sprovvista di una propria nicchia.
«TALVOLTA È CAPITATO»
Eccoci quindi arrivare ai giorni nostri, il cui contesto, per esser al meglio interpretato, necessita anche di una seconda prospettiva.
Quella inerente al ruolo delle confraternite cittadine.
A Maglie esistono quattro confraternite.
La Confraternita della Maria SS. Addolorata; la Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia; la Madonna delle Grazie e quella dei SS. Medici, che peraltro è tra le più grandi di Puglia (oltre 4mila confratelli).
Come accade quasi in ogni Comune, ciascuna confraternita possiede una cappella e dei loculi dedicati ai propri defunti all’interno del cimitero comunale.
Incontrando e dialogando con alcuni rappresentanti di queste, abbiamo avuto conferma di quanto si dice in paese: «talvolta è capitato» che arrivasse qualche chiamata per richiederci la disponibilità di loculi da far utilizzare a persone estranee alle confraternite. Così come talvolta capita che alcuni di questi loculi siano stati assegnati a dei non iscritti (magari negli spazi meno ambiti, come le ultime file della cappella, ci spiega qualcuno), per venire incontro alle richieste che si susseguono. La stessa cronaca lo racconta: la giovane magliese tragicamente scomparsa a Napoli lo scorso dicembre, in seguito all’incendio che ha colpito il B&B dove alloggiava, è stata tumulata tra i defunti della Fraternità di Maglie dell’Ordine Francescano Secolare di Puglia, pur non essendone consorella.
Ecco allora che, leggendo tra le righe, qualcuno si spinge finalmente oltre e trova il coraggio di darci la sua lettura: da un lato, le confraternite vengono utilizzate come stampella per sopperire alla carenza di loculi pubblici; dall’altro, le stesse sono diventate l’approdo prediletto di chi, non volendo finire nella lotteria delle sepolture e non essendo disposto ad acquistare un loculo tutto per sé, si iscrive alla confraternita per pensare alla morte con meno patemi.
«Non prendiamoci in giro», commenta un esponente di una delle quattro confraternite, che preferisce restare anonimo, «in tanti oggi si uniscono alle confraternite non certo per fede, ma proprio per avere la certezza (in cambio di un obolo contenuto) di una sepoltura degna, all’interno di un contesto decoroso, come quello delle nostre cappelle, piuttosto che negli spazi pubblici, lasciati al degrado».
Controtendenza nella controtendenza, oltre al picco di devozione registrato a mo’ di indulto, si segnala anche un altro fenomeno: in un periodo storico in cui le famiglie tendono a perpetrare la sepoltura dei propri cari (anche ben oltre i 30 anni), sempre di più sarebbero a Maglie i confratelli che, per ottenere uno spazio all’interno delle cappelle, procedono alla dissepoltura di famigliari mancati da lungo tempo per far spazio ai propri cari defunti recentemente.
Da un lato quindi i loculi privati, già ceduti ai cittadini che si sono potuti permettere un posto da cui osservarsi nell’aldilà. Dall’altro le confraternite, che dispongono di una riserva di loculi, a volte croce ed altre delizia. A ciò si aggiunga un’altra informazione che, tra i denti, sfugge alle chiacchierate intercorse in questi giorni, sempre con alcune delle suddette confraternite: non di rado, vengono effettuate delle sepolture temporanee, nell’attesa di traslare la salma in loculi idonei non appena se ne presenti la possibilità.
«UN BISOGNO, NON UN’EMERGENZA»
Ma quando si presenta questa possibilità?
Lo dice, implicitamente, il sindaco facente funzioni, Antonio Fitto – già primo cittadino della città tra il 1997 e il 2000 – oggi subentrato in qualità di consigliere comunale più anziano, a seguito della sospensione del sindaco uscente Ernesto Toma, attualmente agli arresti domiciliari per presunti reati contro la pubblica amministrazione, come emerso da recenti inchieste giudiziarie.
«Non parlerei di emergenza», ci spiega Fitto, «al più di qualche estemporanea criticità. L’ultima volta in cui ricordo che una salma abbia dovuto attendere per la tumulazione risale al 2023».
«La nostra amministrazione», continua, «ha già previsto risorse da destinare alla costruzione di nuovi loculi. Attività non ancora partita solo per via di un avvicendamento negli uffici comunali, che ha rallentato l’iter. L’intenzione», ammette infine, «è quella di non dover più inseguire le estumulazioni».
L’AGO DELLA BILANCIA
Sono quindi le estumulazioni il vero ago della bilancia.
L’unico elemento in grado di garantire nuovi posti ai nuovi defunti.
L’idea del Comune per venir meno a questa dinamica, tuttavia, sembra quella di replicare le misure di qualche anno fa: «Realizzeremo dei nuovi loculi a schiera, che saranno messi in vendita. In questo modo, il Comune potrà rientrare delle somme investite».
Emerge insomma un dato evidente: i loculi disponibili sono terminati, e oggi si “insegue” l’estumulazione per fare spazio. E se è vero che presto si procederà alla realizzazione di nuovi loculi, è altrettanto vero che questi verranno messi in vendita.
Ciò significa che, una volta acquistati da cittadini ancora in vita – desiderosi di garantirsi uno spazio per il futuro – il ritorno alla situazione attuale è più che un rischio.
Sul tema ha preso parola anche il gruppo consigliare all’opposizione, Maje Noscia, affermando che «la gestione del cimitero va completamente ripensata, anche adottando un nuovo Piano Regolatore Cimiteriale. Le attuali criticità sono figlie anche della scelta compiuta dall’amministrazione nel 2010, all’epoca guidata da Antonio Fitto, che ha ritenuto affidare in concessione ad un’impresa privata i lavori inerenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione del cimitero (la cui cattiva esecuzione dei lavori è sotto gli occhi di tutti), in cambio del diritto del privato a realizzare e vendere 21 edicole funerarie, oltre che circa 700 singoli loculi».
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Attualità
«La mafia salentina è sempre viva»
Intervista a Francesco Mandoi, ex magistrato salentino già Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia: «Vi spiego tutto»

di Sefora Cucci
“Né eroe né guerriero. Ricordi e sfide di un magistrato” (Besa editrice). Questo il titolo del libro di Francesco Mandoi, ex magistrato salentino che è stato Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo presso la Direzione Nazionale Antimafia, in libreria dal 25 aprile.
Da allora, il suo autore è coinvolto in un tour di presentazione e divulgazione che sta facendo il giro dell’intera Puglia, toccando moltissimi paesi, ad esempio Molfetta, Castellaneta, Cutrofiano, Manduria, Lecce, Novoli, Nardò, Trepuzzi e Ugento.
Una vita spesa al servizio dello Stato. «Il destino ha voluto che potessi fare il mestiere che amavo e grazie al mio lavoro posso dire di aver raggiunto, come sosteneva Primo Levi, “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”», dichiara il dott. Mandoi, che abbiamo intervistato.
Lei rifiuta l’etichetta di magistrato antimafia. Perchè?
«Non amo quella definizione perché la magistratura, nella sua essenza, non è mai stata né pro né contro qualcosa. La giustizia non dovrebbe essere partigiana e un magistrato non è e non deve essere un militante. Aggiungere l’aggettivo “antimafia” rischia di creare una grande confusione, perché il più delle volte viene utilizzato quasi per fini retorici, politici o mediatici. Sembra quasi indicare implicitamente che esista una categoria di magistrati “speciali” che svolgono un lavoro più nobile o significativo rispetto ad altri. Chi combatte la mafia non lo fa per vanità, ma per dovere. Etichettare qualcuno come “antimafia” non solo isola quel magistrato dal contesto più ampio della giustizia, ma sminuisce il valore del lavoro degli altri. Sono sempre più convinto che la lotta alla mafia non ha bisogno di eroi solitari, ma di una società consapevole e unita».
Dalla recente relazione DIA relativa al 2024 emerge che i clan storici del Salento continuano ad esercitare il controllo sul territorio. Quali armi allora?
«Ho letto con sincera preoccupazione i dati emersi i quali, non fanno altro che raffermare la mia idea che la SCU non è mai finita nel nostro territorio. Anzi, molto più correttamente dovremmo parlare di mafia salentina perché nel corso del tempo ha assunto vari nomi; perché sa, la mafia è camaleontica ed è in grado di adattarsi a qualunque scenario, mantenendo sempre gli stessi obiettivi. Alle attività tipiche (estorsione, spaccio, riciclaggio, ecc.) se ne aggiunge un’altra, altrettanto preoccupante: quella relativa al controllo delle attività turistiche».
Cosa possiamo fare?
«Denunciare e sensibilizzare. Questi non sono due verbi vuoti ma si caricano del significato che diamo loro: mettere la pulce nell’orecchio delle forze dell’ordine è possibile, purché ci sia fiducia nelle istituzioni. Dobbiamo stimolare alla collaborazione. Cosa serve? Uomini, mezzi, collaborazione, credibilità nello Stato e soprattutto recuperare la fiducia nei confronti delle Istituzioni che in questo momento storico va via via perdendosi. Occorre recuperare quella fiducia perché si sta diffondendo una cultura del ‘chi me lo fa fare?’ che è l’anticamera della cultura dell’omertà».
Le recenti riforme sulla giustizia e i disegni di legge qualificano una situazione in cui, da più parti, è stato lanciato un allarme al pericolo di lesione dello stato di diritto. Lei cosa ne pensa?
«Il pericolo è estremamente reale. Sono molto preoccupato. Il rapporto tra cittadino e Stato si deve basare sulla fiducia. Se questa viene a poco a poco minata, quanta credibilità rimane? Il rischio è di mettere in crisi lo stato di diritto perché la gente non crede. É scettica. E scetticismo si riscontra verso i recenti atti, pensiamo al decreto sicurezza, ormai legge. Al di là di possibili profili di illegittimità costituzionale, mi sembra fatto solo per ragioni demagogiche. E se si è scelta questa strada, significa che l’80% della legge serve solo a livello demagogico».
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